Abbiamo detto che essere persona per l'uomo significa ex-sistere (tendere) verso una realtà nella quale egli dimora, non essendo ancora identificato in essa. Tale è la verità che ci costituisce.
del 18 settembre 2009
La persona umana: due immagini
Il mito della caverna
L’educazione
Conoscenza e opinione
Introduzione a 'fanum' e 'profanum'
 
Abbiamo detto che essere persona per l'uomo significa ex-sistere (tendere) verso una realtà nella quale egli dimora, non essendo ancora identificato in essa. Tale è la verità che ci costituisce.
Parlando della persona in questi termini abbiamo intravisto il significato del concetto di natura (dalla definizione di Boezio): natura è l'essenza di un essere, in quanto costituisce il principio del suo agire, del suo modo di esistere. L'essenza della rosa fa in modo che la rosa si comporti come una rosa e non come un cavallo. L'essenza, la natura, della persona umana è nella tensione verso quella realtà nella quale dimora, non esistendo ancora in essa. In questo senso ciò che io sono nasce, non c'è ancora pienamente, non è compiuto, la mia essenza nasce dentro di me, è una cosa futura per me; quindi io volendo presentarmi agli altri dovrei essere in grado di presentare il mio futuro.
La parola natura è un participio futuro da nascor, naturus-a-um, (cioè cose che devono nascere). Natura è la dimora dove io abito attraverso la fede e la speranza (non parlo della fede religiosa, ma della fede nell'uomo, che si compie nella fede in Dio). Allora la mia persona è un futuro.
Della persona possiamo parlare attraverso due immagini stupende: una culturale e una biblica.
La prima immagine proviene da Omero: Ulisse torna verso la sua casa che si trova sull'isola di Itaca, dove lo aspettano la moglie, il figlio e un cane. Ulisse, ogni tanto, nel suo esistere verso la casa, verso la dimora paterna, si ferma sulle isole, sedotto dalle bellezze delle dee, e, per tre, quattro, cinque anni pensa che queste bellezze siano il principio e il fine del suo esistere. Ma la memoria di Itaca non gli permette di fermarsi accanto a questa o quell'altra divina bellezza, ma lo spinge a tornare a Itaca.
La seconda immagine è quella di Abramo e di Mosè. S. Paolo in una lettera dice che Abramo e Mosè escono dalla terra della schiavitù e con fede e speranza camminano verso la terra promessa, ma persino nell'atto della morte non la raggiungono, non entrano in essa, anche morendo la possono guardare solo da lontano.
Qui vediamo un'altra realtà della persona umana. Se qualcuno si definisce attraverso questa o quella 'Itaca', in fin dei conti si definisce attraverso una realtà da possedere, un oggetto; invece Mosè e Abramo, persino morendo, non erano in grado di prendere nelle mani ciò in cui credevano. La loro terra promessa era al di là del tempo, al di là dello spazio, non era un oggetto.
Se usiamo queste due immagini per parlare della persona umana, possiamo dire che essere persona significa realizzare continuamente un esodo, una 'uscita' dallo status quo, dalla prigione, dalla schiavitù e da tutto ciò che c'è nelle nostre mani, e uscire, camminare con la fede in qualcosa di più.
Alcuni realizzano il loro essere persona come lo realizzava per esempio Ulisse o Don Giovanni, oggi stare con una ragazza, domani con un'altra. Essere persona umana così significa essere una farfalla che vola da un fiore ad un altro. Ma l'immagine di Mosè ci dice che si può continuamente camminare verso la stessa terra promessa che è data alla nostra speranza e alla nostra fede. L'uomo non può fermarsi nemmeno accanto agli angeli, perché anche essi non sono pienamente.
Un'altra immagine illuminante e stupenda è l'incontro di Cristo con Maria dopo la Resurrezione. Maria sta cercando il corpo di Cristo, poiché non lo trova nella tomba. Nel giardino vede un uomo che ella ritiene il giardiniere e si rivolge a lui: 'Signore, se tu lo hai preso dimmi dove lo hai messo.' Costui risponde una parola sola: 'Maria', e lei Lo riconosce subito: 'Rabbuni, Maestro', ma Cristo dice: 'Non trattenermi perché non sono ancora salito al Padre mio'. Qui è l'essenza stessa della persona umana, che deve ancora 'salire'. Noi come persone non possiamo trattenerci, fermarci neanche accanto al corpo di Cristo che non è ancora pienamente trasfigurato nella realtà del Padre.
Vedete come è grande la trascendenza della persona umana che tende ad una dimora che ci è data solo attraverso la fede e la speranza e verso la quale noi dobbiamo continuamente 'salire' fino a un momento che non conosciamo.
 
Il mito della caverna di Platone parla proprio di questa essenza della persona umana e di questa educazione. Gli schiavi nella caverna guardano sul muro le ombre, cioè le ipotesi, le teorie e riducono tutta la realtà a queste ipotesi.
Un altro esempio: due persone, di notte, vedono qualcosa di nero, uno dice che forse è un ladro, l'altro dice che forse è un cane. Allora bisognerebbe verificare, cioè bisognerebbe avvicinarsi al punto nero: così si vedrebbe che è un cespuglio.
Gli schiavi nella caverna si possono liberare dalle ombre, dalle ipotesi sulla realtà e sull'uomo avvicinandosi alla realtà per vederla da vicino, per conoscerla. Avvicinarsi vuol dire abbandonare le opinioni, le ipotesi per essere liberi e accettare la realtà così come essa è, non come a noi pare che sia, cioè amarla. L'amore è una condizione della conoscenza, chi non ama un essere non conoscerà mai questo essere, ma costruirà tante ipotesi su di esso, riducendo la sua realtà alle proprie ipotesi; questo significa essere schiavi, vivere nella caverna.
Quando uno ama la realtà, comincia a conoscerla, viene 'edotto', cioè educato, esce dal mondo delle teorie, delle ipotesi, esce dalla schiavitù ed è liberato, si comporta davanti alle cose (fiore, acqua) secondo la loro verità e rende giustizia ad esse. Chi rende giustizia alla realtà diventa giusto, viene giustificato. E chi è giustificato si comporta in un altro modo rispetto agli altri che non sono ancora giustificati, che sono schiavi.
I due uomini che vedono la macchia scura, dicono l'uno che è un ladro, l'altro che è un cane e si comportano secondo queste ipotesi: tremano. Supponiamo che arrivi un terzo e dica che quello è un cespuglio perché l'ha toccato: costui si comporta in un modo diverso, perché si comporta secondo la verità, rende giustizia alla verità stessa, non alla sua ipotesi.
Ma i primi sono in due, il terzo è solo; se si mette la verità ai voti vincerà la maggioranza, cioè vinceranno le ipotesi e perderà la verità.
Platone ha detto una cosa stupenda, che chi ha visto la realtà, grazie al suo amore, cioè al Bene che spunta dentro di lui come il sole e illumina la realtà, si comporta in modo diverso, cioè dà testimonianza alla verità delle cose, mentre gli altri danno testimonianza alle loro ipotesi. Ma siccome essi sono la maggioranza lo ridicolizzano, lo schiaffeggiano e persino lo uccidono, come dice Platone con una frase quasi profetica: 'Il Giusto sarà ucciso dallo schiavo'.
Il tornare a vivere tra gli schiavi viene chiamato essere mandato. Il Giusto è mandato agli schiavi, volente o nolente, poiché comportandosi in un modo diverso è già mandato a loro per dare testimonianza. Platone dice che il Giusto deve scendere nella caverna per parlare agli schiavi della verità e della luce del Bene, anche se non lo vuole, anche se sarà ucciso.
Anche Mosè, ricordate, è stato mandato, dopo l'esperienza del roveto ardente, dal monte Horeb in Egitto, per liberare gli Ebrei dalla schiavitù.
Anche la Samaritana al pozzo di Giacobbe, dopo aver parlato con Gesù, Lo ha riconosciuto, ha creduto in Lui, come nel Messia ed è stata mandata in città per parlare a tutti della verità della Persona nella quale aveva creduto.
La verità ha bisogno di testimoni, di testimonianze, mentre le teorie hanno bisogno di prove. La persona umana non prova che c'è un ladro o un cane, la persona ama, si avvicina alla realtà, la conosce e, comportandosi secondo la verità di ciò che ha conosciuto, dà testimonianza.
Per questa ragione, secondo me, è molto rischioso e forse contro la persona umana, parlare delle cosiddette prove dell'esistenza di Dio, perché se si comincia a provare, si troveranno sempre delle ipotesi, che spiegano il funzionamento di un certo sistema. L'esistenza di Dio, invece, come quella del fiore, della pietra... ha bisogno della testimonianza della persona umana e non delle prove.
 
Possiamo ora dire che in questo consiste la dignità della persona umana: noi camminiamo verso la verità che non dobbiamo possedere, ma che dobbiamo essere.
Se guardiamo in questo modo la persona umana, comprendiamo anche il concetto di educazione. Educare significa aiutare l'altro a camminare, a uscire dalla schiavitù. È molto difficile essere educatori, perché bisogna essere già un po' educati, cioè liberi. In realtà c'è un solo Magister, perché solo lui è infinitamente più avanti di noi tutti.
L'uomo nella sua essenza è educatore, tanto più uno è persona tanto più è educatore, 'educe' dalla schiavitù e conduce verso la libertà, cioè verso la verità. In greco condurre si dice ago, da cui pedagogo: era colui che conduceva i bambini a scuola, dove, almeno ex definizione, dovrebbe essere insegnata la verità. Purtroppo oggi le scuole sono diventate caverne platoniche dove vengono insegnate le ipotesi, le teorie.
Noi conduciamo in quanto siamo già condotti verso il futuro. La parola ago assume la forma del futuro axo. Ciò verso cui noi camminiamo diventa il centro, l'asse, intorno al quale e verso il quale noi esistiamo, agiamo, amiamo. Questo centro con il quale noi ci identifichiamo e che è la nostra persona, costituisce il nostro futuro.
Noi, che veniamo condotti e conduciamo altri verso tale 'asse', diventiamo un po' esseri futuri: in greco axioi, in latino digni, in italiano 'degni'. Quanto più io cammino verso l'axis tanto più divento axios, degno. Dando testimonianza al centro verso cui dimoro attraverso la fede e la speranza, io, nel mio esistere, divento sempre più evidenza di questo centro, rifletto l'asse. Chi vede me può indovinare questo asse, ed io divento axioma, in latino dignitas, in italiano dignità, evidenza, certezza.
Il Giusto è certezza della verità; gli schiavi non amano la certezza e la dignità, non vogliono né essere condotti, né condurre, a loro basta il dubbio (e dicono che questo è il pluralismo!).
Possiamo quindi dire che la persona umana quanto più è se stessa, tanto più è evidenza della terra promessa, cioè di Dio. Quanto più siamo persone, tanto più riflettiamo Dio (o Dio si riflette in noi).
Per questo non si capisce bene perché alcuni teologi, quando incontrano qualcuno che è certezza di Dio e non delle proprie opinioni, lo criticano come se essere testimonianza di Dio fosse contro la dignità e la libertà della persona.
 
Riprendiamo il mito della caverna. Abbiamo detto che gli schiavi riducono ciò che intravvedono da lontano alle loro ipotesi; mentre coloro che si avvicinano alle cose amandole, si liberano dalle ipotesi e realizzano in sé una conversione: si rivolgono dal muro, escono dalla caverna e grazie all'amore, al bene che spunta dentro di loro come il sole, vedono le cose come sono e rendono loro giustizia secondo la loro verità. Platone chiamava questa conoscenza, episteme, e chiamava ciò che è proprio degli schiavi opinione, doxa.
Abbiamo detto che gli schiavi non conoscono, ma costruiscono ipotesi (ladro, cane) e poi verificano con gli esperimenti, modificando così continuamente le ipotesi. Invece la conoscenza dei giusti costituisce la scienza.
Oggi tutto è stato capovolto: le scienze sono la doxa degli schiavi. Si continua a costruire delle ipotesi, a verificarle e modificarle, all'infinito. La verifica consiste nel manipolare le cose per possederle: se si riesce a manipolarle, a possederle, la verifica è riuscita e si può sostenere l'ipotesi, altrimenti si deve cambiarla.
Oggi gli scienziati, in quanto scienziati si comportano in questo modo di fronte alla realtà e noi abbiamo acquisito questa mentalità, cioè abbiamo dimenticato che ogni essere è qualcosa così come è, ci interessiamo solo delle ipotesi che funzionano nel nostro mondo artificiale e che ci permettono di vivere comodamente anche manipolando le cose e le persone. Le scienze oggi 'costruiscono' e noi chiamiamo questo costruire 'conoscere'. Heidegger ha detto che gli scienziati non pensano: sì, perché pensare significa custodire le cose nella loro verità. Per coloro che conoscono, ogni cosa è sacra; invece, chi non conosce, manipola.
Le ipotesi vengono giudicate non secondo la verità, ma secondo l'efficienza: chi ha nelle mani le ipotesi più efficienti è più potente, domina gli altri, domina il mondo. Per esempio, il conflitto tra le due super-potenze non è il conflitto tra due giusti, ma è il conflitto dentro la caverna tra due schiavi: vince il più potente, quello che ha costruito l'ipotesi più efficace, mentre l'altro crolla. Però non è crollato in quanto essere, ma in quanto possessore di ipotesi, allora è crollato un sistema, mentre l'altro si è dimostrato più efficiente; non è detto però che in futuro non verrà costruito un sistema ancora più efficiente.
I costruttori delle ipotesi hanno paura dell'uomo che sta loro di fronte e quindi cercano di dominarlo o di possederlo, perché a questo servono le ipotesi. Come si può dominare l'altro uomo, costringerlo a fare ciò che si vuole lui faccia? Dovrei conoscere la sua essenza. Ma abbiamo detto che l'essenza dell'uomo è esistere verso un centro, intorno al quale egli costruisce la sua dimora. Osservando l'uomo in modo scientifico si può fare una ipotesi: se dal suo comportamento risulta che ha posto il suo centro in ciò che possiede, ad esempio i pantaloni, per quell'uomo i pantaloni costituiscono la sua trascendenza, si identifica in essi, si autodefinisce in essi, sono la sua terra promessa; allora per poterlo dominare costruisco una situazione artificiale (esperimento scientifico) nella quale lo inserisco, prendo i suoi pantaloni e gli dico: 'Se non sputi adesso su questo uomo, io distruggo i tuoi pantaloni'. È un ricatto. Se questo uomo veramente si identifica con i pantaloni, se sono il suo 'asse', egli senza dubbio sputerà su questo uomo, perché è naturale che nessuno voglia distruggere la propria identità, sarebbe per lui un peccato, un male. Tanti oggi, nella nostra società, sputano sull'altro uomo: ciò significa che la persona di tanti è costruita intorno ai pantaloni.
Può avvenire che qualcuno si rifiuti di sputare, dica: 'Puoi distruggere i miei pantaloni'. Ciò vuol dire che la mia ipotesi non è efficiente, devo cambiarla perché questo uomo si identifica con qualcosa d'altro. Allora faccio altre osservazioni e un'altra ipotesi: capisco che costui si identifica con il posto di direttore di azienda. Pongo di nuovo il ricatto: 'Se non sputi ti tolgo il posto'. Tanti cedono, altri ancora resistono. (Tutto questo potrà sembrare infantile, ma la vita è così, all'est come all'ovest).
Così continuo a costruire delle ipotesi, essendo convinto che c'è una cosa da possedere con la quale l'uomo si identifica: bisogna solo trovarla.
Questa condizione è l'essenza stessa del materialismo. Il materialismo consiste nel fatto che noi siamo convinti che ogni essere, che tutta la realtà si riduce a pura potenza e che può essere qualcosa solo se si identifica in un'altra cosa, cioè se è alienata (nei pantaloni, nella carriera...). Ogni realtà ha la sua identità in qualcosa da possedere. Anche l'uomo, quando si chiede chi è, risponde mostrando quello che possiede (le maschere): ogni essere dimora nel posseduto e proprio questo è alienazione. Lo scientismo di oggi consiste nella condizione che tutti gli esseri sono alienati, quindi manipolabili, basta solo sapere dove hanno posto la loro identità (pantaloni, posto di direttore...): se riesco a prendere nelle mani queste cose posso dominarli. È la dialettica servo-padrone. Ma un tale atteggiamento di fronte agli uomini significa sperimentare continuamente con essi e affermare che sono manipolabili.
Se si resta nello scientismo si arriva ad un'ipotesi limite: se un uomo non si identifica né col pantaloni, né con la carriera, né col sesso... rimane solo il suo corpo, la sua vita (tantissimi nel nostro secolo hanno vissuto personalmente questi esperimenti). Allora si ricostruisce il ricatto con la vita come oggetto. Questo è veramente problematico perché in un senso molto profondo ciascuno di noi è il suo corpo, anche se in un certo senso esso è da possedere, almeno spazio-temporalmente.
Tantissimi con il loro comportamento dimostrano che questa ipotesi è efficiente: sputano per poter salvare la loro vita. Ma alcuni smentiscono l'ipotesi, dicendo che non sputano per poter salvarsi (questa è una cosa nuova, terribile!), perché lasciandosi uccidere conservano la loro identità e si salvano, mentre se cedessero al ricatto perderebbero la loro identità. Così è stato per Socrate e per Kolbe, ad esempio. Allora, con che cosa questo uomo si identifica? dove è il suo centro, il suo futuro? cosa può possedere di più? Adesso inizia un momento terribile per il costruttore delle ipotesi, perché o uccide questo uomo, ma così non ha vinto perché quello è morto e adesso non si può continuare a fare esperimenti; oppure lo lascia libero, ma non lo ha dominato.
Allora bisogna cambiare atteggiamento verso la realtà, bisogna avvicinarsi a questo uomo, conoscerlo, smettere di fare ipotesi: bisogna convertirsi. Kolbe, per esempio, ha messo in una situazione terribile il Lagerführer di Auschwitz, che poteva convertirsi o uccidere, ma rimanere così a mani vuote.
Convertirsi significa cessare di guardare tecnicamente la realtà, come una massa potenziale, fonte di energia per le mie costruzioni, e riconoscere invece che l'altro uomo non è manipolabile, si identifica con una realtà che non è da possedere, ma solo da essere.
Ci si chiede quindi dove si trova la realtà con la quale questo uomo si è identificato, dove ha trovato un rifugio, una realtà che gli ha dato la libertà, per cui ora non è più ricattabile. Deve essere una realtà che non possiede niente, che è piena libertà, pieno Essere, 'sono Colui che Sono', Dio. Chi si identifica con una tale realtà, è assolutamente libero e più forte di tutti gli schiavi scientisti della caverna.
 
Nel Medioevo, quando un uomo era ricercato, cercava un posto dove essere intoccabile, dove non poteva essere fermato ('Maria non trattenermi perché non sono ancora salito al Padre'), dove era inviolabile: così entrava nelle chiese dove coloro che lo stavano cercando non potevano entrare. Lì perfino un ladro era libero, trascendente tutto lo spazio fuori dalla chiesa: la chiesa era uno spazio inviolabile, trascendente, una dimensione diversa. Chi dimora in un tale spazio è inviolabile. Essere sacro significa proprio entrare, dimorare, rifugiarsi in un realtà che non è più da possedere, da violare.
Chi dimora nelle cose da possedere è ricattabile; invece Socrate, Kolbe e soprattutto Cristo, dimorano in uno spazio diverso, eterogeneo, diventano non manipolabili, non ricattabili.
In Egitto, la schiavitù degli Ebrei consisteva proprio nel dimorare nelle cipolle, nelle mele, nei pesci. Il faraone possedeva queste cose e allora poteva ricattarli. Gli Ebrei si erano abituati perché era comodo vivere con questi pesci, mele, fin a tal punto che, anche nel deserto, si ricordavano queste cose e si ribellavano a Mosè. Cioè ricordavano la comodità della schiavitù, perché è comodo essere schiavo; essere libero è più difficile perché bisogna rischiare la vita, bisogna solo essere e non possedere. Nello spazio dell'essere, l'uomo è inviolabile. È in questo luogo sacro - fanum - che Dio si rivela.
Quando un uomo è entrato nel fanum, i suoi inseguitori possono entrarvi solo se si convertono e insieme con lui 'esistono' verso Dio. Ma possono anche cercare di tentarlo per farlo uscire dal fanum e quando lui mette fuori anche solo un dito per toccare il luccichio che gli mostrano (il ricordo delle cipolle, delle mele) egli diventa manipolabile perché è uscito davanti al fanum, cioè nel pro-fanum, e gli inseguitori possono farne quello che vogliono. Non puoi dialogare con il diavolo perché così fai il suo gioco, esci dal fanum, ti profanizzi, non sei più inviolabile, subito incominci ad alienarti di nuovo, entri nel gioco dialettico dell'alienazione.
In questo uscire dal fanum consiste la nostra profanazione. Profanare l'essere significa farlo uscire dalla sua identità, dalla sua verità, farlo uscire da se stesso per farlo entrare nelle mie ipotesi (ladro, cane); profanarsi significa entrare di nuovo nella caverna degli schiavi, non come il Giusto, che è mandato, ma come uno degli schiavi.
Possiamo capire allora in che cosa consiste la violenza: nei confronti dell'uomo alienato (nel profanum), consiste nel ricatto, basta conoscere in che cosa si identifica, costruire una situazione artificiale, un esperimento, e ricattarlo. Ma c'è una violenza verso chi è nel fanum, verso chi è sacro per tentare di farlo uscire dal fanum: è la tentazione. Ci sono quindi due tipi di violenze, perché ciascuno di noi è un po' nel fanum e un po' nel profanum.
In questa prospettiva si riconsideri la storia di Adamo ed Eva: Adamo, dopo la creazione, cercava di autodefinirsi, di essere autocosciente, di rispondere alla domanda 'chi sono?'. La Genesi racconta questa storia che esprime la stessa realtà espressa dalla storia di Ulisse, di Mosè e di Abramo, e la nostra stessa storia personale, che è tensione verso la nostra identità. (E non è un caso che Giovanni Paolo II, quando vuole spiegare i problemi fondamentali o i misteri della communio personarum, della Chiesa, comincia sempre dall'inizio, dalla Genesi).
Così Adamo ha incominciato a cercare quella realtà attraverso la quale definirsi. E ha cominciato a dare i nomi alle cose. La Genesi dice che Adamo era immerso in un sonno profondo. Ciascuno di noi, in quanto è come Ulisse, come Don Giovanni, cioè in quanto risponde alla domanda 'chi sono?' attraverso delle realtà da possedere, è come Adamo immerso nel sonno dell'autocoscienza: cioè non sappiamo chi siamo.
Ad un certo istante Adamo ha intravisto Eva, e in quel momento la guardò, si svegliò e gridò: 'Essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa', cioè io sono te e tu sei me. Adamo si risvegliò: aveva compreso chi era.
L'incontro con l'altra persona ci risveglia. Quando l'uomo che volevo ricattare ha risposto che potevo ucciderlo ma lui non avrebbe sputato, ero in una situazione terribile: o cambiarmi o rimanere nel vuoto. Cosa significa cambiarmi in tale situazione? Significa dire: questo è carne della mia carne, io sono te e tu sei me, entro nel tuo rifugio e mi trovo inviolabile anch'io. Così se il comandante tedesco fosse 'entrato' in Kolbe, sarebbe diventato inviolabile rispetto a Himmler o altri, sarebbe stato nel fanum; invece, non essendo 'entrato', continuava ad essere ricattabile.
 
Stanislaw Grygiel
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