Capitolo 12

Letture Cattoliche: VITA DEL GIOVANETTO SAVIO DOMENICO - Come regola D. Bosco la frequenza alla Santissima Comunione - Gli alunni dell'Oratorio osservatori spregiudicati delle azioni di D. Bosco - Memorabile sua confutazione di smentita fatta alla biografia di Savio Domenico - VITA DEL SOMMO PONTEFICE SAN URBANO I - Il Vicario generale di Torino raccomanda in una circolare ai parroci le Letture Cattoliche - Lettera a D. Bosco del Cardinale Arcivescovo di Bologna - Una spiegazione del Vangelo predicata da D. Bosco.

Capitolo 12

da Memorie Biografiche

del 30 novembre 2006

 Mentre tutto l'Oratorio sul principio dell'anno 1859, era commosso per la morte edificante di Magone Michele, il fascicolo delle Letture Cattoliche pel gennaio recava la Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell'Oratorio di S. Francesco di Sales per cura del Sacerdote Bosco Giovanni. Era indirizzato ai suoi figliuoli la seguente prefazione.

Giovani carissimi,

Voi mi avete pi√π volte dimandato, giovani carissimi, di scrivervi qualche cosa intorno al vostro compagno Savio Domenico; ed io ho fatto quello che ho potuto per appagare questo vostro

pio desiderio. Eccovi la vita di lui descritta con quella brevità e semplicità, che so tornare a voi di gradimento.

Due difficoltà si opponevano alla pubblicazione di questo lavoro; la prima è la critica a cui per lo più va soggetto chi scrive cose delle quali avvi moltitudine di testimoni viventi. Questa difficoltà credo di aver superato col farmi uno studio di narrare unicamente le cose, che da voi o da me furono vedute, e che quasi tutte conservo scritte e segnate di vostra mano medesima.

Altro ostacolo era il dovere più volte parlare dì me, perciocchè essendo questo giovane vissuto circa tre anni in questa casa, mi tocca sovente di riferire cose, a cui ho preso parte. Questo ostacolo credo pare di aver superato tenendomi al dovere dello storico, che è di scrivere la verità dei fatti, senza badare alle persone. Tuttavia se troverete qualche fatto, ove io parli di me con qualche compiacenza, attribuitela al grande affetto che io portava all'amico defunto e che porto a tutti voi; il quale affetto mi fa aprire a voi l'intimo del mio cuore, come farebbe un padre che parla a' suoi amati figli.

Taluno di voi dimanderà perchè io abbia scritta la vita di Savio Domenico e non quella di altri giovani, che vissero tra noi con fama di specchiata virtù. È vero, miei cari, la Divina Provvidenza si degnò di mandarci parecchi modelli di virtù; tali furono Fascio Gabriele, Rua Luigi, Gavio Camillo, Massaglia Giovanni ed altri: ma le azioni di costoro non sono state ugualmente note e speciose come quelle del Savio, il cui tenor di vita fu notoriamente maraviglioso. Per altro, se Dio mi darà sanità e grazia, ho in animo di raccogliere le azioni di questi vostri compagni, per essere in grado di appagare i vostri ed i miei desideri col darvele a leggere e ad imitare in quello che è compatibile col vostro stato.

Intanto cominciate a trar profitto da quanto vi verrò descrivendo; e dite in cuor vostro ciò che diceva S. Agostino: Si ille, cur non ego? Se un mio compagno, della stessa mia età, nel medesimo luogo, esposto ai medesimi e forse maggiori pericoli, tuttavia trovò tempo e modo di mantenersi fedele seguace di Gesù Cristo, perchè non posso anch'io fare lo stesso? Ricordatevi però bene che la religione vera non consiste in sole parole; bisogna venire alle opere. Quindi, trovando qualche cosa degna d'ammirazione, non contentatevi di dire: questo è bello, questo mi piace. Dite piuttosto: voglio adoperarmi per far quelle cose che lette di altri, mi eccitano alla maraviglia.

Dio doni a voi e a tutti i lettori di questo libretto sanità e grazia per trar profitto di quanto ivi leggeranno; e la Vergine santissima, di cui il giovane Savio era fervoroso divoto, ci ottenga di poter fare un cuor solo ed un'anima sola per amare il nostro Creatore, che è il solo degno dì essere amato sopra ogni cosa, e fedelmente servito in tutti i giorni di nostra vita.

Non è qui il caso di fare l'elogio di un'operetta, della quale essendosi stampate innumerevoli copie in molte lingue, queste corrono per le mani di mezzo mondo con vantaggio incalcolabile della gioventù. Piuttosto una cosa sola non vogliamo passare sotto silenzio, cioè come Don Bosco intendesse dover essere regolata la frequenza alla Santa Comunione, ciò risultando dal modo col quale egli diresse nello spirito Savio Domenico. Così leggesi nel capo decimo quarto.

 Egli è comprovato dall'esperienza che i più validi sostegni della gioventù sono il sacramento della Confessione e della Comunione. Datemi un giovanetto che frequenti questi sacramenti, voi lo vedrete crescere nella giovanile, giungere alla virile età e arrivare, se così piace a Dio, fino alla più tarda vecchiaia con una condotta, che è l'esempio di tutti quelli che lo conoscono. Questa massima la comprendano i giovanetti per praticarla; la comprendano tutti quelli che si occupano dell'educazione dei medesimi per insinuarla. Prima che il Savio venisse a dimorare all'Oratorio frequentava questi due Sacramenti una volta al mese secondo l'uso delle scuole. Dipoi li frequentò con assai maggior assiduità. Un giorno udì dal pulpito questa massima: “ Giovani, se volete perseverare nella via del cielo, vi si raccomandano tre cose: Accostatevi spesso al Sacramento della Confessione, frequentate la S. Comunione, sceglietevi un confessore cui osiate aprire il vostro cuore, ma non cangiatelo senza necessità ”. Comprese Domenico l'importanza di questi consigli.

Cominciò egli a scegliersi un confessore, che tenne regolarmente tutto il tempo che dimorò tra noi. Affinchè questi potesse poi formarsi un giusto giudizio di sua coscienza volle fare la confessione generale. Cominciò a confessarsi ogni quindici giorni, poi ogni otto giorni, comunicandosi colla medesima frequenza. Il confessore, osservando il grande profitto che faceva nelle cose di spirito, lo consigliò a comunicarsi tre volte per settimana, e, nel termine di un anno gli permise la comunione quotidiana.

Questa biografia che portava il ritratto del santo giovanetto disegnato da Carlo Tomatis e impresso dal litografo Hummel, esponeva le prove di una verità. consolante. Savio Domenico era stato per l'Oratorio quale, un avvenimento; poichè, se la bellezza e la fragranza di un fiore dimostra la bontà del terreno che gli dà la vita; se la bellezza e la soavità di un frutto palesa la bontà dell'albero che lo porta; ben si può dire che la santità di Domenico Savio sia prova non dubbia della bontà dell'istituzione dell'Oratorio, che gli fu scala a sì alta perfezione.

Ed è per questo che lo spirito maligno cercò di far cadere in discredito quelle soavi pagine.

Il fascicolo era stato distribuito agli alunni interni che l’aspettavano con viva curiosità. Ma i critici questa volta non dovevano mancare in un ospizio così numeroso, tanto più che D. Bosco permetteva una ragionevole libertà a ciascuno nell'esprimere le proprie opinioni. I suoi giovani, benchè rispettosi, erano sinceri e disinvolti, tali formandoli l'educazione che ricevevano, la quale non sopportava timidezze, ipocrisie o adulazioni. E questo è da notarsi, perchè ne risulta una gran verità. I giovani non erano infatuati di D. Bosco e ciechi credenzoni a ciò che egli affermava, ma lo amavano per la realtà delle sue virtù osservate attentamente e tali giudicate. Nessuno metteva

in dubbio l'avveramento della sua predizione in quei giorni, ed era per tutti evidente che D. Bosco non aveva potuto per scienza umana conoscere il futuro. Tuttavia in questo stesso mentre erano sorte contestazioni sulla veracità di alcuni fatti narrati nel libro di D. Bosco. Tutti riconoscevano il Savio come giovane di virtù straordinarie, ma da alcuni non si voleva vedere in certe sue azioni nulla di sovranaturale, perchè ignoravano ciò che l'umiltà e la prudenza avevano fino allora tenuto nascosto. Altri aggiungevano aver Don Bosco inventati certi episodii per il buon fine di proporre ai cristiani un modello di giovane perfetto; e siccome un terzo e più dei giovani erano entrati nell'Ospizio dopo la morte di Savio, l'opinione di chi aveva vissuto con lui poteva far del male mettendo dubbi in non pochi di loro. Fra quelli che osavano parlare irreverentemente e con maggior libertà di questa biografia si notava un chierico. Gli alunni erano divisi in vari pareri. Tuttavia molti cercavano di star lontani da que' critici non volendo prender parte alle loro discussioni.

Quand'ecco si viene a conoscere un fatto che pareva dar ragione ai contradditori di D. Bosco. Egli aveva narrato l'invito che era stato fatto a Savio Domenico di andare al nuoto ed aveva omessa la particolarità dell'essersi il giovanetto arreso una prima volta alle istanze di un compagno. Or bene; questo suo compagno e compaesano, un certo Z… che era nell'Oratorio come studente, uscì fuori a negare apertamente che Savio si fosse rifiutato d'andare al bagno, poichè egli stesso avevalo invitato, ed era andato con lui. Lo stordito si faceva di ciò quasi un vanto. Fu quindi uno scandalo. L'edifizio di virtù, quantunque vere, innalzato da D. Bosco pareva dovesse crollare. Provato falso un fatto, potevansi negare anche gli altri. D. Bosco però per qualche giorno nulla disse a sua difesa neppure in privato, benchè avesse piena cognizione di quelle dicerie.

Finalmente una sera dopo le orazioni dette nel refettorio, salì sovra una sedia, con un volto così serio quale rare volte si vide. Si trattava di salvare la verità, ed ei prese a parlare senza preamboli e colla solita calma.

 - Quando Savio morì, io ho invitato i suoi compagni a dirmi se nei tre anni, che dimorò fra di noi, avessero notato nella sua condotta qualche difetto da correggere o qualche virtù che gli fosse mancata da suggerire; ma tutti furono d'accordo di non avere mai trovato in lui cosa che meritasse correzione; e che non avrebbero saputo quale virtù aggiungere in lui. Ed io di quanto ho scritto, o ne fui testimonio io stesso, o lo seppi da persone della casa, che sono qui presenti, od estranee ma degne di ogni fede.

Sul principio del suo discorso qualcuno tentò di sorridere, ma il sorriso gli morì subito sulle labbra, vedendo il contegno grave di quelli che gli erano attorno. D. Bosco proseguì: - Eppure in questi giorni avete udite alcune osservazioni sopra certi fatti della vita di Savio Domenico, vostro compagno, e, fra le altre cose, che io era incolpato di aver detto una bugia. Si negò che Savio si fosse rifiutato di andare al bagno. Sì è vero: andò a bagnarsi!...

Nel racconto però bisogna distinguere due circostanze. Egli fu invitato due volte. La prima si lasciò condurre, ma ritornato a casa e narrato alla madre quanto gli era occorso, da essa fu avvertito di non andar più. E il povero Savio pianse tanto quando conobbe di aver fatto male! Ma la seconda volta invitato si rifiutò risolutamente. Io volli solamente scrivere e pubblicare della seconda, perchè nell'Oratorio vi è quel compagno che avealo condotto una volta e tentato di condurlo un'altra. Io sperava di aver salvato costui dalla vergogna: io credeva che questo tale riconoscesse il suo errore, che mi fosse riconoscente del mio silenzio; ma invece volle prendere me in contraddizione, darmi una smentita e fare al suo compagno uno sfregio che non meritava. Sappiate adunque che io per risparmiare una triste figura al compagno vivente e per nascondere ciò che doveva formare il suo eterno rimorso, il pericolo cioè al quale si era esposto di tradire un amico, ho narrato solo del secondo fatto. Egli volle scoprirsi da sè. Se avrà da arrossire, egli solo ne ha la colpa. Dopo di aver tradito il compagno in vita volle tradirlo dopo morte. Allora si mise a rischio di togliergli l'innocenza, ora l'onore.

Il giovane così apostrofato era presente. La sua confusione era estrema, poichè gli occhi dei compagni erano tutti fissi sopra di lui. Poche volte D. Bosco parlò in questa forma, ma è impossibile descrivere l'impressione che produsse sugli animi.

Come ebbe finito fu un bisbiglio generale di approvazione, cessarono da quel momento le dicerie. D. Bosco però ordinava la ristampa di quella biografia, aggiungendo il fatto ommesso coi debiti commenti.

Pel mese di febbraio gli associati delle Letture Cattolche ricevevano la Vita del Sommo Pontefice sant'Urbano I per cura del Sacerdote Bosco Giovanni (FI). Vi è descritto il martirio di S. Cecilia e de' suoi compagni; e si conclude contro i protestanti, provando la venerazione delle reliquie dei santi, la loro invocazione, essere approvate dalla sacra Bibbia e dai miracoli per loro mezzo operati da Dio. L'Armonia del 26 febbraio annunziava questo nuovo opuscolo.

Vediamo con piacere che le Letture Cattoliche, pubblicate per cura del sacerdote Giovanni Bosco, tanto benemerito della gioventù cristiana, continuano sempre prospere e applaudite. Le Vite dei Romani Pontefici, che si alternano con altri opuscoli di grande utilità, sono giunte alla vita del Sommo Pontefice sant'Urbano I, il quale ascese sulla cattedra di S. Pietro l'anno 226 dell'era volgare. Noi non aggiungiamo parole di lode a questa eccellente pubblicazione popolare, essendone da tutti conosciuti i pregi ed i meriti.

Col sullodato fascicolo chiudevasi la serie dell'anno VI delle Letture Cattoliche e si pubblicava un estratto della circolare per la quaresima di Mons. Vicario Generale della città e diocesi di Torino ai reverendi signori Parroci e Curati in favore di queste.

 

....Mentre io accenno ai disordini dei tempi ed ai bisogni ed ai mezzi di andarvi al riparo, mi cade il bel destro, e ben volentieri me ne valgo, per additare un altro mezzo efficace che sta pure a cuore del Vicario di Cristo. Voi sapete abbastanza e deplorate che specialmente per mezzo della stampa oggidì s'insinua l'errore, si diffondono le cattive massime, e si corrompe il costume, e che gli empi si adoperano a preparare e porgere in giornali e libri irreligiosi l'esca ed il veleno ad ogni classe e condizione di persone, e come tal sorta di fogli si vendano a buon mercato e si distribuiscano pure gratuitamente.

Per parte loro i buoni si argomentano pure colla stampa e colla diffusione di buoni libri e di smascherare l'errore, di ammaestrare i popoli e mostrare loro il bello della virtù e farla amare. Tale è l'intendimento delle Letture Cattoliche. Esse vi furono già raccomandate altra volta, ed hanno ormai per loro il favore di molto bene che vanno operando, e portano eziandio il vanto di avere pure l'approvazione del Sommo Pontefice ed il suo desiderio che vengano attivate. Io tengo sott'occhio la circolare con cui S. E. il Cardinale Vicario di Roma, secondando la mente di Sua Santità, invitava gli Arcivescovi e Vescovi (degli Stati Pontifici a promuovere la diffusione delle Letture Cattoliche nelle loro diocesi; e mi sento un nuovo impulso a raccomandarle di nuovo, specialmente nei luoghi dove non sono ancora guari conosciute, e sono persuaso che voi pure meco lo sentirete, e quindi le proporrete con sollecitudine alle vostre popolazioni. La materia ridotta alla più bassa intelligenza, lo stile popolare, la tenue spesa mi promettono che l'opera vi tornerà facile.

Benedica il Signore dall'alto le vostre preghiere, le vostre fatiche ed il vostro zelo, e la grazia di Ges√π Cristo sia con tutti voi.

Gratia  Domini nostri Iesu Christi vobiscum (Rom. XVI, 20).

 

Celestino Fissore.

Vic. Gen.

 

Intanto un altro lavoro aveva per le mani D. Bosco come si scorge dalla seguente lettera: cioè aggiungere alcune Biografie di uomini illustri ad una nuova edizione della Storia d'Italia.

 

Molto Rev.do Signore,

 

Mi è grato di soddisfare al desiderio della S. V. M. R. inviandole, per le notizie che Ella desidera del Cardinal Mezzofanti, una biografia del medesimo.

Anzi mi valgo dell'occasione per farle conoscere il programma di un lavoro, che tra breve uscirà in luce su la vita e gli studi di questo Em.mo, lavoro affidato a persone meritevoli, di intiera fiducia, ed il quale però è degno dell'attenzione di tutti i dotti.

Conto sulle preghiere che Ella si compiace di promettermi e Le confermo la mia stima.

Di V. S. M. Rev.da

Bologna, 12 febbraio 1859.

Aff.mo nel Signore

Ott. Card. Viale Arc.

 

Ma ciò che sempre aveva a cuore si erano le vite dei Papi, che egli esponeva in modo, da destare negli uditori la massima curiosità ed interesse. A questo scopo, finita una di tali vite, la dava alla stampa e prima di riprenderne un'altra, per un mese circa, s'intratteneva su argomenti varii e specialmente sul santo Vangelo. Tale aspettazione rendeva più vivo il desiderio dei giovani, che reclamavano ansiosi nuovi fasti della Chiesa. Terminata infatti la vita di S. Urbano I, egli fece una predica che fu scritta dal Ch. Bonetti Giovanni.

Questa mattina invece di continuare il nostro corso di storia Ecclesiastica sulla vita dei Papi, avendo finito quella di S. Urbano, ho piacere, prima d'incominciare quella del Pontefice che vien dopo, di spiegarvi il Vangelo della Domenica. È questo molto adatto a voi, o miei cari giovani.

Udite adunque il racconto del santo Vangelo. Nostro Signor Gesù Cristo era andato a predicare sovra una montagna molto alta e siccome non tutti potevano ascendere fino lassù, desideroso che nessuno fosse privo della sua parola di paradiso, scese a basso nella pianura. Eravi in quei dintorni un povero infermo carico di lebbra, che è una delle malattie più ributtanti e contagiose come sarebbe quella detta volgarmente la rogna. Questo uomo disgraziato, messo fuori dalla città, respinto dal consorzio dei parenti e degli amici, privo di sostanze, era costretto a vivere all'aperta campagna, procacciandosi il cibo come meglio poteva, odiato e schivato da tutti. Sentendo che Gesù di Nazaret faceva tanti miracoli sul monte vicino, anch'egli desiderava di condursi colà per impetrare la grazia di guarire da un male così brutto; quando gli giunge la notizia che nostro Signore discendeva alla pianura. Allora egli tutto giubilante andò ad aspettarlo e quando vide le turbe che si avanzavano, fattosi largo in mezzo ad esse andò a gettarsi ai suoi piedi, adorandolo: Et veniens adorabat eum.

Qui è da notare che viene a Gesù adorans, adorandolo. Da ciò si vede che questo lebbroso era persuaso, credeva che Gesù fosse vero Dio, perchè solo a Dio si deve adorazione. I santi, gli angeli, Maria SS. noi non li adoriamo, ma li rispettiamo, li veneriamo, li preghiamo ad intercedere per noi. Iddio solo si adora.

Certamente quando Gesù vide quel povero uomo inginocchiato ai suoi piedi, essendo egli tanto compassionevole verso gl'infelici, tanto mansueto anche coi peccatori, certo l'avrà interrogato amorevolmente di molte cose della sua patria, dei suoi parenti, dei suoi dolori e forse anche dello stato dell'anima sua. Il Vangelo però ci dice niente di questo; solo ci narra che quel lebbroso proruppe in queste parole: Domine, si vis, potes me mundare. Signore, se vuoi mi puoi guarire. Solo che vogliate subito io sarò risanato. Domine! Signore! Ecco che subito lo chiama Signore, riconoscendolo il Re dei re, il Signore dei signori, il Padrone dei padroni. Si vis, potes me mundare. Se vuoi mi puoi guarire. Mirate che fede! Non sta lì a dirgli: Se voi pregate il vostro Eterno Padre egli per le vostre preghiere mi guarirà; ma no: egli dice invece: se volete voi, io guarirò.

Gesù vedendo che quell'infelice aveva il cuore così ben disposto (perchè Gesù vuole il cuore) risoluto di contentarlo e di premiare la sua fede gli disse: Volo; mundare! Voglio; sii guarito! Non disse: voglio che tu sia sano; ma voglio e poi glielo comandò: sii sano: imperativo: mundare. Gesù non aveva ancor finito di pronunciare queste parole che quelle piaghe, le quali formavano come un'intera crosta su tutto il corpo del lebbroso, caddero a pezzi a pezzi e la sua pelle restò sull'istante bianca come neve. Immaginatevi che contentezza non avrà mai provato quell'uomo! Pensate quali ringraziamenti non avrà mai fatto a quel suo caro liberatore!

Quando Gesù lo volle licenziare Ai disse: Vade, ostende te sacerdoti. Va e presentati al sacerdote che ti veda: volendo dire con ciò: è vero che io ti ho guarito, ma colla condizione che ti presenti al sacerdote, altrimenti rimarrai quel che eri prima. Si deve sapere che in quei tempi coloro, che erano infermi di lebbra erano scomunicati dal sacerdote, cioè separati dal popolo e costretti a stare alla campagna sino a tanto che fossero guariti. Guariti che fossero, per ritornare nelle loro case e vivere fra i cittadini, dovevano prima presentarsi al sacerdote, il quale solo dopo aver verificata la guarigione poteva ammetterlo in mezzo al popolo.

Ecco qui, o miei cari figli, il senso di questo fatto. La lebbra è il peccato, il quale rende talmente schifosa l'anima nostra, che il Signore non ci tiene più per suoi, ci scomunica, ci separa dal numero dei suoi figli. È orribile, e nauseante al cospetto di Dio l'anima che ha il peccato. E che cosa ci vuole per essere liberi da questa lebbra? Ostende te sacerdoti, dice il Signore: Va, fatti vedere, presentati al sacerdote. Se noi vogliamo essere guariti dal peccato, essere mondati da questa schifosa malattia, dobbiamo accostarci al sacerdote, il quale ha facoltà da Dio di lavarci dal nostro peccato. Poteva bene Gesù Cristo dire a quell'uomo: Sii guarito senza aggiungere di andarsi a far vedere dal sacerdote? Certamente! ma non volle, per dimostrare che sebbene ei possa perdonare senza che noi andiamo dal sacerdote, tuttavia non ci perdona se non lo accostiamo, confessando con sincerità i nostri peccati ai piedi del sacerdote. Tanti vanno dicendo: - Eh! il Signore non ha bisogno che noi andiamo a raccontare i peccati al confessore per perdonarci; può perdonarci senza dì questo! Il Signore, io direi a costoro, se per caso ve ne fosse qui qualcuno ad ascoltarmi, il Signore potrebbe ben fare che il grano nasca maturo e che quindi da per sè se ne vada nel granaio senza tanta fatica dei poveri contadini. Perchè' Iddio, il quale essendo onnipotente, che ha creato dal nulla tutto quanto vi è sulla terra e nel cielo, che ha creato con una sola parola tanti corpi così belli, così vasti, così magnifici, che noi vediamo nel firmamento in notte serena, perchè, dico, non potrebbe fare che il grano nasca maturo e se ne vada nei granai senza la mano dell'uomo?

Certamente che lo potrebbe fare. E perchè non lo fa? Domandatelo a Lui: Egli ve lo dirà.

Intanto io vi assicuro che se volete liberarvi dal peccato non avete altro mezzo che la confessione: e che Iddio è pronto a perdonarvi qualunque peccato, purchè con cuore contrito ve ne confessiate umilmente al confessore, al sacerdote ministro di Dio.

In ultimo Gesù impose al lebbroso guarito che non dicesse parola ad alcuno. Mirate che umiltà di Gesù! Un miracolo così stupendo non vuole che sia saputo. Vera lezione per noi i quali tanto bramiamo che gli altri, per poco bene che facciamo, subito ci lodino e andiamo a dire al terzo e al quarto le nostre virtù, affinchè ci tengano per uomini dabbene, per persone onorate. Ah Gesù non fece così, no, godendo che solo sapesse il suo Padre celeste quel bene che Egli faceva. Così pure dobbiamo fare noi: non fare il bene perchè ci vedano, ci lodino, ma solo per piacere a Dio, e per quanto si può, nascondere agli uomini quel poco di bene che facciamo. Se poi non possiamo nasconderlo lasciamo pure che gli uomini lo vedano, ma stiamo all'erta di non insuperbirci, perchè distruggeremmo dinanzi a Dio quello che avremo fatto.

 

 

 

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