Quanta solitudine c’è nel mondo di oggi? Tantissima. Più di quanto possiamo immaginare. È un problema che tocca soprattutto i giovani...
del 15 febbraio 2017
Quanta solitudine c’è nel mondo di oggi? Tantissima. Più di quanto possiamo immaginare. È un problema che tocca soprattutto i giovani...
Quanta solitudine c’è nel mondo di oggi? Tantissima. Più di quanto possiamo immaginare. È un problema che tocca soprattutto i giovani, che si ritrovano spesso a fare i conti con un mondo fatto di silenzi, di maschere, di rapporti non sinceri e ingannevoli.
Può sembrare paradossale parlare di solitudini in un’epoca come la nostra, in cui, apparentemente, la comunicazione sembra diventare sempre più facile. Oggi basta spingere il tasto di un computer per inviare in pochi secondi un’e-mail da Roma a New York, da Londra a Mosca, da Parigi a Pechino. Il semplice gesto di un dito della mano è sufficiente per metterci in contatto con il mondo intero.
Eppure, nonostante questa apparente facilità di comunicazione, alcuni giovani sembrano essere intrappolati in stati di emarginazione completamente nuovi, figli del tempo in cui viviamo.
Una grave forma di solitudine è quella che nasce dalla mancanza di accoglienza, dal pregiudizio e dal rifiuto delle diversità. È quella sensazione che ci spinge a non comunicare con gli altri perché, dentro di noi, li abbiamo già giudicati, catalogati, scartati, messi da parte.
Capita spesso di avere questo tipo di atteggiamento di chiusura nei confronti del prossimo. Non lo avviciniamo perché ha idee diverse dalle nostre, un colore della pelle differente o chissà quale altra cosa che ci spinge ad avere un pregiudizio nei suoi confronti.
Il pregiudizio è una cosa terribile, perché, come dice la parola stessa, è un “giudizio dato prima”. Prima di conoscersi realmente, di dialogare, di guardarsi negli occhi. A volte questo giudizio può diventare una sentenza di morte, perché uccide la comunicazione, il dialogo, la possibilità di trovare un nuovo amico. Ed è così che nascono le guerre, i silenzi, i piccoli conflitti irrisolti della vita quotidiana.
La paura del giudizio (o del pregiudizio) degli altri genera solitudine. Forse per questa ragione, oggi, tanti ragazzi scelgono le relazioni virtuali di internet al posto di quelle reali. Così facendo, si sentono meno giudicati e più protetti.
Oggi tanti giovani trascorrono le loro giornate di fronte al computer, navigando tra un sito e l’altro o parlando attraverso le chat e i social network. Il risultato è una falsa comunicazione, che rischia di degenerare nell’isolamento, nell’incapacità di sostenere un autentico rapporto con gli altri.
Sono tante le pressioni psicologiche che i giovani subiscono nella società odierna. Viviamo nell’era dell’immagine, in cui tutto dovrebbe essere perfetto. Le edicole sono piene di calendari con le fotografie (a volte ritoccate al computer) di modelle e attrici dalla bellezza irraggiungibile. Gli stessi falsi miti dominano anche la televisione, le copertine delle riviste e gli spot pubblicitari.
Alcuni ragazzi, che non riescono ad assomigliare a certi modelli di perfezione assoluta, rischiano di entrare in crisi. Si sentono incompleti, quasi inferiori. Oppure percepiscono di essere diversi e temono di essere rifiutati per la propria diversità.
Per questa ragione preferiscono l’ambiente protetto del web, dove hanno la possibilità di nascondersi e di scoprirsi a poco a poco, lentamente, con un po’ di prudenza.
Ma per quanto tempo può andare avanti questo meccanismo di protezione? E quali danni potrebbe provocare?
Esprimersi ossessivamente attraverso i tasti di un computer significa rifiutare di confrontarsi con altri esseri umani. Significa cedere alla paura di essere giudicati. Significa gettare la spugna e dire “Hanno vinto loro. Ci sono riusciti. Mi hanno intrappolato nel mio guscio di solitudine”.
È importante, invece, cercare le persone vere e non lasciarsi condizionare dal dito accusatore degli altri. Non è facile, ma ci si può provare. Bisogna uscire dal guscio e tuffarsi nella vita vera, restando fieri della propria unicità e diversità.
Carlo Climati
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