L'allegria dunque veniva cercata da lui come buon mezzo per servire il Signore.
del 14 dicembre 2011
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La vita di Giovanni Bosco subì una brusca mutazione quand'egli, spiccatosi dai luoghi nativi, si portò a Chieri, di paesanello contadino divenuto in un subito cittadino e studente. Chieri non era Torino; ma tutto è relativo a questo mondo. C'erano pur sempre le insidiose novità di un ambiente più raffinato; c'era l'indipendenza; c'era l'età.
Un giovincello campagnuolo, cresciuto sotto gli occhi de' suoi, più o meno vicino, ma sempre attorno al domestico nido, inesperto di tutto che non sia occupazioni e soddisfazioni rusticane, avvezzo a non intrattenersi se non con le solite gentine primitive, ecco, piomba di botto in un centro così detto civile, fra abiti e abitudini d'un altro mondo, sconosciuto in mezzo a sconosciuti; poniamo che questo giovincello tocchi allora il punto critico dell'adolescenza, che abbia ingegno vivace, che si senta qualche spirito in corpo; immaginiamo ancora che un tale adolescente arrivi dai campi alla città per tuffarsi in una popolazione sbrigliatella di scolari delle classi secondarie: e si dica se non ci sia più di quanto basti, perché si rinnovi il caso di Ercole al bivio. Buon per Giovanni che ai rischi improvvisi si affacciava premunito, oltre ché da scopo santo e da umile povertà, anche da quella pietà illuminata, la quale copre la gioventù d'uno scudo contro cui s'infrangono i dardi ostili.
Tale pietà, che è buona a tutto, perché ci mostra tutte le cose nella luce vera, che è la luce divina, ne guidò tosto i primi passi, che sogliono essere i più pericolosi, conducendolo a fare la sua prima conoscenza e scortandolo ne' suoi primi accostamenti ai compagni.
Apprendiamone da lui stesso il come. «La prima persona che conobbi fu un sacerdote di cara e onorata memoria. Egli mi diede molti buoni avvisi sul modo di tenermi lontano dai pericoli; m'invitava a servirgli la messa, e ciò gli porgeva occasione di darmi sempre qualche buon suggerimento. Egli stesso mi condusse dal prefetto delle scuole... e mi pose in conoscenza con gli altri professori. In mia mente aveva divisi [i compagni] in tre categorie: buoni, indifferenti, cattivi. Questi ultimi evitarli assolutamente e sempre, appena conosciuti; con gl'indifferenti trattenermi per cortesia e per bisogno; coi buoni contrarre amicizia, ma famigliarità solamente con gli ottimi, quando se ne incontrassero che fossero veramente tali. Questa fu la mia ferma risoluzione. Tuttavia ho dovuto lottare non poco con quelli che io non conosceva per bene. Io mi sono liberato da questa caterva di tristi col fuggire rigorosamente la loro compagnia di mano in mano che mi veniva dato di poterli scoprire».
Orientatosi abbastanza nelle relazioni più indispensabili, fu dalla stessa pietà molto bene indirizzato nella ricerca della cosa che maggiormente gli premeva.
«La più fortunata mia avventura, scrive, fu la scelta di un confessore stabile nella persona di un canonico della Collegiata. Egli mi accolse sempre con grande bontà, ogni volta che andava da lui. Anzi m'incoraggiava a confessarmi e comunicarmi con maggior frequenza. Era cosa assai rara in quei tempi trovare chi incoraggiasse alla frequenza dei sacramenti. Chi andava a confessarsi e a comunicarsi più d'una volta al mese, era giudicato dei più virtuosi, e molti confessori non lo permettevano. Io però mi credo debitore a questo mio confessore, se non fui dai compagni trascinato a certi disordini, che gl'inesperti giovanetti hanno purtroppo a lamentare nei grandi collegi». S'intenda qui collegi nel senso di pubbliche scuole, non di convitti, secondo una denominazone locale del tempo.
Non solo i compagni non trascinarono lui a disordini, ma egli ne tirò e tenne un bel numero sulla retta via. Un giovane pio che primeggi nella scuola e non abbia ombra di ostentazione, solo che sia un pò disinvolto, si guadagna i cuori dei condiscepoli con facilità incredibile. Così Giovanni in breve tempo si conciliò tanta stima e benevolenza tra l'elemento giovanile di Chieri, che gli riuscì di fondare un'associazione denominata Società dell'Allegria cui regolamento si componeva di due articoli: evitare ogni discorso, ogni azione che disdicesse a un buon cristiano, e adempiere esattamente i doveri scolastici e religiosi.
Ciascun socio aveva obbligo di cercare libri e introdurre trastulli atti a far stare allegri i compagni: proibito checché causasse malinconia, massime qualunque cosa non conforme alla legge di Dio. Tutte le feste i membri della Società andavano al catechismo nella chiesa dei Gesuiti; lungo la settimana si adunavano in casa or dell'uno or dell'altro, con libero intervento di quanti volessero parteciparvi, e se la passavano ivi in amene ricreazioni, in pie conferenze, in letture religiose, in preghiere, in darsi buoni consigli e in notarsi a vicenda i difetti personali, che taluno avesse osservato direttamente o di cui avesse udito parlare.
Oltre a questi amichevoli trattenimenti, «andavamo, scrive Don Bosco, ad ascoltare le prediche, spesso a confessarci, a fare la santa comunione». L'allegria dunque veniva cercata da lui come buon mezzo per servire il Signore.
È alieno dal nostro compito il prendere un tono di enfasi, avendosi qui per iscopo soprattutto l'edificazione; ma l'ammirazione sorge dai fatti. Di giovani pii se n'incontrano, grazie a Dio, con frequenza consolante; ma giovani d'una pietà così operosa che, non paghi essi di ambulare cum Deo, sentano in sé l'impulso abituale, quasi il bisogno imperioso di portare Dio nelle anime altrui o di avvicinarle maggiormente a Dio, capita rarissime volte d'incontrarne.
Giovanni Bosco nutriva dentro una pietà fatta come il bene, del quale si dice che è per natura diffusivum sui.
Vedere una persona e pensare subito a renderla buona o migliore nel senso più strettamente cristiano della parola, doveva essere un giorno il programma della sua vita sacerdotale; ma era già la tendenza de' suoi verdi anni. L'abbiamo visto all'opera fra coetanei e condiscepoli; a voler tutto esporre ci dovremmo ripetere di soverchio, e poi non si tesse qui una biografia: ci premeva soltanto mettere in evidenza l'annunciarsi lontano di quella che fu nota caratteristica della sua spiritualità.
A questo punto, chi sa? lettori diffidenti, rilevando nel giovane Bosco la propensione innata a mettersi in pubblico e riandando le clamorose sue prodezze di giocoliere e di acrobata, sarebbero forse tentati di esprimere qualche riserva sul movente segreto di tali manifestazioni. Non vi farebbero capolino per caso ambizioncelle di popolarità e gusti teatrali, troppo mal conciliabili con le esigenze della vita interiore e con il rumores fuge e l'ama nesciri dell'ascetica tradizionale? A dissipar simili dubbi basterebbe ponderare fini, modi, circostanze, effetti. Omettiamo ciò: limitiamoci piuttosto a un dato di fatto.
A tu per tu con persone di vario genere è sempre identico in lui lo spirito animatore: l'ardore di un'anima pia, che è sollecita del bene spirituale altrui. Il figlio della padrona di casa, sbarazzino numero uno, è la disperazione di tutti; Giovanni se lo affeziona, lo tira pian piano alle pratiche religiose, finché non ne cava fuori un ragazzo per bene.
Frequentando il duomo, vi fa conoscenza col sagrestano maggiore, già adulto, affatto digiuno di studi, corto d'ingegno e di mezzi, distratto dalle sue occupazioni, eppure bramoso di diventar prete; Giovanni, senza verun compenso, con eroismo di carità si presta a fargli un po' di scuola ogni giorno, e la dura così due anni, finché non l'ha preparato all'esame per la vestizione chiericale. Stringe amicizia con un ebreo, giovane diciottenne, lo invoglia a ricevere il battesimo, lo istruisce, di nascosto, vince opposizioni ostinatissime di parenti e di altri correligionari, finché non lo assiste al sacro Fonte.
È ben precoce tutta la fecondità di apostolato, che abbiamo potuto ammirare fin qui. Essa ci somministra una prova di non meno precoce unione con Dio. Si sa come poco serva il saper agire e parlare, se manchi il previo raccoglimento nella preghiera, che è con l'esempio mezzo indispensabile nelle opere di zelo.
Il significativo proverbio Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei porta buon rincalzo all'argomento, se lo si applica all'amicizia di Giovanni con uno studente santo. Tale la fama, che aveva preceduto l'arrivo di Luigi Comollo a Chieri. Avutane appena notizia, Giovanni ardeva di conoscerlo; conosciutolo, agognava di entrare in relazione con lui; riuscitovi, trovò che la realtà superava l'aspettazione.
Spigoliamo nelle "Memorie": «L'ebbi sempre per intimo amico. Ho messo piena confidenza in lui, egli in me. Mi lasciavo guidare dove e com'egli voleva. Andavamo insieme a confessarci, a comunicarci, a fare la meditazione, la lettura spirituale, la visita al santissimo Sacramento, a servire la santa messa». L'accenno alla meditazione ci assicura, com'egli non ismettesse più di rinnovare quotidianamente e arricchire la sua vita interiore con questo valido esercizio. E il loro conversare? Dalla pienezza del cuore parla la bocca. Conferivano insieme di cose spirituali. «Il trattare e parlare di tali argomenti con lui, scrive Don Bosco, tornavagli di grande consolazione. Ragionava con trasporto dell'immenso amore di Gesù nel darsi a noi in cibo nella santa comunione. Quando discorreva della Beata Vergine, si vedeva tutto compreso di tenerezza, e dopo aver raccontato o udito raccontare qualche grazia concessa a favore del corpo, egli, sul finire, tutto rosseggiava in viso e alle volte rompendo anche in lacrime esclamava: - Se Maria favorisce cotanto questo miserabile corpo, quanti non saranno i favori che sarà per concedere a pro delle anime di chi la invoca? Oh, se tutti gli uomini fossero veramente divoti di Maria, che felicità ci sarebbe in questo mondo!».
Al se stesso d'allora Don Bosco attribuisce la parte di uditore; non avrà fatto l'uditore perpetuamente muto. A ogni modo, effusioni di questa natura non è verosimile che avvengano, e tanto meno che si ripetano così a lungo, se da ambo i lati non siano i cuori capaci d'intenderle e di gustarle.
I quattro anni di ginnasio finirono con esito trionfale. Ottimi risultati negli esami, affettuosa stima di professori, entusiastica ammirazione dai compagni, generali simpatie fra la cittadinanza; nessuno mancò insomma dei segni forieri, per cui dall'alba si prognostica il giorno. Ma quante angustie, quante difficoltà, quanti pericoli, quante privazioni! La costanza non gli cadde spezzata sol perché, mediante la preghiera, trovava rifugiò nel Dio d'ogni consolazione.
La Provvidenza così disponeva, affinché egli un giorno potesse consolare coloro che si trovassero in qualunque strettezza.
Se non che il sereno, mai non turbato «dal vento secco, che vapora la dolorosa povertà», per dirlo con una pittoresca frase di Dante, gli fu nel secondo biennio un po’ offuscato da una nube. Nell'età delle crisi giovanili la si può chiamare crisi di vocazione.
Che fino dalla puerizia aspirasse al sacerdozio, è cosa incontestata; vi si sentiva talmente attratto, che gli sembrava di essere nato per questo. Ma nel penultimo anno di ginnasio, ecco che lo assalgono due timori, i quali, quanto più si avvicina il momento decisivo, tanto più lo spingono per entro a un mare di perplessità e di ansie. Da un lato, ora che comprende meglio la sublimità dello stato sacerdotale, se ne giudica indegno per la mancanza di adeguate virtù; dall'altro, non ignorando gli scogli del mondo, ha paura di andarvi a naufragare, se si fa chierico nel secolo.
Il travaglio spirituale di questa lotta traspare dall'accorato accento, con cui tant'anni dopo escja.. ma nelle sue "Memorie": «Oh, se allora avessi avuto una guida, che si fosse presa cura della mia vocazione, sarebbe stato per me un gran tesoro; ma questo tesoro mi mancava». Infatti il suo ottimo confessore, che badava a far di lui un buon cristiano, in cose di vocazione non si volle mai mischiare.
Ridotto a trovar consiglio da sé, ricorse a libri che trattassero di scelta dello stato. Un raggio di luce parve balenargli allo spirito. «Se io rimango chierico nel secolo, disse fra sé, la mia vocazione corre gran pericolo. Abbraccerò lo stato ecclesiastico, rinuncerò al mondo, andrò in un chiostro, mi darò allo studio, alla meditazione, e così nella solitudine potrò combattere le passioni, specialmente la superbia, che nel mio cuore aveva messo profonde radici». Chiese dunque l'ammissione tra i Francescani, i quali, intuendone l'ingegno e la pietà, lo accettarono di buon grado. Ma egli non aveva il cuore tranquillo.
Vi si aggiunse che persone benevole e serie, a cui aveva aperto l'animo suo, si adoperavano a tutto potere per distorlo dal proposito di farsi frate, esortandolo vivamente a entrare in seminario. Così le ansietà crescevano.
La Provvidenza dispose che si lasciasse indurre a interrogare il beato Giuseppe Cafasso, allora giovane sacerdote, ma già in grande riputazione per il dono del consiglio. Don Cafasso, ascoltandolo attentamente, gli disse di andare avanti negli studi e alla fine di passare nel seminario.
Durante queste ambasce interne la sua vita esteriore si svolgeva come se nulla fosse, fra studi, esercizi divoti, opere di zelo e lavori manuali per guadagnarsi da vivere, sicché nessuno aveva sentore delle sue pene.
Il pensiero di Dio, quando signoreggia un'anima, la rende padrona di sé e quindi abitualmente calma nelle sue manifestazioni esteriori, quand'anche nel proprio segreto si senta conturbata.
L'autorità di Don Cafasso li per li impose silenzio alle dubbiezze; ma in seguito, facendo nuove letture sulla vocazione, fu da capo alle prese con se medesimo. Sarebbe tornato a picchiare dai Francescani, se un caso occorsogli, non sappiamo quale, non avesse accelerato l'epilogo; egli ci dice solo che, stante il moltiplicarsi di ostacoli duraturi, deliberò di esporre tutto al Comollo. Veramente reca un po' di meraviglia il vedere, come, per mettere l'amico a parte del suo dramma interiore, ci fosse voluto tanto tempo e si ponderata deliberazione. Però l'intimità buona non costituisce di per sé un titolo di competenza in materie così delicate; d'altro canto, Giovanni, con tutta la sua ricchezza d'idee e facilità nel comunicarle, era tutt'altro che un giovane loquace.
Allora dunque insieme pregarono, insieme si accostarono ai santi sacramenti, di comune accordo consultarono per iscritto un esimio sacerdote, zio del Comollo. Questi, proprio l'ultimo giorno d'una novena alla Madonna, così rispondeva al nipote: «Considerate attentamente le cose esposte, io consiglierei il tuo compagno di soprassedere dall'entrare in un convento. Vesta egli l'abito chiericale, e mentre farà i suoi studi, conoscerà vie meglio quello che Dio vuole da lui. Non abbia alcun timore di perdere la vocazione, perciocché con la ritiratezza e con le pratiche di pietà egli supererà tutti gli ostacoli». Studio, ritiratezza, pietà: non era stata sempre questa la sua vita di Chieri? Come Don Cafasso, come lo zio del Comollo, così anche il suo parroco opinava per l'ingresso nel seminario, rimandando a età più matura il decidersi o no per la vita religiosa. Tutto questo valse a rasserenare l'orizzonte; quindi «mi sono seriamente applicato, scrive, in cose che potessero giovare a prepararmi alla vestizione chiericale».
Vestirsi chierico non fu per Giovanni Bosco mera cerimonia. Dal raccoglimento e dalla preghiera, in cui si seppe concentrare senza isolarsi - attendeva infatti a una cinquantina di giovinetti che lo amavano e gli obbedivano, ce lo dice egli stesso, come se fosse loro padre - uscì spiritualmente preparato e tutto compreso dell'importanza di quel sacro rito. I pii sentimenti avuti durante la funzione palpitano vivi nella paginetta delle "Memorie" che per buona sorte ce ne ha serbato il ricordo.
«Quando il prevosto mi comandò di levarmi gli abiti secolareschi con quelle parole: Exuat te Dominus veterem hominem cum actibus suis, dissi in cuor mio: - Oh, quanta roba vecchia, c'è da togliere! Mio Dio, distruggete in me tutte le mie cattive abitudini. Quando poi nel darmi il collare aggiunse: Induat te Dominus novum hominem, qui secundum Deum creatus est in iustitia et sanctitate veritatis, mi sentii tutto commosso e aggiunsi tra me: - Sì, o mio Dio, fate che in questo momento io incominci una vita nuova, tutta secondo i divini voleri, e che la giustizia e la santità siano l'oggetto costante dei miei pensieri, delle mie parole e delle mie opere. Così sia. 0 Maria, siate la salvezza mia ».
A coronare l'opera, egli si scrisse e prescrisse un regolamento di vita chiericale in sette articoli; il sesto era così concepito: «Oltre alle pratiche ordinarie di pietà, non ometterò mai di fare ogni giorno un poco di meditazione ed un poco di lettura spirituale». Affinché quindi i buoni propositi non restassero lettera morta, vi si volle astringere con vincolo solenne; perciò, inginocchiatosi davanti a un'immagine della Beata Vergine, vi lesse i singoli articoli e dopo una fervida preghiera fece «formale promessa a quella Celeste Benefattrice di osservarli a costo di qualunque sacrificio».
Si sarà notato qui sopra, che pietà e spirito di preghiera si alternano indifferentemente, quasi fossero una cosa identica. A ben chiarire le idee giovi osservare, come lo spirito di preghiera si esplichi ordinariamente in quel complesso di atti, con cui si onora Dio e che nell'uso corrente vanno sotto la denominazione generale di pietà; cosicché o quello si risolve in questa o, se vi si vuol ravvisare una differenza, diremo spirito di preghiera una pietà profonda, abituale e sentita.
Giacché poi siamo entrati in quest'argomento, aggiungeremo ancora un'osservazione, opportuna per noi. Secondo che nella pietà si attribuisca a un elemento la prevalenza su gli altri, la pietà stessa permetterà di venir contrassegnata con qualificativi specifici. Sotto questo riguardo si è creduto di poterne fare classificazioni per ordini religiosi, chiamando, ad esempio, liturgica la pietà benedettina, affettiva la francescana, dogmatica la domenicana, pietà delle massine eterne quella dei Liguorini.
Conformandoci al medesimo criterio, quale diremo annunciarsi fin d'ora nella pratica di Giovanni Bosco la futura pietà salesiana? Non sembra già scorgere alla lontana le prime linee di una pietà destinata a guadagnarsi il titolo di sacramentale, per la parte sovreminente che vi sarà fatta alla confessione e alla comunione? Mercè appunto questi due sacramenti, ricevuti con frequenza non mai usata per l'addietro, il fondatore dei Salesiani dischiuderà sopra le sue istituzioni le cateratte della grazia.
 
Eugenio Ceria
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