Antropologia: Fanum e profanun, il Sacro

Abbiamo analizzato la profanazione e abbiamo parlato delle tentazioni con le quali coloro che cercano di profanare l'uomo, cercano di farlo uscire dal fanum.

Antropologia: Fanum e profanun, il Sacro

da Teologo Borèl

del 18 settembre 2009

Una rilettura della caduta primordiale

L’identità dell’essere come mistero

I sacramenti - La libertà

 

Abbiamo analizzato la profanazione e abbiamo parlato delle tentazioni con le quali coloro che cercano di profanare l'uomo, cercano di farlo uscire dal fanum.

Forse si potrebbe pensare in questo modo anche della caduta primordiale degli uomini nel Paradiso terrestre. Adamo ed Eva si trovavano nel fanum, nell'innocenza primordiale, convivevano con Dio, erano liberi. Il serpente, che si trovava nel profanum, ha fatto vedere tre tentazioni ad Adamo. Il serpente poteva forse convertirsi e smettere di tentare Adamo ed Eva, riconoscere così la loro identità, cioè questa verità: che il loro essere era pensato da Dio.

Forse anche la caduta degli angeli malvagi può essere vista in questa luce: loro hanno creduto di poter trattare l'uomo non nella sua verità, non come Dio lo pensa, ma piuttosto secondo il loro arbitrio.

Il tentatore non si converte, ma a noi, che siamo nel fanum, cioè nel pensiero di Dio, fa brillare questi luccichii: guardate come tutti gli esseri possono essere mangiati (consumismo); guardate come ogni essere è bello (è una tentazione per gli occhi); guardate come ogni essere può servire ad aumentare le conoscenze (scienza). Queste tentazioni ci spingono continuamente ad uscire dalla nostra identità e a far uscire anche gli altri esseri dalla loro identità (tutti gli esseri infatti sono pensati da Dio: fiori, elefanti, uomini abitano nel pensiero di Dio).

Queste tre tentazioni, ripeto, io le vedo attraverso questa immagine: quella di un poliziotto che sta davanti ad un luogo sacro e fa brillare alcune cose per cercare di profanare chi vi è rifugiato.

Penso che questa immagine ci aiuterà forse a capire meglio e la caduta degli angeli e, forse, io non dico comprendere tutto, ma almeno intravvedere qualcosa anche della caduta primordiale dell'uomo. Possiamo anche vedere insieme queste due cadute e capire che esse sono un fatto presente e non solo un fatto avvenuto.

Se è così, allora la nostra identità, la verità che noi siamo ha un carattere doppio: è umana, ma, in quanto è pensata da Dio ha anche un carattere divino. Per questo, mi pare, possiamo dire che per poter essere uomo bisogna essere, si dovrebbe dire, Dio. S. Ireneo ha detto che Dio è diventato uomo, perché l'uomo possa diventare Dio; i Padri della Chiesa lo dicevano tout court.

In questo senso, il fanum in cui io dimoro e quindi anche la mia identità, costituiscono un mistero. Convertirsi significa quindi smettere di appoggiare tutta la vita sulle ipotesi, che dopo dobbiamo verificare, e appoggiare la vita sul mistero.

Il mistero della verità, della identità dell'uomo è una realtà che dà la luce grazie alla quale noi possiamo comprendere e conoscere tutto ciò che è, anche noi stessi. Senza il mistero invece noi non siamo in grado di conoscere la realtà, siamo condannati alle ipotesi e alle verifiche, cioè siamo condannati a ridurre la conoscenza al processo scientifico, allo scientismo, direi.

In questo modo sto anche interpretando il mito della caverna di Platone: gli schiavi vedono le ombre sul muro, cioè le ipotesi; il Giusto invece, alla luce del Bene, vede le realtà così come sono. Ma il Bene che spunta dentro di lui è la luce della sua identità, riconosciuta e accettata da lui.

Rilke in una sua poesia dice: '...ogni punto di questa pietra/ ti vede. Devi cambiare la tua vita'. (R.M. Rilke, Antico torso di Apollo). Mi pare che Rilke abbia espresso, in modo poetico, il nostro stare di fronte al mistero della identità degli esseri e soprattutto di fronte al mistero dell'identità dell'uomo. Infatti di fronte al mistero dell'identità dell'uomo occorre convertirsi, non si può continuare a pensare tecnicamente, continuare a costruire ipotesi: queste possono sì verificarsi, ma non ci fanno conoscere la verità degli esseri.

Abbiamo detto che alienazione significa che l'uomo non trova la sua identità nel fanum, ma in un'altra realtà, che gli viene imposta. Così l'alienazione può essere spiegata attraverso la profanazione.

La conversione quindi, che noi dobbiamo fare continuamente, consiste nel ritornare nel fanum, dove si trova la nostra vera identità.

In questa prospettiva ripensate alla parabola del figlio prodigo: è uscito dal fanum, cioè dalla casa paterna nella quale era se stesso, era libero, figlio e non schiavo, ed è andato in un paese lontano. Ogni profanazione significa andare in un paese lontano e cercare la propria identità in realtà aliene. Lontano da casa il figlio si riduce a desiderare di poter mangiare con i maiali, ma anche questo gli viene vietato. Allora, ricordandosi della casa paterna, ritorna al padre, cioè rientra nella propria identità, che è essere figlio.

Tutto il nostro esistere è un convertirsi, ritornare alla casa paterna dove si trova la nostra identità: è un continuo rientrare nel fanum, camminare verso la terra promessa dopo aver fatto l'esodo dall'Egitto.

Questo iniziare ogni momento una nuova vita significa entrare nel mistero, ed è ciò che noi chiamiamo iniziazione. Come avviene?

Nel Simposio Diotima spiega a Socrate in che cosa consiste la Bellezza: dice che attraverso la conoscenza dei bei corpi, delle belle azioni, dei bei pensieri, arriverà un momento in cui gli sarà dato di intravvedere in che cosa consiste la Bellezza stessa. 'E a questo punto della vita, caro Socrate... a questo punto soltanto la vita è qualcosa che vale'.

Penso che così avviene anche il nostro avvicinarci all'identità dell'uomo, al mistero dell'uomo: l'identità piena, il compimento dell'identità dell'uomo, per me, è già la Bellezza: quella Bellezza che è nel pensiero di Dio, e che si rivela in Cristo. Ma noi guardando noi stessi, gli altri, l'uomo, ogni tanto la intravvediamo; e se ci è dato di intravvederla, subito capiamo che vale la pena vivere, anzi vale la pena morire, per una tale identità. E proprio perché vale la pena morire per una tale identità, allora vale la pena vivere. Se non vale la pena morire, non vale la pena vivere.

Ora comprendiamo meglio perché alcuni non cedono al ricatto, preferendo morire, e con quale identità si identificano. Forse, grazie ad un istante in cui hanno intravisto questa Bellezza, poi, sognandola, come dice Hölderlin, dicono a tutti i ricattatori: 'no' cioè sono liberi, o come dice Platone, sono giusti.

Quello che in greco è espresso dal termine 'epifania' è detto in latino con la parola 'templum'. Ora, se io mi avvicino, così come abbiamo detto, all'uomo, convertendomi, io vivo con il templum dell'uomo (si tratti dell'altro o di me). Questo convertirsi e convivere con il templum, si chiama contemplatio. Contemplatio quindi non è una teoria, non è un pensare, bensì un vedere tutto alla luce del fanum ed entrare nel fanum o nel templum.

Quando uno contempla così, cioè entra nel templum, si meraviglia, e questa meraviglia costituisce l'inizio della nuova vita e anche l'inizio della conoscenza. Così intendo le parole di Aristotele che dice che la conoscenza della verità comincia dal meravigliarsi.

Penso che da una tale contemplazione cominci la conoscenza della verità, cioè la metafisica, come ha detto Aristotele; per noi deve cominciare la filosofia, non solo la teologia.

Abbiamo detto che chi si trova nel fanum è inviolabile, intoccabile, sacro, trascende tutto ciò che si trova nel profanum. Allora lui, vivendo nel fanum, identificato con la propria identità, cioè con il pensiero divino, costituisce la trascendenza. In questo senso parliamo della trascendenza della persona umana, che è sacra, inviolabile.

La trascendenza e tutto ciò che funziona come trascendenza, è sacra. Per esempio, se per me la trascendenza sono i soldi e intorno ai soldi io costruisco la mia dimora, l'ethos, allora i soldi che funzionano come trascendenza, non essendola, sono per me sacri: io comincio a pensare a partire dai soldi.

Abbiamo detto che convertirsi significa entrare nel sacro. I latini chiamavano questo iniziare o essere iniziato, sacramentum. Quindi sacramentum è l'azione di entrare in se stessi, nella propria identità, ritornare nella casa paterna, e ritornare nel pensiero divino che ci sta creando e pensando adesso.

E poiché la persona umana è comunionale, entrare nel sacro significa anche entrare nella comunità delle persone che vivono nella propria identità, entrare nella comunione dei giusti, in termini teologici sarebbe entrare nella Ecclesia, nella communio personarum.

Sacramentum dunque non è qualcosa di aggiunto alla realtà della persona umana, ma è proprio la realizzazione dell'essenza dell'uomo.

L'entrare nel fanum avviene almeno in due: io cerco di ricattare l'altro, l'altro cerca di ricattare me, così ciascuno di noi scappa e cerca un rifugio. Ho detto che il ricattatore, dopo la conversione, può entrare nel fanum dell'altro e così cominciare a essere se stesso. Io quindi, per poter essere me stesso, devo convertirmi ed entrare nel sacro.

Questo sacramentum nella teologia si chiama Battesimo. Il battesimo dunque è radicato nella persona umana.

Il Battesimo ha tanti volti. Io, entrando nel fanum dell'altro e diventando sempre pi√π me stesso, continuamente vengo confermato: il Battesimo diventa Cresima, rafforzamento della mia persona e anche dell'altro, l'uno rafforza l'altro.

L'entrare nel fanum dell'altro e nel mio fanum può realizzarsi in modo direi totale, coinvolgendo perfino la carne: così il Battesimo può avere anche il volto del Matrimonio. In questa prospettiva ripensate alla Genesi: Dio ha creato l'uomo, uomo e donna, sono un organismo, una unità.

Ma noi possiamo anche profanarci, uscendo dal fanum. Nel matrimonio, in ogni amicizia, in ogni comunionalità, in ogni convivere, quante volte l'uno profana l'altro, profanando se stesso! Pensiamo al matrimonio e a tutti i mezzi contraccettivi: la loro malvagità è nell'essere strumenti di profanazione.

Ma si vuole poi rientrare nel fanum, cioè chiedere perdono, confessare l'aver profanato l'altro e se stessi; perché anche il peccato è comunionale, se io ho peccato, anche l'altro ha peccato. (Nel matrimonio, secondo me, piano piano si arriva, in una certa misura, ad un'unica coscienza morale delle due persone).

Dunque la Confessione è chiedere il perdono per poter rientrare nel fanum.

Due persone che vivono così nel fanum, si fanno reciprocamente qualsiasi dono in questo modo: l'uno è presente nel dono che fa all'altro. Se uno non è presente nel dono, esso non è più dono, perché è interessato e quindi non è accettabile; può essere comprato, oppure venduto. Allora dei doni nei quali i donatori non sono presenti, noi abbiamo solo la compravendita. Ma questo per le persone in quanto persone (nel fanum), è inaccettabile: il dono senza la presenza del donatore è una profanazione. È come il cavallo di Troia: 'Timeo Danaos et dona ferentes': era un dono, ma cosa è successo poi? cosa è uscito da quel dono? chi era presente nel dono?

Penso che in questa prospettiva dobbiamo vedere anche il sacramento dell'Eucaristia: in questo dono Dio è pienamente presente in modo disinteressato e perciò l'Eucaristia è assolutamente accettabile per noi.

Così, ad esempio, quando noi invitiamo gli amici per la cena, se in ciò che offriamo non siamo presenti, questa cena non è accettabile per loro, perché non è eucaristica.

Un altro esempio: oggi si parla della pace, ma o questa parola ha un carattere eucaristico, o non lo ha, e allora è inaccettabile. La parola pace oggi, usata soprattutto da certi pacifisti, è come un cavallo di Troia, cioè nasconde un inganno.

Se il sacramento è una realtà comunionale, ciò che fa uno rende responsabile anche l'altro, sempre di più si forma un'unica coscienza, l'uno coinvolge l'altro. Cosa avviene allora nel sacramento, nella comunione, nel vivere insieme nel fanum? Avviene che, in questo continuo convertirsi, l'uno è mandato dall'altro, è plenipotenziario dell'altro. Quindi già si può dire, in un modo molto naturale, che colui che vive nel sacramento, vive come sacerdote dell'altro. E la realizzazione piena del sacerdozio avviene quando attraverso il fanum comunionale, il pensiero di Dio che ci pensa creativamente, cioè Dio in Cristo, manda questo o quell'uomo agli altri: è il Sacerdozio in senso stretto. Ma questo Sacerdozio ha un fondamento naturale nella comunione delle persone.

Quando noi viviamo nel fanum, l'identità si esprime così: 'sono', come il roveto ardente: 'sono Colui che Sono'. Mosè tornato in Egitto dopo l'esperienza mistica del roveto ardente, può presentarsi come 'sono' perché dentro di lui risuona il 'sono Colui che Sono' di Dio. Quando chiese al Signore cosa rispondere agli Ebrei se gli avessero chiesto chi lo mandava, il Signore rispose: 'Tu dirai agli Ebrei che 'Sono' ti ha mandato.'

Io 'sono' grazie al 'Sono' di Dio. Allora quando il ricattatore mi chiede perché non cedo al ricatto, dovrei rispondere: 'perché sono.'

Entrare nel fanum comunionale dell'altro significa uscire dal profanum, dall'Egitto verso la terra promessa: è un esodo. Ma questo significa anche morire: noi, convertendoci, moriamo al profanum per il fanum, moriamo all'Egitto per la terra promessa. Abramo e Mosè uscirono dall'Egitto nella fede e nella speranza, non sapendo dove andavano e non entrarono nella terra promessa, ma morirono guardandola da lontano: cioè perfino l'ultimo atto della vita, la morte, era atto della pura fede.

Ricordate, abbiamo detto che Ulisse ritornava ad Itaca, ma conosceva Itaca, sapeva dove andava; Mosè e Abramo no, loro si affidavano e per questo erano pienamente liberi. La morte, l'ultimo atto dell'esistenza, è proprio questo: sono abbandonato da tutto ('perché mi hai abbandonato?'), e compio l'atto della pura libertà, l'atto della fede, dell'amore e della speranza ('nelle Tue mani io mi affido'). Chi non muore così ogni giorno, non saprà morire nell'ultimo istante, non saprà dire: 'nelle tue mani mi affido', perché non avrà l'abitudine di affidarsi nella fede.

Forse, in questa prospettiva, possiamo pensare al volto del Battesimo che è l'Estrema Unzione. È il compimento dell'iniziazione, consummatum est. Si dovrebbe dire, e mi pare che la teologia lo dica, che il Battesimo viene compiuto sulla croce, cioè nella morte.

Così tutta la nostra vita è un sacramentum: iniziare la nuova vita, camminare nella fede e infine affidarsi nelle mani del Padre.

Così siamo arrivati a parlare della libertà. Se un uomo non vive secondo la propria verità, cioè se non si trova nel fanum, se non è nella comunione con gli altri, possiamo dire che è privato di qualcosa di più: è privato di se stesso, della propria identità, che è davanti a lui come un compito, come una terra promessa.

Allora l'uomo che è privato di sé, non è libero, è uno schiavo (e in quanto schiavo, non può conoscere la verità alla luce del bene, del mistero; può soltanto costruire ipotesi).

Quindi libertà significa essere se stessi. L'uomo diventa sempre più se stesso, come abbiamo detto fin qui; invece gli altri esseri no: l'elefante, ad esempio, è già dall'inizio elefante, pienamente, anche se può crescere un po'. Come immagine allora possiamo dire che l'elefante è 'libero' se può essere e comportarsi come elefante; ma se noi lo costringiamo a comportarsi come un cavallo, distruggiamo la sua 'libertà', perché distruggiamo la sua identità.

La filosofia da 70-80 anni, parla spesso di due tipi di libertà: libertà da qualcosa e libertà per qualcosa. Penso che adesso sia già chiaro in che senso, molto profondamente mi pare, possiamo intendere questi due termini. La filosofia contemporanea, soprattutto l'esistenzialismo ateo di tipo sartriano, ha inteso queste due categorie in modo un po' superficiale. Questi filosofi sono partiti da un 'a priori': Dio non c'è; quindi l'ateismo è una premessa, non è provato, è un 'a priori', così come hanno intuito nel secolo scorso Dostoevskij e Nietzsche (Sartre infatti è partito da una tesi di Dostoevskij).

Allora se Dio non c'è, non ci sono le identità degli esseri, nessun essere è se stesso, neanche l'uomo è se stesso, deve fare se stesso, noi dobbiamo autocrearci perché Dio non ci pensa, e non ci pensa perché non c'è.

Quindi, come dice Dostoevskij, tutto è lecito e tutto è bene, a condizione che sia stato scelto liberamente da me. Ad esempio, voglio che l'ubriachezza sia un bene, allora è un bene, voglio che non sia un bene, allora non è un bene; dipende tutto da me.

Ripeto, se non ci sono le identità degli esseri, io posso fare di essi tutto ciò che voglio. Ciò diventa più grave quando dico che posso fare tutto ciò che voglio dell'uomo, perché l'uomo non è 'uomo', ma è una pura esistenza e, come Sartre ed altri dicono, l'esistenza precede l'essenza: prima 'c'è' e poi 'c'è qualcosa', se viene fatta da qualcuno.

Allora la libertà dell'uomo è assoluta, perché essere libero non significa essere se stesso, ma significa fare tutto ciò che si vuole di tutto; questa è la libertà. Ma quando faccio di me, supponiamo un uomo x, mi impongo una essenza e mi presento come un ladro, cosa succede? Succede che io dovrei comportarmi secondo questa essenza creata da me e che io mi sono imposto. In questo modo, però, dice Sartre, io sono già determinato, ho perso la mia libertà. Ad esempio, se ho scelto questa bottiglia, devo poi berla, ma così non sono più libero di bere le altre bottiglie. Oppure se ho sposato una certa persona, mi sono imposto una tale essenza, devo comportarmi secondo tale essenza, non sono più libero, ma sono determinato.

Ma io devo essere libero, perché nella libertà è la dignità, così dice Sartre. Cosa devo fare? Subito dopo aver detto 'sì', dopo essermi sposato con una certa persona, (uso la parola sposato in senso metaforico, ma anche letterale), devo subito dire 'no' e divorziare da lei, perché devo conservare la mia libertà.

Così il concetto di libertà è pienamente staccato dal suo contenuto, cioè dalla verità, perché non c'è la verità.

Quindi la libertà, per Sartre, è dire continuamente 'no' dicendo 'sì', in ogni 'sì' deve esserci un 'no', altrimenti non sono libero.

Se la libertà è questa, allora la nostra vita è un ricominciare continuamente daccapo. Così avviene nel film degli anni '50, Les jeux sont faits, la cui trama è stata scritta da Sartre.

Circa sei mesi prima di morire, Sartre rilasciò un'intervista ad una rivista inglese (e dal suo contenuto si può capire perché a tale intervista non sia stata data pubblicità) in cui diceva che, quando era giovane, pensava di essere Dio. Ma capiva allora di avere sbagliato pienamente: lui non era infinito e la libertà dell'uomo era qualcosa di diverso da quello che aveva pensato. Ormai però era troppo tardi per poter cominciare la sua vita. Era molto triste questa intervista! Attraverso queste parole, penso, si può capire come la sua vita sia stata quasi un'esperienza che la libertà per l'uomo è inconcepibile senza la verità. Io, grazie allo studio della sua filosofia e a questa intervista, ho intuito, e sto intuendo, la realtà che si trova nelle parole di Cristo: la verità vi renderà liberi.

Allora libertà da significa che sono libero da tutto ciò che è, in quanto è già qualcosa, cioè dalla verità. E poiché non c'è la verità, sono libero da tutte le essenze, perché sono costruite dall'uomo. Se io sono libero da questa bottiglia, allora sono libero per quell'altra, se io invece non sono libero da questa bottiglia, allora non sono libero per quell'altra, se ho già detto 'sì' a qualcosa, ora sono costretto a dire 'no' a tutte le altre cose. Tutta la nostra vita diventa una serie di vincolarsi-chiudersi-staccarsi. Sartre usa anche un'immagine molto triste: la nostra libertà, la nostra esistenza è come una ragnatela tra i cespugli che viene sbattuta dai venti.

Guardate, la nostra vita, in tale prospettiva, diventa la serie delle nostre reazioni agli stimoli che ci vengono dalle cose; in pratica la vita diventa un meccanismo e la libertà così intesa diventa un determinismo, cioè un reagire agli stimoli delle realtà che ci determinano. In questo senso la libertà ci conduce a ciò che possiamo chiamare reazionarismo. Essere reazionario significa essere uno che reagisce solamente agli stimoli, non agisce, non crea. Così, se ad un certo momento mi piacerà di più quella bottiglia, allora abbandonerò questa. In questo modo ripensate al comportamento di Don Giovanni.

Possiamo chiedere: è possibile essere liberi da tutta la serie di stimoli? C'è una realtà per la quale io potrei essere libero, per poter essere libero dalle realtà che mi determinano?

Se noi facciamo la premessa che è stata fatta da Sartre, Dio non c'è, allora non esiste una realtà che mi libera dal determinismo. Se invece non poniamo l''a priori' di Sartre, ma partiamo dall'insoddisfazione dell'uomo per una esistenza come reazione agli stimoli e dal desiderio della libertà, dal desiderio di essere se stessi, forse intravvedremo la Trascendenza, per la quale possiamo essere liberi da tutto ciò che ci determina.

Una tale Trascendenza non può essere determinante, quindi non può essere oggetto. Gli oggetti sono da possedere, io reagendo cerco di possederli. La trascendenza dovrebbe essere una realtà che non è da possedere, ma solo da essere. Così identificato con tale realtà sono me stesso, sono libero dal possesso e dalle cose che sono da possedere, in quanto sono da possedere.

Quindi per poter dire al mondo degli oggetti 'no', devo stare di fronte a una realtà alla quale potrei dire 'si', ma senza dire implicitamente 'no'. E di nuovo vediamo che la condizione della libertà così intesa, per l'uomo, è l'esistenza di Dio e l'essere pensato da Lui creativamente.

 

Stanislaw Grygiel

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