Il “Gioco della Balena Azzurra”, viene definito un horror-game a causa delle prove cruente e psicologicamente devastanti che vengono richieste ai partecipanti, soprattutto adolescenti...
del 25 maggio 2017
Il “Gioco della Balena Azzurra”, viene definito un horror-game a causa delle prove cruente e psicologicamente devastanti che vengono richieste ai partecipanti, soprattutto adolescenti...
Il Blue Whale Game, letteralmente “Gioco della Balena Azzurra”, viene definito un horror-game a causa delle prove cruente e psicologicamente devastanti che vengono richieste ai partecipanti, soprattutto adolescenti. Si chiama così perché fa riferimento al fatto che le balene blu a volte tendono a spiaggiarsi, quindi a morire, come se si suicidassero. Non bisogna farsi ingannare dal fatto che lo chiamano “gioco”, perché di divertente non ha veramente nulla, anzi, i ragazzi rischiano di cadere vittime di un effetto contagio e di essere manipolati, con conseguenze davvero devastanti.
Ci troviamo di fronte ad un’attività criminale organizzata e il governo russo sta inasprendo le pene per chiunque istighi il suicidio o promuova azioni pericolose che possano indurre i minori alla morte.
Il Blue Whale non è un'applicazione; non è scaricabile con il download libero ma è necessario essere invitati a giocare, quindi, gli “adolescenti bersaglio” vengono adescati tramite hashtag, gruppi chiusi e specifici link sui social media, dove vengono attratti nella rete e manipolati al fine di accettare il “gioco”, che ha come epilogo la loro morte. Una volta che si cade nella rete del gioco, questi criminali possono prendere possesso dei dati social del ragazzo o della ragazza vittima e iniziare a fargli il lavaggio del cervello, spaventandolo e incitandolo a giocare attraverso le minacce, sostenendo, poi, di essere a conoscenza di tutte le sue informazioni e che, una volta iniziato il “gioco”, non si può più interrompere o tornare indietro.
Si tratta di un gioco a tappe che si snoda nell’arco di 50 giorni, dove viene richiesto alla vittima di superare una serie di prove, una al giorno, in un’escalation di difficoltà e violenza.
Nello specifico, ogni iscritto è assegnato ad un amministratore, il cosiddetto “curatore”, che avrà il compito di dare le istruzioni da seguire, spiegare le regole e chiedere alla fine di ogni esercizio, la testimonianza che sia stato realmente portato a termine.
Ogni prova deve essere, quindi, documentata attraverso foto e video, inviate all’interno delle chat online, come dimostrazione ufficiale del superamento dei diversi step. Non sono ammesse foto ritoccate con i programmi per modificare le foto o fotomontaggi: vengono richieste solo testimonianze vere per poter procedere con il gioco.
Tra le prove viene chiesto alle giovani vittime di guardare film horror tutto il giorno, di svegliarsi ad orari improponibili del mattino e tagliarsi con lamette e coltelli per incidersi l’immagine di una balena o di altre scritte, come per esempio dei codici, direttamente sulla propria pelle (scarificazione). Tutto questo va ad intensificarsi nella parte finale del gioco, precisamente dal trentesimosimo al quarantanovesimo giorno, in cui le vittime vengono portate all’estremo. Si tratta di manipolazioni mentali e di esercizi che vanno a creare quelle condizioni di stress psico-fisico che abbassano le difese e rendono le persone ancora più vulnerabili di quello che già sono, fino a che non viene chiesto loro, al termine dei 50 giorni, la prova finale per “vincere” che è quella di uccidersi saltando giù da un palazzo. Dai casi di cronaca, si evince che questi ragazzi prima di compiere il gesto estremo, lasciavano l’ultimo messaggio disperato nella vetrina dei vari social network.
Sebbene non sia ancora stata dimostrata la relazione diretta tra i suicidi e il Blue Whale Game, almeno in Italia, sono tantissimi i teenagers che hanno perso la vita e che hanno preso parte a questi tipi di perversioni online. Ad esempio, per convincerli a partecipare viene detto loro che sono persone speciali, i cosiddetti “eletti” e che per loro esiste un mondo migliore. Ricordiamo che gli adolescenti, come alcuni adulti, "vivono" di like perché, più ne ricevono, più si sentono "famosi", questo, spesso, salva dalla disperazione della solitudine che viene comunque creata dalluso frequente dei social.
Purtroppo, quando ci si sente soli e disperati, quando non si crede più in nulla, si rischia di cadere più facilmente in queste trappole, di credere a certi messaggi e affidarsi alle mani sbagliate. Si cerca rifugio in rete, non ci si rende conto delle conseguenze drammatiche che può avere tutto ciò, viene tutto amplificato, lo schermo disinibisce e si attiva facilmente l’effetto contagio anche per questo tipo di “giochi mortali”.
Da un lato, ci sono ragazzi di per sé vulnerabili, a volte, infatti, vengono adescati proprio in base ai loro hashtag, in funzione di quelli che sono i loro punti deboli. Dall’altro lato, però, ci sono tanti ragazzi normalissimi con le tipiche fragilità adolescenziali, in cui viene indotto un abbassamento di tutte le funzioni cognitive e un vero e proprio stato depressivo attraverso il bombardamento sistematico e ripetitivo di immagini e video di morte o di suicidi, di musiche tristi e deprimenti. I messaggi subdoli che manipolano le loro menti sono incentrati principalmente sul fatto che la vita sia inutile, che non abbia alcun valore e che devono eseguire tutto quello che viene commissionato, senza opporsi, senza lasciare tracce e soprattutto senza insospettire le persone che li circondano.
È importante conoscere fenomeni come questi che si diffondono a macchia d’olio in rete e tutelare i ragazzi dalle trappole del web e dall’adescamento online da parte di malintenzionati disposti a qualunque cosa. Nel lato oscuro della rete, si può trovare davvero di tutto e il rischio è che i più piccoli si trovino da soli a comprendere e a gestire il vissuto che tutto questo gli genera. Sono tanti i ragazzi che si stanno incuriosendo; chi sembra più preoccupato, chi più attratto da questa tendenza e vanno alla ricerca di contenuti: "Ho visto persone che si tagliano e si disegnano una balena sul braccio", "Possono arrivare anche a me?" "Ho visto un video su Youtube e mi sono spaventata", "Sono curioso, vorrei scaricarlo per vedere com’è", "Non ne parlo con i miei, altrimenti vanno in ansia e mi sequestrano tutto, smartphone e pc".
Si parla troppo poco di questi fenomeni, i genitori dovrebbero essere informati di quello che può accadere per essere più vigili e capire cosa possono trovarsi davanti i propri figli. Non bisogna farsi vedere allarmati, ansiosi, altrimenti i figli non si aprono e se vogliono condividere qualcosa con voi di quello che hanno visto in rete, che li ha scossi o li sta preoccupando, se lo tengono dentro e non sanno con chi parlarne. Allo stesso modo è inutile punire o sequestrare i dispositivi elettronici perché il web è pieno di trappole e i ragazzi possono comunque venire a contatto con questi fenomeni tramite gli smartphone degli amici, ne parlano in classe e si incuriosiscono. Bisogna monitorarli, controllarli senza invadere troppo la loro vita e stare attenti a determinati segnali. Inoltre l’aspetto fondamentale è imparare ad osservare con più attenzione i propri figli, notare se ci sono dei cambiamenti di abitudini o di comportamenti che fino a quel momento non avevano mai messo in atto, monitorare costantemente a quali piattaforme si iscrivono, fare attenzione al materiale che condividono ma soprattutto guardarli negli occhi e capire da lì se c’è qualcosa che non va. Il web è pieno di pericoli per cui è fondamentale che i genitori, così come i ragazzi stessi, conoscano i meccanismi dell’adescamento e tutte le esche che possono esserci nel web, in modo tale da potersi accorgere di determinati segnali d’allarme e prevenire eventuali conseguenze negative. L’obiettivo deve essere quello di educare ad un uso sano e consapevole, monitorando l’attività dei figli e parlando con loro di tutto, così che non siano da soli a navigare nei meandri della rete. Noi formatori, in collaborazione con i vari organi di difesa, informiamo il più possibile, ma sta anche alle scuole, agli adulti e genitori, oltre che ai formatori-informatori, mettere attenzione a questa "guerra silenziosa" che ogni giorno porta a nuovi pericoli nella rete di internet.
Fabio Corvini
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