Gli insegnanti devono sapere, quindi che la cannabis non è un prodotto banale, ma comporta alterazioni cerebrali e influenza il comportamento: provoca negli studenti che ne fanno uso, nei bagni o nel cortile della scuola, una trasformazione delle percezioni, la perdita di controllo di sé...
del 26 settembre 2007
I DATI IN ITALIA
 
Secondo la Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia per l’anno 2005 il consumo di cannabis nel nostro Paese è globalmente raddoppiato nel quinquennio 2001-2005 passando dal 6,2% all’11,9%. Per quanto riguarda il mondo della scuola si può osservare che la cannabis è la sostanza illegale più diffusa fra i giovani (dai 15 ai 19 anni): almeno un terzo degli studenti (31%) ha provato a fumare uno spinello almeno una volta nella vita, il 24% ha fatto uso di cannabis negli ultimi 12 mesi ed il 15% negli ultimi 30 giorni. In particolare sarebbero 75.000 gli studenti (il 3% del totale) che hanno fatto uso quotidiano di cannabis nel corso del 2005. In genere parallelamente all’età il consumo tende ad aumentare (almeno fino ai 19/20 anni riferendoci alle scuole superiori). Se i consumatori sono in maggior numero maschi (27% rispetto al 21% delle ragazze) va tuttavia osservato un fatto nuovo, segnalato e già affrontato con modalità specifiche all’identità di genere in diversi Paesi occidentali, ovvero l’incremento nell’uso di questa sostanza da parte del gruppo femminile (15-24 anni) passato in Italia dall’8,7% del 2001 al 18% del 2005. Di fronte a questi dati i redattori della Relazione hanno segnalato con preoccupazione “una diffusione ampia dell’abitudine all’uso di cannabinoidi all’interno degli studenti delle scuole superiori”. Bisogna infine ricordare, per inquadrare il problema nel mondo giovanile, la diffusione sempre più marcata del fenomeno del “poliuso di sostanze” (o “uso combinato”) in cui va sottolineato il ruolo decisivo, e portante, della cannabis: circa l’8% degli studenti (che rappresenta un quarto dei consumatori) riferisce di aver fatto uso nella vita di più sostanze illegali combinate insieme. Ovvero si stima che circa 145.000 studenti nel corso dell’anno scolastico 2004-2005 abbiano fatto uso combinato di più sostanze: nel 98% dei casi una di esse è stata la cannabis.
 
 
LA CANNABIS E I GIOVANI SCOLARIZZATI: FATTORI PROTETTIVI E FATTORI DI RISCHIO
 
Mette in conto in questa sede, anche per poter impostare opportunità e strategie di prevenzione nella scuola, evidenziare i dati emersi dalla Relazione relativamente a quali sono i fattori che possono proteggere i giovani dal consumo di questa droga e parallelamente quali sono invece i fattori che aumentano il rischio di avvicinamento ad essa.
 
Tra i fattori protettivi, ovvero che scoraggiano il consumo di cannabis, troviamo:
 
a) il non essere fumatore di sigarette e il non essersi ubriacati nell’ultimo mese (una situazione che evidenzia l’associazione fra uso di cannabis, tabacco e alcool). Di contrasto infatti il 65% dei soggetti che fumano regolarmente tabacco ha fatto uso di cannabis negli ultimi 12 mesi (contro il 2% dei non fumatori), e il 58% dei soggetti che hanno abusato di alcolici nell’ultimo mese ha utilizzato cannabis (contro il 4,5% che non si è ubriacato). Rispetto a questo fattore protettivo è di grande importanza la recente proposta del Ministro della salute Livia Turco, in occasione della Giornata Mondiale senza tabacco 2007, di vietare l’acquisto di sigarette ai minori di 18 anni.
 
b) il percepire interessamento/monitoraggio da parte dei propri genitori rispetto alla propria vita, alle uscite serali, alle attività svolte e su come si trascorre il tempo libero. Infatti fra coloro che percepiscono attenzione da parte dei propri genitori si osserva una presenza minore di soggetti che riferiscono uso di cannabis.
 
c) l’aver ottenuto/ottenere una performance scolastica medio-alta. Tra gli studenti con rendimento scolastico medio-alto il 23% riferisce uso di cannabis, ovvero circa la metà dei coetanei con rendimento scolastico basso.
 
 
Tra i principali fattori di rischio, oltre a quelli già elencati sopra, incontriamo, secondo la Relazione:
 
d) La presenza di un fratello che abusa di alcol o consuma sostanze illegali (quindi anche cannabinoidi) come forte fattore di rischio per l’accesso alla sostanza. Il 65% degli studenti con fratelli consumatori fa a sua volta uso di cannabis, rispetto al 14% di coloro che non hanno fratelli utilizzatori (14%).
 
e) L’avere avuto rapporti sessuali a rischio come fattore fortemente associato con il consumo di cannabis: il 66% dei soggetti che riferiscono di avere avuto esperienze sessuali pericolose riferisce di aver fatto uso di cannabis, rispetto al 20% di coloro che non sono mai stati coinvolti in situazioni del genere.
 
f) l’associazione tra consumo di cannabis e aver avuto incidenti o essersi trovati coinvolti in risse a causa di alcol e/o droghe: la presenza di consumatori nei soggetti che hanno avuto questo tipo di esperienze è 3 volte superiore rispetto ai soggetti che non le hanno avute. Il 60% dei soggetti che ha avuto incidenti a causa di droghe e/o alcol riferisce di aver fatto uso di cannabis negli ultimi 12 mesi contro il 21% dei coetanei che non vi è mai stato coinvolto. Analogamente il 55% dei soggetti che si è trovato coinvolto in risse a causa di alcol/droghe riferisce l’uso di cannabis contro il 20% dei coetanei che riferisce di non essere mai stato coinvolto in situazioni del genere. Quest’ultima relazione, tra cannabis e sua incidenza nelle situazioni connotate da aggressività, è un altro elemento nuovo su cui la comunità scientifica internazionale ha iniziato ad interrogarsi: riflessioni relative a questo tema si trovano nell’ultimo World Drug Report dell’Onu, 2006, e nel rapporto annuale 2006 pubblicato in Olanda dal Netherlands Institute of Mental Health and Addiction in cui si dice: «in particolare i consumatori di cannabis presentano sempre più spesso problemi di comportamento tra cui aggressività e comportamenti delinquenziali». In Italia ancora non ci sono ricerche sui questo tema, ma ci sono i fatti reali. Il “Corriere della Sera” (6.02.2007) ricordava tra i fucili, le pistole, i coltelli e le pasticche di esctasy, anche la grande quantità di panetti di marijuana sequestrati nel febbraio scorso durante la guerriglia allo stadio di Catania in cui ha perso la vita l’ispettore Filippo Raciti.
 
g) Altro fattore di rischio è anche una scarsa motivazione alla vita scolastica. Gli studenti che sono mancati da scuola più giorni al mese perché non avevano voglia di andarci hanno infatti una probabilità doppia (se i giorni mancati sono 1 o 2) e quasi tripla (se i giorni sono di più) di essere consumatori di cannabis.
 
h) Anche l’uso di psicofarmaci sia con che senza prescrizione medica risulta associato con il consumo di cannabis (spesso per esaltarne gli effetti).
 
i) Infine: un’associazione positiva tra uso di cannabis e la partecipazione a giochi d’azzardo o in cui si vincono soldi è stata riscontrata tra gli studenti.
 
 
CANNABIS E SCUOLA: UN’ASSOCIAZIONE NEGATIVA SE I DANNI INIZIANO GIÀ PRIMA DELLA NASCITA
 
Prima di riportare le difficoltà cui vanno incontro gli studenti consumatori di cannabis, è opportuno rivolgersi alle maestre d’asilo, della scuola elementare e dei primi anni delle medie, per segnalare un fatto poco considerato nelle ricerche ma che, dati i numeri riportati dalle statistiche, potrebbe essere un modo per interpretare e comprendere alcuni gravi fenomeni che si riscontrano oggi nella scuola, già a partire dagli anni della scuola materna. Tutto il mondo occidentale sembra essere caratterizzato dall’incremento costante di minori in età pediatrica sottoposti a cure con psicofarmaci per diversi tipi di disturbi psicologici, turbe psichiche o iperattività (ADHD). Certamente le cause di questi disturbi sono diverse, ma alcuni studi, anche italiani, hanno osservato che il consumo sempre più diffuso di cannabis tra gli adulti può essere fortemente causa di questi problemi nei bambini. Nel 2003 un gruppo di ricercatori italiani del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Cagliari, guidati dal farmacologo Prof. Vincenzo Cuomo, ha scoperto che l’uso di cannabis da parte della madre durante la gestazione può provocare gravi deficit psicologici nel bambino, anche sul lungo termine. Al fatto già documentato secondo cui l’uso di cannabinoidi in gravidanza può determinare problemi fisici per il bambino, in quest’ultima ricerca si aggiungeva che le sostanze nocive dei cannabinoidi vengono trasferite, durate la gestazione, dalla madre al figlio, attraverso la comunicazione sanguigna mediata dalla placenta. Gli elementi tossici in questo modo raggiungono le cellule cerebrali del feto, causando danni che possono portare seri problemi psicologici e cognitivi nel bambino a partire dai primi anni dell’infanzia: deficit nelle capacità di memoria, disturbi di iperattività, disturbi dell’attenzione e eccessiva impulsività. Danni che, secondo gli studiosi, vengono resi più gravi dal fatto che il consumo di cannabis espone il feto anche agli agenti cancerogeni prodotti dalla sua combustione e dal fatto che, alla tossicità dei cannabinoidi, si aggiungono le complicazioni dovute al fumo di sigaretta e all’utilizzo di droghe impure e modificate (o tagliate), oggi sempre più diffuse. In realtà già dal 1982 un tossicologo americano, Peter Fried, aveva dimostrato l’associazione tra esposizione prenatale alla cannabis e disturbi del comportamento cognitivo nel bambino, relativi a quelle aree (attenzione, controllo dell’impulsività, abilità visive e percettive di base) che presidiano le funzioni esecutive di diversi tipi di compito da parte dei bambini. Molto importante poi è quanto fa notare lo psichiatra americano Timmen Cermak (in Marijuana. What’s a Parent To Believe, Hazelden Ed., 2003): questo medico, che da oltre venti anni cura i figli di genitori tossicodipendenti o alcolizzati, ha raccolto ampi studi sul campo secondo cui la sofferenza per iperattività è un alto fattore predittivo del consumo di cannabis negli adolescenti. Questi soggetti ricorrono alla cannabis come forma di automedicazione (in modo infondato come lo stesso psichiatra ha dimostrato). Come dire che, in una sorta di circolo vizioso, i bambini disturbati a causa del consumo di cannabis della madre mentre erano del grembo, procedendo nell’età evolutiva hanno un’altissima possibilità di diventare a loro volta dipendenti da questa droga.
 
Ci sono poi altri aspetti che devono essere ben considerati da maestre, professori e docenti: le disabilità prodotte nel feto dal consumo di cannabis della madre – perché di veri handicap si tratta – spesso non evidenti in età perinatale, si manifestano in modo crescente nei primi anni di vita del bambino con gravi disagi che perdurano poi negli anni successivi dell’infanzia e dell’adolescenza. Un secondo studio dell’equipe italiana citata, poi, faceva notare che il consumo di cannabis in gravidanza non è affatto così inusuale: «la marijuana e l'hashish […] sono sostanze di uso ricreazionale largamente abusate dalle donne in gravidanza nei paesi occidentali. Una recente osservazione ha confermato che almeno il 18% delle donne in età fertile (considerata generalmente quella compresa tra i 15 e i 44 anni) dichiarava di aver fatto uso di derivati della cannabis nel mese precedente all'indagine». Queste sostanze, dunque, attraversano la placenta, e si concentrano nel latte, fino a raggiungere, depositandosi in quantità significative, alcune aree del sistema nervoso del bambino disturbando così lo sviluppo neurologico e psichico mentre è in corso il processo di maturazione morfo-funzionale della struttura encefalica. Se esiste una diretta correlazione tra entità del consumo di derivati della cannabis in gravidanza e l'incidenza di alterazioni neurocomportamentali nel bambino, queste ricerche ci dicono anche che: «mentre alla nascita possono essere presenti tremori ed una ridotta capacità a tollerare gli stimoli visivi, è con il procedere della crescita che meglio si delineano i disturbi neurocomportamentali». A tre anni di vita possono essere presenti nel bambino ritardi dello sviluppo del linguaggio e disturbi del normale svolgimento del sonno. Verso i quattro anni possono comparire ridotta capacità nella percezione visiva, disturbi della memoria e dell'attenzione, ridotta comprensione del linguaggio, inabilità ad articolare un appropriato numero di risposte tese al raggiungimento di obiettivi semplici, alterazioni neuropsicologiche che esprimono incapacità di integrazione e suggeriscono disfunzioni nell'attività della corteccia prefrontale. Come ha recentemente dichiarato e dimostrato l’Onu, dandone ampia documentazione, i bambini esposti al fumo di marijuana durante l'infanzia e gli anni prescolari hanno tra i 6 e i 10 anni più problemi comportamentali (eccessiva impulsività, iperattività) e sono meno efficienti dei bambini non esposti ad eseguire compiti di percezione visiva, comprensione linguistica, memorizzazione e mantenimento dell’attenzione. E ancora: è anche più probabile che questi bambini presentino a scuola deficit nelle abilità decisionali e operative. Inoltre si è registrato un significativo effetto sul rendimento scolastico a partire dai 10 anni: problemi di apprendimento e memoria, difficoltà di lettura, difficoltà di comprensione nella lettura e nella produzione (orale) verbale, con conseguente abbassamento delle performance scolastiche. Ma il danno prodotto dal consumo di cannabis durante la gestazione si manifesta anche oltre: per i ragazzi tra i 13 e 16 anni, di cui era certa l’esposizione ai cannabinoidi durante la vita prenatale, è stata rilevata l’effettiva povertà di rendimento nelle capacità di memoria visiva, analisi e integrazione. Non a caso secondo il recente Rapporto sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2006 oggi «l’immagine dei bambini italiani è quella di un mondo assediato da ogni parte e sempre sul punto di capitolare». Anche perché tra i fattori di rischio presenti dalla prima infanzia, e che con carattere predittivo possono favorire l’uso o l’abuso di droghe in età adulta, oltre che vere e proprie disabilità cognitive e comportamentali, si è aggiunta questa emergenza: la presenza di sostanze illecite nella famiglia stessa, probabilmente non immune dall’utilizzo di questa droga. Non bisogna dimenticare infatti che dal 2001 al 2005 i consumatori di cannabis in Italia sono praticamente raddoppiati: da 2.000.000 a 3.800.000.
 
 
CANNABIS E CERVELLO DEGLI ADOLESCENTI: UNA MINACCIA PER IL FUTURO
 
Un elemento che va preso in seria considerazione, nell’esaminare le conseguenze del consumo di cannabis, è che il cervello di preadolescenti e adolescenti è in via di sviluppo (come del resto quello dei bambini esposti alla cannabis in età prenatale). Recentemente un istituto di ricerca inglese (YoungMinds for Children’s Mental Health www.youngminds.org.uk ), che da anni si occupa della salute mentale dei bambini e degli adolescenti, ha pubblicato una guida (“Cannabis and young people’s health: a guide for those working with young people”) per ragazzi, genitori e professionisti, con chiare indicazioni sui rischi cui i giovani vanno incontro a causa della cannabis. L’intenzione di questi ricercatori è stata quella di sollecitare l’attenzione di chi si occupa della salute dei più giovani sul fatto che: «il cervello [di preadolescenti e adolescenti] è in via di sviluppo. Ciò significa che esso può essere particolarmente esposto, vulnerabile e danneggiato dalla cannabis. Benché la ricerca stia muovendo i primi passi in queste direzioni, ciò che abbiamo è già sufficiente a suggerire gli effetti nocivi che la cannabis produce non solo nel modo in cui il cervello funziona, ma anche sui meccanismi neurobiologici […] Oramai è sempre più crescente il consenso sul fatto che l’accumularsi di sostanze tossiche, dovuto alla continua esposizione di cannabinoidi, produce molti effetti negativi, tra cui, nelle intossicazioni acute, disturbi mentali come la psicosi, e la riduzione delle capacità cognitive. Questa potenziale dannosità è ancora più grande per coloro che iniziano in età precoce». In un successivo opuscolo informativo destinato ad adolescenti, famiglie e scuole (“Cannabis-what does it really do to you?”), l’obiettivo è stato quello di portare ricerche e testimonianze di medici su alcuni aspetti del consumo di cannabinoidi che è opportuno conoscere: «la cannabis contiene numerose sostanze chimiche che possono avere forti effetti sulle diverse aree del cervello e, se usata regolarmente, può influenzare il modo in cui il cervello si sviluppa […], i giovani che usano cannabis regolarmente possono rischiare di sviluppare diversi tipi di disturbi mentali, anche gravi come la psicosi […], un numero sempre crescente di medici sta riconoscendo che l’uso di cannabis (in cui il THC è solo uno degli oltre 400 agenti chimici) può alterare il modo in cui il cervello cresce e funziona nell’età evolutiva causando disturbi nel modo in cui la persona pensa o si rappresenta la realtà […]. Sempre più cresce la conferma che l’uso di cannabis può generare disturbi psicotici, tra cui i medici individuano: allucinazioni uditive o visive, errata percezione dello spazio e del tempo, incapacità di vedere correttamente la realtà e conseguente formulazione di pensieri distorti, stati di confusione mentale, alterazioni sensoriali e percettive, distacco dalla realtà, casi di schizofrenia, improvvisi attacchi di panico o paranoia con conseguenti comportamenti pericolosi per sé e gli altri, perdita di motivazione nei confronti di qualsiasi attività (sindrome amotivazionale). E questi sintomi, in alcuni ragazzi, possono perdurare per giorni o ripresentarsi settimane dopo che si è usata la sostanza. Disturbi, questi, che possono mettere in pericolo il normale sviluppo della vita dei ragazzi, il loro successo scolastico e la carriera lavorativa, le relazioni con gli altri, minando del tutto il loro futuro». Non a caso la campagna spagnola contro la cannabis, lanciata nel 2006 dal Ministero della salute, presentava come immagine due binari fatti di questa droga con lo slogan: “Ci sono treni che è meglio non prendere”.
 
 
LA CANNABIS SUL PERCORSO SCOLASTICO
 
La cannabis è la droga più diffusa fra gli studenti, soprattutto delle scuole superiori: possono reperirla con grande facilità proprio tra aule e corridoi, secondo quanto riferito dalla citata Relazione annuale al parlamento sullo stato delle tossicodipendenze. Molto spesso, a causa della presenza di questa droga, ogni sforzo dei docenti per creare un clima di classe sereno e favorevole ai processi di apprendimento e studio rischia di essere vanificato. Questo accade perché il principio attivo (THC), contenuto in marijuana e hashish, colpisce diverse parti del cervello, provocando sintomi che possono durare per ore: agisce sulla corteccia prefrontale, influenzando i meccanismi di ragionamento e capacità di giudizio e decisione, e quindi producendo anche atteggiamenti provocatori o devianti; sulla corteccia cerebrale che regola i meccanismi del linguaggio, dell’udito e della vista (nonché della comprensione di ciò che si vede o si sente); sull’amigdala e sull’ippocampo, da cui dipendono il controllo delle emozioni e gli stimoli all’apprendimento, provocando incapacità di attenzione e soprattutto assenza di motivazione e indifferenza agli stimoli didattici; sull’ipotalamo che regola i meccanismi del sonno e della veglia, e l’equilibrio nel livello di alcuni ormoni provocando sbalzi tra momenti di grande eccitazione e di sonnolenza. Infine, agisce sul cervelletto che nel corpo dell’essere umano garantisce una buona postura, il corretto svolgersi del movimento, le abilità di manualità fine e l’equilibrio, provocando anche difficoltà a scrivere, usare una gomma o girare una pagina, utilizzare con sicurezza, per sé e gli altri, lo scooter o l’automobile.
 
Gli insegnanti devono sapere, quindi che la cannabis non è un prodotto banale, ma comporta alterazioni cerebrali e influenza il comportamento: provoca negli studenti che ne fanno uso, nei bagni o nel cortile della scuola, una trasformazione delle percezioni, la perdita di controllo di sé, comportamenti compulsivi irresistibili con rimozione di qualsiasi inibizione; e ancora: il continuo passaggio da stati di grande euforia o di confusione mentale a momenti di sonno, apatia, o ritiro in una vera letargia. Non mancano poi casi di cronaca che hanno evidenziato una certa relazione tra uso (o spaccio) di cannabis nella scuola e atteggiamenti devianti o violenti quali il bullismo (ad esempio per avere i soldi per acquistarla o pagare debiti relativi all’uso). Va inoltre ricordato che spesso questi giovani diventano essi stessi vittime di questa abitudine al consumo di cannabis: i ragazzi o le ragazze “difficili”, che disturbano le lezioni, danneggiano gli ambienti, o vedono le loro relazioni con i coetanei o i docenti svilite dal comportamento indotto da questa droga, raramente vengono presi seriamente in carico dalla scuola, e rischiano di essere abbandonati a se stessi (magari con l’invito quotidiano a uscire dall’aula) da una scuola che ancora non vuole e non sa affrontare questi temi specifici, e dai compagni o dagli amici che preferiscono evitare la loro compagnia, isolandoli, e abbandonandoli a percorsi e compagnie più pericolose.
 
Ma cosa accade a scuola propriamente sul piano cognitivo? Cosa succede durante una lezione a un ragazzo che ha appena fumato uno spinello o che ne è consumatore abituale? Durante le lezioni scolastiche uno studente è (o dovrebbe essere) impegnato nel comprendere e acquisire un oggetto culturale, o conoscenze e abilità, nell’imparare a usare strumenti, nel diventare capace di utilizzare tutte queste competenze per conoscere il mondo ed entrare in una relazione costruttiva con esso. Gli insegnanti dal canto loro fanno quanto possono, con la metodologia didattica e gli strumenti a disposizione, per rendere questi oggetti adatti ad essere compresi e utilizzati dagli allievi, ma cosa succede quando un ragazzo ha appena fumato cannabinoidi, o quando addirittura ne è un consumatore regolare? I gravi effetti disturbanti della cannabis sul sistema cognitivo sono confermati ormai da numerosi studi, benché i neuroscienziati ritengano ci sia ancora molto da mettere in evidenza, sopratutto per quanto riguarda il cervello di preadolescenti e adolescenti, in fase di sviluppo e perciò particolarmente sensibile e vulnerabile, come detto. L’effetto tossico sulla corteccia prefrontale disattiva le capacità di ragionamento complesso e le abilità nel prendere decisioni anche operative. La disabilitazione provocata sulla corteccia cerebrale influenza negativamente l’elasticità e la flessibilità del pensiero, le capacità di comprensione ed espressione verbale, il ragionamento finalizzato al risolvere problemi. L’effetto su amigdala e ippocampo poi, a causa dell’alto numero qui presente di neurorecettori sensibili al principio attivo dei cannabinoidi, è particolarmente intenso: da questi organi dipende il modo in cui nel cervello le informazioni si trasformano in pensieri o sentimenti, e i sintomi sono l’incapacità di mantenere l’attenzione, i disturbi della memoria a breve termine, l’impossibilità di formulare correttamente le idee. Compare poi la sonnolenza causata dall’azione del principio attivo sull’ipotalamo. In una situazione così è difficile proporre la lettura di brani, lo svolgimento di esercizi di matematica, l’acquisizione mnemonica di concetti e formule, l’applicazione concentrata sui compiti più semplici. Va considerato poi che i disturbi provocati sulla vista e sull’udito, sulla prontezza dei riflessi e sulla capacità di reagire in modo rapido agli stimoli esterni, sulla capacità di camminare o mantenere il corpo in equilibrio con una postura adeguata, e sull’abilità di eseguire operazioni con le mani, rendono difficile anche formare i giovani nell’ambito dell’istruzione professionale. Se può diventare molto complicato portare un servizio da tavola con un vassoio, ben più pericoloso (per sé e per gli altri) risulta maneggiare coltelli in un laboratorio di cucina, esercitarsi su un tornio o una fresatrice, addestrarsi realizzando un impianto elettrico. Non mancano poi conferme sui danneggiamenti a lungo termine e definitivi provocati dalla cannabis. Danni che si scontano per tutta la vita e possono causare gravi ripercussioni sulla futura carriera scolastica o lavorativa. Soprattutto se utilizzata in età precoce, prima dei 15 anni (come accade sempre più spesso), e/o con l’uso regolare, la cannabis con la sua azione neurotossica determina un definitivo danneggiamento del cervello che si sconta poi per tutta l’esistenza. La disabilità cui ci riferiamo riguarda innanzitutto la perdita della capacità di memorizzare informazioni ed eventi. Alcuni studi hanno mostrato che se normalmente, durante l’invecchiamento, le persone perdono cellule neuronali nell’ippocampo, l’esposizione cronica a THC accelera la perdita di questo tipo di cellule. È proprio del dicembre 2006 l’ulteriore conferma, data da “Nature”, del danno inesorabile provocato dal THC sui neuroni dell’ippocampo, con conseguenze definitive nella capacità di immagazzinare e rielaborare, riprendendole, le informazioni. Altri studi, poi, hanno mostrato la possibilità di danni su altre aree cerebrali, producenti deficit permanenti sulla capacità di attenzione, nella capacità di focalizzare un problema e risolverlo. Di ulteriore gravità, e le ricerche svolte riguardano soprattutto gli adolescenti, è il possibile determinarsi di un vero e proprio stato di demotivazione (amotivational syndrome) e dell’incapacità di perseverare nei propri scopi in cui possono cadere i consumatori di cannabis. Ecco l’opinione di uno dei più autorevoli studiosi italiani, Luigi d’Alonzo, esperto di problematiche di motivazione e demotivazione nella scuola: «aumentano gli studenti che dimostrano un marcato disinteresse per i processi di insegnamento-apprendimento, sono sempre più numerosi i ragazzi apatici, con poca voglia di fare, fisicamente presenti in classe, ma mentalmente assenti. Spesso questi allievi demotivati mettono in luce una serie di problematiche personali: depressione isolamento, incapacità di socializzare; oppure: aggressività, disadattamento, delinquenza. […] Non bisogna stupirsi di ciò, sappiamo come il mondo della droga sappia facilmente avvicinare i giovani».
Antonello Vanni
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