Questa sorpresa che ieri mi ha addolorato, colto impreparato, lasciato come orfano, e nello stesso tempo affascinato e riempito di mistero. Ho capito la grandezza di Paolo VI solo alla fine del suo pontificato. Ho amato immensamente Giovanni Paolo II...
“Questo Papa vi sorprenderaÃÄ”. Quante volte in questi otto anni abbiamo sentito questa frase, purtroppo usata da chi si augurava la sorpresa per i suoi avversari politici, culturali e anche ecclesiali. La sorpresa eÃÄ sempre arrivata puntuale, e tale era veramente per tutti. Anche la sorpresa di ieri.
Questa sorpresa che ieri mi ha addolorato, colto impreparato, lasciato come orfano, e nello stesso tempo affascinato e riempito di mistero.
Ho capito la grandezza di Paolo VI solo alla fine del suo pontificato. Ho amato immensamente Giovanni Paolo II, trascinato dalla sua prorompente umanitaÃÄ. Benedetto XVI eÃÄ stato (lo saraÃÄ ancora per quindici giorni) il “mio”Papa. Avendo la fortuna di vivere a Roma ho cercato di non perdermi mai un suo Angelus domenicale. Ho letto i suoi discorsi, i suoi libri, le sue encicliche. Dopo quelle sulla caritaÃÄ e sulla speranza mi mancheraÃÄ quella sulla fede (a meno che anche qui non ci riservi una sorpresa), ma forse per redigerla basteraÃÄ mettere insieme le sue udienze del mercolediÃÄ di questo Anno della fede. PeroÃÄ sono gli Angelus che mi hanno fatto capire il suo particolare rapporto con il popolo cristiano e anche con chi cristiano non eÃÄ.
Ricordo un fatto del suo inizio di pontificato, quando il portavoce del suo predecessore, lo spagnolo Joaquin Navarro Valls, gli parlava dell’importanza dell’immagine nell’odierna societaÃÄ della comunicazione globale; il Papa lo interruppe – cosiÃÄ raccontoÃÄ lo stesso Navarro – e gli disse: “Credo piuttosto che nel mondo d’oggi un’idea valga piuÃÄ di mille immagini”. Ed eÃÄ questo quello che succedeva in Piazza San Pietro ogni domenica.
Le folle che accorrevano con Giovanni Paolo II venivano spesso per “vedere” il Papa. Ricordo il suo ultimo Angelus, eravamo in tanti fuori dal colonnato dal lato del Sant’Uffizio, in fila indiana negli spazi che tra una colonna e l’altra permettevano di vedere la finestra del suo studio, Giovanni Paolo II si affaccioÃÄ, tentoÃÄ vanamente di parlare e noi stemmo laÃÄ, a guardarlo. La folla altrettanto numerosa, in certi momenti anche piuÃÄ numerosa, che accorreva da Benedetto XVI aveva un atteggiamento diverso, era liÃÄ per “ascoltare” il Papa. Non fraintendetemi, le parole di Karol Wojtyla restano indimenticabili, quelle di Joseph Ratzinger hanno avuto per me l’accento di chi si appella a un tuo assenso ragionevole.
Ieri ha detto: “Coscientia me iterum aque iterum coram Deo esplorata ad ognitionem certam perveni...”. La traduzione italiana non ha la forza di quell’“iterum atque iterum”, ripetutamente ho esaminato la mia coscienza davanti a Dio e sono giunto alla certezza...
Se serviva una ulteriore dimostrazione dell’infinito rispetto che la Chiesa ha per la coscienza e la libertaÃÄ di ciascuno di noi, ieri ne abbiamo avuto la testimonianza piuÃÄ alta. Veramente la religione e l’atto di fede eÃÄ cioÃÄ che l’uomo fa nella sua solitudine. In soccorso della nostra solitudine e delle nostre incertezze di fedeli c’eÃÄ sempre la possibilitaÃÄ del ricorso e dell’appello a un’istanza piuÃÄ alta, fino al Papa. Lui non ha altri cui appellarsi, e in questa sua imponente testimonianza capisco come al fondo della solitudine ci sia allora una compagnia, un Tu, “coram Deo”, di fronte a cui siamo responsabili della testimonianza della veritaÃÄ.
Si sprecheranno le analisi sui motivi di politica ecclesiale di questa rinuncia, motivi che si nasconderebbero dietro il venir meno del “vigore sia del corpo, sia dell’animo”, ma resta invece impenetrabile il mistero della coscienza che decide, e dell’uomo che si umilia davanti al mondo dicendosi “consapevole della gravitaÃÄ del suo gesto”, ma che “con piena libertaÃÄ” ritiene di non essere piuÃÄ in grado di “governare la barca di san Pietro”. Sa che questo ministero “puoÃÄ essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando”, ma sente il “dovere” (usoÃÄ questo termine nel libro-intervista con Peter Seewald) di dimettersi percheÃÅ si accorge che non eÃÄ piuÃÄ in grado di “governare”. C’eÃÄ chi ha detto che “non si scende dalla croce”. Secondo me, con questo passo, doloroso per seÃÅ prima che per noi, Benedetto XVI ci eÃÄ salito definitivamente. Ci saraÃÄ il tempo per l’analisi sulla situazione inedita nella quale si viene a trovare la Chiesa e nella quale opereraÃÄ il suo successore, saraÃÄ un tempo per capire e potraÃÄ essere anche un modo per fuggire dall’unica vera domanda che pone a ciascuno di noi questa testimonianza di fede di Benedetto XVI, l’urgenza della nostra conversione.
Mentre ieri continuavo incredulo a leggere le agenzie di stampa, ho pensato alla profonditaÃÄ in cui si eÃÄ innestata nel cuore del Papa, in questo periodo in cui ha maturato la decisione, la frase “Mia forza e mio canto eÃÄ il Signore”.E ho dovuto constatare ancora una volta la veritaÃÄ della sua visione e del suo richiamo: “Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, cioÃÄ che purtroppo eÃÄ sempre meno realista”.
Mi eÃÄ tornata alla mente anche una frase di GesuÃÄ, rivolta ai suoi prima della Passione: “E’ bene per voi che io me ne vada”. La sentii ripetere negli ultimi anni della sua vita, applicata a seÃÅ, anche a don Luigi Giussani.
Ne ho avvertita l’eco nella dichiarazione del Papa quando parla di “decisione di grave importanza nella vita della Chiesa”. Il suo eÃÄ in fondo un gesto di paternitaÃÄ, e di fede nella certezza che la guida della Chiesa eÃÄ in mani sicure, ben oltre la splendida apparenza della sua persona, della sua intelligenza, della ricchezza del suo magistero, della sua disarmante semplicitaÃÄ, del suo coraggio nell’azione di purificazione della Chiesa.
Ci voleva un uomo cosiÃÄ per smontare anche il cinismo dei romani. Si eÃÄ abusato spesso della frase “niente saraÃÄ piuÃÄ come prima”, non la useroÃÄ certo in questa occasione, ma finalmente non si potraÃÄ piuÃÄ dire “morto un Papa se ne fa un altro”.
Ubaldo Casotto
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