Parla la psicologa Oliverio Ferrarsi. A quei ragazzi manca un saggio «Sono fragili e incerti: i film e le storie orientali li attraggono perché lì trovano personaggi come guide spirituali».
del 01 febbraio 2005
 Dice Anna Oliverio Ferraris, psicologa e psicoterapeuta: «Siamo soliti pensare ai giovani come a una fascia d'età omogenea. In realtà possono essere molto diversi per tanti motivi: individuali, familiari, economici, culturali, religiosi. Oggi c'è una forte spinta all'omologazione e la cosiddetta 'cultura giovanile' (che pure ha molti aspetti positivi e innovativi) tende a tenerli separati dalla sfera degli adulti, mentre invece sono indispensabili una comunicazione, un confronto e un'integrazione maggiori tra le generazioni. I giovani hanno i loro spazi, le loro mode, i loro divertimenti, i loro consumi, i loro tempi. L'arroganza, quando si manifesta, è superficiale, un atteggiamento difensivo. Trovo più preoccupante la scarsa preparazione che caratterizza quanti sono abituati ai messaggi elementari, stereotipati, confusi e frammentari della comunicazione di massa. Hanno l'impressione di sapere 'tutto' perché vengono raggiunti disordinatamente da moltissime notizie diverse; poi magari pensano (come d'altro canto alcuni deputati…) che la Rivoluzione francese sia avvenuta sul finire dell'Ottocento o che tra i vincitori della seconda guerra mondiale ci sia anche la Germania perché hanno visto tanti film di guerra dove i tedeschi vi compaiono come soldati perfetti… Ma la colpa di questa 'marmellata culturale' non è certo dei giovani».
 
Quali disagi li opprimono?
«Nell'adolescenza ragazzi e ragazze possono vivere disagi - che sono fisiologici - nei rapporti con la famiglia, con se stessi, con la scuola, con i coetanei, con la comunità. Devono abbandonare l'identità infantile. Capire chi sono, che cosa vogliono e in che cosa credono. Prendere le distanze dalla famiglia. Rendersi più indipendenti. Gestire un corpo che cambia. Confrontarsi con la sessualità. Insomma, i 'compiti' dell'adolescenza sono parecchi, bisogna perciò mettere in conto inquietudini, sbalzi d'umore, atteggiamenti indisponenti, ribellioni. Oltre a questi disagi fisiologici, ce ne po ssono essere altri che nascono da esperienze difficili, in casa o altrove, a cui c'è chi risponde con la droga, oppure con l'aggressività, perché queste sono vie rapide per entrare in un'altra dimensione e accantonare la sofferenza».
 
I rifugi più pericolosi, per superare le difficoltà, i rischi più inquietanti e preoccupanti che corrono dove sono rintracciabili?
«Nella droga, appunto, e nelle altre sostanze che consentono di 'fuggire'. Ma così non si impara a confrontarsi con le difficoltà, a trovare delle soluzioni, a contare su di sé e, se occorre, sugli altri. Maturità è anche questo: saper dare e chiedere aiuto. Un altro rischio, concreto, è legato alle notti brave che molti trascorrono in discoteche aperte fino alla mattina o in rave che durano due o tre giorni di seguito. Ne escono stravolti, eccitati e stanchi, e alla fine provocano incidenti disastrosi in cui molti di loro perdono la vita. È triste vedere che non si riesce a porre dei limiti a questa moria di giovani».
 
Il 'rumore' informativo dei mass media, carico anche di messaggi suggestivi, dove conta più apparire che essere, e gli accordi sotto banco, la furbizia, il mercanteggiamento, le 'relazioni giuste' pagano più del merito e dell'onestà; l'uso eccessivo e strumentale della violenza in alcuni videogiochi quanto contribuiscono a strutturare negativamente la loro mente e a orientarne comportamenti e gusti?
«Contribuiscono, certamente, soprattutto quando i ragazzi non dispongono di una cultura alternativa che possa consentire un confronto e una decodifica corretta di ciò che vedono o sentono. La violenza sugli schermi eccita e una persona immatura, che si immerge nelle storie, che le vive dal di dentro in modo acritico, può sentirsi quasi 'autorizzata' ad usarla o comunque approvarla perché a farne uso sono gli eroi dello schermo e perché il contesto è attraente e promozionale. C'è chi cresce con una doppia morale: una basata sulla lealtà nei confronti della fa miglia e del proprio ristretto gruppo di amici e l'altra, molto elastica, nei confronti della comunità più vasta in cui è 'normale' ingannare, predare, tradire, prevaricare...».
 
La famiglia di che cosa è colpevole?
«Dipende. Ci sono famiglie che non educano, che sono trascuranti e/o troppo permissive: genitori che non sanno dire no o pensano che i figli si educhino da soli. Altre che educano esplicitamente alla violenza e al crimine, all'uso, per esempio, della 'doppia morale'. Altre ancora (spero siano numerose) che seguono dei principi di onestà e di civiltà e cercano di dare un'educazione ai figli adatta ai tempi. Oggi non è facile fare il genitore perché dall'esterno arrivano sollecitazioni di ogni tipo e di segno opposto. È necessario avere dei punti di riferimento: sapere quando si può essere tolleranti e quando invece bisogna essere fermi. I genitori devono impegnarsi maggiormente, parlare molto più di un tempo con i figli e anche tenersi aggiornati perché a volte si tratta di 'smontare' dei messaggi molto attraenti ma ambigui, pericolosi. Il muro di gomma non aiuta».
 
La scuola ha responsabilità gravi o lievi? Risponde alle domande? Insegna come dovrebbe? Assicura o nega «la libertà necessaria all'espressione delle differenze», per usare le parole di Sandro Onofri, lo scrittore e insegnante romano scomparso nel 1999 a 44 anni?
«Credo che ci sia una grande varietà di situazioni. Ci sono scuole disastrate in cui i professori non riescono nemmeno a fare lezione e scuole in cui fra alunni e insegnanti esiste un buon clima, uno scambio ricco sia sul piano dell'apprendimento che educativo. Molto è legato ai singoli più che alle disposizioni ministeriali. Siccome sono venute meno altre agenzie educative e molte famiglie non riescono a seguire a sufficienza i figli, alla scuola si chiede di soddisfare anche il bisogno di socializzazione degli alunni e di essere un'agenzia educativa a pieno titolo, in grado di integrare l'azione della famiglia».
 
Quali modelli di comportamento richiederebbe la loro convivenza con gli adulti?
«Uno dei limiti dei ragazzi è, oggi, la difficoltà di trovare dei buoni maestri, ossia adulti disposti a 'perdere tempo' con loro. Si dice frequentemente che non vogliono ascoltare gli anziani, ma è un atteggiamento che riguarda soprattutto la prima fase dell'adolescenza, legato al desiderio di diventare più autonomi, di uscire dall'infanzia. Superata questa prima fase, quando ha raggiunto una certa autonomia, la maggior parte dei giovani, in realtà, cerca consigli, indirizzi, qualcuno che in determinati momenti gli indichi una strada o gli dica 'ce la puoi fare'. Il successo fra i ragazzi di molti film e storie orientali è anche dovuto al fatto che in quelle vicende c'è sempre un saggio che dice come ci si deve comportare, quale via seguire, e c'è spesso una prova da superare che sancisce davanti al mondo non solo la crescita, ma anche il valore del giovane».
 
E quali modelli suggerire da contrapporre a quelli consumistici proposti dai mass media?
«Bisogna distinguere le cose buone dalla spazzatura. Per questo è importante tener vivo il senso critico. Non si deve poi avere paura di essere 'diversi' o anche in pochi a sostenere una posizione, un punto di vista. La diversità è produttiva. Non ci si può affidare ciecamente alla corrente».
 
(2.continua)
Luigi Vaccari
Versione app: 3.26.4 (097816f)