Cap. II. Benedetto.

Come Amati Figli di Dio, noi siamo benedetti. La parola "benedire" è diventata per me molto importante negli ultimi anni e tu sei uno degli amici che l'ha resa tale.

Cap. II. Benedetto.

da L'autore

del 01 gennaio 2002  (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js=d.createElement(s);js.id= id; js.src = "//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1"; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs); }(document, 'script', 'facebook-jssdk'));  

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Come Amati Figli di Dio, noi siamo benedetti. La parola "benedire" è diventata per me molto importante negli ultimi anni e tu sei uno degli amici che l'ha resa tale.

Ti ricordi quando un sabato mattina, a New York, mi hai portato alla sinagoga? Quando siamo arrivati, abbiamo scoperto che doveva esserci la cerimonia di Bar Miswah.

Un ragazzo di tredici anni veniva dichiarato adulto dalla sua congregazione. Per la prima volta, egli guidava il servizio religioso. Ha letto un brano dal libro della Genesi e ha fatto un breve sermone sull'importanza della tutela del nostro ambiente. È stato confermato dal rabbino e dai suoi amici, ed è stato benedetto dai suoi genitori. Era la prima volta che assistevo alla cerimonia di Bar Miswah, ed ero profondamente commosso — soprattutto dalla benedizione dei genitori. Sento ancora il padre dire: «Figlio, qualsiasi cosa accadrà nella tua vita, sia che tu abbia successo o no, sia che tu divenga importante o no, che tu abbia salute o no, ricordati sempre quanto tua madre ed io ti amiamo». Quando egli ha pronunciato queste parole davanti a tutta la congregazione, guardando amorevolmente il giovane che gli stava davanti, mi sono ritrovato con le lacrime agli occhi e ho pensato: «Che grazia ricevere una tale benedizione».

Mi rendo sempre più conto di quanto noi, paurosi, ansiosi, insicuri esseri umani, abbiamo bisogno di una benedizione. I bambini hanno bisogno di essere benedetti dai loro genitori e i genitori hanno bisogno di essere benedetti dai loro bambini. Tutti noi abbiamo bisogno di benedirci a vicenda — maestri e discepoli, rabbini e studenti, vescovi e preti, dottori e pazienti.

Lasciami dire, prima tutto, cosa intendo con la parola "benedire". In latino benedire è benedicere. La parola "benedizione", usata in molte chiese significa letteralmente: parlare (dictio) bene (bene) o dire cose buone di qualcuno. Questo mi dice qualcosa. Ho bisogno di sentire che si dicano cose buone di me, e so quanto tu abbia lo stesso bisogno. Al giorno d'oggi diciamo spesso: «Dobbiamo rassicurarci l'uno l'altro». Senza sicurezza è difficile vivere bene. Dare a qualcuno una benedizione è la più significativa sicurezza che possiamo offrire. E più che una parola di lode o di apprezzamento, è più che indicare i talenti o le buone azioni di qualcuno; è più che porre qualcuno in luce. Dare una benedizione è confermare, dire "sì" al fatto che una persona è Amata. E più che questo: dare una benedizione crea la realtà della quale la benedizione parla. In questo mondo ci sono tante reciproche ammirazioni, proprio come ci sono tante reciproche condanne. Una benedizione va oltre la distinzione tra ammirazione e condanna, tra virtù e vizi, tra buone e cattive azioni. Una benedizione tocca la primigenia bontà dell'altro e dà vita al suo "essere Amato".

Non molto tempo fa, nella mia comunità, ho avuto una autentica esperienza personale del potere di una vera benedizione. Poco tempo prima che ciò accadesse, avevo iniziato una funzione di preghiere in una delle nostre cappelle. Janet, una handicappata della nostra comunità mi disse: «Henri, mi puoi benedire?» Io risposi alla sua richiesta in maniera automatica tracciando con il pollice il segno della croce sulla sua fronte. Invece di essere grata, lei protestò con veemenza: «No, questa non funziona. Voglio una vera benedizione!» Mi resi subito conto di come avevo risposto in modo formalistico alla sua richiesta e dissi: «Oh, scusami ti darò una vera benedizione quando saremo tutti insieme per la funzione». Lei mi fece un cenno con un sorriso e io compresi che mi si richiedeva qualcosa di speciale. Dopo la funzione, quando circa una trentina di persone erano sedute in cerchio sul pavimento, io dissi: «Janet mi ha chiesto di darle una benedizione speciale. Lei sente di averne bisogno adesso». Mentre stavo dicendo questo, non sapevo cosa Janet volesse veramente. Ma Janet non mi lasciò a lungo nel dubbio. Appena dissi: «Janet mi ha chiesto di darle una benedizione speciale», lei si alzò e venne verso di me. Io indossavo un lungo abito bianco con ampie maniche che coprivano sia le mani che le braccia. Spontaneamente Janet mi cinse tra le sue braccia e pose la testa contro il mio petto. Senza pensare, la coprii con le mie maniche al punto da farla quasi sparire tra le pieghe del mio abito. Mentre ci tenevamo l'un l'altra io dissi: «Janet, voglio che tu sappia che sei l'Amata Figlia di Dio. Sei preziosa agli occhi di Dio. Il tuo bel sorriso, la tua gentilezza verso gli altri della comunità e tutte le cose buone che fai, ci mostrano che bella creatura tu sei. So che in questi giorni ti senti un po' giù e che c'è della tristezza nel tuo cuore, ma voglio ricordarti chi sei: sei una persona speciale, sei profondamente amata da Dio e da tutte le persone che sono qui con te».

Appena dissi queste parole, Janet alzò la testa e mi guardò; il suo largo sorriso mi mostrò che aveva veramente sentito e ricevuto la benedizione. Quando Janet tornò al suo posto, un'altra donna handicappata alzò la mano e disse: «Anch'io voglio una benedizione». Si alzò e, prima che mi rendessi conto, mise il suo viso contro il mio petto. Dopo che io le dissi parole di benedizione, molti altri handicappati vennero, esprimendo lo stesso desiderio di essere benedetti. Ma il momento più toccante si verificò quando uno degli assistenti, un giovane di ventiquattro anni, alzò la mano e disse: «E io?» «Certo», risposi. «Vieni». Lui venne e quando ci trovammo di fronte, lo abbracciai e dissi: «John, è così bello che tu sia qui. Tu sei l'Amato Figlio di Dio. La tua presenza è una gioia per tutti noi. Quando le cose sono difficili e la vita è pesante, ricordati sempre che tu sei Amato di un amore infinito». Pronunciate queste parole, egli mi guardò con le lacrime agli occhi e disse: «Grazie, grazie molte».

Quella sera compresi l'importanza della benedizione e dell'essere benedetto e l'ho intesa come il vero segno che contraddistingue l'Amato. Le benedizioni che diamo gli uni agli altri sono espressioni della benedizione che riposa su di noi da tutta l'eternità. È la più profonda conferma del nostro vero io. Essere scelti non è sufficiente. Abbiamo anche bisogno di una continua benedizione che ci consenta di ascoltare, in modo sempre nuovo, che apparteniamo ad un Dio amorevole, che non ci lascerà mai soli, ma che ci ricorderà sempre che ad ogni passo della vita siamo guidati dall'amore. Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe, Lia e Rachele, sentirono quella benedizione e diventarono i padri e le madri della nostra fede. Hanno vissuto il loro lungo e spesso doloroso viaggio senza mai dimenticare che erano i benedetti. Anche Gesù, ascoltò quella benedizione, dopo che Giovanni Battista l'ebbe battezzato nel Giordano. Una voce venne dal cielo dicendo: «Tu sei il mio Amato, in te mi sono compiaciuto». Fu una benedizione e fu quella benedizione a sostenere Gesù attraverso tutte le lodi e le accuse, l'ammirazione e la condanna che seguirono nella sua vita. Come Abramo e Sara, Gesù non perse mai l'intima conoscenza che egli era "colui che era benedetto".

Ti dico tutto questo perché so quanto, sia tu che io, possiamo essere lunatici. Un giorno ci sentiamo grandi e il giorno dopo delle nullità. Un giorno siamo pieni di nuove idee e il giorno dopo ogni cosa ci sembra squallida e noiosa. Un giorno pensiamo di poter sfidare il mondo intero ma il giorno dopo la più piccola richiesta sembra essere troppo per noi. Questo umore mutevole mostra che siamo diventati sordi alla benedizione che fu sentita da Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe, Lia e Rachele e Gesù di Nazareth e che dobbiamo sentire anche noi. Quando ci facciamo sballottare su e giù dalle piccole onde che si agitano sulla superficie della nostra esistenza, diventiamo facilmente vittime di un mondo che ci manipola come vuole, ma quando rimaniamo all'ascolto della profonda, suadente voce che ci benedice, possiamo camminare attraverso la vita con un senso di stabile benessere e di reale appartenenza a noi stessi.

Il sentimento di essere benedetto non è, a parer mio, il sentimento che generalmente abbiamo di noi stessi. Tu hai vissuto molti momenti difficili, momenti nei quali ti sei sentito più maledetto che benedetto. Di me posso dire lo stesso. In effetti, temo che molte persone soffrano a causa di un profondo senso di maledizione. Quando ascolto ciò di cui la gente parla durante i pranzi, nei ristoranti, durante le pause del lavoro, sento da più parti biasimi e lamentele espressi con spirito di passiva rassegnazione. Molti, e anche noi, a volte, si sentono vittime di un mondo che non possono cambiare, e i quotidiani non aiutano di certo molto a contrastare questo sentimento di impotenza. La sensazione di essere maledetti spesso colpisce più facilmente che la sensazione di essere benedetti e possiamo trovare molti argomenti a sostegno di quanto affermiamo. Possiamo dire: «Guarda quello che sta succedendo nel mondo: guarda la gente che muore di fame, i rifugiati, i prigionieri, i malati, i moribondi. Guarda tutta la povertà, l'ingiustizia, la guerra. Guarda le torture, gli omicidi, la distruzione della natura, della cultura. Guarda le continue lotte nei nostri rapporti, per il nostro lavoro, per la nostra salute». Dov'è, dov'è la benedizione? La sensazione di essere maledetti colpisce facilmente, come facilmente diamo ascolto a una voce interiore che ci chiama malvagi, cattivi, corrotti, indegni, inutili, destinati alla malattia e alla morte. Non è più facile per noi credere che siamo maledetti piuttosto che benedetti?

Ma io ti dico ancora che, come Amato Figlio di Dio, tu sei benedetto. Buone parole sono state dette a te e di te — parole che dicono il vero. Le maledizioni — rumorose, chiassose, urlate come possono essere ad alta voce, — non dicono il vero. Sono bugie, bugie facili da credere, ma sempre bugie.

Se la benedizione dice il vero e la maledizione dice il falso su chi tu e io siamo, ci troviamo di fronte ad una domanda molto concreta: come ascoltare e rivendicare la benedizione? Se la realtà del nostro "essere benedetti" non è soltanto un sentimento, ma una verità che regola la nostra vita quotidiana, dobbiamo esser capaci di vedere e di sperimentare questa benedizione senza ambiguità. Lascia che ti dia due suggerimenti per rivendicare il tuo "essere benedetto". Questi suggerimenti hanno a che fare con la preghiera e con la presenza.

Prima di tutto la preghiera. Per me, personalmente, la preghiera diventa sempre più un modo di ascoltare la benedizione. Ho letto e ho scritto molto sulla preghiera, ma quando mi ritiro in un luogo appartato per pregare, capisco che, sebbene io abbia la tendenza a dire molte cose a Dio, il vero "lavoro" della preghiera è di farsi silenziosa e ascoltare la voce che dice cose buone di me. Questo può suonare come una sorta di autoindulgenza, ma in pratica è una disciplina dura. Sono così sgomento di essere maledetto, di sentire che non sono buono, o non sono abbastanza buono che sono quasi subito tentato di iniziare a parlare e di continuare a parlare per controllare le mie paure. Mettere garbatamente da parte e zittire le molte voci che dubitano della mia bontà e confidare che sentirò la voce della benedizione questo richiede un vero sforzo.

Hai mai provato a passare una intera ora senza far nulla, ascoltando soltanto la voce che dimora nel profondo del tuo cuore? Quando non c'è radio da ascoltare, TV da vedere, non ci sono libri da leggere, né persone con cui parlare, non ci sono progetti da portare a termine, né telefonate da fare, come ti senti? Spesso tutto ciò ad altro non serve che a renderci così avvertiti di quanto c'è ancora da fare e non abbiamo ancora fatto che decidiamo di lasciare questo terribile silenzio e di tornare al lavoro! Non è facile entrare nel silenzio, passare oltre le molte voci chiassose e esigenti del nostro mondo e scoprire, nel silenzio, la piccola voce interiore che dice: «Tu sei il mio Amato Figlio, in te mi sono compiaciuto». Inoltre, se osiamo abbracciare la nostra solitudine e favorire il nostro silenzio, arriveremo a conoscere quella voce. Non voglio dirti che un giorno sentirai quella voce con le orecchie del tuo corpo. Non sto parlando di una voce frutto di allucinazione, ma di una voce che può essere sentita dalle orecchie della fede, le orecchie del cuore.

A volte sentirai che non succede nulla nella tua preghiera. Tu dici: «Sono soltanto seduto qui e comincio a distrarmi». Ma se ti addestri una mezz'ora al giorno ad ascoltare la voce dell'amore, scoprirai gradualmente che sta succedendo qualcosa di cui non eri ancora cosciente. Potrebbe darsi che solo in retrospettiva tu scopra la voce che ti benedice. Pensavi che quello che succedeva durante il tuo tempo d'ascolto non era niente più che una enorme confusione, ma poi ti scopri ad aspettare con ansia il tuo momento di silenzio e a sentirne la mancanza quando non puoi averlo. Il movimento dello Spirito di Dio è molto rispettoso, molto dolce — e nascosto. Non esige attenzione. Ma questo movimento è anche persistente, forte e profondo. Cambia i nostri cuori in maniera radicale. La disciplina costante della preghiera ti rivela che tu sei il benedetto e ti dà il potere di benedire gli altri.

Potrebbe essere utile, a questo punto, offrire un suggerimento pratico. Un buon sistema per ascoltare è ascoltare con un testo sacro: per esempio, un salmo o una preghiera. Lo scrittore indù, maestro di spiritualità, Eknat Easwaran, mi ha insegnato quanto sia utile imparare un testo sacro a memoria e ripeterlo lentamente nella propria mente, parola dopo parola, frase dopo frase. In questo modo ascoltare la voce dell'amore diventa non una attesa passiva, ma una attiva attenzione alla voce che ci parla attraverso le parole della Scrittura.

Io passo molte delle mie mezz'ore di preghiera non facendo niente, ma ripetendo lentamente la preghiera di san Francesco: «Signore, fammi strumento della tua pace. Dove c'è odio fa ch'io porti l'amore». Appena lascio che queste parole si spostino dalla mia mente al mio cuore, comincio a sperimentare, al di là di tutte le mie irrequiete emozioni e sensazioni, la pace e l'amore che sto chiedendo con le parole.

Così facendo ho anche il modo di venire a patti con le mie infinite distrazioni. Quando mi ritrovo a vagabondare coi pensieri, senza alcuna meta, posso sempre ritornare alla mia semplice preghiera e, tramite suo, ascoltare ancora nel mio cuore la voce che desidero tanto ascoltare.

Il mio secondo suggerimento per sostenere il tuo "essere benedetto", è quello di coltivare la presenza.

Con questo intendo dire di porgere attenzione alle benedizioni che giorno dopo giorno, anno dopo anno, ti arrivano. Il problema della nostra vita moderna è che siamo eccessivamente occupati — alla ricerca di affermazione nei posti sbagliati? — per notare che siamo stati benedetti. La gente dice spesso buone cose di noi, ma noi ci passiamo sopra con osservazioni del tipo: «Oh, non dirlo neanche, dimenticatelo, non è nulla», e così via. Queste osservazioni possono sembrare espressioni di umiltà, ma in realtà, sono segni che non siamo veramente presenti per ricevere le benedizioni che ci sono date. Non è facile per noi, gente indaffarata, ricevere veramente una benedizione. Forse il fatto che poche persone offrono una vera benedizione è il triste risultato dell'assenza di persone che sono disposte e capaci di ricevere una tale benedizione. Per noi è diventato estremamente difficile fermarci, ascoltare, fare attenzione e ricevere garbatamente ciò che ci viene offerto.

Vivere con persone che hanno handicap mentali mi ha chiarito le idee al riguardo. Queste persone hanno molte benedizioni da offrire, ma quando sono sempre occupato, sempre impegnato in qualcosa di importante, come posso ricevere quelle benedizioni? Adam, uno dei membri della mia comunità, non può parlare, non può camminare da solo, non può mangiare senza aiuto, non può vestirsi o svestirsi da sé, ma ha delle grandi benedizioni da offrire a coloro che spendono il proprio tempo per stare con lui, sostenendolo o solo stando seduti vicino a lui. Non ho ancora incontrato nessuno che abbia passato molto tempo con Adam senza sentirsi benedetto da lui. È una benedizione che viene dalla semplice presenza. Ma anche tu sai quanto può essere difficile questa semplice presenza. C'è sempre ancora tanto da fare, tanti compiti e lavori da portare a termine, che questa semplice presenza può facilmente sembrare inutile e anche una perdita di tempo. Eppure, senza un cosciente desiderio di "sprecare" il nostro tempo, è difficile ascoltare la benedizione.

Questa attenta presenza può permetterci di vedere quante benedizioni abbiamo da ricevere: la benedizione del povero che ci ferma per strada, la benedizione delle gemme degli alberi e dei fiori freschi che ci parlano di una nuova vita, la benedizione della musica, della pittura, della scultura e della architettura, ma soprattutto le benedizioni che ci vengono attraverso parole di gratitudine, incoraggiamento, affetto e amore. Queste molte benedizioni non hanno bisogno di essere inventate. Sono qui, ci circondano da ogni parte, ma dobbiamo essere presenti e riceverle. Esse non si impongono a noi. Sono il dolce ricordo della bella, forte, ma nascosta voce di colui che ci chiama per nome e dice cose buone di noi.

Spero veramente che questi due suggerimenti — preghiera e presenza — possano aiutarti a rivendicare il tuo "essere benedetto" che è uno stato che ti appartiene. Non sottolineerò mai abbastanza l'importanza di fare questa richiesta: non rivendicare il tuo essere benedetto" ti porterà presto nella terra della maledizione. C'è poco o nessun territorio neutrale tra la terra dei benedetti e la terra dei maledetti. Tu devi scegliere qual è il territorio dove vuoi vivere e questa scelta è di quelle che devi continuare a fare momento dopo momento.

Prima di concludere queste riflessioni sull'essere benedetti, devo dirti che rivendicare per te il tuo stato di "essere benedetto", porta sempre a un profondo desiderio di benedire gli altri. La caratteristica di coloro che sono benedetti è che, ovunque essi vadano, dicono sempre parole di benedizione. È sorprendente come sia facile benedire gli altri, dire cose buone a loro e di loro, far emergere la loro bellezza e verità, quando tu stesso sei in contatto con questa realtà. Il benedetto benedice sempre. E la gente vuole essere benedetta! Questo, ovunque tu vada, è evidente. Nessuno è portato a vivere attraverso le maledizioni, il pettegolezzo, le accuse o i biasimi. Troppe cose del genere accadono sempre intorno a noi, e questo causa soltanto oscurità, distruzione e morte. In qualità di "benedetti", noi possiamo camminare attraverso questo mondo e offrire benedizioni. Questo non richiede molto sforzo. Sgorga spontaneamente dai nostri cuori. Quando sentiamo dentro di noi la voce che ci chiama per nome e ci benedice, l'oscurità non può sviarci a lungo. La voce che ci chiama Amati ci darà le parole per benedire gli altri e rivelerà loro che non sono meno benedetti di noi.

Tu vivi a New York, io vivo a Toronto. Se scendi per la Columbus Avenue ed io per la Yonge Street, non ci facciamo illusioni sull'oscurità. La solitudine, le persone senzatetto e i tossicodipendenti, sono realtà fin troppo evidenti. Tuttavia queste persone desiderano tutte una benedizione. Benedizione che può essere data soltanto da coloro che l'hanno già sentita.

Ora mi sento pronto per scriverti sulla più dura verità da mettere in parole: la verità del nostro "essere spezzati". Noi siamo scelti e benedetti. Una volta che abbiamo accettato questa verità e le abbiamo detto «sì», possiamo affrontare il nostro e l'altrui "essere spezzati" con occhi aperti. Facciamolo adesso.

Henri. J.M. Nouwen.

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