C'è ancora stima?

Stimare è frutto di un'opera di discernimento, di valutazione che porta a cogliere gli elementi di valore presenti in una persona, in un gruppo, in una situazione.

C’è ancora stima?

 

          Smarrita nella società, insieme a tanti altri valori, spesso data per scontata nelle nostre comunità,  frutto di realismo e onesto discernimento, la stima va ricuperata per scoprire se stessi e liberare forze di comunione.           L’attuale panorama sociale e politico è deludente. Ogni giorno assistiamo a nuovi scandali e a scene avvilenti di palleggi di responsabilità in cui ognuno cerca di salvarsi la faccia sparlando di altri. Episodi rivelatori della mancanza di onestà, di rispetto della verità, di senso del dovere, di responsabilità, fotografano relazioni personali ridotte a volgare utilitarismo, riflesso della filosofia che regna nella nostra vita sociale, dalla politica all’economia. L’etica sta altrove.

          In questo processo di desertificazione del mondo dei valori umani e spirituali – che non risparmia affatto la vita consacrata – è palese la mancanza di rispetto e di stima. E non solo nei confronti di valori e del prossimo, ma anche di se stessi, poiché se non si esercita uno sguardo positivo, capace di vedere il bene presente nell’altro e intorno a sé, tale sguardo manca, in realtà, anche nella valutazione di se stessi.

          Questo scenario fa venire alla mente, come immediato controcanto, quel «gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12, 10) di san paolo che si rivela atteggiamento capace di contrastare le derive attuali. Stima, a quale prezzo?

          Dobbiamo ammettere che quella della stima reciproca è un tipo di gara che ci è pressoché estranea. Al massimo possiamo dire che qualche volta ci proviamo, ma non certo che “gareggiamo” nello stimarci a vicenda. Aspettarci e pretendere la stima altrui, quello sì, ci riesce bene. Anche perché ognuno di noi, almeno un po’, sente di valere e desidera sentirsi confermato nel proprio valore.

Ma che cosa intendiamo quando parliamo di “stima”?

          Il termine stima sta per giudizio, opinione, considerazione che ci si fa circa un oggetto, situazione o persona. Stimare è quindi frutto di un’opera di discernimento, di valutazione che porta a cogliere gli elementi di valore presenti in una persona, in un gruppo, in una situazione. Tutti ci aspettiamo stima dagli altri. Lo rivela quanto teniamo alla nostra immagine, al punto che si arriva a contraddire valori sacrosanti, come il rispetto e l’amore per la verità, pur di non perdere la faccia davanti agli altri.

          E allora: stima sì, ma a quale prezzo? Si può stravolgere la realtà o adottare la strategia del camaleonte pur di riscuotere consensi e considerazione dagli altri? La stima, lo sappiamo, non ha nulla da spartire con la menzogna.

          Il prezzo suggerito dal testo di s. paolo è la carità, specificato poco prima con le parole: «amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno» e più sotto con l’esortazione: «servite il signore!» (v. 10.11); un prezzo che comporta però una disposizione fondamentale: «Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (v. 2). Condizione necessaria per la stima è, dunque, uscire da una prospettiva di adeguamento supino al dettato delle mode di pensiero e di comportamento, per porre fondamenta più solide e oggettive, racchiuse nell’espressione «volontà di dio».

          Fondamento della stima di sé e degli altri è la prospettiva di dio e la sua opera, riconosciuta nella sua ragione originale, che è l’amore. Da qui può nascere anche quello sguardo contemplativo che è in grado di scoprire come il progetto di dio stia prendendo forma nella nostra storia. Questo sguardo ci aiuta a uscire da una visione autocentrata e a evitare l’ipocrisia nelle sue più varie declinazioni. Nella stima si cresce…

          Ma la stima non si improvvisa. Da un lato è frutto di un’esperienza di fede e di grazia che si compie nella storia, secondo il criterio dell’incarnazione, l’unico possibile quando si parla della relazione tra dio e l’uomo e dell’uomo con l’uomo, quando si parla di amore e di stima. Dall’altro è frutto di un cammino evolutivo in cui si siano sperimentati accoglienza, amore e stima gratuiti. Proprio la storia personale, tuttavia, ci parla di fatiche concrete nel vivere la stima di sé e degli altri.

          Vi sono persone, per esempio, che non stimano gli altri perché non sono in grado di vivere una relazione personale matura. Sono individui che, a motivo di vicende evolutive problematiche, si trovano da adulti a vivere le relazioni in modo infantile, solo a un livello utilitaristico, di sfruttamento, la cui logica si riduce al principio, non detto ma praticato: «tu per me! se no, non mi servi… non vali nulla!».

          Altre persone hanno un’autostima tanto bassa che, non valutando bene se stessi, non riescono a stimare realisticamente gli altri. La conseguenza pratica sta nel fatto che sovrastimano, idealizzano una o più persone e dipendono pesantemente da loro; oppure, al contrario, assistiamo a comportamenti di fuga, in cui si evitano le relazioni non appena si fanno più personali ed esigenti… Vi sono anche persone che per valutare positivamente se stessi “devono” svalutare gli altri; individui che non riescono a vedere il positivo negli altri, insoddisfatti che non ballano se c’è una festa e non fanno il lamento se c’è un lutto (cf. mt 11, 16- 19).

          Altre persone, a motivo di esperienze deludenti, non trovano il modo di dare stima e fiducia agli altri. E finiscono per essere persone scontente, sospettose e polemiche, sempre pronte a notare ciò che manca, che non gli è stato dato, ma restii a riconoscere i doni già ricevuti.

          Altri, ancora, sono persone sempre inclini a lamentare la poca considerazione ricevuta, e costantemente alla ricerca di prove di stima… e in questo sforzo mostrano poca considerazione e stima degli altri, giungendo anche a detestarli. E non si rendono conto di “gridare”, con il loro atteggiamento, la contraddizione che li abita: chiedono agli altri quel che loro non sono disposti a dare!

          Alcune persone non riescono a riconoscere e apprezzare i doni degli altri perché li “sentono” come negati a sé, e si mostrano invidiose, scontente, in gravi difficoltà a leggere la realtà... Vi sono persone che vivono tutte prese da se stesse, in modo auto centrato e non riescono a sentire e pensare in termini di regole sociali e di stima… Sono tutte espressioni di ostacoli psicologici, prevalentemente inconsci, che condizionano lo sviluppo e il mantenimento della stima di sé e degli altri. …imparando lo stile di Dio

          Ogni persona è stata salvata dalla redenzione operata da dio in gesù cristo: mancare di stima è giudicare inopportuna questa scelta di dio, sottrarsi alla sua logica. Il giudizio è un grave pericolo, non ci aiuta ad avere una percezione realistica di noi stessi e degli altri. Per questo gesù ci ha messo in guardia dal giudicare. Ma a tutti viene spontaneo giudicare.

          Perché il giudizio è una sorta di autogiustificazione: vedere ciò che non va, mettere a fuoco il negativo dell’altro è un’azione diversiva che permette di passare sotto silenzio il proprio. La tendenza a giudicare favorisce un atteggiamento statico, acritico e a-temporale di fronte alla vita. Un atteggiamento che sul momento fa stare bene, dà la sensazione di essere migliori, ma che in realtà non fa crescere.

          È evidente che in questo atteggiamento giudicante contano molto il vissuto personale di stima, ricevuta in modo sereno e non ricattatorio, e altri ostacoli psicologici che condizionano anche la vita spirituale.

          San paolo esorta – tanto per fare degli esempi – a non sopravvalutarsi, a non porsi in competizione con gli altri, a vivere cercando unità, a fuggire l’ipocrisia, ad aprire il cuore e vivere l’ospitalità, a evitare la pigrizia e fare il bene, a benedire e non maledire, a condividere con chi gioisce e con chi piange, a fare il bene sempre, con umiltà, a vivere in pace con tutti, senza farsi giustizia da soli... (vv. 14-21).

          A livello teologale, le ragioni della stima di sé e degli altri stanno nel comportamento stesso di dio. Da sempre dio è fedele al suo amore, nonostante ogni infedeltà da parte nostra. Questa volontà di dio padre che non vuole perdere nessuno dei suoi figli è una costante della rivelazione. Più volte nel vangelo gesù ce lo ricorda: con la parabola degli operai dell’ultima ora (Mt 20, 1-16), del fico sterile (Lc 13, 6-9), dell’amministratore disonesto (Lc 16, 1-8), scegliendo di frequentare e stare con pubblicani e peccatori (Mt 9, 10-13), nell’episodio dell’adultera (Gv 8, 1-11), nell’incontro con zaccheo (Lc 19, 1-10), nel dialogo con la donna samaritana (Gv 4,5ss)… tutti esempi della stima che Gesù ha per ogni persona, compresi gli “irrecuperabili”, i peccatori pubblici che si vorrebbero emarginare, eliminare.

Scoprirsi sempre nuovi

Perché Gesù si comporta così?

          Perché solo la stima ci ravviva nel cuore la speranza di un cambiamento che alle nostre sole forze parrebbe impossibile, se non ci fosse qualcuno che ci aiuta a crederci, che con la sua stima ci conferma di poter sempre crescere, cambiare, per quanto sia stata problematica e travagliata la nostra esperienza di vita. La stima è una scelta positiva, che promuove la persona, perché riconosce in lei i doni ricevuti da dio e la stimola a viverli pienamente. È uno strumento educativo efficace poiché, oltre a confermare all’altro la sua oggettiva positività, favorisce il suo desiderio di coinvolgersi sempre più nella realtà, di vivere con responsabilità la sua vita.

          Il contesto di relazioni in cui viviamo ci segna molto più di quanto riusciamo a immaginare. Al punto che, potremmo dire, si riesce a vivere un atteggiamento di stima, ascolto ed empatia solo se abbiamo fatto nostra questa consapevolezza di quanto l’altro è importante per la nostra vita e la nostra identità. Chi matura questa consapevolezza sceglie di rispettare l’altro e non si scandalizza delle differenze e delle fatiche personali poiché, al di sopra di tutto, coglie il valore di vivere e lavorare insieme. Questo scambio e confronto positivo trasforma la nostra identità.

          Per questa ragione le indicazioni parenetiche di san paolo non si riducono a un fervorino moralistico: sono un’indicazione sapienziale per stare nella logica della vita. “Gareggiare nella stima reciproca” non è lo scopo finale della vita. Seguire questo invito significa continuare a imparare chi siamo, a imparare chi è dio e come rispondere al suo amore... consapevoli che ciò avviene solo progressivamente e attraverso l’incontro e la mediazione degli altri.

          Forse non l’abbiamo sempre presente, ma vivere insieme significa non solo lavorare per un progetto, ma ritrovarsi con una identità di sé nuova: un’identità che non potremmo costruire senza l’incontro, il confronto, lo scambio quotidiano con gli altri, perché sono questi scambi a far maturare l’identità. Avere stima, allora, significa riconoscere all’altro il diritto di intervenire nel proprio cammino di crescita. Capiremmo, addirittura, che non basta che “io” provi stima, empatia, accoglienza, comprensione, accettazione, ma bisogna che accetti di lasciarmi cambiare dall’altro… è molto di più.

          Se andassimo oltre il clima di moralismo e volontarismo che ha fatto diventare centrale ciò che è solo secondario (regole, precetti, consuetudini), saremmo una testimonianza più convincente di libertà e realizzazione della nostra umanità, un segno di speranza. Cercheremmo di vivere servizio, umiltà, stima, accoglienza, gratuità non come “virtù morali” per metterci a posto la coscienza, per diventare “bravi ragazzi che non danno dispiaceri a papà”, ma come condizioni indispensabili per procedere nel cammino della vita, dell’identità; vere e proprie “virtù”, energie che rivelano quanto stiamo accogliendo il dono della vita, quanto siamo aperti allo Spirito di Dio che ci ha voluto “figli”, e attraverso la mediazione degli altri ci costruisce come tali. Vivere in modo evangelico sarebbe un’implicita espressione di stima e una celebrazione del dono di essere tutti figli di dio, membra del corpo di cristo risorto, matrice della nostra identità.

 

 

Enzo Brena

 

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