C come caffè. Quello della moka da sei, nella tazza grande della colazione, tenuta stretta stretta con due mani, nelle sere d'inverno: davanti al libro, dentro la tuta, raggomitolati...
C come caffè. Quello della moka da sei, nella tazza grande della colazione, tenuta stretta stretta con due mani, nelle sere d’inverno: davanti al libro, dentro la tuta, raggomitolati. Compagno di notti di studio quando ormai all’esame manca una manciata di giorni. Quello nero che ti guarda storto ma che ti coccola con i suoi vapori e le sue fragranze. Quello che ti dice: “Come al solito ti sei ridotto all’ultimo”; quello che supplichi: “Per favore non mollarmi: tienimi sveglio!”.
Perché è vero. Nonostante volumi di buoni propositi, giurati e spergiurati prima di ogni esame, all’ultimo ti ci riduci sempre: capitoli interi ancora da ripetere, schemi da mandare a memoria – sperando che il docente non ti chieda proprio quel libro che non hai nemmeno aperto. E allora notti di veglia, in attesa dell’alba del sapere. Col passare degli anni, poi, quello che si è studiato sfuoca piano piano, ma quelle notti chi se le dimentica. Sarà, forse, proprio per il caffè?
Il tempo va messo in conto: mescolato, come lo zucchero girato col cucchiaino. Senza non c’è vero e proprio studio. Il tempo non va sprecato, va gestito bene, con metodo e serietà. Deve essere lungo, come il caffè; e disteso, paziente.
Pigrizia e approssimazione sono nemici contro cui stare svegli. Leggiamo nel libro dei Proverbi: “Il pigro desidera, e non ha nulla, ma l’operoso sarà pienamente soddisfatto” (Pr 13,4). Determinazione e perseveranza fanno di questo tempo un tempo fecondo. Dice Gesù: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio” (Lc 9,62).
C come caffè. L’altro. Quello della macchinetta, nei corridoi o negli androni dell’università. Quello corto con la cremina, nel bicchierino di plastica molle: 30 centesimi tutto compreso, zucchero e bastoncino. Quello preso di corsa, tra un’ora e l’altra o dopo un panino trangugiato a pranzo. Quello delle quattro chiacchiere, degli incontri imprevisti o della battuta con chi non conosci.
L’università non è fatta solo di aule e biblioteche, ma anche di macchinette del caffè. L’università è luogo e tempo di confronto. Si commenta una lezione, si discute di un tema, ci si misura sull’affermazione di un docente. “Tu che ne pensi?”, “Come ti è sembrata quest’ora?”, “Hai sentito cosa ha detto quel prof.?”.
Il sapere e la conoscenza crescono tra i banchi e sui libri, ma anche, e non poco, nel dibattito e nell’approfondimento comune. Crescono nelle relazioni, nelle quali si impara a dire come la si pensa. È decisivo arrivare a fare una propria sintesi e a esprimere un proprio parere.
Un caffè condiviso è sempre un buon caffè. Il giovane professore di filosofia protagonista del film Centochiodi di Ermanno Olmi ad un certo punto dichiara: “Se mi volto indietro vedo solo pagine di libri: una vita fatta di carta… Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico”.
Nella Sacra scrittura la Sapienza è sempre personificata: la si desidera, la si incontra, ci si lega a lei e con lei si cresce. Regola la vita e le relazioni, il giudizio sul mondo e sul domani. “La sapienza è splendida e non sfiorisce, facilmente si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano. Chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà, la troverà seduta alla sua porta. Riflettere su di lei, infatti, è intelligenza perfetta, chi veglia a causa sua sarà presto senza affanni” (Sap 6, 12.14-15).
Di Don Bortolo Uberti
Tratto da http://www.universi-mi.it
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