Alex Zanardi, quel papà tanto speciale

«Voglio portare ancora sulle spalle mio figlio», disse Alex Zanardi dopo la doppia l'amputazione delle gambe. Nel 2001, quando il pilota fu vittima di un incidente durante una gara sul circuito di Lausitzring, suo figlio Niccolò aveva 3 anni. L'ex pilota e il rapporto con il figlio: «A Niccolò cerco di insegnare ad essere forte di fronte alle difficoltà».

Alex Zanardi, quel papà tanto speciale

da Attualità

del 18 aprile 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

 

          «Voglio portare ancora sulle spalle mio figlio», disse Alex Zanardi dopo la doppia l’amputazione delle gambe. Nel 2001, quando il pilota fu vittima di un incidente durante una gara sul circuito di Lausitzring, suo figlio Niccolò aveva 3 anni. Alex con i suoi nuovi arti artificiali riuscì nel suo obiettivo. E a costruire un rapporto “normale” padre-figlio.

          TROVARE LE PAROLE - «Gliel’ho venduta come una cosa straordinaria che accadeva solo a me. Gli dicevo: sai che a papà fanno le gambe d’acciaio. Un giorno venne con me al centro di riabilitazione. In piedi sulla pradellina della carrozzina, si guardava in giro e vedeva tutta gente con gambe di acciaio. A un certo punto mi guardò fisso, senza dire una parola, ma il suo sguardo diceva: papà non sei l’unico.

          I PAPA’ D’ACCIAIO - «Sul momento si sarà sentito preso in giro, ma ha capito che le persone sono uniche per quello che hanno dentro. Una gamba vera o d’acciaio non cambia quello che sei. Sapevo di essere uno competitivo e che con le protesi avrei fatto molto, non sapevo cosa, ma qualcosa. E soprattutto che non mi avrebbero impedito di stare con mio figlio. È questa convinzione che mi ha aiutato».

          NON SARO’ IL PAPA’ MIGLIORE - «Dopo l’incidente, non mi sono sentito incapace di fare il padre perché ero senza gambe. Non sarò il papà migliore, però prima ho fatto i conti con me stesso. Sarai pure un amputato, ma mica finisce tutto, mi dicevo. La vita continua, in un altro modo, con le stesse persone di prima. Se è chiaro questo, anche il rapporto con i propri figli è naturale».

DIFFICOLTA’ CHE TORNANO - «In questo momento sto facendo il padre di un adolescente. Niccolò ha 14 anni e ho l’impressione che le cose che dico entrano e escano. Dopo l’ennesima discussione, prendo i miei arnesi e mi metto ad aggiustare l’handibike. Tutte le volte che ho in mano una chiave inglese, ricordo mio padre: forse anche lui si metteva a lavorare con il motore dei GoKart dopo aver discusso con me che gli sbuffavo in faccia».

          PENSIERI CHE RESTANO - «Da quando sono padre, mi tornano in mente gesti, episodi, comportamenti di mio padre. E penso che dai genitori si imparano tante cose stando semplicemente accanto. Oltre che a giocare una partita di pallone, vedere la tv, fare un giro in bicicletta. Quando Niccolò era piccolo, ci divertivamo un mondo a giocare a nascondino. Perché il mio “nuovo” corpo mi permetteva di trovare rifugi difficili da scovare. Cambiano i modi, ma la gioia di vivere i rapporti resta».

          SPIEGARE LA PAURA - «Piuttosto cerco di spiegare a reagire alla novità della vita che possono essere negative. E allora dico che occorre affrontare, non nascondersi. L’importante è avere degli obiettivi e la cosa che ti fa crescere. Importante è tutto quello che fai per raggiungere il risultato. Ma non sono un super eroe: anche se io ho raggiunto diversi obiettivi, mio figlio ha le stesse insicurezze e incertezze dei suoi coetanei».

          UN PAPA’ INGOMBRANTE - «Sarei ipocrita a dire il contrario. Capita che la gente mi fermi per strada e mi faccia i complimenti. Mio figlio a volte mi dice: beato te che sei famoso, io non lo sarò mai. Cerco di fargli capire che essere riconosciuto per strada è appagante, ma niente a confronto della soddisfazione personale per avere fatto determinate cose. E questa ce l’hai anche se della tua impresa non lo sa nessuno».

          LUOGO COMUNE - «Dire ai figli di fare le cose bene per se stessi, di avere una passione è un luogo comune. Voglio cadere in pieno in questo luogo comune. Mi auguro che mio figlio viva la vita con passione, che sia curioso verso il mondo. E tutte le volte che incontrerà delle difficoltà che riesca ad affrontarle perché sente il piacere di provarci a dispetto di qualsiasi cosa che possa essere considerato, sulle prime, un ostacolo».

Carmen Morrone

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