Come si può allora educare i figli all'indipendenza? Non è forse una battaglia sbagliata come quella contro i capelloni, i figli dei fiori, mode che sono cambiate con il tempo, senza lasciare conseguenze disastrose? Sulle conseguenze sarebbe interessante aprire un dibattito con i giovani di ieri, oggi adulti, mentre non si può mettere in dubbio che la dipendenza è comunque una mancanza di libertà.
del 14 gennaio 2008
«Scuola & Giovani», rubrica di un quotidiano nazionale, attenta ai problemi dei giovani, riporta i dati riguardanti una fetta di mercato, quella dei giovanissimi privi di un proprio reddito stabile ma generosamente sostenuti dai genitori.
Non hanno tutti i torti, non è facile affrontare il problema, ma negarlo sarebbe dannoso: è sempre un grave errore educativo accontentare in tutto i figli, assecondando le leggi del mercato, che favoriscono «la dipendenza», fonte di guadagno, di interessi economici, che superano i confini nazionali e creano mode universali, che attecchiscono nello stesso mondo dei poveri.
Risulta che spendono fino a 200 euro al mese per vestiti e scarpe griffate, accessori vari (moschettoni a vista, telefonini, tatuaggi, piercing), chiome e stivaletti, che dalla testa ai piedi, li rendono simili al gruppo a cui appartengono e «diversi» rispetto ad altri.
I genitori li accontentano senza rendersi conto della nuova forma di dipendenza, che si aggiunge a quelle della musica, di internet, delle «canne»... «Fanno tutti così!», si giustificano. «Come fare se i compagni a scuola hanno quello che io nego ai miei figli?».
 Come si può allora educare i figli all’indipendenza? Non è forse una battaglia sbagliata come quella contro i capelloni, i figli dei fiori, mode che sono cambiate con il tempo, senza lasciare conseguenze disastrose? Sulle conseguenze sarebbe interessante aprire un dibattito con i giovani di ieri, oggi adulti, mentre non si può mettere in dubbio che la dipendenza è comunque una mancanza di libertà.
Contro di essa, occorre garantire un affetto maturo, la sicurezza di una casa, dove i giovani sono attesi, accolti e aiutati, con dei «sì» e dei «no», ad affrontare il cammino della propria crescita nella libertà e nella responsabilità. I «no» saranno accettati, sia pure a fatica, dai figli, se si è creato con loro un legame di cuore, mentre sono dipendenti dalle cose e... dalle droghe, se sono lasciati da soli ad affrontare i piccoli e grandi problemi dell’età che stanno vivendo.
Avere accanto adulti soddisfatti del loro ruolo, con i quali confrontarsi, parlare, discutere, arrabbiarsi, piangere, sorridere, riconciliarsi, è una fortuna per loro. Senza l’aiuto di amici sinceri – e i primi amici sono i genitori – non riescono a evadere dalla prigione del consumismo, dalle gabbie di un mondo che insegna a tenere per sé cose, soldi, tempo, vita. Non riescono neppure ad incontrare Dio: non ne sentiranno il bisogno, finché a loro non verrà a nausea la ricchezza, una vita basata sul nulla dei falsi valori proposti da chi vuole i giovani dipendenti e non liberi: mercanti e politici, almeno quelli a cui dà fastidio la libertà!
Il discorso sembra filare bene ma richiede un’autentica conversione di noi adulti, dipendenti in tante cose dalle stesse logiche del mondo, per cui curiamo la nostra immagine, ci teniamo al nostro «status symbol».
Eccessivamente legati al lavoro, vittime spesso dello shopping compulsivo, dell’ultimo acquisto che ci distingue dai vicini, non vogliamo sentire parlare di povertà, di gratuità, tanto meno del coraggio di uscire da noi stessi per portare i pesi di altri che soffrono e sono in difficoltà. Il nostro peccato è appunto quello di essere troppo attaccati ai beni della terra, al nostro stare bene...
E se provassimo a dar via qualcosa, a dischiudere i nostri usci serrati per fare comunione con gli altri, aprendoci al territorio, giocando il nostro ruolo educativo con quanti lavorano con i giovani per aiutarli ad essere liberi per amare? Forse perderemo qualche battaglia ma non la guerra: certamente saremmo modelli credibili per i nostri ragazzi.
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
don Vittorio Chiari
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