Bellezza di un Crocifisso?

La vera bellezza è la telefonata che non ti va di fare, è il sorriso all'ennesimo ambulante, la preghiera per chi ti offende, insulta, attacca, chiedere scusa anche quando hai ragione, dare tempo a qualcuno pur sapendo che poi dovremo fare tardi per finire ciò che l'indomani va consegnato, parlare quando non ti va...

Bellezza di un Crocifisso?

da Teologo Borèl

del 06 aprile 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

Per la giornata di oggi condivido con voi una immagine che amo molto, accompagnata dalle parole di un libro che consiglio caldamente, grazie al quale ho scoperto questa immagine. L’autore è franco-cinese, non credente.

“Pensiamo a tutti coloro che, innocenti, sono costretti a subire terribili prove, fisiche o morali; per poco che, attraverso dolori e sofferenze, riescano a mantenere quella scintilla di luce che sorge dall’anima umana, avvertiamo questo straziante bagliore di bellezza che traspare dal loro volto emaciato, sfinito. Ebbene sì, la bellezza non può mai farci dimenticare del tutto della nostra condizione tragica. Esiste una bellezza propriamente umana, ed è questo fuoco dello spirito, che arde, se arde davvero, al di là di ogni tragicità.

Non tutti gli esseri umani sono costretti a passare attraverso le prove di cui ho parlato. Ma tutti possono prendere parte a quella grandezza che sorge dalla dignità interiore dell’essere umano che affronta il terribile in nome della vita. Forse per questo tra i più grandi capolavori dell’arte occidentale ci sono dipinti che rappresentano la Pietà. Prendiamo la Pietà di Avignone del Louvre, uno dei più impressionanti. Questo quadro, dipinto da Enguerrand Quarton nel 1455 rappresenta il primo grande esempio in Francia di pittura su tavola. L’artista, senza lasciarsi influenzare dalla tradizione di scuola e da preziosismi tecnici, ha racchiuso in quest’opera tutta la forza della sua anima. Il corpo del Cristo è disposto in orizzontale lungo il quadro, un corpo irrigidito e spezzato, con le gambe penzoloni, il braccio destro abbandonato con al fondo le dita della mano contratte. Attorno al corpo morto sono disposti tre personaggi. A sinistra, Giovanni si sporge in avanti in direzione della testa del Cristo, mentre con le mani, in un gesto di devozione che lascia trasparire un amore filiale infinito, cerca di togliere le spine conficcate nel cranio del crocifisso. Dalla parte dei piedi di Cristo, e cioè a destra, c’è Maria Maddalena. Anche lei si sporge in avanti, mentre con la destra regge un vaso di profumo. Il suo abito rosso ricopre metà del corpo del Cristo, quasi come un riflusso di sangue. Il lembo della fodera rivoltata della veste in cui si asciuga le lacrime è di colore giallo, e richiama i raggi dorati che emanano dal capo di Cristo. Dal volto pallido della donna, si riconosce la guancia ancora vibrante di passione e le labbra dischiuse, come se continuasse a chiamare l’uomo, mormorandogli quelle parole d’amore mai pronunciate, e mai interrotte. Al centro sta la Vergine. Sulle sue ginocchia è posato il corpo del figlio. E’ vestita di un abito color notte che fa risaltare ancora più violentemente il colorito cereo del suo volto, con le palpebre abbassate e la bocca chiusa. Sembra quasi di udire il suo grido muto di dolore e insieme di stupore. Con il busto eretto, è l’unica figura verticale del dipinto, mentre le altre due si trovano in posizione orizzontale o obliqua. Così, diritta, Maria sembra attendere, nel profondo del suo dolore, una risposta che giunga dall’alto.

Il nostro sguardo ritorna ora di nuovo al Cristo e si fissa sul suo corpo scheletrito che struttura tutto il quadro e ne costituisce, per così dire, l’ossatura e quasi, paradossalmente, la linea di forza. Vediamo che è lui che riunisce e collega gli altri personaggi, coinvolgendoli in un movimento di convergenza e condivisione. E’ lui che, dopo aver causato in tutti lacrime di disperazione, sembra ora l’unico in grado di asciugarle. Questo corpo mortalmente irrigidito e spezzato diventa improvvisamente l’immagine di una nobile intransigenza, perché ci ricorda la terribile decisione che il detentore di quel corpo ha preso di morire, cioè di provare che l’amore assoluto può esistere e che nessun male è in grado di alterarlo o infangarlo.

Qualcosa allora comincia ad animare tutto il dipinto: un soffio tenue, come di un’altra natura, sorge dalle piaghe venate di sangue secco. Un’evidenza si impone ora ai nostri occhi: questo corpo disteso è il risultato di un ‘bel gesto’ che ha saputo suscitare tutti gli altri – quelli di Giovanni, di Maria Maddalena e di Maria. E’ stato necessario che questo corpo fosse ridotto quasi a nulla, spogliato in un denudamento totale, depurato da tutte le scorie e le pesantezze, perché potesse divenire il consolatore. Lui solo, ora, è in grado di consolare. E’ questo il trionfo sulla morte.

La bellezza come forma di redenzione, è forse questo il vero senso della frase di Dostoevskij ‘La bellezza salverà il mondo’? A queste parole fanno eco quelle di un contemporaneo, Romain Gary: ‘Non credo che possa esistere un’etica degna dell’uomo che sia altro da un’estetica della vita accettata consapevolmente, e ciò fino a giungere al sacrificio della vita stessa. Bisogna riscattare il mondo con la bellezza – bellezza del gesto, dell’innocenza, del sacrificio, dell’ideale’.”

(Francois Cheng, Cinque meditazioni sulla bellezza, pp.55-8)

 

Credo fermamente che una bellezza incapace di abbracciare anche l’aspetto violento, drammatico, brutto della vita sia estetismo, decorazione, emozione passeggera. La vera bellezza trova l’armonia, anche nelle tenebre e le supera. La vera bellezza è amore che si realizza, perché si dona, e che per questo ci attrae, anche quando “non ha apparenza né bellezza / per attirare i nostri sguardi, / non splendore per potercene compiacere. / Disprezzato e reietto dagli uomini, / uomo dei dolori che ben conosce il patire, / come uno davanti al quale ci si copre la faccia”, come dice Isaia secoli prima del venerdì che oggi ricordiamo.

La vera bellezza è la telefonata che non ti va di fare, è il sorriso all’ennesimo ambulante, la preghiera per chi ti offende, insulta, attacca, chiedere scusa anche quando hai ragione, dare tempo a qualcuno pur sapendo che poi dovremo fare tardi per finire ciò che l’indomani va consegnato, parlare quando non ti va…

La vera bellezza è una mano che accarezza chi l’ha ferita. Questo oggi chiedo: quello che non so fare.

Alessandro D'Avenia

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