Vorrei incentrare l'attenzione su Maria, la Donna della novità, dell'attesa, della gioia, della festa; vorrei parlare anche di Maria come la Donna della croce, che danza attorno alla croce. Non intendo cedere all'esuberanza omiletica perché parliamo della Madonna, ma non vogliamo farne un essere evanescente, inafferrabile, astratto. Vorrei sottolineare invece la dimensione teologica, cristologica, ecclesiologica, trinitaria, che c'è sotto ogni considerazione che si riferisce a Maria.
del 01 gennaio 2002
Vorrei incentrare l'attenzione su Maria, la Donna della novità, dell'attesa, della gioia, della festa; vorrei parlare anche di Maria come la Donna della croce, che danza attorno alla croce. Non intendo cedere all'esuberanza omiletica perché parliamo della Madonna, ma non vogliamo farne un essere evanescente, inafferrabile, astratto. Vorrei sottolineare invece la dimensione teologica, cristologica, ecclesiologica, trinitaria, che c'è sotto ogni considerazione che si riferisce a Maria.
È un altro modo di considerare il nostro essere sacerdoti per il mondo e per la Chiesa: non soltanto conformandoci a Cristo sacerdote nella sua duplice dimensione di capo e di servo; non soltanto soffrendo con lui le cose divine e le cose umane, ma anche diventando - eccoci in tema - gli annunciatori, i profeti «del mondo che verrà», come diciamo nel Credo. Quell'“aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà» però non riguarda solo la vita del cielo, dopo la morte. Aspetto già adesso la vita del mondo che verrà, aspetto il mondo che irrompe, è imminente. Ed è Maria colei che fa irrompere il mondo nuovo.
Le sentinelle del mattino.
Essere annunciatori di questo mondo nuovo vuol dire essere i profeti della festa, i profeti della novità, i profeti della speranza. Oggi c'è molta tristezza in giro, quanta gente è malinconica, non ha il gusto di vivere, le manca la sapienza, il dulce sapere, il sapore della vita. Tanta gente, che pure ha motore, carrozzeria e benzina, è triste perché non sa dove andare. Noi sacerdoti che cosa siamo: i cantori del lamento del mondo o i preannunciatori, i profeti, le sentinelle del mattino?
Ecco il tema di questa conversazione: le sentinelle del mattino. «Voglio cantare, a te voglio inneggiare; svegliati, mio cuore, svegliatevi, arpa e cetra, voglio svegliare l'aurora» cantiamo anche noi con il Salmista. Questo servizio grande e necessario noi sacerdoti lo dobbiamo rendere in questi termini al mondo. La nostra gente ha bisogno di questo.
Poniamo allora come concetti base quelli della novità, dell'attesa vigilante, che vediamo legati a Maria, la Donna della novità, del vino nuovo, e la Donna dell'attesa. Anche noi abbiamo la missione di introdurre nel banchetto della vita il vino della festa, il vino della novità. E siamo anche coloro che attendono «la vita del mondo che verrà», siamo i profeti dell'attesa.
Maria la Donna del vino nuovo.
Facciamo riferimento all'episodio delle nozze di Cana, che gli ultimi approfondimenti biblici obbligano a rivedere decisamente, soprattutto per ciò che riguarda il ruolo di Maria. Quante volte ci siamo commossi, spiegando questa pagina del Vangelo, dinanzi alla sensibilità della madre di Gesù, che con finezza tutta particolare ha intuito il disappunto degli sposi a corto di vino e ha “forzato la mano” del Figlio, troncando sul nascere l'evidente imbarazzo che serpeggiava dietro le quinte di quel banchetto benedetto.
È vero che la Madonna con sollecitudine materna si è accorta che quei poveri ragazzi stavano per bruciarsi la festa ed è intervenuta, provocando il primo prodigio con la potenza della sua intercessione. Ma non è questo che Giovanni vuol mettere in evidenza.
Il Vangelo presenta anzitutto Maria come colei che percepisce il dissolversi del piccolo mondo antico e anticipa l'ora di Gesù. Ha un bel dire Gesù: «Non è ancora giunta la mia ora». Anticipando l'ora di Gesù, Maria introduce sul banchetto della storia non soltanto i boccali della festa, perché il vino è il simbolo della festa, ma anche i primi fermenti della novità messianica.
Festa e novità irrompono nella sala per espresso richiamo di lei. Maria è la donna della festa, è la donna della novità, è colei che sta sullo spartiacque del piccolo mondo antico che tramonta e del mondo nuovo che viene. È lei la ianua coeli, la porta del cielo.
Le giare del mondo vecchio.
Nella pagina di Giovanni c'è un particolare che potrebbe sembrare accidentale e che invece si impone con invadente protagonismo: sono le «sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei», ingombranti nella loro ampiezza prevaricatrice, oscene nella loro immobilità: «panciute, maestose... come una badessa», per dirla con Pirandello.
Ci sembra di vederle, addossate alla parete, gelide come cadaveri perché «di pietra», - Giovanni dice sempre tantissimo attraverso i particolari - inutili ai fini della purificazione perché vuote. Sono sei, e non sette, che per gli ebrei sarebbe il numero perfetto; sei è simbolo malinconico di ciò che non giungerà mai a completezza, che non toccherà mai i confini della maturazione.
Le giare di Cana sono il simbolo del mondo vecchio, dell'antica economia che non giungerà più a maturazione: si può arrivare solo fino a sei, e si resterà sempre al di sotto della legittima attesa, del vero bisogno del cuore.
Di fronte a quello scenario da paresi irreversibile, con le giare di pietra immobili come le tavole di Mosè, Maria non solo avverte che la vecchia alleanza è ormai logora e che è ormai fuori corso l'antica economia di salvezza, fondata sulle prescrizioni della legge, ma sollecita coraggiosamente la transizione.
Maria è la Donna amante del cambiamento: questa dovrebbe diventare la nostra categoria di presbiteri, sentinelle del mattino pronte a dare il cambio. A tutti coloro che chiedo no, come è scritto in Isaia: «Sentinella, quanto resta della notte?» - in latino è bellissimo: «Custos, quid de nocte?” - la vedetta risponde: “Viene il mattino...”, resta poco della notte, già le prime luci stanno indorando l'orizzonte. È Maria la sentinella del mattino.
Un acconto sulla nuova alleanza
Quelle sei giare di pietra sono una rappresentazione icastica incredibile. Maria vede un mondo che boccheggia nella tristezza e nel dolore, vede che i livelli di guardia stanno per essere superati, e invoca da suo Figlio Gesù non tanto uno strappo alla legge della natura quanto uno strappo alla natura della legge. La legge antica non tiene più, la legge di Mosè non contiene nulla, non è più in grado di purificare nessuno, non rallegra più il cuore dell'uomo. Maria interviene d'anticipo, chiede a Gesù un acconto sul vino della nuova alleanza che, lei presente, sgorgherà inesauribile e festoso nell'ora della croce. Quella è «l'ora».
«L'ora» ha un significato straordinario: è quella della morte e risurrezione di Gesù, che per Giovanni coincidono sulla croce. A Cana Gesù dice: «Non è ancor giunta la mia ora». Maria chiede un anticipo e Gesù è obbligato a fare le «prove generali» della Pasqua. Questa è la festa nuova, è la festa di nozze dell'umanità con lo Sposo divino.
Il racconto delle nozze di Cana è collocato da Giovanni al sesto giorno della misteriosa «settimana» della manifestazione di Gesù: “il giorno dopo, il giorno dopo, tre giorni dopo». Siamo nel sesto giorno, il giorno delle nozze dell'Agnello. È l'alleanza nuova, «la nuova ed eterna alleanza».
«Non hanno più vino» non è espressione di materna gentilezza per evitare la mortificazione di due sposi: è un grido di allarme che sopraggiunge per scongiurare la morte del mondo vecchio che sta boccheggiando.
Allora si comprende la bellezza di questa pagina del Vangelo. Maria è la donna della novità, la donna della festa, che noi dobbiamo invocare perché anche il nostro atteggiamento di presbiteri, la nostra passione di apostoli sia intrisa di questa mentalità: essere gli annunciatori della festa, gli annunciatori della novità, i profeti della speranza, gli annunciatori della luce.
Non si tratta di essere romantici o di attaccarsi a sussulti sentimentali. Qui si tratta di vivere la nostra «esistenza teologica», e Maria ci offre un modulo di straordinaria bellezza. La pagina delle nozze di Cana va rivista davvero. Nelle litanie non entrerà mai questa invocazione, ma noi dovremmo pregare: «Maria, Donna del vino nuovo, prega per noi».
Preghiera a Maria, Donna del vino nuovo.
Se la Madonna tornasse oggi al banchetto della nostra vita, invece di «Non hanno più vino», direbbe: «Figlio, non hanno più sale». Perché la vita non ha più sapore. Manca la sapienza, il dulce sapere. Anche a noi. Viene la malinconia nell'osservare le cose di quando eravamo giovani, cose che ci hanno deliziato l'anima, ci hanno entusiasmato, ci hanno fatto vibrare, e adesso non ci dicono più nulla. Non ci dice più niente neppure il male. Non perché è cresciuto il numero degli anni sulle nostre spalle, ma perché forse siamo sazi di tutto.
Potremmo concludere pregando così:
Santa Maria, Donna del vino nuovo, quante volte anche noi sperimentiamo che il banchetto della vita langue e la felicità si spegne sul volto dei commensali. È il vino della festa che viene a mancare.
Ci sono tante feste oggi, ma non c'è la festa: sulla nostra tavola non manca nulla, ma abbiamo perso il gusto del pane che sa di grano. Mastichiamo annoiati i prodotti dell'opulenza, ma con l'ingordigia degli epuloni e con la rabbia di chi non ha fame. Mangiamo di tutto, però non abbiamo fame. Le pietanze della nostra cucina hanno smarrito gli antichi sapori e i frutti esotici hanno poco da dirci.
Quali brividi, quali sussulti, quali impennate di entusiasmo, quali lieti annunci, quali novità sconvolgenti, quali telegrammi forti sappiamo recapitare al mondo che attende buone notizie? O Maria, tu sai da cosa deriva questa inflazione di tedio. Le scorte di senso si sono esaurite. Non abbiamo più vino. Da tempo gli odori asprigni del mosto non deliziano più la nostra anima. Le vecchie cantine non fermentano più e le botti vuote danno solo spurghi di aceto.
Muoviti a compassione di noi e ridonaci il gusto delle cose. Solo così le giare della nostra esistenza si riempiranno fino all'orlo di significati ultimi e l'ebbrezza di vivere e di far vivere ci farà provare le vertigini.
Santa Maria, Donna del vino nuovo, fautrice così impaziente del cambiamento, che a Cana di Galilea provocasti anzi tempo il più grandioso esodo della storia, obbligando Gesù alle prove generali della Pasqua definitiva, tu resti per noi il simbolo imperituro della giovinezza.
Liberaci, ti preghiamo, dagli appagamenti facili, dalle piccole conversioni sotto costo, dai rattoppi di comodo. Preservaci dalle facili sicurezze del recinto, dalla noia della ripetitività rituale. Liberaci dalla fiducia incondizionata degli schemi, dall'uso idolatrico della tradizione.
Quando ci coglie il sospetto che il vino nuovo rompa gli otri vecchi, donaci l'avvedutezza di sostituire i contenitori. Quando prevale in noi il fascinò dello statu quo, rendici tanto risoluti da abbandonare gli accampamenti. Se accusiamo cadute di tensione, accendi nel nostro cuore il coraggio dei passi e facci comprendere che la chiusura alla novità dello Spirito e l'adattamento agli orizzonti dei bassi profili ci offrono solo la malinconia della senescenza precoce.
Santa Maria, Donna del vino nuovo, noi ti ringraziamo infine perché con le parole: «Fate tutto quello che Gesù vi dirà» tu ci sveli il misterioso segreto della giovinezza.
Queste sono davvero grazie da chiedere.
Quando presentate Maria ai giovani, cari confratelli, non presentatela come la bambinella, la santarella tutta casa e sinagoga. Maria è amante della giovinezza, amante del cambiamento. Questo discorso fatto ai giovani li seduce. Anche lei, come i nostri giovani, non è soddisfatta delle cose come vanno, perché è proprio dei giovani percepire l'usura dei moduli che non reggono più e invocare rinascite che si ottengono solo con radicali rovesciamenti di fronte, non con impercettibili restauri da laboratorio.
Mi raccomando, cari fratelli: quando tornate a casa non soltanto «Fate tutto quello che Gesù vi dirà», ma dite anche tutto quello che il Signore vi farà, raccontate anzi quello che vi ha fatto, comunicate la vostra testimonianza e vedrete come anche nei giovani, nel vostro popolo, le cose cambieranno.
La tristezza di non attendere più nessuno.
Oltre che sentinella del mattino, fautrice della novità, della festa, della speranza, della luce, Maria è la donna dell'attesa. È un'altra verità da approfondire in dimensione teologale, non di devozione sentimentale.
La vera tristezza non è quando la sera non sei atteso da nessuno al rientro in casa tua, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita. Non vi nascondo che mi rattrista un po' non essere atteso, potermi ritirare la sera a qualsiasi ora perché tanto non c'è nessuno in episcopio; non dover telefonare per un ritardo in autostrada; poter impunemente tornare a qualsiasi ora. È un po' triste, e qualche volta noi lo enfatizziamo.
La tristezza vera è quando tu non attendi più nessuno, non attendi più nulla dalla vita. La solitudine più nera non la provi quando trovi il focolare spento ma quando non lo vuoi più accendere, neppure per un eventuale ospite di passaggio. È tristezza quando non aspetti più neppure «la vita del mondo che verrà», quando pensi che ormai i giochi sono fatti, che per te «la musica è finita, gli amici se ne vanno», come diceva una famosa canzone.
È tristezza se nessun'anima viva verrà a bussare alla tua porta, se non ci saranno più né soprassalti di gioia per una buona notizia né trasalimenti di stupore per una improvvisata, se non ci saranno neppure fremiti di tristezza e di dolore per una tragedia umana, «tanto non ti resta più nessuno per il quale trepidare”. È brutto anche quando non aspetti neppure una brutta notizia.
La vita allora scorre piatta - per tanti è così - verso un epilogo che non arriva mai: è come un nastro magnetico che ha finito troppo presto la sua canzone e si srotola interminabile verso il suo ultimo stacco, senza dire più nulla. Per molta gente la vita è così, ed è pesante perché è vuota. Ma voi siete presbiteri, venite a contatto con la gente, confessate anime in pena: quante volte avete sperimentato la sofferenza del mondo, a contatto con questa temperie di umanità!
Maria sempre in attesa.
Attendere significa sperimentare il gusto di vivere.
Hanno detto addirittura che la santità di una persona si commisura dallo spessore delle sue attese. Se è così, bisogna concludere che Maria è la più santa delle creature, perché tutta la sua vita appare cadenzata dai ritmi gaudiosi di chi aspetta qualcuno. Non è soltanto un'esuberanza omiletica la mia: è una verità ben puntellata sulla Bibbia. Già il fotogramma iniziale con cui il pennello di Luca identifica Maria è carico di attesa: «promessa sposa di un uomo della casa di Davide». Prima ancora di rivelare il suo nome, il Vangelo presenta Maria come fidanzata, promessa sposa: a quale messe di speranza e di batticuori fa allusione quella parola che ogni donna sperimenta come preludio di misteriose tenerezze.
Maria è la vergine in attesa. In attesa di Giuseppe, in ascolto del bruciare dei suoi anni, quando, sul far della sera, profumato di legni e di vernici, egli sarebbe venuto a parlarle dei suoi sogni. Giuseppe è l'uomo dei suoi sogni: Maria è in attesa di lui. Solo dopo, l'evangelista annota: «La vergine si chiamava Maria».
Maria si presenta nel Nuovo Testamento come fidanzata in attesa; lo stesso Luca, negli Atti degli Apostoli, sembra volerla congedare ancora in attesa. Nel cenacolo - abbiamo già sottolineato che si trovava «al piano superiore» - Maria è in attesa dello Spirito in compagnia dei discepoli. Stava in trepido ascolto del frusciare dei sandali di Giuseppe nelle sere del fidanzamento; ora, sul far del giorno, è in ascolto del frusciare dello Spirito, quando, profumato di unzioni e di santità, sarebbe disceso sulla Chiesa per additarle la sua missione di salvezza.
Vergine in attesa quindi, dall'inizio alla fine, e nell'arcata sorretta da queste due trepidazioni - una così umana, l'altra così divina - cento altre attese struggenti: l'attesa di Gesù per nove lunghissimi mesi, l'attesa degli adempimenti legali, la circoncisione, la presentazione al tempio, l'attesa di scadenze festeggiate forse con frustoli di povertà e con gaudi di modeste parentele; l'attesa del giorno in cui il Figlio sarebbe uscito di casa per non farvi più ritorno, giorno che di volta in volta avrebbe voluto ritardare; l'attesa di quell'«ora», tragica ma gloriosa, di cui Maria, esperta in anticipazioni, provocò l'avvento a Cana; e finalmente l'attesa dell'ultimo rantolo dell'Unigenito inchiodato sul legno, e l'attesa del terzo giorno, vissuta in veglia solitaria, davanti alla roccia della fede e della speranza.
Attendere è l'infinito del verbo amare.
Attendere, nel vocabolario di Maria, è amare all'infinito.
Qualche volta noi abbiamo l'impressione di essere degli uomini finiti, degli uomini «arrivati», anche se siamo presbiteri. Nella carrozzella del dolore, nella vecchiaia, nella mia salute malferma, nel progressivo abbassamento di tono, nel tristissimo deficit della speranza; cosa possiamo attenderci ancora dalla vita? «Vescovo non mi fanno più, monsignore neppure; cosa dovrei fare più?” Forse abbiamo perso lo smalto di un tempo. Qualche volta siamo presi dalla tristezza, costatiamo di non avere più fascino sui giovani, perché quelli vanno alla ricerca di cose nuove e di volti giovani. Una volta eravamo bravi in teologia, adesso può batterci anche l'ultimo seminarista che frequenta un corso qualunque.
Non attendiamo più nulla e abbiamo voglia di metterci da parte. Ma se noi «non provochiamo l'aurora», la gente che cosa può aspettarsi da noi? Il nostro popolo ha bisogno di vedere dei presbiteri con gli occhi rivolti al futuro, di sentinelle che scrutano l'aurora per annunciare che il sole sta per sorgere. La gente ha bisogno di preti innamorati, capaci di soffrire le cose umane, pati humana. Ha bisogno di sognatori. Noi purtroppo abbiamo chiuso da tempo con i sogni, siamo diventati troppo ragionieri, troppo fiscali,'e abbiamo finito per privare le nostre scelte di ogni empito di attesa e di questa speranza.
Preghiera a Maria, Vergine dell'attesa.
Vorrei concludere invocando Maria, perché sia per noi il paradigma splendido, l'archetipo fondamentale a cui ci riferiamo nel travaglio della vita, nel travaglio del ministero presbiterale, nel nostro travaglio di essere sacerdoti per il mondo e per la Chiesa.
Santa Maria, Vergine dell'attesa, donaci del tuo olio, perché le nostre lampade si spengono, le riserve si sono consumate. Non ci mandare da altri venditori. Riaccendi nelle nostre anime gli antichi fervori che ci bruciavano dentro quando bastava un nonnulla per farci trasalire di gioia: l'arrivo di un amico lontano, il rosso di sera dopo un temporale, il crepitare del ceppo che d'inverno accoglieva i rientri in casa, le campane a stormo nei giorni di festa, il sopraggiungere delle rondini in primavera, l'acre odore che si sprigionava dalla stretta dei frantoi, le cantilene autunnali che giungevano dai palmeti, l'incurvarsi tenero e misterioso del grembo materno, il profumo di spigo che irrompeva quando si preparava una culla.
Se oggi non sappiamo attendere più è perché siamo a corto di speranza, si sono disseccate le nostre sorgenti, soffiamo una profonda crisi di desiderio e, ormai paghi dei mille surrogati, rischiamo di non aspettarci più nulla neppure dalle promesse ultraterrene che sono firmate col sangue del Dio dell'alleanza.
Santa Maria, Donna dell'attesa, conforta il dolore delle madri per i loro figli: conosciamo tante madri che soffrono per i loro figli, usciti di casa e mai tornati, uccisi da un incidente stradale o sedotti dal richiamo della giungla, dispersi dalla furia d'una guerra o risucchiati dal turbine delle passioni, travolti dalla tempesta del mare o dalle tempeste della vita.
Abbiamo visto in questi giorni mille e cinquecento tossicodipendenti e malati di Aids: altrettante madri hanno atteso disperate il loro rientro. Vergine dell'attesa, riempi i silenzi di Antonella che non sa che farsene dei suoi giovani anni dopo che lui se n'è andato con un'altra. Colma di pace il vuoto interiore di Massimo che nella vita le ha sbagliate tutte e l'unica attesa che ora lo lusinga è quella della morte. Asciuga le lacrime di Patrizia che ha coltivato tanti sogni a occhi aperti e, per la cattiveria della gente, se li è visti svanire a uno a uno, e ormai teme anche di sognare a occhi chiusi.
Santa Maria, Vergine dell'attesa, donaci un'anima vigilare. Noi sacerdoti, giunti alle soglie del terzo millennio, purtroppo ci sentiamo più figli del crepuscolo che profeti dell'avvento. Sentinella del mattino, ridestaci nel cuore la passione di giovani annunci da portare al mondo che si sente già vecchio. Portaci finalmente arpa e cetra, perché con te, mattiniera, possiamo svegliare l'aurora. Di fronte ai cambiamenti che scuotono la storia, donaci di sentire sulla pelle i brividi dei cominciamenti. Facci capire che non basta accogliere, bisogna attendere. Accogliere talvolta è segno di rassegnazione; attendere è sempre segno di speranza. Rendici perciò ministri dell'attesa.
E il Signore che viene, Vergine dell'avvento, ci sorprenda, anche per la tua materna complicità, con le lampade in mano. Amen.
Tonino Bello.
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