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Battisti. Così spiccò il volo il suo canto libero.

Tra i luoghi delle sue canzoni. Il carretto che passava e vendeva gelati è un'invenzione, quelli da sempre si comprano al baretto di piazza Emo Battisti, il cognome più diffuso tra i pojani che Lucio descrive...


Battisti. Così spiccò il volo il suo canto libero.

da Quaderni Cannibali

del 02 settembre 2008

È stata proprio un’avventura se quel “riccetto cicciotello”, nato in un angolo di paradiso, celato dai monti muschiosi del reatino, è riuscito a farsi strada e a diventare un mito nell’«intronata routine del cantar leggero». Dopo discese ardite e risalite si arriva nel borgo di Poggio Bustone: è partita da qui il 5 marzo 1943 la cometa, ancora luminosa, di Lucio Battisti. Questo è anche il paese dello statista Dc Attilio Piccioni, ma in ogni vicolo e piazzetta che si dipana dai musicali Giardini di Marzo, tutto parla di Lucio. I pojani vivono in simbiosi con il ricordo indelebile delle sue canzoni e le forti Emozioni che ha trasmesso con la sua presenza poetica, discreta. «Una tenerezza struggente è il tratto inconfondibile di Lucio – dice la sua amica d’infanzia Alida Santori –. Da piccolo lo prendevano in giro perché era un po’ grassottello. Allora io lo tenevo per mano e facevamo a gara ad arrivare in un’ora, andata e ritorno, dal paese fino al fiume di Santa Susanna. È quello il luogo che a Lucio ha ispirato Una giornata uggiosa, così come il «mare nero» della

 Canzone del sole è una reminiscenza infantile del laghetto vulcanico a Vasche di Castel Sant’Angelo, dove la sua famiglia si era trasferita dopo la guerra e in cui andava con la zia Fatina. Anche I giardini di marzo è nata a Poggio, in quella piazza in cui c’è la statua di San Francesco al primo sole di primavera c’era sempre una scolaresca che usciva fuori a giocare».

  Il carretto che passava e vendeva gelati è un’invenzione, quelli da sempre si comprano al baretto di piazza Emo Battisti, il cognome più diffuso tra i pojani che Lucio descrive in Gente per bene e gente per male.

  «L’immagine in cui bussava alla porta dove si teneva la festa e non lo facevano entrare e lui che canta, “eppure io son buono”, me la ricordo bene e mi commuove – continua Alida –. Così come provo sempre un brivido forte quando nel verso successivo dice: “non feci mai del male, mio padre è guardia comunale, mia madre lavora all’ospedale...”. Quelle erano le professioni dei miei genitori che lui conosceva bene. Suo padre faceva il daziere, Dea la mamma, era una casalinga». Il padre, Alfiero Battisti, ha 93 anni e qualche volta torna in paese dove in via Roma c’è ancora la casa di famiglia. Una palazzina su due piani, fatiscente, «fra un po’ crolla», dicono sconsolati i vicini. L’unico segno battistiano è un poster ingiallito di Lucio che, nei primi giorni di settembre del ’98 aveva telefonato al geometra di Poggio, Giovanni Battisti, convinto a dare finalmente il via ai lavori di ristrutturazione. «Gli aveva chiesto di preparargli un gran progetto, perché quella casa la voleva trasformare in una reggia» ricorda la cugina, Ida Battisti. Da sempre vive nella casa di fronte. Conserva centinaia di foto, qualche lettera di Lucio militare e uno dei foulard che indossava nelle prime esibizioni televisive: «Questo – lo mostra – è il ricordo più bello che mi resta e quando lo rividi per l’ultima volta glielo dissi che ancora lo tenevo. Gli fece tanto piacere…». Una settimana dopo quella telefonata al geometra era giunto, inatteso, il tempo di morire, il 9 settembre, Lucio a 55 anni se ne è andato per sempre. Un vuoto nell’anima di chi lo ricorda arrivare a fari spenti nella notte nel suo paese per sfuggire alle luci accecanti di una ribalta mai richiesta. «Quando tornava, gli piaceva accompagnare un complesso locale, i Rooks, I Corvi.

  Chiedeva al batterista, Omero Palmegiani, di poter suonare lui la batteria – ricorda Antonio Santori –.  Però appena Lucio si metteva alla chitarra, Poggio Bustone si bloccava.

 

Una volta era tornato per aiutare il papà ad aggiustare il tetto della casa e subito si accalcarono un sacco di ragazze sotto che volevano salutarlo.

  Lucio allora prese il tubo dell’acqua e per gioco cominciò a schizzarle… Tanta gente secondo me non ha compreso veramente quale fosse la vera anima di Battisti». È un Battisti anche Pompilio – suo fratello si chiama Lucio ed è nato nel 1970 –: «Il rammarico più grande è che Lucio non ha mai avuto la considerazione che meritava. Stiamo parlando dell’unico vero fenomeno sociale che ha avuto la musica leggera italiana. Un po’ come i Beatles per l’Inghilterra». Un fenomeno che all’indomani dell’ultimo volo d’aquila che compì per staccarsi da questa terra, i pojani vollero onorare con un’associazione e un premio intitolati a lui, con l’unico obiettivo di promuovere la sua musica e di lanciare qualche nuovo giovane talento. Aderirono subito tutti i cantanti e i gruppi della sua generazione: l’Equipe 84, Pietruccio Montalbetti con i Dik Dik, Roby Matano che cominciò con Battisti nel gruppo I Campioni e che ha la cittadinanza onoraria a Poggio Bustone. Fra tutti gli artisti passati a commemorare la sua sterminata produzione qui si ricordano di un concerto toccante di Bruno Lauzi che cantò per il suo amico Lucio, senza chiedere una lira.

 

Altri non hanno fatto lo stesso. Molti hanno speculato sulla memoria di chi ha cominciato cantando Per una lira, danneggiando pesantemente i suoi affezionati compaesani, i quali sono stati diffidati dalla vedova di Battisti dall’organizzare un premio che rechi il suo nome. Cosa che non ha fatto invece il “temerario” sindaco di Ostra Vetere (Ancona) che incurante degli strali degli eredi è già alla quinta edizione del “Festival Lucio Battisti”.

  Così, non potendo uno scoglio piccolo come quello di Poggio, aggirare il grande mare dell’ottusità, ci si consola con la Sagra delle Sagre del factotum gastronomico Pietro Mostarda. E due giorni prima della Notte bianca in onore di Lucio, il 9 settembre, l’infaticabile Gabriella Rinaldi manda in scena l’alternativa, il festival di musica d’autore indipendente, il premio Poggio Bustone. «È un premio che purtroppo non può avere il suo nome e ci dispiace perché lo facciamo solamente per offrire delle opportunità a dei ragazzi, come era Lucio quando ha cominciato – spiega Gabriella –.

  Noi ci sentiamo in obbligo di fare qualcosa per rispettare la sua memoria. Qui c’è solo gente come me che lo ha conosciuto e che gli ha voluto un mondo di bene e che vorrebbe onorarlo portando avanti quel messaggio d’amore che arriva dalle sue canzoni. Invece come non esiste ancora una via o una piazza così non ci può essere un premio da intitolare a Lucio Battisti, nonostante l’amministrazione comunale sarebbe pronta a farlo».

 

Giornate uggiose, anche in questo settembre caldo pieno di nostalgia, senza poter rendere il dovuto omaggio a quel ragazzo che dalle nebbie di Molteno dove si era rifugiato cantava: «Sogno il mio paese infine dignitoso e un fiume con i pesci vivi a un’ora dalla casa…». In quella casa potrebbe nascere un museo e un centro di documentazione che farebbe la gioia di tutti i battistiani. Il sindaco di Poggio Bustone, Alberto Cerroni, ne è convinto e continua a coltivare la speranza: «Lucio e la sua poesia sono un bene che appartiene al mondo e a noi piacerebbe moltissimo mettere a disposizione di tutti coloro che amano la sua musica uno spazio dove poterlo ritrovare. Italo Gnocchi, il suo più grande collezionista, ha già detto che metterebbe a disposizione tutto il materiale, dalle copertine dei dischi introvabili (i 45 giri Per una lira e Luisa Rossi) alle riviste che in tutti questi anni hanno scritto intorno al mito di Battisti». Un mito che non ha mai staccato il cordone ombelicale con il suo paese e che nelle rare concessioni alla stampa ricordava: «Non scrivo mai una canzone che non sia comprensibile anche a Poggio Bustone». E qui tutti, con il tempo, hanno capito il loro Lucio e la sua straordinaria avventura.

Massimiliano Castellani

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