Venne il giorno, in cui era necessario che scegliesse per quale via correre alla salvezza delle anime. Nessuna preoccupazione in lui per tale scelta.
del 14 dicembre 2011
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Ogni cristiano è tale per la fede, di cui il battesimo è la porta, ed è la fede il fondamento della vita soprannaturale e il vincolo che unisce l'anima a Dio; la qual fede viene integrata dalla speranza e dalla carità.''Ma altro è èssere crédente, altro essere uomo di fede. Il credente pratica più o meno la sua fede, mentre l'uomo di fede vive della fede e la vive a segno da raggiungere una profonda e continua unione con Dio. Tale fu Don Bosco.
Veramente, quasi tutto quello che abbiamo visto fin qui e gran parte del resto che vedremo, è fede vissuta: pensieri, affetti, imprese, ardimenti, dolori, sacrifici, pie pratiche, spirito di orazione furon tutte fiamme sprigionantisi dalla fede che gli ardeva in petto; parrebbe quindi doversi o ridire il già detto o rinunciare a un capo sulla fede. Tuttavia nella vastità del campo ci rimane ancora qualche poco da spigolare. Una vita così perennemente e intensamente animata dal soffio della fede non offrirà materia a indugiarci di proposito nella prima delle virtù teologali? Non possono mancarvi note caratteristiche meritevoli di essere messe in particolare rilievo.
Fra i testi chiamati a deporre nei processi, quelli che vissero più lungamente vicino a Don Bosco, si direbbe che fanno a gara per esaltarne la fede. Le loro deposizioni si possono condensare in questa formula: le verità della fede il nostro Santo fu avido di conoscerle, fermo nel crederle, fervente nel professarle, zelante nell'inculcarle, forte nel difenderle. Degna di attenzione speciale è la testimonianza, con cui Don Rua incominciò la sua deposizione. Esordì in questi termini: «Fu uomo di fede. Istruito da bambino nelle principali verità della nostra santa religione dall'ottima sua madre, ne divenne famelico».
L'ultima espressione è non meno vera che bella; non solo però nella puerizia la mamma nutrì di fede l’anima del figlio, ma anche dopo, nei momenti più solenni della vita, riversò nel cuore di lui la piena della fede che traboccava dal suo. Ecco perché Don Bosco serbò quasi un culto alla memoria della virtuosa genitrice. Fino agli estremi suoi giorni scrisse e parlò di lei con una tenerezza che commuove. Nelle sue parole vibrava un sentimento di viva gratitudine a Dio per avergli dato una madre tanto pia; gli parve sempre questo un segnalatissimo favore del Cielo.
Bisogna tuttavia aggiungere che, se la madre interveniva nelle occasioni più importanti della sua vita, questi suoi interventi erano prevenuti da potente lavorio della grazia divina, la quale dal fondo della fede gli faceva trarre atti e propositi generosi. Mamma Margherita, preparò il suo Giovanni alla prima comunione, conducendolo ella stessa ai piedi del confessore; ma egli, non pago ancora, volle tornare a confessarsi altre due volte, tanto era alto il concetto che già allora la fede gl'ispirava di si augusto sacramento.
Nell'affare della vocazione la madre gli dichiarò nettamente: - In queste cose io non centro, perché Dio è prima di tutto. Non pensare a me. Io sono povera; ma se tu, prete, diventerai ricco, non verrò a farti una sola visita. Ma il figlio era già così persuaso di non dover ascoltare nella vocazione la voce della carne e del sangue, che stava da tempo in cima a' suoi pensieri una sola preoccupazione, quella di ben conoscere e di fedelmente seguire la chiamata del Signore; infatti, prima ancora di parlarne con la madre, andava facendo tutte le diligenze possibili per venirne a capo.
Entrato poi nel seminario, vi portò un'idea così eccelsa del sacerdozio, a cui aspirava, che per prepararvisi degnamente si diede a una vita di perfezione non solo praticando i consigli evangelici, ma consacrandosi perfino con voto perpetuo. Ordinato prete, la madre gli tenne un sublime discorso: - Sei prete, dici là Messa dà qui avanti sei dunque più vicino a Gesù Cristo. Ricordati però che cominciare a dir Messa vuol dire cominciare a patire. Da qui innanzi pensa solamente alla salute delle anime e non prenderti nessun pensiero di me. Anche su di questo il figlio aveva già formate le sue buone risoluzioni; tra le altre, quella di «patire, fare, umiliarsi in tutto e sempre, quando si trattasse di salvare anime». Il suo spirito si moveva dunque in una piena atmosfera soprannaturale di fede.
Venne il giorno, in cui era necessario che scegliesse per quale via correre alla salvezza delle anime. Nessuna preoccupazione in lui per tale scelta.
La fede gl'insegnava che la volontà di Dio si manifesta per mezzo dei Superiori; a lui premeva soprattutto di non metterci nulla di suo. Suo Superiore era il Beato Cafasso. Questi un bel giorno gli diede ordine di andar a dirigere un ospedaletto aperto per fanciulle dalla Marchesa di Barolo ed a governare nello spirito un educandato della medesima Signora. Ci poteva essere cosa più contraria alle sue aspirazioni? Non era stata sempre sua ardente brama di occuparsi dei giovani?
Dei precedenti suoi primi quattro mesi di sacerdozio, passati presso il proprio parroco a Castelnuovo, scrisse più tardi: «La mia delizia era fare il catechismo ai fanciulli, trattenermi con loro, parlare con loro». E ne era sempre circondato. Doveva dunque mandare tutto a monte? Non prese consiglio da umana prudenza, ma unicamente dalla fede la quale gli magnificava il valore e il merito dell'obbedienza. Obbedì senza far motto. Non poteva certo supporre in quel momento, che proprio per una via così impensata e così opposta a' suoi disegni, la Provvidenza lo avviasse alla mèta vagheggiata.
«La fede è quella che fa,tutto», scrisse una volta. Con tale 'convinzione in mente, non credette mai di aver fede abbastanza. Una volta raccomandò financo ai giovani di pregare, perché il Signore gli concedesse «una fede viva, quella fede che trasporta le montagne nel luogo delle valli, e le valli nel luogo delle montagne». Anzi talora nel corso delle sue imprese ed anche prossimo alla fine de' suoi giorni si accusò di fede mancante, esclamando con le lacrime agli occhi: «Quante cose di più avrebbe fatto il Signore, se Don Bosco avesse avuto più fede!».
Vero è che senza una gran fede non avrebbe potuto fare il gran bene che fece. Su questo tema ci sarebbe da scrivere per un bel pezzo! Contentiamoci di fermare l'attenzione su pochi punti ben determinati e più comprensivi. Aggiungiamo poche cose sopra un tema già toccato nel capo settimo. Gloria di Dio e salute delle anime sono due espressioni, che s'incontrano con frequenza nella letteratura salesiana. L'uso invalse a forza di udirle ripetere da Don Bosco e quindi anche dal suo successore e continuatore Don Rua. Il nostro Santo nel parlare ai Salesiani, nelle comunicazioni ai Cooperatori, negli scritti, nella corrispondenza epistolare le adoperava di continuo. Levato sulle ali della fede, non cercava altro nella vita.
Una lezione salutare doveva finire di staccarlo da sé e dalle mire terrene. Andava a recitare il penegirico di S. Benigno in un paese dell'astigiano. Aveva preparato un sermone coi fiocchi per far onore al Santo, ma un poco anche a sé. Faceva la strada a cavallo. A mezzo cammino la bestia spaventata si diede a una corsa pazza attraverso campi e prati, finché lo buttò capovolto sopra un mucchio di pietre spaccate. Portato privo di sensi in una casa vicina e curato, si riebbe ma se la legò al dito. «Dopo questo avviso, scrisse nelle Memorie, ho fatto ferma risoluzione di voler per l'avvenire preparare i miei discorsi per la maggior gloria di Dio e non per comparire dotto e letterato». La gloria di Dio e, ciò che torna al medesimo, il bene delle anime gli stavano già a cuore; ma da quel giorno vi si abbandonò senza riserva, nulla scorgendo di più nobile né di più giusto per un ministro del Signore.
Prima di mettere mano a un'impresa qualsiasi, divenne sua costante abitudine osservare se ridondasse a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime e, avutane la morale certezza, riteneva che l'idea gli venisse dall'alto, né cosa del mondo valeva più ad arrestarlo. Altri intorno a lui potevano bene sbigottirsi nel timore che dovessero mancare i mezzi. Uomini materiali! diceva in simili casi. Non è molto più creare l'idea che dare i mezzi per attuarla? - Non pochi stupirono al vederlo intraprendere la costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice, sapendosi che non aveva fondi e che non c'era da sperar molto per tali opere in quei tempi. Non è questo uno sfidare la Provvidenza? - gli andavano dicendo. Ma la sua risposta era sempre quella.
Il movente di una fede viva, illuminata e costante produceva in lui effetti. Gli dava forza a tollerare stenti, fatiche, disdette e persecuzioni che avrebbero, come si esprime il Cagherò nei Processi, schiacciato chiunque si fosse lasciato guidare da motivi umani. Inoltre lo manteneva in un'abituale calma e serenità. Se Dio permette,queste prove, diceva, è segno che ne vuol cavare gran bene. Andiamo avanti con coraggio e pazienza, confidando in Lui. Certuni de' suoi avrebbero voluto qualche volta, come i figli di Zebedeo, invocare il fuoco dal cielo; ma egli sorridendo ne smorzava le collere dicendo: - Eh! voi siete ancora ragazzi. Bisogna - lasciar tutto nelle mani del Signore. Egli saprà disperdere i cattivi disegni. Piuttosto preghiamo e non temiamo, - Altre volte osservava: - Quanto più mancano gli appoggi umani, tanto più Dio vi mette del suo. L'ho già sperimentato. Oppure: - In mezzo alle prove più gravi ci vuole maggior fede in Dio. Usciva anche in invocazioni: - L'opera è vostra, o Signore, voi la sosterrete. Se l'opera è mia, sono contento che cada. Infine con l'animo così disposto le occupazioni materiali e le preoccupazioni finanziarie sembrava che gli tornassero soavi e si vedeva che non lo raffreddavano punto nell'esercizio della sua unione con Dio.
Questo abbandono in Dio non escludeva le industrie personali. Era sua massima che anche la Provvidenza vuol essere aiutata dai nostri sforzi; onde nel cominciare le sue opere prevedeva già sempre di dover darsi attorno. Non bisogna aspettare l'aiuto della divina Provvidenza stando neghittosi, soleva dire. Il Signore si muove in soccorso, quando ne vede i nostri sforzi generosi per amor suo.
E circa le cose fatte che cosa gli suggeriva la fede? Abbiamo su di questo una bella lezione data durante la grave malattia del 1872 al coadiutore che lo assisteva. La lezione non era per lui o almeno non per lui solo. Giova riportarla. Quando principiava a riaversi, il rifluire della salute lo rendeva espansivo più dell'ordinario, come avviene generalmente nei convalescenti. Dopo aver facenziato sul cambiamento che subiva della pelle, continuò: «Vedremo se questa nuova pelle sarà più forte e più capace dell'altra a resistere alle bufere e alle tempeste. Ho fiducia però che Dio la renderà abbastanza resistente per l'opera sua, a sua maggior gloria. Persuaditi, mio caro, tutte le nostre facoltà e il nostro ingegno, tutti i nostri lavori, le nostre pene, le nostre umiliazioni, bisogna che abbiano di mira solamente la gloria di Dio. Se noi fatichiamo per il nostro onore, non valgono nulla i nostri pensieri, i nostri trovati, le nostre invenzioni, le nostre opere. Guai a chi lavora aspettando le lodi del mondo! Il mondo è un cattivo pagatore, paga sempre con l'ingratitudine. Chi è Don Bosco? È un povero figlio di contadini, che la misericordia di Dio elevò al grado di sacerdote senza alcun suo merito. Ma osserva quanto è grande la bontà del Signore! Egli si servì di un semplice prete per fare cose ammirabili in. questo mondo; e tutto si fece e si farà in avvenire a maggior gloria di Dio e della sua Chiesa!
La sua fede si rivelava al sommo nel cercare la salute delle anime. Chiunque gli venisse dinanzi, la sua mente lo faceva pensare subito all'anima di lui e al modo di giovargli per l'eternità. Due considerazioni soprannaturali gl'ispiravano questo zelo: il pericolo dell'altrui eterna dannazione e tutto quanto aveva fatto e patito il divin Redentore per la salute delle anime. Tremava quindi per la sorte che poteva toccare a chi non si curasse dei propri destini dopo la morte, e si sentiva acceso da forte brama di guadagnar tutti a Gesù Cristo; nel che dava prova di un coraggio e di una fortezza senza limiti: coraggio nel vincere ogni rispetto umano, fortezza nel sopportare disagi, sacrifici, umiliazioni per si caritatevole e nobile scopo. Compreso del suo potere sacerdotale di rimettere i peccati, invitava tutti al salutare lavacro della confessione.
Finché gli fu possibile, si aggirava per Torino in cerca di anime, entrando in pubblici esercizi, come in osterie, caffè, botteghe di barbieri e con la scusa di una consumazione, di un acquisto o di un servizio, attaccava abilmente conversazione con avventori e principali, trovando la via per giungere allo scopo da lui inteso. Più tardi non si lasciava sfuggire occasione di toccare il medesimo tasto negli incontri, nei viaggi o nelle udienze, nel che non faceva distinzione di persone. Il Signore, è vero, gli aveva donato un'efficacia di parola più unica che rara; ma ciò non toglieva che in molte circostanze il suo linguaggio sonasse ostico sulle prime o che si richiedesse da parte sua un tal quale ardimento per entrare in certi discorsi con gente altolocata o con uomini colti e con miscredenti. La sua fede però gli comunicava una sicurezza e una disinvoltura, a cui, era difficile resistere. Non a torto fu detto un gran pescatore di anime.
Qui specialmente mirava con una sentenza, che gli piaceva ripetere parlando a ecclesiastici: «Chiunque avvicini un sacerdote, deve riportarne sempre qualche verità che gli rechi vantaggio all'anima»
Al qual proposito aggiungerò una notizia venuta fuori durante il Processo Apostolico. Pio IX aveva dispensato Don Bosco dalla recita dell'ufficio; ne recitava però abitualmente qualche parte. Orbene egli in compenso promise di non far atto né di pronunciar parola che non avesse in mira la gloria di Dio. Avevano evidentemente questo scopo anche i frequenti richiami ad aggiustare le partite della coscienza.
Della sua fortezza a tollerare incomodi e sofferenze d'ogni sorta nell'esercitare il ministero del perdono, abbiamo detto sopra quanto basta al nostro intento. Persone a lui molto affezionate, vedendo che l'età e la salute esigevano riguardi, avrebbero voluto che si moderasse nel lavoro del confessionale e si concedesse un po' di riposo. È nota la sua risposta: - Bisogna dire al demonio che cessi d'ingannar tanti poveri giovani e di attirare tanti all'inferno; allora cesserò anch'io dal sacrificarmi per loro.
Detto di questi due punti fondamentali, dirò brevemente di tre altre cose, che ci aiuteranno a misurare la grandezza della fede in Don Bosco. La prima riguarda il tanto che fece e patì per difendere la fede contro gli attentati dell'eresia.
Nel 1851, promulgate le leggi sulla libertà dei culti e della stampa, i protestanti si buttarono a una propaganda spietata nelle contrade piemontesi, erigendo financo un tempio in Torino. I cattolici, avvezzi al regime precedente, non erano preparati a sostenere la lotta. Don Bosco si levò sentinella vigile in difesa della fede. Per preservare dalle insidie gl'incauti, lanciava nel pubblico foglietti volanti, fondò un periodico intitolato l'Amico della gioventù, e faceva scrivere opuscoli che veniva divulgando con le Letture Cattoliche, ì pure nel Giovane Provveduto trattatello sui Fondamenti della fede. questa inserzione pare un fuor d'opera; ma aveva la sua ragion d'essere allora.
Ricoverava intanto nell'Oratorio quanti più fanciulli poteva, strappati ai lacci dei protestanti. Teneva colloqui e sosteneva dispute con caporioni e ministri delle sette, incantandoli sovente con la sua mirabile calma e impressionandoli con la luminosa chiarezza delle sue dimostrazioni. La carità non mai scompagnata dalle sue parole ne soggiogò parecchi, i quali abiurarono i loro errori. A molti inviava soccorsi pecuniari, affinché, stretti dal bisogno, non si lasciassero comprare dai nemici della fede. Metteva inoltre sull'avviso parroci e prelati, denunciando subdole mene di eretici.
Il suo zelo personale non era circoscritto a Torino. Andava a predicare missioni in paesi già infetti dal contagio ereticale. Fece gran rumore una sua predica nel 1856 a Viarigi, dove si era insediato un apostata fanatico, che si trascinava dietro una folla d'illusi; Dio ve lo favorì anche di prodigi. Eppure non tutti anche tra i ben pensanti compresero la sua provvidenziale azione e gli causavano affliggenti umiliazioni, mentre avversari accaniti trascendevano a vie di fatto, attentando più volte alla sua vita, come abbiamo accennato altrove. Ma nulla intimidiva l'atleta della fede. Anzi dal 1868 in poi estese pure le sue sollecitudini al Canton Ticino, dove il radicalismo imperante aveva reso privi di parroci non pochi luoghi; sommano a non meno di trenta i paesi, ai quali procurò ottimi sacerdoti, sottostando a spese e sacrifici e anche affrontando non lievi opposizioni; ma continuò imperterrito, meritandosi la riconoscenza dei cattolici, confermati per mezzo della sua carità nella loro fede.
Quanto gli costò l'erigere in Torino la chiesa di S. Giovanni Evangelista, che a poca distanza dal tempio valdese doveva neutralizzarne il malefico influsso! È noto poi che le Case salesiane della Spezia, di Vallecrosia e di Firenze furono da lui aperte con il fine precipuo di far argine all'attività protestante. Dio benedisse anche là il suo zelo. Alla Spezia per esempio, dove nel 1880 i protestanti avevano cinquecento ragazzi alle loro scuole, nel 1884 ne avevano appena più diciassette. Vi sarebbe ancora altro da dire; ma non lo consentono i limiti di questo lavoro.
Un giorno Don Bosco, discorrendo in camera con alcuni Salesiani, all'improvviso si fece serio, impallidì, tremò da capo a piedi e stette con gli occhi fissi e immobili. I circostanti lo guardavano spaventati, quando, ritornato in sé, disse: - Ho veduto una fiammella spegnersi. Un giovane dell'Oratorio festivo si è fatto protestante. Ecco un indice della sensibilità di «Don Bosco di fronte ai pericoli della fede.
La fede di Don Bosco lo faceva trepidare dinanzi al crescente diradarsi delle file dei giovani aspiranti al sacerdozio. I tempi volgevano tristissimi per le vocazioni ecclesiastiche; non è qui il luogo di enumerare le cause. Se fides ex auditu, sarebbe stato del popolo cristiano, quando fosse venuta a mancare la parola di Dio e in genere l'istruzione religiosa? Il servo fedele della Chiesa non si perdeva in vani lamenti. Uomini del Governo avevano un bel rimproverargli di fare troppi preti! Egli non la perdonava a sacrifici per moltiplicare gli alunni del santuario.
Predicava a voce e per iscritto che, procurando una buona vocazione, si regalava un gran tesoro alla Chiesa. Quindi raccomandava ai Salesiani che per mancanza di mezzi non ricusassero mai di ricevere un giovane, il quale desse buone speranze di poter essere incamminato al sacerdozio. Spendessero pure tutto quello che avevano e, occorrendo, andassero anche a questuare: se per questo si trovassero in bisogno, non si affannassero che la Madonna in qualche modo, anche prodigiosamente, li avrebbe aiutati. Poco importava che un prete andasse poi in diocesi, nelle missioni o in una casa religiosa; era sempre un prezioso regalo fatto alla Chiesa di Ges√π Cristo.
Dal canto suo apriva le porte dell'Oratorio ai giovani che mostrassero inclinazione allo stato ecclesiastico; non credeva di poter impiegare meglio i mezzi fornitigli dalla carità, che allestendo locali opportuni per accoglierne il maggior numero possibile e spendendolo senza riserva in lor favore per studio, vitto, vestito, titolo ecclesiastico, riscatto dalla leva militare. Centinaia di alunni, speranze della Chiesa, passarono dall'Oratorio in seminari, checché cercassero d'insinuare coloro, i quali sussurravano che Don Bosco pensava a reclutare vocazioni solamente per sé. Nelle Memorie Biografiche possono riscontrare dati positivi, donde risulta tutto il contrario.
Che dire poi degli enormi sacrifici di un decennio per dare ospitalità e comodità di studi e di formazione nell'Oratorio ai chierici di Torino e di altre diocesi subalpine e liguri, quando il Governo ordinò la chiusura di parecchi seminari? Non basta. A fine di cavare figli di Abramo anche dai sassi, ideò nel 1875 e istituì l'Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni tardive, la quale somministrò un contingente assai rilevante di buoni preti. In queste sollecitudini la durò fino al termine della vita.
Nel 1883, dinanzi avari autorevoli Salesiani, disse con visibile compiacenza: - Sono contento! Ho fatto redigere una diligente statistica, e si è trovato che più di duemila sacerdoti sono usciti dalle nostre case e sono andati a lavorare nelle diocesi. E rendeva grazie a Dio ed a Maria Ausiliatrice, che gli avessero procurati i mezzi, con cui fare tanto bene.
Altra nota caratteristica del suo spirito di fede fu l'amore per tutto ciò che si riferisse al culto divino. E vero che il culto appartiene alla virtù della religione; ma presuppone la virtù della fede, che illumina sui diritti di Dio. Prescindendo dal culto interno, oggetto di tanta parte del già esposto fin qui, toccheremo solo del culto esterno. Anche de' suoi atti di culto abbiamo avuto più volte occasione di parlare. Resta da mostrare quanto fece il suo zelo per i luoghi e per le cerimonie del culto.
Benché povero, profuse tesori nell'erezione delle tre chiese di Maria Ausiliatrice e di S. Giovanni Evangelista a Torino e del Sacro Cuore di Gesù a Roma. Le volle splendide per ricchezza e per arte: «Che uomo unico! scriveva l'architetto della seconda. Dandomi idea del prezzo da spendere, aggiungeva con una pace e confidenza invidiabile: Però è meglio far le cose bene e se la stima eccedesse anche del doppio le somme stanziate, non fa niente, troveremo modo di soddisfarvi».
Dando grande importanza alla musica, impiantò in esse organi di prim'ordine. Le esecuzioni erano avvenimenti, che servivano a tirar gente alle solennità e con la decorosa grandiosità non solo mettevano entusiasmo nel popolo, ma imprimevano negli animi un'alta idea dell'onore dovuto a Dio.
Riguardo alle funzioni accennerò soltanto a una geniale singolarità. Spiccava in esse il così detto piccolo clero, creazione di Don Bosco nella forma da lui introdotta. I Salesiani diffusero l'istituzione in ogni parte; a Parigi una tal vista fece profonda impressione anche nel Huysmans. Quei numerosi chierichetti di Don Bosco eseguivano le sacre cerimonie con edificante esattezza, gravità e grazia e serbavano un contegno, che attirava la divota ammirazione dei fedeli.
Don Bosco sapeva innamorare i giovani di tutto quello che si dice, servire, all’altare, tanto nelle maggiori solennità e nelle feste ordinarie quanto nelle funzioni quotidiane. Questo contribuiva molto a fare dell'Oratorio un ambiente di fede, riflesso della fede di lui, sempre desideroso di veder Dio degnamente servito. Coloro che venivano di fuori, depose un testimonio ben informato, erano presi d'ammirazione allo spettacolo di tanti giovani così pii e lieti. Famiglie signorili e patrizie, soggiunge il medesimo, conducevano i figli nella chiesa prima di san Francesco e poi di Maria Ausiliatrice, perché si specchiassero senz'accorgersi in quei figli del popolo tanto sereni e buoni.
Questo della fede di Don Bosco è un argomento inesauribile; ma qui non è possibile svilupparlo più ampiamente. Servano pertanto di chiusa alcune parole, che il quarto successore di Don Bosco scrisse da Roma a tutti i Salesiani nella stessa giornata trionfale della canonizzazione:
«La fede, che di ogni santità è fondamento, fu senza dubbio lucerna a' suoi passi, secondo l'espressione del Salmista. Nella luce della fede la sua mente s'inebriava alla contemplazione delle verità rivelate e la sua volontà si muoveva nelle direzioni che erano conformi al beneplacito divino. Quindi o parlasse o scrivesse o agisse, il suo spirito non oscillava mai fra Dio e il proprio io, fra il cielo e la terra, fra l'eterno e il temporaneo, fra il dovere e il piacere, ma si slanciava tosto dalla parte di Dio, Padre e Signore assoluto, donde pigliava la norma sicura con cui regolarsi in tutto che avesse ragione di relativo e terreno. Intendo dire che in nulla egli cercò se stesso, il suo comodo, la sua soddisfazione, il suo tornaconto; ma spese tempo, energie e sforzi per servire nel miglior modo possibile il Signore, lavorando nel campo assegnatogli dalla Provvidenza».
 
Eugenio Ceria
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