A riguardo dell'amore c'è un termine cattolico che la modernità non riesce a cap...

Solo staccandosi da sé, rinunciando a sé, rimettendo il proprio destino nelle mani di un altro, il soggetto può dare un senso all'esistenza. Il rapporto di coppia si trasforma, con il cristianesimo, da evento naturale e sociale in legame sacro...

A riguardo dell'amore c'è un termine cattolico che la modernità non riesce a capire: sacramento.

da Teologo Borèl

del 06 febbraio 2006

Leggere la “Deus caritas est” dopo avere visto “Match point” o “I segreti di Brokeback Mountain”, significa rendersi conto che Benedetto XVI ha risposto con chiare parole al male del nostro secolo, la contraffazione del concetto di amore.

 

I due film costituiscono infatti una perfetta sintesi del modo in cui oggi, nell’occidente che si propone come modello al mondo intero, è vissuto l’amore: da una parte, la spietata analisi del rapporto di coppia, dove l’eros, divenuto strumento, si alterna con la manipolazione egoistica di un altro essere umano ai propri fini di piacere; dall’altra, l’esaltazione del vero amore, che ormai sembra possa essere vissuto soltanto dagli omosessuali, in apparenza gli unici rimasti ad aspirare con entusiasmo al matrimonio.

 

In  questo il contesto culturale, il Papa ricorda il senso profondo dell’innovazione che il cristianesimo ha portato nel matrimonio, in un mondo pagano che per molti aspetti lo viveva con modalità simili alle nostre. Benedetto XVI affronta nella prima parte dell’enciclica il tema che oggi è oggetto di una delle più gravi fratture fra il pensiero cattolico e la modernità, cioè il rapporto amoroso fra un uomo e una donna. Secondo critiche ormai radicate in un modo di pensare molto diffuso, la Chiesa appare infatti come una istituzione che dice sempre no alle aperture proposte dalla società laica – dall’uso di anticoncezionali artificiali all’aborto, dal libero amore al divorzio e all’accettazione dell’omosessualità come normalità – ma che non ha poi molto da proporre in cambio di questi rifiuti.

 

Un’istituzione composta per di più da uomini celibi, che si permettono di parlare di qualcosa che non conoscono, di entrare in un campo, quello della vita sessuale fra donne e uomini, dal quale dovrebbero tenersi fuori. Il Papa invece, con le sue parole nette e pacate, ricorda che nella tradizione cristiana la sessualità viene individuata non solo come un aspetto della natura umana, ma come il nodo fondamentale della vita, il punto in cui corpo e spirito si intrecciano e sul quale, quindi, si può e si deve agire per procedere nel cammino spirituale.

 

Il rapporto fra donne e uomini non è dunque terreno di riflessione solo per i moralisti e i medici ma anche per i teologi. Non poteva essere diversamente, se pensiamo che l’amore è il centro di tutto l’insegnamento di Gesù: in questo quadro il matrimonio costituisce una sorta di prima esperienza dell’amore che lega ogni essere umano a Dio. E’ nell’esperienza dell’amore, del quale fa parte anche la passione sessuale, che l’individuo acquisisce un sapere essenziale, quello del sacrificio e del dono di sé.

 

 

Il mistero del matrimonio

 

Solo staccandosi da sé, rinunciando a sé, rimettendo il proprio destino nelle mani di un altro, il soggetto può dare un senso all’esistenza. Il rapporto di coppia si trasforma, con il cristianesimo, da evento naturale e sociale in legame sacro, per il quale viene utilizzato il termine greco “mystèrion”, che in latino verrà tradotto con “sacramentum”. Il “segreto” del matrimonio sta nel sacramento, cioè nel dono di una grazia che trasforma nell’intimo. Per questo nella tradizione latina – diversamente dagli altri sacramenti nei quali ministro è il sacerdote o il vescovo – nel matrimonio i ministri sono gli sposi stessi, trasformati dall’intervento di Dio. Lo scrive con limpidezza Romano Guardini: “Il matrimonio non è meramente l’adempimento dell’amore nella sua immediatezza, che porta uomo e donna a unirsi, ma la loro lenta trasformazione che si compie nello sperimentare la realtà”. Una trasformazione del modo di concepire l’atto sessuale ben spiegata da quelli che i teologi medievali avevano identificato come i fini del matrimonio: costituire una famiglia rivolta al futuro attraverso la procreazione; la fedeltà reciproca, che significa anche potersi fidare l’uno dell’altro nelle traversie della vita; infine il sacramento come presenza di Dio che aiuta i coniugi a realizzare quanto di buono può venire dal rapporto d’amore fra una donna e un uomo, imperfetti e deboli come tutti gli esseri umani.

 

L’idea che liberare gli esseri umani da ogni proibizione nel comportamento sessuale avrebbe aperto le porte alla felicità e alla concordia è un’utopia smentita dall’aumento del numero dei divorzi, dai problemi delle famiglie spezzate e del destino dei figli: lo sperimentiamo quotidianamente nella nostra società disperata e disperante, senza vie d’uscita, perché la libertà individuale non viene mai messa in discussione come valore supremo a cui aspirare e uniformarsi. Si è cercato di togliere dal matrimonio tutto ciò che costituiva rinuncia e sacrificio, quanto sembrava incompatibile con il progetto di realizzazione individuale, e lo si è svuotato del suo vero significato. Benedetto XVI ci ricorda il nucleo centrale dell’insegnamento cristiano, cioè che eros e agape non solo devono stare insieme, ma anche aprirsi all’amore di Dio, alla carità. E ce lo dice senza ideologia, senza contrapporre una interpretazione a un’altra, ma ricordando che l’amore è un’esperienza concreta che si vive e si riconosce, che quasi si tocca con mano, non un’idea come un’altra da provare e magari criticare, non un esperimento sociale, non un’utopia.

Lucetta Scaraffia

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