Aspettare è rock !

Aspettare qualcuno è rock. Non aspettare nessuno è lento. Tutti facciamo l'esperienza di quanto batta il cuore nell'attesa di una persona che ci interessa, che ci vuole bene e a cui vogliamo bene. Il tempo liturgico dell'Avvento non è per insegnare una attesa fine a se stessa. Un frustrante aspettare qualcuno che non arriverà mai....

Aspettare è rock !

da Teologo Borèl

del 19 novembre 2005

Aspettare qualcuno è rock. Non aspettare nessuno è lento. Così direbbe Adriano Celentano. E sarebbe difficile dargli torto. Infatti tutti facciamo l’esperienza di quanto batta il cuore nell’attesa di una persona che ci interessa, che ci vuole bene e a cui vogliamo bene. “Se tu arrivi alle 5, io comincerò ad essere felice dalle 4…”, diceva la volpe al nuovo amico, il Piccolo Principe, protagonista della memorabile opera di Antoine de Saint Exupéry.

Attendere qualcuno, dunque: una dimensione dell’esistenza. Una dimensione che ben comprendiamo se pensiamo alla casa di Betania, là dove Marta, Maria e Lazzaro aspettavano sempre con gioia Gesù e i suoi amici. E a Betania Gesù ci andava volentieri perché si sentiva atteso, accolto, ospitato come amico e fratello…

La casa di Betania potrebbe essere assunta a categoria, a paradigma di un aspetto irrinunciabile della vita quotidiana: imparare ad attendere, anche nella pazienza, per poter accogliere.

Il tempo liturgico dell’Avvento non è per insegnare una attesa fine a se stessa. Un frustrante aspettare qualcuno che non arriverà mai. Attendere non è un sacco senza fondo. L’Avvento insegna ad attendere per accogliere Qualcuno. Qualcuno che a Natale certamente arriva. C’è un grande nesso fra aspettare e accogliere, fra attendere e ospitare: fra amore e cuore aperto. Ed è ruotando attorno a questo nesso decisivo della nostra esperienza umana che è possibile, nello snodarsi delle quattro settimane di Avvento, fare un lavoro pedagogico perché i nostri oratori si riscoprano casa di Betania.

Prima di tutto facendo in modo di evitare due estremi: quello di piazza d’armi o porto di mare e quello di essere una cittadella fortificata, un “mastio” col ponte levatoio.

Fuor di metafora, forse un poco esagerata, l’Oratorio non è accogliente se non ha un progetto e una finalità, se è come una piazza in cui tutti possono andare e venire facendo di tutto. Ma non è accogliente nemmeno l’Oratorio che in nome di un Progetto ha definito confini così dettagliati e regole così rigide da essere accessibile solo a pochi eletti e toccati dalla Grazia. Magari per entrare ci vuole la parola d’ordine. E il povero peccatore si rivolga altrove.

Come rendere, allora, un Oratorio quella casa di Betania dove ci si sente attesi e accolti? Prima di tutto non smarrendo l’identità dell’Oratorio che rimane uno strumento che la comunità si è data per la comunicazione della fede alle nuove generazioni.

E nuove generazioni significa bambini, adolescenti e giovani. Sono loro a dover percepire che l’Oratorio è la loro casa, fatta a loro misura, dove possono esprimersi, giocare, sentirsi a proprio agio, trovare quanto serve per la loro crescita, ma non tutto quanto appaga i capricci indotti dalla moda.

Nell’Oratorio le giovani generazioni devono trovare prima di tutto ciò che è essenziale: la scelta di Maria! La possibilità di incontrare Cristo, mettersi alla sua scuola, ascoltandolo e comprendendo il suo messaggio. Quel Cristo che non spegne la vita del giovane ma la carica di senso, in tutti i suoi aspetti. Ecco, allora, che l’Oratorio deve anche donare i piatti di Marta! Deve offrire occasioni di crescita integrale, di gioia di stare insieme… E, allora, tutto può concorrere: dallo sport al baretto, dalla sala giochi alla biblioteca, dal cinema al teatro…

In questa prospettiva si può rispondere ad uno dei quesiti che tornano più frequentemente nella pastorale oratoriana: quale rapporto con la famiglia? C’è posto per la famiglia nei nostri Oratori? E che tipo di relazioni familiari favoriscono le nostre attività pastorali?

Sono domande che, ovviamente, non si possono liquidare con risposte di poche righe. Tuttavia si potrebbero sintetizzare in tre immagini: la porta aperta, il sorriso sulle labbra, il camino acceso. Porta aperta: l’Oratorio deve essere accessibile a genitori e adulti. Non perché destinatari della struttura ma perché facciano in modo che l’Oratorio sia “educativo”. Sorriso sulle labbra: tutti coloro che varcano il cancello dell’Oratorio, con ruoli diversi, devono sentirsi accolti con simpatia.

Il camino acceso: il clima dell’Oratorio deve essere familiare e caldo. Questo farà comprendere meglio anche alcuni “no” che bisogna pur dire. Marta…Marta…rimproverava Gesù. Ma per amore.  

Gabriele Filippini

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