Capitolo 12

Le principali solennità nell'oratorio - Le indulgenze - Preparativi - La gioia di questi giorni - Straordinari divertimenti e spettacoli - I giochi di prestigio - La ruota della fortuna - Lotterie.

Capitolo 12

da Memorie Biografiche

del 06 novembre 2006

 All’oratorio in nessuna stagione rimanevano giorni di vacanza. Le sacre funzioni si avvicendavano tutti i giorni festivi. Alcuni però di questi si distinguevano fra gli altri per la maggiore solennità, le sante industrie e per le fatiche ancor più gravose cui si sobbarcava D. Bosco. Erano le feste di S. Francesco di Sales, Titolare dell'Oratorio; di S. Luigi Gonzaga, Patrono principale; dell'Angelo Custode, Patrono dell'Oratorio; e quelle di Maria Vergine, l'Annunciazione, l'Assunzione, la Nascita, il Rosario e l'Immacolata Concezione. D. Bosco raccomandava in queste maggior devozione e raccoglimento, specialmente per l'indulgenza plenaria concessa poi per ciascuna di esse dal Romano Pontefice; e desiderava che i giovani ne comprendessero l'importanza e quindi conoscessero le condizioni necessarie per lucrare tutto l'inestimabile tesoro. “ È bene qui notare, scriveva nel Regolamento degli Oratorii festivi, che per lucrare la plenaria indulgenza è prescritto: 1° La sacramentale Confessione e Comunione; 2° Visitare questa nostra chiesa; 3° Far qualche preghiera secondo l'intenzione del Sommo Pontefice ”. E nel suo manoscritto autografo si legge: “Nelle occorrenze di queste feste tutti i figli dell'Oratorio e specialmente gli incaricati dei vari uffici, anche per dare buon esempio, sono invitati a partecipare dei celesti favori e ad accostarsi ai santi Sacramenti ”.

Ei non si lasciava sfuggir nessuna di queste occasioni per esortare calorosamente tutti quelli dell'Oratorio ad una comunione generale; e non si stancava mai, benchè tali comunioni per questo o quel motivo si celebrassero per lo meno una volta al mese. Nè si appagava del numero delle comunioni, ma per quanto era in lui si adoperava con vivissimo impegno ad impedire, che neppure una di queste recasse sacrilego oltraggio a N. S. Gesù Cristo. In quanto alla confessione ei ripeteva ciò che aveva pur scritto nell'autografo sopra citato: “ Per lucrare le sante indulgenze è indispensabile lo stato, di grazia, perchè non può ottenere la remissione della pena temporale chi meritasse la pena eterna ”. E in quanto alla SS. Comunione erano continuamente sulle sue labbra alcune massime, che allievi di questi anni ci ripeterono testualmente: “ Prima di accostarvi a ricevere l'adorabile corpo di Gesù Cristo dovete riflettere se avete nel cuore le debite disposizioni. Sappiate che quel figlio il quale dopo di aver peccato non vuole emendarsi, cioè a dire, vuole di nuovo offendere il Signore, ancorchè si sia confessato, non è degno di accostarsi alla mensa del Salvatore, e comunicandosi, invece di arricchirsi di grazie, si rende più colpevole, e degno di maggior castigo. Al contrario, se vi siete confessati con un fermo, efficace proponimento di emendarvi, accostatevi pure a ricevere il pane degli Angioli ed arrecherete piacere grandissimo a

N. S. Ges√π Cristo. Egli stesso quando era visibile su questa terra, sebbene invitasse chiunque a seguirlo, tuttavia dimostrava una benevolenza speciale ai pii ed innocenti fanciulli, dicendo: - 'Lasciate che questi pargoli vengano a me, e non impediteli! - e dava loro la benedizione. Ascoltate pertanto il suo amorevole invito, e andate non solo a ricevere la sua benedizione, ma Lui stesso in persona'.

I frutti consolanti delle sue esortazioni erano confessioni senza numero che doveva ascoltare.

Queste feste imponevano a D. Bosco nuovi impegni. Ad ogni cosa pensava, a tutto provvedeva e metteva la sua opera: ornare la cappella, addestrare i cantori, insegnare le cerimonie ai chierichetti, farsi imprestare dal rifugio i sacri paramenti che gli mancavano, disporre in sagrestia l'occorrente alle sacre funzioni, stampare l'orario, in persona o per lettera invitare i benefattori, scegliere il Priore, trovare sacerdoti per la Messa solenne e l'oratore per il panegirico, cercare elemosine per sopperire alla spesa, provvedere la colazione per tutti i giovanetti, che si distribuiva senza distinzione, eziandio a quelli che non avessero fatta la S. Comunione. Chi è pratico di oratori festivi aggiunga quello che io ometto.

E alle cure di D. Bosco corrispondeva l'ordine e la gioia nella moltitudine dei figli; e nella cappella, che per essi era divenuta un paradiso, la loro devozione splendeva ancor più viva e più attraente agli occhi di chi si compiaceva osservarli. Per D. Bosco poi era il colmo della felicità, persuadersi che erano tutti in grazia di Dio e nel vederli accostare alla Sacra Mensa per lungo tempo, a schiere e schiere.

Nella sera dopo la Benedizione D. Bosco trovava sempre nuovi modi per divertire i suoi giovanetti, e giuochi riserbati solamente per le grandi solennità. Alla moltitudine di que' dell'Oratorio si aggiungevano numerosi benefattori ed invitati. D. Bosco ciò faceva sempre con uno speciale apparato, disponendo un posto onorevole per i personaggi più insigni. Egli presiedeva sempre e i pacificatori stavano nel cortile vicino per quietare chi recasse disturbo. Un po' di musica strumentale di amici esterni faceva talora sentire ad intervalli le sue note. Incominciava la corsa nel sacco con una merenda preparata al primo o ai primi che avessero, raggiunta la meta; ovvero la rottura delle pignatte piene di ciambelle. Sopra un modesto albero della cuccagna stavano appesi vari oggetti che aspettavano chi si sarebbe arrampicato fino a quell'altezza per impossessarsene. Vi era il così chiamato, giuoco del rompicollo, consistente in un piano inclinato e molto unto col sapone, il quale però non presentava pericolo di sorta, e si dava un premio a chi ne avesse raggiunto l'orlo superiore: impresa non tanto facile e che destava una viva ilarità per gli sforzi che molti facevano per ascendere, mentre il proprio peso li faceva sdrucciolare. Non mancavano le illuminazioni delle finestre e del cortile, l'ascensione, di globi areostatici e i fuochi d'artificio.

Non di raro D. Bosco stesso cingeva il grembiale del giocoliere, e innanzi al tavolino preparato all'uopo faceva giuochi di prestigio coll'antica sua destrezza di mano. Dai bussolotti faceva uscire ogni sorta di pallottole grosse e piccole con altre cose diverse, che facevano strabiliare gli spettatori.

Faceva andare oggetti nelle tasche altrui, indovinava le carte che altri teneva in mano. Possedeva tal forza nelle dita che quando era in mezzo ai suoi giovani si faceva dare da essi ossa di pesche e le apriva adoperando le sole mani. Se si trovava tra persone che avessero del denaro chiedeva uno scudo in prestito. Avutolo, diceva al possessore: - Ma guardate che ve lo restituirò solo in pezzi! - Faccia pure gli era risposto. Viva era la curiosità di chi gli stava intorno, ed egli presa la moneta fra quattro dita, la spezzava di un colpo. Da questi esercizi e da quelli di prestigio cessò nel 1860, e l'ultima volta dopo aver esilarati motto i giovani, li atterrì facendoli comparire senza testa.

Ciò D. Bosco aveva fatto a bello studio. La frase essere senza testa, aver la testa tagliata, frase che sovente pronunciava parlando ai giovani, aveva un gran significato: primieramente cioè dover un giovane essere umile, vincere l'amor proprio, rimettersi alla volontà, al giudizio, al consiglio dei suoi superiori e non ostinarsi nelle proprie inconsulte risoluzioni e nei propri capricci; e in secondo luogo alludeva, ma più velatamente e più di raro, all'obbedienza religiosa nella Congregazione, che egli voleva per mezzo loro fondare; ossia in altri termini, poichè di Congregazione ancora non parlava, di rimanere con D. Bosco nell'Oratorio per aiutarlo nel salvare la gioventù. Ciò diceva solo e alla sfuggita, a quei che conosceva di molta virtù, d'indole generosa e a lui più affezionati. Altri giuochi gli davano poi argomento in vario modo per avvisare qualcuno, in modo festevole, consigliarlo ed invitarlo al bene.

Ricordavano questi spettacoli D. Bellia Giacomo, Buzzetti Giuseppe e cento loro compagni, e aggiungevano notizie d'altri trattenimenti che rendevano sempre pi√π belle queste serate.

Talora D. Bosco in certe feste primarie, per es., in quella, di S. Francesco di Sales, preparava la ruota della fortuna con biglietti, parte numerati e parte no. Sovra un gran tavolo aveva disposti molti oggetti anche di valore, che era andato a chiedere in dono ai suoi benefattori. Ogni premio, aveva il suo numero. Gli invitati accorrevano in folla; un giovanetto girava la ruota, e D. Bosco stesso estraeva i biglietti, i quali erano dieci volte tanti più dei premii, e li consegnava a chi aveva pagato l'importo stabilito. Talora ad uno di quei signori toccavano successivamente dieci o dodici biglietti tutti bianchi, cioè senza diritto al premio, ed essi si, mostravano allegri per l'avuta disdetta, mentre gli spettatori, e specialmente i giovani, ridevano saporitamente. Questa ruota era uno espediente per coprire le spese della festa.

La sorte era eziandio adoperata per tenere gradevolmente occupati i giovani. Era stabilito che almeno ogni trimestre si facesse per loro una lotteria, cioè alla festa di S. Francesco, di Sales, a quella di S. Luigi Gonzaga, di Maria Assunta in cielo, e di Ognissanti. Gli oggetti a ciò destinati consistevano in libri di devozione o di amene letture, quadretti crocifissi, medaglie, giocattoli diversi, ed anche pei più esemplari qualche paio di scarpe o qualche taglio di vestito. L'estrazione dei numeri era così combinata, che il premio era a scelta, e chi guadagnava, lo aveva corrispondente alla frequenza e alla morale sua condotta.

Oltre a queste, quasi ogni mese, D. Bosco disponeva altre lotterie meno solenni, ma non meno attraenti. Era un'occupazione non tanto spiccia scrivere un seicento numeri su altrettanti biglietti da distribuirsi uno per uno a ciascun giovane; ripetere tutte queste cifre su scaccoli separati e accartocciatoli riporli in un taschetto; infine notarle tutte in un registro, e a lato di ciascuna indicare il premio assegnato. D. Bosco sul poggiolo davanti alla sua stanza, oppure salito sovra una sedia appoggiata alla chiesa, dopo avere annunziate le condizioni della lotteria scuoteva il taschetto, e adagio, volendo protrarre il divertimento il più che poteva, estraeva i numeri e li proclamava ad alta voce. I giovani si pigiavano in cortile, cogli occhi ora fissi in D. Bosco, ora sul loro biglietto che si tenevano in mano. Talora non essendovi premii abbastanza per tutti, più decine di essi dovevano restare a mani vuote; quindi l'ansietà li teneva sospesi per lunga ora, sperando di essere tra i fortunati. Il più delle volte però tutto era ordinato in modo che ad ogni giovarle toccasse qualche coserella e allora la curiosità li rendeva ancor più attenti, fantasticando che cosa mai avrebbero guadagnato. Sul banco vi erano alcune cravattine, un cappello, un berretto, una giubba, una focaccia dolce, frutta, zuccherini ed altri oggetti che dovevano rendere più ameno quel trattenimento. E le risa e i battimani scoppiavano fragorosi quando il banditore annunziava i premi guadagnati da certi numeri. - 'Una patata cotta, ovvero: una carota, una cipolla, una rapa, una castagna!' - E colui che era chiamato non mancava di presentarsi a ritirare il magnifico dono.

Talvolta i premi erano collettivi, cioè un certo numero di giovani coi loro biglietti ne guadagnavano uno che dovevano poi ripartire fra di loro. Per es., una larga focaccia fra dieci, una bottiglia di birra fra quattro; due pani, due porzioni di salame o di formaggio, una bottiglietta di vino corrispondevano a cinque numeri e formavano un lotto solo. Ma il primo vincitore doveva aspettare che la sorte indicasse gli altri quattro suoi compagni che poi andavano insieme a merendare, ciascuno facendo parte eguale di ciò che loro era toccato. Nuovi commenti e nuove risa provocava la formazione di questi gruppi, fatta dal capriccio della fortuna, che accozzava talvolta caratteri disparati ed avversi. Ma tutto andava pel meglio ed anche i mali umori si dileguavano.

Nè assi però a credere che D. Bosco largheggiasse di soverchio in queste occasioni. Eccettuati alcuni casi straordinari, e quando riceveva a tale fine doni vistosi dai benefattori, sapeva far risparmio di danaro per impiegarlo in altre spese più urgenti. La compra dei premii non oltrepassava mai le dieci lire, e trovava sempre distinti personaggi che volentieri gliene facevano dono. Anzi, aggiungeva D. Michele Rua testimonio del fatto, con tre lire e mezzo spesse volte contentava tutti e in modo sorprendente; e non mancava mai qualche premio di bella apparenza, benchè di poco valore. D. Bosco soleva dire: “ I giovani stimano le cose secondo hanno imparato a giudicarle. Non è il molto ma il dato di cuore, anche a poco a poco, e in tempo opportuno che torna loro gradito ”.

Ed egli col suo fare e colla sua parola incantevole tutto rendeva bello ed amabile.

 

 

 

 

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