Canto d'amore di uno studente credentein morte della sua professoressa atea

"Così ho preso la macchina e son venuto là alla stazione dei treni, davanti al cimitero in un turbinio di neve che proprio allora stava impazzando. Oh ti sarebbe piaciuto Doretta quell'accorrere dai quattro angoli del mondo di compagni di cento battaglie, di ex alunni timidi e mai più rivisti diventati a loro volta nonni, innamorati allora come ora della tua signorile intelligenza..."

Canto d'amore di uno studente credentein morte della sua professoressa atea

da Quaderni Cannibali

del 06 febbraio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); Non c'è cosa più amara che l'alba di un giornoin cui nulla accadrà. Non c'è cosa più amarache l'inutilità… La lentezza dell'ora è spietata, per chi non aspetta più nulla.Val la pena che il sole si levi dal maree la lunga giornata cominci? Domanitornerà l'alba tiepida con la diafana lucee sarà come ieri e mai nulla accadrà… (C. Pavese, Lo Steddazzu)

 

Carissima Doretta,           mia professoressa di una intensa stagione della vita: anni 68/69, quelli della rivoluzione, in cui tutto doveva e poteva cambiare; questo è più di un ringraziamento di uno dei tanti alunni che ti ha incrociato tra i banchi di scuola, questo è un canto d’amore per te…

           Credo di avere ancora in una antica borsa tuoi appunti su Cesare Pavese di cui eri innamorata e ci innamoravi. Sappiamo che cosa voleva dire fare ciclostilati allora: il testo doveva essere battuto su matrici cerate su cui non si doveva sbagliare niente, altrimenti occorreva correggere per rifare lo strato di cera. Tu facevi i ciclostilati su questo scandaloso scrittore, inquieto, aperto, appassionato come te. E qualcuno ti seguiva e leggeva ’sto Pavese che non era nel programma ma piaceva tanto a ’sta Doretta Baron.

           Pavese piacque anche a me; i suoi libri sono ancora nella mia biblioteca di casa, con le sue intuizioni, le sue attese, le sue preghiere e le sue bestemmie e l’ho spiegato e fatto leggere ai miei tre figli e ai miei studenti. A me poi successe qualcosa, un incontro che diede possibilità di sviluppo a quell’attesa e che mi fece riconsiderare con più attenzione ancora la tua lezione di cui resterò grato…

           Fu per questo che l’altro giorno chiesi l’ora al mio preside per venire da te, e lui mi disse che era giusto che io venissi perché la scuola deve riconoscere e piangere i suoi maestri…

           Così ho preso la macchina e son venuto là alla stazione dei treni, davanti al cimitero in un turbinio di neve che proprio allora stava impazzando. Oh ti sarebbe piaciuto Doretta quell’accorrere dai quattro angoli del mondo di compagni di cento battaglie, di ex alunni timidi e mai più rivisti diventati a loro volta nonni, innamorati allora come ora della tua signorile intelligenza, della tua tenera ironia, del tuo disincanto appassionato…

           Ti sarebbe piaciuto il nostro turbinare come i fiocchi di neve al cancello del cimitero davanti alla tua bara, quasi afasici, incapaci di una parola completa come per una interrogazione impreparata. Ti sarebbe piaciuto quel tentativo di parole rotte dal pianto portate dalle folate intermittenti del vento di bora verso il cimitero del Lusenzo.

           Ti è piaciuto quel tenero manto di neve con cui il Cielo ha mescolato le lacrime di Sergio e dei tuoi figli e le nostre. Ed è giusto si pianga, perché i prof quelli veri, quelli che ci hanno lasciato il logos, o la ricerca del logos, abitano uno spazio del cuore.

           Io ho insegnato nella scuola religione e sono sempre partito da quell’alfa privativa dell’a-teos spiegando ai miei studenti che proprio chi è senza Dio, se è leale con se stesso, ne ha ancor più sete e quell’alfa non definirà mai uno status ma una ricerca inesausta, un combattimento inesauribile come quello di Giacobbe con lo sconosciuto che lo tiene avvinto fino all’alba e poi lo tocca all’anca sì da lasciarlo sciancato.

           Per questo, al termine di questo compito per te, che ho definito pretenziosamente canto, lascia che riprenda alcune parole da quel mestiere di vivere che m’hai fatto conoscere e che dice di un Cesare alle soglie della fede, comunque di fronte ad una ultima possibilità… che con genialità d’espressione così definisce:

           “Una rinuncia a tutto, una sommersione in un mare di amore, un mancamento al barlume di questa possibilità. Forse è tutto qui: in questo fremito del 'se fosse vero!' Se davvero fosse vero... '

La terra ti sia lieve, professoressa, come questa neve di cui il cielo ha voluto intessere l’ultima candida coperta per te…

Tuo studente per sempre Piergiorgio

Piergiorgio Bighin

http://www.culturacattolica.it

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