Un volto iconico, un compositore di razza, che amava volteggiare in territori abitati dalla ricerca di un Altrove, un al di là, che guidasse l’uomo sulla retta via
Franco Battiato ci lascia una grandissima eredità di musica, poesia, bellezza...e infinito.
Questo articolo ripercorre la carriera del grande musicista, scomparso lo scorso 18 maggio, mettendo in luce il senso profondo della sua opera e della sua ricerca artistica e spirituale, sempre proteso verso un “di più”.
La redazione
E così, dopo Fabrizio De André, Lucio Dalla, Pino Daniele, se ne è andato anche Franco Battiato, il genio della musica, forse l’unico grande compositore italiano che ha saputo miscelare così bene pop e musica colta.
La musica e la cultura italiana perdono molto. E non solo in ambito strettamente artistico. il settantaseienne musicista siciliano è stato molto di più che un semplice musicista. Ha attraversato, con la sua arte e cultura, le strade della musica colta, interiore, lirica, e nonostante ciò, ha avuto uno straordinario successo di pubblico. Un volto iconico, un compositore di razza, che amava volteggiare in territori abitati dalla ricerca di un Altrove, un al di là, che guidasse l’uomo sulla retta via.
Esperto di meditazione e pratiche ascetiche, innamorato del sufismo e dei dervisci rotanti, cultore della storia antica e mesopotamica, sapeva coniugare benissimo scienziati persiani e filosofi mediterranei (celebre la sua amicizia con il filosofo Manlio Sgalambro, autore dei testi dei suoi più grandi successi), e allo stesso tempo prendere in giro vizi e virtù dell’italica gente. E poi ancora pittore, regista di cinema con Perdutoamor e Musikante su Ludwig van Beethoven, e performer di concerti live che rimarranno nella storia, tra rock con batteria a quattro quarti con il pubblico impazzito a ballare nelle arene e lievissime arie colte e struggenti con l’orchestra da camera a guidare le note.
Franco Battiato si è divertito molto nella sua lunga e poliedrica attività artistica, ma ci ha lasciato perle infinite. La cura, forse la più famosa, Centro di gravità permanente, Voglio vederti danzare, e quel capolavoro di musica di impegno civile che è Povera patria. Negli anni giovanili fu l’alfiere del progressive rock con Fetus e Pollution, protagonista di spettacoli al limite dell’ascolto, per poi continuare con L'era del cinghiale bianco e altre canzoni che sono rimaste nell’immaginario collettivo di più generazioni di ascoltatori, come Prospettiva Nevski e le spiazzanti e cantabilissime Bandiera bianca, Cuccurucucù e Centro di gravità permanente.
In una delle sue ultime interviste spiegava come passasse il suo tempo appollaiato sopra un albero davanti casa sua, dove aveva fatto costruire una sorta di capanna, tra gli alberi, per meditare in santa pace senza essere disturbato.
Se c’è un “di più” che possiamo attribuire a Franco Battiato, è proprio questa sua straordinaria capacità di farci intendere che anche la musica, soprattutto la musica, specie se pop, può essere goduta pensando che oltre la terra, ci sia il cielo.
Il dono che Battiato ha regalato a tutti noi è proprio questo: tra rime smielate, tipo “sole-cuore-amore”, e melodie strappalacrime e un po’ sempliciotte, c’è sempre posto per un grande spartito musicale dove la musica gira tra correnti gravitazionali e geometrie esistenziali, alla ricerca di un infinito che accarezzi l’uomo.
Perché il punto di arrivo, o di inizio, per Battiato è nel guardare oltre: e oltre il finito, c’è sempre l’infinito. Il tutto, il cosmo, l’Altrove, l’al di là. E una ricerca di questo Altrove che non si ferma, anche quando la morte sembra aver detto l’ultima parola.
di Gianni di Santo
Testo e immagine tratti da segnoweb.azionecattolica.it
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