"A 28 anni non sei laureato? Allora sei solo uno sfigato..."

Il viceministro dell'Economia Martone, durante il suo intervento alla Giornata dell'apprendistato, ha dato una sferzata agli universitari: "Bisogna dare messaggi chiari ai nostri giovani. Se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato". Una dichiarazione che ha anche aperto un vivace dibattito sui social network.

'A 28 anni non sei laureato? Allora sei solo uno sfigato...'

da Attualità

del 25 gennaio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

          Niente da eccepire. A 28 anni un qualsiasi ragazzo dovrebbe aver chiuso con le sessioni di esami, le lezioni col quarto d'ora accademico e la correzione della tesi già da parecchio tempo. Eppure una storpiatura - tutta italiana - protrarre il quinquennio universitario ad oltranza. Con i giovani che mettono le radici nei chiostri e ritardano il proprio ingresso nel mondo del lavoro. Crisi economica e opportunità a parte, impiegare un paio di lustri per laurearsi è un vizio diffuso anche nei migliori atenei del Belpaese. Proprio per questo il viceministro dell'Economia Michel Martone, durante il suo intervento alla Giornata dell’apprendistato, ha dato una sferzata agli universitari: 'Bisogna dare messaggi chiari ai nostri giovani. Se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato'. Una dichiarazione che ha subito incassato il plauso del direttore generale della Luiss Pierluigi Celli, ma che ha anche aperto un vivace dibattito sui social network.

          Si è passati dai 'bamboccioni' agli 'sfigati'. Ma il messaggio non è poi così diverso. I giovani che restano a casa di mamma e papà troppo a lungo, nel primo caso, quelli che navigano verso i trent'anni ma che ancora non si sono laureati, nel secondo. Ed è così che la famosa sindrome di Peter Pan finisce - ancora una volta - nel mirino del governo che prova a fronteggiare le conseguenze della crisi economica smontando certe (malsane) abitudini di un Paese che tende a lasciare i giovani indietro. Già Tommaso Padoa-Schioppa, in qualità di ministro dell’Economia, aveva invitato a 'mandare i bamboccioni fuori di casa'. Oggi Martone ha rincarato la dose: 'Se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato'. Tra le due dichiarazioni sono passati più di quattro anni. La situazione non è certo cambiata. Anzi, è forse peggiorata. 'Essere secchioni, in fondo - ha proseguito il viceministro - non è male, almeno hai fatto qualcosa'. La crisi economica ha senza dubbio accentuato il ritardo dell’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. I dati sulla disoccupazione giovanile (ormai al 30%) parlano di due milioni di ragazzi che non studiano e non lavorano.

          La dichiarazione di Martone non dovrebbe stupire nessuno. Eppure da Nichi Vendola ai dipietristi è una levata di scudi. 'Anziché gettare sentenze offensive su chi ancora studia - ha affermato il vicecapogruppo dell'Italia dei Valori alla Camera Antonio Borghesi - farebbe meglio a parlare della materia che è chiamato a rappresentare e dei modi in cui il governo intende affrontare la disoccupazione'. E, a ruota, il governatore della Puglia: 'Conosco tanti ragazzi e tante ragazze della mia regione che si sono laureate a 23 anni. E che a 28 sono all’ennesimo lavoro precario. Non li considero sfigati'. In realtà, un conto è non aver un lavoro, disagio che dipende da innumerevoli fattori (la crisi economica, il precariato, le offerte del mercato, la preparazione accademica). Tutt'altro discorso per la laurea. Perché non essere ancora usciti dall'università a 28 anni, significa essere fuori corso di parecchi anni. Il ché significa: un netto ritardo nell'ingresso del mondo del lavoro, un esborso aggiuntivo di denaro nei pagamenti delle rette e una totale mancanza di amor proprio. Le polemiche dei vari Vendola e Borghesi lasciano il tempo che trovano. 'Non ho avuto la sobrietà necessaria', ha replicato il viceministro ribadendo, comunque, che 'l’età media dei laureati italiani sia molto più alta rispetto alla media dell’Unione europea'. 'Tutti quelli che hanno due lavori - ha aggiunto Martone - o che vengono da famiglie con situazioni difficili e riescono a laurearsi sono bravi, sono eroi'.

Martone indigna perché dice cose vere

          Le parole di Martone indignano molti giovani perché sono vere. Nel resto del mondo gli universitari studiano e lavorano per pagarsi la retta, in Italia molti perdono tempo          Non c'era davvero bisogno che il viceministro al Welfare Michel Martone precisasse. Chi a 28 anni non è ancora laureato è uno sfigato. Io aggiungerei: è un parassita. E l'indignazione dei vari dipietristi e della sinistra lascia il tempo che trova. Il 38enne Martone ha detto una sacrosanta verità: 'L’età media dei laureati italiani è molto più alta rispetto alla media dell’Unione europea'. Eppure questa semplice affermazione, che da decenni è sotto gli occhi di tutti, ha scatenato numerose (e troppe) polemiche. C'è chi tira fuori i casi limite di chi ha avuto una vita difficile ed è stato costretto a lavori massacranti per potersi pagare la retta all'università, c'è chi si fa scudo col curriculum del viceministro facendo illazioni sul suo passato. Ma questo significa nascondersi dietro a un dito.

          Il problema è: cosa ci fa un 28enne ancora nei chiostri di un ateneo a fare la coda per iscriversi a un esame, ad aspettare il professore per discutere il tema della tesi durante l'orario del ricevimento, a seguire corsi affollati da matricole? Basta fare un salto in America o in un qualunque paese dell'Eurozona per capire che questa deformazione è tutta italiana. Basta dare un'occhiata al rapporto Education at a glance diffuso lo scorso settembre dall’Ocse per capire che l'Italia detiene un brutto, bruttissimo primato: poco più del 20% dei giovani italiani tra i 25 e i 34 anni si laurea, rispetto alla media Ocse del 37, 1%. Per intenderci il nostro Paese è ai livelli di Lettonia e Polonia. Non solo. Dai dati Eurostat emerge un particolare interessante: la percentuale dei lavoratori iscritti all'università è solo del 9% tra le donne e del 6, 4% tra i maschi, mentre negli altri Paesi europei si lievi al 23, 3% per le donne e al 19, 3% per gli uomini. La 'scusa' del lavoratore-universitario, addotta dalla sinistra per impietosire e attaccare il viceministro, è dunque un'eccezione.

          'Dobbiamo dire ai nostri giovani che se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato, se decidi di fare un istituto tecnico professionale sei bravo. Essere secchione è bello, almeno hai fatto qualcosa'. Martone ha ragione. Come ha ragione Daniela Santanché (Pdl): 'Chi scalda i banchi fino a 28 anni senza fare nient’altro è uno sfigato. Per fortuna che qualcuno ha avuto il coraggio di dirlo'. Il fatto è che dirlo è politicamente scorretto. Perché significa ammettere che molti (troppi) studenti restano parcheggiati nelle università finché non decidono cosa fare della propria vita. Un atteggiamento che rischia di essere anche un pesante costo sociale. Dall'America alla Gran Bretagna, dai Paesi scandinavi all'Australia i giovani si laureano in tempo: molti di questi lavorano per mantenersi agli studi.

          Il punto è tutto qui. Se uno studente fatica a pagare la retta, dovrebbe fare il possibile per laurearsi in tempo e non sostenere altri costi. Se invece uno studente non ha problemi economici, dovrebbe fare altrettanto in fretta per conquistarsi una propria libertà andando a vivere da solo. E qui subentra un altro problema. Quando l'ex ministro Tommaso Padoa Schioppa aveva parlato di 'bamboccioni', i più lo avevano attaccato. Molti degli universitari a tempo perso vivono con o alle spalle dei genitori. Fare l'universitario diventa così un vero e proprio hobby che, oltre a essere un costo per le casse dello Stato, impoverisce anche il portafogli del papà. Per questo, stridono le polemiche suscitate dalle parole di Martone. Parole che dovrebbero fare meditare e, piuttosto, spingere a molti mea culpa.

          Ma in Italia, si sa, è più facile trovare una scusa: sono fuori corso perché i miei genitori non mi hanno aiutato economicamente, sono fuori corso perché ho inziato più tardi l'università, sono fuori corso perché non mi trovavo all'università, sono fuori corso perché ho cambiato facoltà, sono fuori corso perché...

Andrea Indini

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