Anche qui Gesù viene ritrovato il terzo giorno. Maria è davvero la donna del terzo giorno: nel tempio come per la risurrezione. Secondo gli esegeti questo episodio non è altro che la trascrizione in altra chiave musicale - un arrangiamento - del racconto stesso della risurrezione, e indica che Maria è lì, è presente.
del 01 gennaio 2002
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10. IL MISTERO DELLA CROCE.
Meditiamo ora sul rapporto che Maria ha avuto con il mistero della croce di Gesù. Il mistero della croce, infatti, è qualcosa di più del legno della croce. Per Giovanni, ad esempio, la croce è P«ora» della gloria, è il momento culminante della passione-morte-risurrezione di Gesù e della stessa Pentecoste. Quel parédoken tò pnéuma, che viene tradotto normalmente con spirò, rese lo spirito, indica molto di più: «diede lo Spirito». La morte di Gesù è la vera Pentecoste della Chiesa: Gesù «consegnò lo Spirito». In quel contesto è facile capire perché dal suo costato “uscì sangue e acqua», segni sacramentali del battesimo e dell'eucaristia. Dal costato di Cristo dormiente esce la Chiesa, come dal costato di Adamo dormiente era uscita l'antica Eva.
Il mistero prima del legno.
Maria ha avuto a che fare col mistero della croce.
Quando andavamo a scuola di teologia, parlo degli anni miei (gli anni 53-58), già a ridosso del Concilio, quanta fatica facevamo a fondare su citazioni bibliche il mistero di Maria corredentrice, di Maria che collabora con Gesù per la salvezza del mondo. Poi quanta luce è venuta anche dalle scoperte bibliche. Maria ha a che fare in modo forte con il mistero della croce, prima di tutto perché ha un rapporto forte con l'«ora» di Gesù, che abbiamo già visto anticipata nel vino dei tempi nuovi a Cana; Maria è presente, da protagonista - Stabat iuxta crucem - nell'ora della glorificazione sul Calvario.
Maria alla passione è presente, alla morte è presente, a Pentecoste è presente. Il Vangelo non dice che fosse presente alla risurrezione: Gesù risorto appare alla Maddalena, agli apostoli, ai discepoli di Emmaus e a chissà quanti altri, e non è apparso a Maria? Forse - più che una spiegazione, la mia è un'impertinenza - il Risorto non le è apparso perché non ce n'era bisogno. O forse Maria fu l'unica creatura presente all'atto della risurrezione? Gesù è apparso alle donne, ai discepoli, dopo la risurrezione, a Maria non è apparso perché lei, l'unica creatura al mondo, è stata testimone del mistero di Pasqua? I teologi dicono che la risurrezione è un fatto metastorico: i Vangeli raccontano le apparizioni del Risorto ma non descrivono il momento della risurrezione perché nessuno sguardo umano ha potuto assistere al mistero della risurrezione. Eppure io penso che una piccola grande eccezione deve esserci stata: Maria stabat, era là, come in tutti i misteri fondamentali della vita di Gesù, al concepimento e all'uscita dal grembo di carne, alla morte e all'uscita dal grembo di pietra. Maria è presente alla morte di Gesù e alla Pentecoste: perché avrebbe dovuto mancare alla risurrezione? Gli altri hanno visto il Risorto, ma lei ha visto la risurrezione.
È bello pensare così, forse è anche logico: non credo ci siano stiracchiature.
Gesù risorto «ritrovato» il terzo giorno.
Secondo alcuni esegeti, nel Vangelo di Luca c'è anche un racconto «retrodatato» della risurrezione di Gesù, e qui Maria era presente. Si tratta dello smarrimento di Gesù tra i dottori nel tempio. Questo episodio starebbe a dire lo smarrimento della Chiesa nascente che ha perduto Gesù e che lo ritrova il terzo giorno. La morte di Gesù provocò certamente un carico di sgomento; la ricerca ansiosa di Maria riflette la ricerca della Chiesa nascente: Maria come la Chiesa nascente sono alla ricerca di Gesù.
Anche qui Gesù viene ritrovato il terzo giorno. Maria è davvero la donna del terzo giorno: nel tempio come per la risurrezione. Secondo gli esegeti questo episodio non è altro che la trascrizione in altra chiave musicale - un arrangiamento - del racconto stesso della risurrezione, e indica che Maria è lì, è presente.
Maria ha a che fare col mistero della croce di Cristo, ma anche con il mistero della nostra croce personale. Quale deve essere il nostro rapporto con il mistero della croce di Gesù e con quel legno dolcissimo «che non siamo chiamati a piallare - come dice Claudel - ma sul quale siamo chiamati a salire»?
Come i Corinzi, - dobbiamo pur dirlo - qualche volta noi parliamo un po' troppo; come i Corinzi, anche noi la croce l'abbiamo inquadrata nella cornice della sapienza umana e nel telaio della sublimità di parole. Siamo tutti predicatori, tutti bravi omileti: diciamo queste cose agli altri. Abbiamo attaccato la croce alle pareti delle nostre case, ma non ce la siamo piantata nel cuore; pende dal nostro collo, ma non sempre pende sulle nostre scelte. Le rivolgiamo inchini e incensazioni in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della logica della croce. Qualche volta è così. Noi dovremmo seguire la logica della croce, piegare il capo con umiltà, con gioia, con abbandono: perché alla croce ci si abbandona.
C'è croce e croce.
Durante un convegno dei volontari della sofferenza, nel seminario di Molfetta, ero stato chiamato a celebrare, e mi venne spontanea un'immagine: staccai il crocifisso dal piedistallo, lo portai in mezzo ai malati, lo girai all'indietro e dissi: «Vedete, qui c'è un posto vuoto, per voi». Soffrire significa essere inchiodati sul retro della croce di Gesù; basta dargli una voce e lui ti risponde. Sta li dietro.
Per cercar di capire quale deve essere il nostro rapporto con la croce di Gesù e con la logica della croce, parlerò per immagini; parlerò di alcuni crocifissi che mi hanno colpito particolarmente. Dio stesso sostiene la croce. Il primo è uno splendido crocifisso del Masaccio, nella basilica di Santa Maria Novella, vicino alla stazione di Firenze, sulla sinistra di chi entra, mi pare sul secondo altare. C'è il Signore Gesù sulla croce, ci sono i personaggi classici della crocifissione, e poi c'è la Colomba e il Padre. La croce non è poggiata a terra, è il Padre che la tiene sollevata. Gesù è inchiodato sulla croce, sostenuta dalle braccia del Padre. È bellissimo: io, ogni volta che passo da Firenze, vado a pregare davanti a quel crocifisso, per assorbire la logica della croce. L'immagine parla con un'eloquenza straordinaria: è Dio che dà le prove, e dà anche la forza di poterle sostenere. Teniamolo ben presente.
Gesù sale da sé sulla croce. Un altro bel crocifisso l'ho scoperto in una chiesa di Reims una trentina di anni fa, quando venni a Lourdes nei primi mesi che ero sacerdote: facevo il cameriere e mi fermai un mese, un mese straordinario. Dopo feci un giro per la Francia. Non ricordo bene in quale chiesa di Reims trovai un'immagine bellissima: una croce alta alta con una scala appoggiata allo stipite e Gesù che vi sale in croce. Anche qui c'è un aspetto teologico molto importante: Gesù non è vittima della forza del destino; è salito sulla croce perché l'ha accettato, perché l'ha voluto. La sua accettazione non è rassegnazione passiva, non è fare di necessità virtù, ma è accoglimento della croce, è accettazione della volontà del Padre. È una visione bellissima, che ci schioda dalla situazione di condannati a vita.
Queste cose le dico nella consapevolezza che, quando arriverà anche per me un momento difficile, il momento culminante della croce, la Vergine santa mi conceda di vivere queste realtà fino in fondo, mi aiuti a salire liberamente, per compiere la volontà di Dio con libertà, con gioia. Come Cristo che si affretta a salire.
Mi viene in mente un episodio che raccontava monsignor Mariano Magrassi, arcivescovo di Bari, - non so se è capitato a lui o a qualche suo amico - di un novizio benedettino mandato in Francia a fare un po' di esercitazione: faceva il catechismo alle bambinette della scuola elementare. Un giorno, mentre dettava il Padre nostro - «Notre Pére, qui es dans les cieux” - si accorse che una bambina, invece di scrivere: «que votre volonté soi faite» (sia fatta la tua volontà), aveva scritto sul suo foglio: «que votre volonté soi fète» (sia festa la tua volontà). Forse aveva pronunciato male la parola. Subito disse alla bambina: «Hai sbagliato», ma poi aggiunse: «Oh Dio, che bello: sia festa la tua volontà». Quell'errore di scrittura rivelava una grande verità. E meritava un bel voto, non un richiamo. Sia festa la tua volontà.
Cristo torchiato. La terza immagine che voglio ricordare è un crocifisso che ho visto nel monastero di Santa Maria delle Grazie a Rossano Calabro: proviene dai Paesi del Terzo Mondo e la croce è fatta a forma di torchio. Gesù viene torchiato, schiacciato, e gronda dalle sue ferite il sangue della vita, il sangue della salvezza. Gesù torchiato sta ad indicare lo spasimo della croce: della croce personale di Gesù e della croce di tutti noi, perché tutti siamo chiamati a dare il nostro contributo di sangue, che diventa affluente del grande fiume che parte dal Golgota e che alimenta l'economia sommersa della salvezza, quella «cassa depositi e prestiti» dell'economia della salvezza, da cui il Signore attinge per venire incontro alla salvezza del mondo, alla liberazione del mondo. Quella cassa depositi e prestiti la alimentiamo anche noi, con le nostre sofferenze fisiche, col nostro pianto, con le nostre lacrime, col nostro dolore.
Un poeta danese dice che in cielo - non so in quale punto del firmamento - c'è una stella in cui il Padre eterno conserva in uno scrigno tutte le lacrime degli uomini, perché non sono mai inutili le lacrime. Le nostre sofferenze alimentano la «cassa» da cui Dio attinge per operare la salvezza, la liberazione del mondo, la liberazione anche dalla schiavitù dei nuovi faraoni che schiacciano l'umanità.
Cristo schiacciato sotto il torchio mi richiama popolazioni intere che vengono schiacciate sotto l'oppressione di tanti tiranni. Quanti popoli sono schiacciati. In quante parti della terra ci sono fabbriche clandestine di croci collettive che vengono messe sulle spalle dei poveri. Tocca a noi schiodare la gente dalla croce. Noi siamo chiamati a operare deposizioni dalla croce, siamo chiamati a servire con coraggio e con forza, per schiodare dalla croce la povera gente che ci passa accanto, sconfitta, lacerata, uccisa, dissanguata. Siano marocchini, albanesi, tossicodipendenti, sfrattati, disoccupati, o siano i depressi mentalmente, persone che vanno allo sbando. Tutte persone torchiate: anche questa è logica della croce, forse la più difficile, la più tremenda. Ma dobbiamo capirla.
Anche Giovanni Battista sotto la croce.
Per ultima vorrei ricordare un'altra tela che molti di voi avranno visto a scuola dell'arte: è una crocifissione del Grùnewald, pittore fiammingo del primo Cinquecento. Su uno sfondo fosco che prelude alla tempesta, si vede Gesù sulla croce e accanto le pie donne; con un anacronismo audace l'artista raffigura Giovanni il Battista - che era già stato ammazzato da tempo - con un braccio lungo lungo e un dito spropositato rispetto alla mano, nell'atteggiamento di indicare il crocifisso: «Ecco l'agnello di Dio». La riproduzione di quella tela era molto amata dal teologo protestante Karl Barth il quale, trasmigrando da un'università all'altra, se la portava sempre con sé come ultimo oggetto personale da ritirare e come primo da mettere sulla scrivania nella nuova sede. Secondo Karl Barth, quello è il dito più celebre, più suffragato, più testimoniato del Nuovo e del Vecchio Testamento; è il dito che indica Gesù: «Ecco l'agnello di Dio».
Ecco la logica della croce.
Penso a tutti i poveri della terra, agli sbandati che strisciano accanto alle nostre case, a tutta l'umanità dolente che ci passa sotto gli occhi. Mettete i nomi che volete: Marisa, Antonella, Luisa, Piero. Quanta gente soffre! Il piazzale di Lourdes è l'icona, starei per dire la concentrazione più grande, il densificarsi più emozionante, della sofferenza umana. Però questa sofferenza la vediamo nelle nostre case, nelle nostre parrocchie, nei nostri quartieri. Ebbene, a questa gente io vorrei dire che un giorno, quando avranno finito di percorrere la mulattiera del Calvario e avranno sperimentato come Cristo l'agonia del patibolo, si squarceranno davvero da cima a fondo i veli che avvolgono il tempio della storia. Se noi saremo bravi a farlo capire, essi diranno che la loro vita non è stata inutile. Non è inutile la vita dei nostri fratelli disfatti dal dolore, che si trovano su una lettiga da tempo: la vita di Ignazio, un amico giovanissimo che prorompeva di vita e adesso è immobilizzato e soltanto soffiando può togliersi le mosche dal volto. Nessuna vita, nessuna sofferenza è inutile. Questo ci dice la logica della croce.
Tonino Bello.
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