Un articolo un po' provocatorio per riflettere sulla Musca Liturgica. «Mi dirai che è forse meglio una canzonaccia qualsiasi piuttosto che un cd dei monaci di Silos, ma ricorda, cara amica, chi canta prega due volte e chi non canta è come se volesse privatizzare la fede.Tu lo vuoi?».
del 06 marzo 2007
Carissima Annalisa,
sono contento di scriverti innanzitutto perché sei di Potenza, e sai, o forse non sai ma te lo dico ora, quanto spazio occupa nel mio cuore la terra degli avi. Come se non bastasse ho abitato nel tuo stesso quartiere e mi basta pensare a via Vaccaro per precipitare all’indietro verso un’adolescenza piena di tormenti, in buona parte ovviamente amorosi, e sentire pizzicare qualche antica ferita.
Ti immagino mentre cammini per viale Dante in direzione di Sant’Anna che fu anche la mia parrocchia, tanti anni fa ma neppure tantissimi visto che il prete è lo stesso di allora. Sei una ragazza di chiesa, una delle donne senza le quali molte filiali di Cristo dovrebbero chiudere. Avete femminilizzato il cattolicesimo, e questo non mi piace, ma siccome la natura non tollera vuoti bisogna ammettere che la colpa non è vostra bensì dei maschi che si sono assentati. Dove sono andati? Che fanno tutto il giorno? La domenica la passano su internet? Mi hai detto che il coro di Sant’Anna ormai è composto solo da donne: da cinque a quindici a seconda del periodo, se è una domenica qualsiasi oppure Natale, e mai nemmeno un uomo. L’ultimo ha tagliato la corda parecchio tempo fa. “Si annoiava”. O l’avete fatto scappare? Io ho un’ipotesi. Non una certezza, bada, solo un’ipotesi. Potrebbe essere fuggito per la vergogna di dover intonare in pubblico “Applaudite popoli tutti” di padre Francesco Buttazzo, il canto con cui aprite messa. In tal caso lo capisco e lo giustifico, io avrei fatto lo stesso, mi vergognerei di meno a cantare in falsetto “Anima mia” dei Cugini di Campagna.
Non è un caso se indirizzo proprio a te una lettera sulla musica sacra: hai fatto il conservatorio, hai studiato pianoforte, suoni l’organo e canti il gregoriano nella Camerata vocale lucana… Possibile che non ti rendi conto dei colpi che un simile repertorio assesta alla vera religione? “Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipenda in gran parte dal crollo della liturgia” ha scritto anni fa Joseph Ratzinger, quando avendo meno responsabilità di oggi poteva permettersi il pessimismo. Un pessimismo costruttivo, però. La liturgia è possibile rimetterla in piedi, basta volerlo. E la musica sacra, che della liturgia è tanta parte, idem. “L’originalità consiste nel tornare alle origini” ha detto Antoni Gaudì, l’autore della Sagrada Familia di Barcellona, il più visionario architetto cattolico di ogni tempo (la chiesa catalana ne ha chiesto la beatificazione). Per aderire meglio all’argomento musicale citerò anche Giuseppe Verdi: “Torniamo all’antico: sarà un progresso”. Il problema del 90 per cento della musica sacra contemporanea è che non è abbastanza sacra e nemmeno abbastanza contemporanea. Non è sacra perché segnata in profondità da stilemi profani (ad esempio le chitarre sferraglianti) che la fanno assomigliare, in brutto, alle canzoni della radio, per ascoltare le quali non c’è bisogno di andare in chiesa. Non è contemporanea perché non prende come modello le canzoni del 2007 e nemmeno del 2006 o del 2005 bensì quelle degli anni Sessanta-Settanta, fra Lucio Battisti e il beat. Ci fu un’ondata compositiva nell’immediato dopo-Concilio e oggi di quel fervore ingenuo resta solo un polveroso magazzino di modernariato musicale: niente di male, se non inquinasse l’acustica delle navate e non trascinasse nel ridicolo la liturgia.
Ci sono tre soluzioni. Soluzione numero uno: l’aggiornamento costante dei canti, da commissionare non a frati nient’altro che volenterosi ma a compositori cristiani di valore come Angelo Branduardi, Carmen Consoli o Giovanni Lindo Ferretti. In passato per la musica sacra si coinvolgevano i grandi nomi, non vedo perché oggi non si possa fare altrettanto. Se in giro non c’è nessun Mozart andrà benissimo un Salieri. La canzone religiosa contemporanea è sconosciuta prima di tutto alla chiesa. Hai mai sentito “Alleluia” di Bugo? Lui è l’autore di “Amore mio infinito”, una delle più belle canzoni italiane dell’anno scorso, cantata in coppia con Violante Placido, sangue lucano, sangue nostro. “Alleluia” forse non è adatta per una messa ma va tenuta presente, senti che cosa dice: “Signore aiutami tu / perché ho perso la cartina per venire da te / io non so come arrivare da te / quale tram quale metrò / altrimenti prendo un tassì / tu mi dici: Non ci sono scorciatoie”.
In America i giovani cantanti cristiani pullulano, specie negli stati del Sud, Texas e Tennessee. Poi c’è il christian punk su cui non mi pronuncio (non per pregiudizio, proprio non lo conosco). Mentre ti scrivo sto ascoltando “The transfiguration” e il suo delizioso crescendo di banjo e coretti. In Inghilterra c’è la bellissima Lou Rhodes, in Scozia Isobel Campbell, in Irlanda Enya e Dolores O’Riordan, nell’Ulster Van Morrison, in Polonia Anna Maria Jopek, in Etiopia Gigi (dal nome non si direbbe ma è una donna), in Australia Nick Cave, in Brasile quasi tutti e tutte. Ci sono poi le sorprese, come Mick Jagger che simpatizzò col diavolo ma è approdato al Terzo Millennio cantando “God gave me everything”, un testo esemplare trascinato dalla chitarra cattiva di Lenny Kravitz. Il vecchio mascalzone del sesso, droga e rock’n’roll è molto meglio, non solo dal punto di vista musicale anche da quello evangelico, di certi spiritualisti astratti e sopraffini, insomma nichilisti, insomma Franco Battiato (non a caso la sua ultima canzone si intitola “Il vuoto”).
La soluzione numero due è la tradizione, mille anni di gregoriano e polifonico. Qui si va sul sicuro. Anche sul difficile, dici tu. Sono discorsi che non mi piace sentire, tutto è difficile quando non si ha voglia di farlo. L’abbazia di Sant’Antimo, in Toscana dalle parti di Montalcino, è piena di gente che senza alcuna preparazione musicale riesce a seguire lo splendido coro dei frati, mentre ogni uomo vocalmente ineducato è costretto ad abbandonare a metà la maggior parte dei canti post-conciliari, tanto sono innaturali, strozzati e sdruccioli. Temo che il problema sia un altro. “Nobile è solo ciò che dura” ha scritto Nicolás Gómez-Dávila e nell’avversione per il gregoriano leggo simpatia per l’ignobile e l’effimero. Come se quella che tu chiami “la scelta preferenziale per gli ultimi” abbia generato una spinta complessiva verso il basso ovvero sciatteria liturgica, candele elettriche, chitarre scordate, sedie di plastica. Io invece penso che agli ultimi non andrebbero rifilati gli scarti del Festival di Sanremo. I poveri e i malati meritano niente di meno che Santa Ildegarda di Bingen. Dar da mangiare pane vecchio agli affamati o latte scaduto agli assetati è meglio che niente ma non è il massimo della carità. Ci vuole roba buona. A chi sta male bisogna far sentire il soffio di Dio che spira dall’organo a canne. E’ qualcosa che non necessita di ragionamento, lo percepiscono subito tutti: dentro un organo c’è Dio, dentro una chitarra Jimi Hendrix o Carlos Santana (se va bene, mentre se va male c’è Alex Britti). Le verità della fede vanno supportate con adeguata colonna sonora. E’ più facile credere all’ostia come cibo di eternità se una musica solenne ti trasporta lontano dalle contingenze. Quello che sembrava l’ostinarsi su un dettaglio, su quello che in fondo è un accompagnamento sonoro, mi sta portando dritto al centro della questione. “Dove esiste l’immortalità o anche soltanto la fede in essa, sappiamo che ci sono dei punti in cui nessun potere, nessuna potenza terrestre, per grande che sia, può ghermire, colpire o meno che mai distruggere l’uomo”. Sono parole di Ernst Junger, dal suo “Trattato del ribelle”. Quindi la musica sacra è teologia e liberazione.
La terza soluzione per il problema del cattivo suono è una sintesi, per non dire un compromesso, delle prime due: compositori contemporanei in stile più o meno tradizionale. Penso soprattutto ad Arvo Part ed Henryk Gorecki che però non mi sembrano più cantabili del gregoriano, anzi. Siccome voglio essere buono nella soluzione numero tre inserisco anche Marco Frisina. “I cieli narrano” l’ho sempre sentita in versioni stonate e a questo punto mi domando se qualche coro è mai riuscito a prenderla giusta. Eppure sempre mi ha commosso, significa che dentro c’è qualcosa. Ad esempio ci sono le parole del Salmo 18 e avere un paroliere come Davide aiuta molto. Spigolando nel repertorio: lo cantate il famoso Symbolum ’77 di monsignor Sequeri? Nei suoi confronti sono combattuto perché c’è di peggio (ad esempio il Symbolum ’80) ma è stato l’autore stesso a dichiararlo poco sacro, datandolo. Diciamo che non fa scappare nessuno dalla chiesa ma nemmeno ce lo fa entrare. Dobbiamo puntare più in alto, mi pare. Dobbiamo strappare quei disgraziati dalle unghie dei multisala, della televisione. Dobbiamo fargli capire che nelle chiese avvengono cose belle e grandi. Più belle e più grandi di quelle a cui sono comunemente abituati. Non dobbiamo tirare giù l’alto per metterlo al livello del basso, il tentativo l’hanno già fatto ed è fallito. Dobbiamo sollevare il basso verso l’alto e la musica è il miglior argano a nostra disposizione. Perfino a Sant’Anna, che essendo a forma di asciugalattuga non risulta la chiesa più mistica del mondo, mi è capitato di uscire da me stesso, quando un Natale cantammo “Tu scendi dalle stelle”.
L’importante è cantare, mi dirai. Certo, è meglio cantare una canzonaccia piuttosto che ascoltare un cd dei monaci di Silos diffuso dagli altoparlanti. Sono reduce dalla Messa delle Ceneri, qui a Parma nella chiesa di San Rocco, con musica chitarrosa suonata dal vivo e canto gregoriano registrato, un pastrocchio inaudito. A Firenze in via del Corso c’è un prete molto volenteroso e molto semplice che sonorizza tutto il giorno la sua chiesa con musiche misticheggianti, da film di Zeffirelli. Il kitsch non è mai soltanto un problema estetico: Cristo è la verità e non può essere annunciato con mezzi inautentici, che fatalmente condizionano e forse addirittura smentiscono il fine. “Chi canta prega due volte” dice Sant’Agostino, ma bisogna cantare in proprio, ascoltare le preghiere altrui non vale. Quindi la musica registrata è nociva, trasforma in spettatori, rende passivi, ammutolisce. Assieme all’iPod e allo stereo in automobile è uno dei tanti modi escogitati dal Maligno per atrofizzare le corde vocali. “Scenderemo nel gorgo muti” scrive Pavese nella sua poesia più tremenda. Propongo una piccola modifica: “Scenderemo nel gorgo se muti”. Siamo cristiani perché odiamo la morte quindi non dobbiamo farci zittire da niente e da nessuno, figuriamoci da Bill Gates o Steve Jobs. Le messe silenziose sono tristissime, mi sembra che facciano il gioco di chi vuole privatizzare la fede, riducendolo a fatto intimo, a sentimento quasi segreto.
“L’invasione islamica sarà fermata dai nostri canti” ha detto don Giussani in una delle sue ultime interviste. La fede muove le montagne e i cori bloccano le frane. Nessuno ha il coraggio di toccare un popolo che canta. Gli organi costano, potresti obiettare, e sarebbe un altro discorso che preferirei non sentire. Sul manifesto del mio funerale voglio la seguente scritta: “Fiori, non opere di bene”. E in chiesa esigo arpe celestiali, violoncelli sensuali. Perché a salvare il mondo sarà la bellezza, non la mensa della Caritas.
Nel cristianesimo ci sono due partiti, originanti dal medesimo episodio del Vangelo di Giovanni: il partito di Maria di Betania (devota e sperperatrice) e il partito di Giuda (ipocrita e taccagno). Io chiaramente appartengo al primo e guardo con perplessità le sigle che punteggiano le tue mail. Mi parli del Gvs che è una Onlus operante nei Pvs e riconosciuta dalla Cai, forse anche dal Mae (non ho capito bene). Respingente linguaggio burocratico. In pratica, se non sbaglio, ti occupi delle “adozioni reali”, chiamate così per distinguerle dalle adozioni a distanza. La materia mi è ignota e vorrei che tale mi rimanesse, eppure anche da così lontano annuso un odore che non mi piace, sento che l’adozione interessa più alla coppia adottante che al bimbo adottato. Volendo fare “carità reale” bisognerebbe invece spiegare alle ragazze che devono figliare a vent’anni, quando la fecondità è al massimo, onde non ritrovarsi a quarant’anni costrette a dragare orfanotrofi.
Chiudo subito la parentesi dissonante perché una lettera sulla musica deve finire con un’armonia. Non voglio accusarti di nulla, tu fai quello che puoi, voglio soltanto che le tue energie siano utilizzate meglio. Che le tue dita corrano su tastiere più sonore, che la Camerata vocale lucana canti il gregoriano nelle messe e non nei concerti. Voglio che l’asciugalattuga si riempia e che il coro si ingrossi fino a far vibrare tutto viale Dante.
Che Dio, conoscendo il motivo che mi ha spinto, mi perdoni.
E che ti benedica.
Camillo 
  NDR.: testo liberamente rivisto in qualche parte e non riletto dall’autore.
Camillo Langone
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