Capitolo 13

Qua e là per i collegi.

Capitolo 13

da Memorie Biografiche

del 06 dicembre 2006

Qua e là per i collegi andremo noi, con o senza Don Bosco in persona; vi faremo incetta di notizie, che ne arricchiscano, foss'anche di poco, la biografia.

Con i collegi egli si teneva in continua corrispondenza epistolare; di ogni minuzia era informato e tutto dirigeva in modo da conservarvi l'unità di spirito. Vi faceva per lo meno due visite all'anno. Vi era ansiosamente aspettato. Là confessava i giovani, che con vero entusiasmo correvano a palesargli lo stato dell'anima loro; ascoltava uno a uno tutti i Salesiani separatamente, ogni sera dava la 'buona notte' alla comunità; teneva speciali conferenze ai confratelli radunati. Partendo, lasciava dietro di sè un'aura dì grande serenità e pace.

Il 1875 minacciava di essere anno di guerra contro i collegi salesiani della Liguria. Quel direttore Don Francesia ne era stato preavvertito dall'onorevole Boselli, che gli scrisse: “ La tempesta ora si addensa su Varazze; ma andrà a cadere anche su di Alassio ”. Sembra che da ultimo non si volesse risparmiare nemmeno Sampierdarena. Ma l'uomo propone e Dio dispone.

La prima avvisaglia partì dalla regia Prefettura di Genova. Il prefetto Colucci negò l'approvazione alle scuole tecniche, com'erano stabilite nel collegio di Varazze; rifiutò pure di accettare come insegnanti i maestri che da cinque anni l'autorità scolastica riconosceva idonei. Il direttore ne informò tosto l'onorevole deputato, che gli rispose promettendogli il suo appoggio.

Oltre all'azione del deputato lontano, tornò vantaggiosa l'opera di un valent'uomo vicino. Il Colucci, risoluto a non retrocedere, annoverava fra i suoi confidenti l'avvocato Maurizio, lustro del foro genovese, amico di Garibaldi e amicissimo di Don Bosco. Il prefetto ne aveva gran bisogno, massime sul principio della sua amministrazione: un consigliere più esperto egli non avrebbe potuto trovare a Genova, e poi la familiarità con un liberale così ben visto dal Governo e realmente di molto merito, gli concigliava credito. Ora questi, conosciutene le intenzioni, gli disse chiaro e tondo: - Signor prefetto, si faccia amico Don Bosco, se vuole far carriera; altrimenti Don Bosco la schiaccerà. - Parole che vennero subito riferite a Don Francesia dal marchese Invrea.

Ma il prefetto non tenne conto di quel monito. Contro le usanze de' suoi predecessori, egli andava in persona a visitare e ispezionare i municipi, intascandosi la diaria di trasferta, che era di lire trenta. Ed ecco giungere a Varazze l'avviso ufficiale del suo arrivo per l'ispezione del municipio e del collegio. Era proprio il giorno della Natività di San Giovanni Battista, sicchè Don Francesia non potè recarsi a Torino per la festa di Don Bosco, dovendolo aspettare.

Arrivò alle quattro di sera, si presentò al sindaco, diede un'occhiata ai libri dell'Amministrazione comunale e, vedendo stanziate somme per obblighi di Messe, per feste religiose e luminarie in onore dei Santi Patroni, disse al sindaco nello stile del tempo e con una punta di sarcasmo: - Ci sono altri Santi in paradiso, per cui si debbono spendere i denari. Il Sindaco, ricco signore, gli rispose freddamente: - Le nostre feste le paghiamo con i nostri denari.

Quella sera il Colucci tornò a Genova così deciso di rivenire dopo due giorni a Varazze, per la visita del collegio e delle scuole, che rimise a quella volta di far firmar e al sindaco l'atto della sua trasferta. Ma Varazze non lo rivide più. Appena fu rientrato nel suo gabinetto, gli cascò una tegola sulla testa; l'ordine ministeriale del suo immediato trasferimento a Catania. Esonerato più tardi dalla carica e nominato senatore, gli toccò una disdetta maggiore: il Senato non approvò la nomina e lo respinse dal suo seno, che fu il primo caso forse di tale repulsa. Dobbiamo però aggiungere a onor del vero che a Catania egli mise molt'acqua nel suo vino anticlericale; tant’è vero che favorì in ogni modo l'apertura del primo collegio di Don Bosco in Sicilia a Randazzo.

Ma anche dopo la sua partenza, perdurava, nella regia Prefettura di Genova una sorda ostilità contro le istituzioni di Don Bosco, la quale cessò per l'intervento di Garibaldi. Venuto a Genova e accortosi di quel malanimo, il generale volle saperne il motivo; poscia esclamò: - Ma lasciatelo un po' stare tranquillo Don Bosco. È un prete che fa del bene. - Che Don Bosco avesse un tal difensore, fu causa di non poca meraviglia fra la gente del Governo. Del fatto si ebbe notizia da una persona, che in quel momento stava ai fianchi del generale

E poichè ci troviamo nella Liguria, diremo ancora che lo stesso Garibaldi passando l'estate sulla spiaggia di Alassio a Villa Gotica, parlò benevolmente con un alunno di quel collegio, condottogli dinanzi da Donna Francesca (I). Del giovane costei era stata balia o fantesca che sia, e vista passare una camerata e riconosciutolo, l'aveva chiamato in casa. Garibaldi gli fece buon viso e gli disse:

 - Dunque tu sei del collegio di Don Bosco?

 - Sissignore.

 - E ti vuoi far prete?

 - Io non so ancora che cosa farò.

 - E in collegio si parla male di me?

- Io non ho mai sentito nessuno a parlar male di lei, 

- Va' dunque con i tuoi compagni, studia e sii obbediente ai tuoi superiori.

La simpatia di Garibaldi per Don Bosco non sembra che fosse cosa effimera. Nel 1880, quando si recò a Milano e vi fu ricevuto in trionfo, qualcuno lo richiese, perchè non venisse anche a Torino. Ed egli:

 - A Torino non ci vado

 - E perchè?

 - Perchè c’è Don Bosco.

In altra occasione disse: - Quello sì che è un bravo prete e un vero sacerdote di Dio, amante dell'umanità. Fa del bene alla gioventù, ed è il solo nell'Italia. - Era un po' troppo veramente! Quelle parole ferivano tanti ottimi sacerdoti, che in Italia si sacrificavano a vantaggio del prossimo. A ogni modo è lecito prendere atto che, una volta tanto, l'implacabile nemico dei preti seppe anche dir bene di un prete, che era prete in tutto il senso della parola.

In una delle visite fatte al collegio di Varazze, che fu ai primi di giugno, Don Bosco vi pescò una vocazione. L'episodio ci è raccontato in lungo e in largo da un documento, del quale non ispiaccia ai lettori che riferiamo in succinto il contenuto.

Il giovane Francesco Ghigliotto vi frequentava da esterno la quinta ginnasiale. Nel '69 leggendo vite di Santi, aveva pregato il Signore che facesse incontrare anche a lui un Santo per poterlo seguire. Sei anni dopo Dio esaudiva il suo voto.

Giunto Don Bosco a Varazze, il professore della quinta, che era Don Tomatis, avvertì i suoi alunni che, se alcuno di loro avesse desiderato parlare con lui e domandargli consiglio, andasse pure. Uscirono parecchi dalla scuola, Ghigliotto fra gli altri. Questi però non osava presentarsi, perchè non lo conosceva ancora. Un compagno, vistolo esitante, lo spinse dentro e gli chiuse dietro la porta. Ghigliotto, sbalordito, si trovò là di fronte a Don Bosco, e non apriva bocca.

 - Ebbene, che cosa vuoi? chiese Don Bosco.

- Mah! ... Sono di quinta ginnasiale. Sono venuto per chiedere un consiglio.

 - Bene! .. Tu ti dài a me, e io ti dò al Signore.

Ghigliotto rimase turbato a quelle parole. Allora Don Bosco lo invitò a sedere sul sofà accanto a sè e, preso in mano il taccuino, gli domandò: - Dimmi il tuo nome. Ghigliotto si spaventò ancora di più e impallidì. Qual mistero si nascondeva là sotto?

E Don Bosco sorridendo: - Non temere; dimmi il tuo nome. - Glielo disse. Don Bosco lo notò nel taccuino e poi soggiunse: - Guarda, fra due mesi mi scriverai poi una lettera a Torino, e vieni a passare otto giorni con me all'Oratorio. Se ti piacerà stare, starai; se no, te ne ritorni a casa tua. Del resto, fa' come vuoi: se non mi vuoi scrivere, non mi scrivi, e tutto è finito.

Nei due mesi che ci vollero ancora per la licenza ginnasiale, il Ghigliotto aveva sempre in mente la lettera da scrivere a Doti Bosco. Difatti la scrisse; poi chiese ai parenti che lo lasciassero andare otto giorni a Torino. Andò e non tornò. Dopo un paio di mesi, il padre, stanco di battagliare per lettera, minacciò di ricorrere al prefetto della provincia e di farlo ricondurre per mezzo dei carabinieri.

Il giovane indossava già l'abito chiericale. Il padre non ne sapeva nulla; ma alla madre tutto era stato manifestato prima della partenza. La pia donna, pianto un po', gli aveva detto: - Sai com'è tuo padre. Non farlo inquietare. Non dir nulla a nessuno. Pensa soltanto a fare la volontà di Dio.

Ghigliotto, ricevuta la minacciosa lettera, la portò a Don Bosco nel refettorio, gli manifestò i suoi timori e chiese che cosa fare o che cosa rispondere. E Don Bosco: - Guarda, ora ti dico io come devi rispondere.

“ Carissimi genitori, chi sta bene non si muove. Io qui sto bene, i miei superiori mi vogliono bene, posso studiare: lasciatemi dunque stare ”. E poi ci metterai altro, tutto quello che vuoi. - Così fece; e per sei mesi non ebbe risposta e rimase tranquillo.

Alla fine dell'anno scolastico fu chiamato a casa per la morte del nonno. Rinacquero i suoi timori. Don Bosco gli disse: - Guarda, sta' tranquillo. Dirai che Don Bosco non intende far danno a nessuna famiglia, anzi desidera far loro del bene; e che, se la famiglia avesse bisogno di te, egli è pronto a mandarti a casa.

Il chierico, partì, udì le difficoltà, fece intendere come allora non avessero bisogno di lui e che per l'avvenire lasciassero fare al Signore. I genitori, sentito quale fosse il pensiero di Don Bosco, si rassegnarono. Al prevosto di Varazze che aveva cercato di persuaderlo a entrare in seminano, rispose: - Piuttosto che essere prete secolare, farei il negoziante. Non mi ci sento alcuna propensione. - La buona madre, morendo, esclamò: - Fate quello che volete per me in funerali e Messe; io sono contenta di avere un figlio prete, che pregherà per me.

Don Ghigliotto non si potè mai levare dal capo l'idea che Don Bosco nell'affare della sua vocazione fosse stato illuminato dal Cielo.

Nel collegio di Varazze Don Bosco diede un'altra capatina subito dopo l'imbarco dei Missionari. Abbiamo tre lettere, scritte allora di là nel medesimo giorno, lettere che rispondono a tre aspetti del suo spirito multiforme; poichè vi si scorge l'uomo d'affari, l'uomo della cortesia, l'uomo della riconoscenza.

Della prima possiamo ben dire: tante righe, tante faccende. E poi, moto perpetuo. I “ Mariani ” sono i Figli di Maria, che restavano nell'Oratorio. Le “ nostre ausiliatrici ” sono le suore; quali fossero i lavori da spingere innanzi per esse, si vedrà.

 

Car.mo D. Rua,

 

Non ho pi√π ricevuto alcuna lettera da casa dopo mia partenza. Avrei bisogno di averle, specialmente se provenienti da Roma.

Per tua norma dimani 19 vado ad Albenga; passerò la notte ad Alassio. Il mattino seguente 20 partirò alla volta di Nizza, dove per 6 giorni puoi indirizzarmi le lettere. Dopo il giorno o meglio pel giorno 26 a Ventimiglia.

Dal 27 al 30 di nuovo ad Alassio, quindi a S. Pierdarena o dove ti dirò.

Ti metto qui una nota [di chierici] che paiono essere ponderandi per le ordinazioni.

Bisogna pensar ai Mariani, e studiare un mezzo anche con sacrifizio di torli dal lavoro per consacrarli totalmente allo studio. Promuovi i lavori per le nostre ausiliatrici.

Le Ordinazioni presso all'Arciv. di Torino incontrano difficoltà? I1 mutuo di Chieri si è affettuato?

Dimanda un poco a D. Cibrario se andrebbe anche solo ad aprire la casa di Bordighera, dove ci vuole un prete sic.

Le accettazioni pei figli di M. A. sono fissate al giorno 9 del prossimo dicembre in S. Pierdarena.

Sarà conveniente inviare colà quelli che non hanno impegni nella casa di Torino?

Dio ci benedica tutti et valedic.

Varazze, 18 - 11 - '75.

Aff.mo in G: C.

Sac. GIO. BOSCO.

 

La seconda lettera è indirizzata al conte Eugenio De Maistre, a Borgo Canalense. Dei Missionari, di Nizza e di Bordighera, diremo fra non molto.

 

Car.mo Sig. Conte Eugenio,

 

Quest'anno non ho potuto trovarmi per la festa di S. Eugenio, ma non ho dimenticato debolmente di pregare in quel giorno per Lei e per tutta la sua famiglia, cosa che ogni giorno facciamo nelle comuni preghiere delle case nostre

Le faccende dei nostri Missionari mi hanno occupato undequaque. Oltre a quello che avrà saputo dai giornali Le dico, che li ho accompagnati a bordo del battello Savoia, dove li vidi ben alloggiati sia per coricarsi sia per la mensa. Avevano un altare a loro disposizione con un buon pianoforte. D. Cagliero si mise a suonare, e i suoi compagni intonavano la lode: “ Lodate Maria ”.

Ciò cagionò meraviglia e tutti si diedero a ripetere e a rispondere con altre strofe, L'equipaggio era di circa settecento persone; tutti corsero là meravigliati, ma in silenzio e con rispetto. Allora D. Cagliero indirizzò il suo discorso alla moltitudine indicando che aveva consacrato il loro viaggio, la loro missione in America. Sapendo che in mezzo ai molti americani vi erano parecchi francesi, così dopo aver predicato in lingua spagnuola raccontò un esempio in francese. Finito di parlare parecchi dimandarono se potevano confessarsi e si presero tutti i necessari appuntamenti.

Car.mo Sig. Eugenio, ho veduto col fatto che la nostra S. Religione predicata con chiarezza e franchezza è rispettata e ben accolta dagli stessi non credenti.

I nostri Missionari partirono Domenica alle 2 pom. Al Lunedì scrissero da Marsiglia, accennano al loro buon viaggio senza che alcuno abbia sofferto. Ieri partirono da Barcellona e a Dio piacendo faranno la festa dell'Immacolata a Buenos Ayres.

Ora io continuo per la Riviera di Nizza con tre nostri preti per aprire una casa in quella città ed un'altra in mezzo ai protestanti che fanno molto guasto a Bordigliera.

Nella prossima primavera sarà un'altra spedizione di undici Missionari in aiuto dei primi. Ad Ottobre 1876 partiranno eziandio trenta delle nostre monache richieste dal governo argentino. Avrei voluto scrivere alla Sig. Duchessa, ma per non farla stancare nella mia brutta scrittura, prego Lei a darle nostre notizie, come pure, per favore, al Sig. D. Chiatellino.

Umili ossequi a tutti, Dio li conservi tutti nella sua santa grazia e mi creda in G. C.

Varazze, 18 - 11 - 1875.

Umile servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

La terza a Don Chiatellino, maestro in Borgo Canalense, dev'essere messa in rapporto con una del precedente giugno, nella quale Don Bosco in termini faceti lo stimolava a cercargli offerte per i Missionari. Sta bene premetterla qui.

 

Car.mo D. Chiatellino,

 

Sono stato a visitare la case di Liguria e non so più niente di Borgo. Abbia dunque la bontà di dirmi se la Sig. Duchessa è ancora a Borgo, oppure è già partita pei bagni come soleva fare negli anni passati. Desidererei di fare costì una passeggiata. Ella poi, caro D. Chiatellino, perchè ci ha in questo modo abbandonati? Ella risponderà: - Per preparare un taschetto di marenghini e portarlo a D. Bosco. - Bene. Venga pure che sono opportuni.

Dio ci benedica tutti e preghi per questo poverello che le sarà sempre in G. C.

Torino, 30 - '75,

 

Aff mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

Il buon sacerdote non ricevette con indifferenza l'invito; ecco infatti come Don Bosco gliene rendesse grazie da Varazze.

 

Car.mo D. Chiatellino,

 

A suo tempo ho ricevuto le offerte che mi ha inviato pei nostri missionari. Ho pregato il conte Eugenio a volerne dare [notizie] a lei ed alla Sig. Duchessa. Tutto va bene, e le notizie finora ricevute vanno assai bene.

Ella ringrazi tutti quelli che ci hanno beneficati e si assicuri che i Missionari con tutte le nostre case non mancheranno di invocare ogni giorno le benedizioni del cielo sopra di loro e sopra le loro famiglie. - Amen.

Varazze, 18 - 11 - '75.

 

Aff.mo in G. C.

Sac. GIO. BOSCO.

 

Nella Liguria l'ospizio di Sampierdarena si sviluppava fra difficoltà finanziarie, che non si potevano superare se non per mezzo della carità. Don Bosco, a cui stava sommamente a cuore che quell'opera di beneficenza allargasse al possibile la sua sfera d'attività, lanciò calorosi appelli dovunque sperava di trovare aiuti. Così al Direttore Generale delle Ferrovie scrisse questa supplica, che si diparte da ogni formalismo solito a riscontrarsi in lettere di tal genere, tanto essa è dettata alla buona e, si direbbe, col cuore alla mano.

 

Ill.mo Signor Direttore Generale,

 

Collo scopo di accogliere maggior numero di poveri fanciulli che ogni giorno chiedono di essere accolti nell'Ospizio di S. Vincenzo, che tre anni or sono si aprì sotto la direzione del Sac. Albera Paolo in Sampierdarena, si è dato principio per ampliarlo per così renderlo capace di circa duecento cinquanta allievi. I lavori progrediscono ed ora occorrerebbe un trasporto di circa settanta tonnellate di pietre lavorate dalla stazione ferroviaria di Gozzano a quella di Sampierdarena. Per questo trasporto fo umile preghiera a V. S. Ill.ma affinchè si degni concederlo gratuito o almeno con quella maggior riduzione che nella sua carità giudicherà opportuna per una impresa che si compie tutta a forza di beneficenza privata.

Non s'intende vantare alcun merito presso a codesta benemerita direzione; noto soltanto che la Chiesa annessa a questo Istituto torna di grande comodità al personale e alle famiglie degli impiegati in questa stazione che è vicina assai.

Va meglio ancora per i loro figli che ivi intervengono alla scuola e di cui parecchi sono eziandio accolti e mantenuti nel medesimo Ospizio. Forse può anche facilitare il favore il riflettere che i vagoni nel ritorno da quella stazione a Genova spesso sono senza carico di sorta.

Questi giovanetti unitamente allo scrivente non mancheranno di invocare ogni giorno le benedizioni del cielo sopra di Lei, benemerito Sig. Direttore, e sopra tutti quelli che fanno parte dell'amministrazione e direzione delle ferrovie dell'alta Italia.

Con gratitudine mi professo

Di V. S. Ill.ma

Torino, 22 aprile 1875.

 

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

Non abbiamo trovato documenti, che ci ragguaglino dell'esito. Abbiamo invece la prova, che non fu sordo il Papa. Fra le carte di Don Bosco vi è anzitutto questo brano di minuta.

 

Beatissimo Padre,

 

Sono tre anni da che, Beatissimo Padre, in Sampierdarena, città della Diocesi di Genova, d'accordo coll'Arcivescovo si comperava una Chiesa con edifizio annesso, per impedire che l'una e l'altra fossero destinati ad uso profano. Venne ivi aperto un Ospizio per poveri ed abbandonati fanciulli, mentre un sufficiente numero di Sacerdoti Salesiani prese l'amministrazione della Chiesa a benefizio del pubblico.

In brevissimo tempo l'Ospizio fu occupato da 80 fanciulli, mentre un numero di gran lunga maggiore dimanda ricovero invano per mancanza di luogo. A fine di provvedere a tanta necessità ho comperato un vicino terreno, dove ora si è già cominciato un novello edifizio capace di oltre a duecento ragazzi.

Tutta questa impresa è appoggiata alla Divina Provvidenza, e con questo pensiero mi son fatto animo di ricorrere eziandio a V. S. supplicandola:

1°A degnarsi d'impartire l'Apostolica benedizione a tutti quei fedeli che colle oblazioni concorreranno a terminare quest'opera che è tutta diretta a bene spirituale e materiale della classe più pericolante della civile società; 2° In pari tempo a volere concorrere con  quella oblazione che le permetterà la carità del paterno suo cuore.

So che V. S: trovasi parimenti nelle strettezze, ma La prego a considerare un momento che i poveri fanciulli .....

Il Santo Padre, a mezzo del card. Antonelli lodò “ grandemente la bella e santa impresa ” e “ pregando il Signore di benedirla ” volle anche da parte sua concorrervi con  la elargizione di duemila lire. L'esempio del Papa, reso noto dall'Unità Cattolica, mosse altri a fare il medesimo. Così il duca Tommaso Scotti da Milano gl'inviò pure il suo obolo. L'Ospizio, intitolato al Santo della carità, dovette alla carità la sua esistenza e nell'esercizio della carità verso la gioventù continua le sue gloriose tradizioni.

Del novello edificio fu posta la prima pietra il 14 febbraio 1875. Monsignor Magnasco, Arcivescovo di Genova, grande amico e benefattore di Don Bosco e de' suoi figli, la benedisse solennemente alla presenza di numeroso popolo. Nel verbale, letto dinanzi a tutti e chiuso nella pietra angolare, il Beato aveva fatto inserire queste notevoli parole: “ Si hanno tutti i motivi di sperare che questa opera sarà da Dio benedetta e condotta felicemente a fine, avendola benedetta il suo Vicario in terra ”. Difatti non passarono due anni, che l'edifizio era condotto a termine, dando ricetto a duecento poveri giovani ed accogliendo oltre i laboratori già esistenti dei falegnami, sarti e calzolai, anche quelli dei legatori, fabbri e tipografi; nè gl'incrementi si arrestarono, ma negli anni successivi si attese ancora ad ampliare e a perfezionare, senza che mai siasi fatto appello indarno alla carità dei benefattori.

Dalle Case della Liguria avviciniamoci di nuovo alla Casa Madre. Nei collegi dei Piemonte pochi fatti richiamano la nostra attenzione: tutto si riduce a un incidente di Valsalice e a qualche cosuccia di Lanzo.

A Valsalice si festeggiò con la pompa consueta il santo Patrono della gioventù. Fra i convittori vi erano parecchi giovanetti da cresimare. Che bell'occasione la festa di San Luigi per una cerimonia così importante! I superiori pregarono l'Ordinario che li onorasse della sua presenza, almeno per compiervi il sacro rito; ma visto che egli non poteva intervenire, anche perchè stava fuori di Torino, gli fecero reiterate istanze che si degnasse accordare ad un altro vescovo le facoltà necessarie per l'amministrazione di quel sacramento, proponendogli all'uopo il Vescovo di Susa. Finalmente si ottenne quanto si desiderava. Il Vescovo di Susa venne, pontificò, cresimò, contentò tutti e partì contentissimo; ma nessuno seppe a Valsalice che il diavolo ci aveva messo la coda, regalando a Don Bosco un'amarezza di più.

Era ovvio che i superiori del collegio prima di proporre all'Ordinario la designazione del Vescovo di Susa, interpellassero il Vescovo stesso, se avrebbe accondisceso al loro desiderio, e che, avutane risposta favorevole, ne facessero parola a monsignor Arcivescovo. Ma questi, a quanto sembra, non la intese così, Infatti, dove sarebbero state sufficienti poche righe, si pigliò il disturbo di scrivere al Vescovo di Susa un letterone, dove, impiegati due lunghi e studiati periodi per dire ciò che formava l'oggetto della comunicazione ufficiale, girava poi a Don Bosco questo contentino: “ Non posso però passare sotto silenzio la mancanza di prudenza e riverenza di cui sono colpevoli questi superiori, avendo essi ricorso a V. E. perchè venisse a compiere funzioni nel loro Collegio senza prima accertarsi del mio consenso, siccome prescrivono i Canoni della Chiesa e lo richiede apertamente il mio Sinodo del 1873. Purtroppo, Monsignore, ho da deplorare il poco rispetto che mi si porta in questa Congregazione novella, incominciando dal suo fondatore e Rettore Capo; e se V. S., recandosi là, potrà colle sue preghiere a Dio, a Maria ed ai Santi, ed anche con qualche sua parola procurare che l'autorità e dignità dell'Arcivescovo di Torino ottenga nella Congregazione di D. Bosco tutto il rispetto che le è dovuto, Ella farà un grande servizio a questa archidiocesi (I) ”, Quanto è sempre vero che ad un animo mal prevenuto le cose anche più semplici si complicano automaticamente, ingenerando suspicioni, che portano l'uomo lontano le mille miglia dalla realtà!

Don Bosco amava tutti i suoi collegi; ma per il collegio di Lanzo sembrava nutrire una predilezione speciale. Lo udremo tosto da lui medesimo. Noteremo prima quanto studio si ponesse in quei primordi a consolidare la regolarità e l'uniformità di vita dentro e fuori dell'Oratorio. Una visita d'ufficio compiuta da Don Rua a Lanzo nella sua qualità di prefetto generale ha dato origine a questo documento, che non sappiamo resistere alla voglia di riprodurre. Vi aveva pure ricevuti gli esami di teologia dai chierici. La scuola serale, di cui si parla nel numero 60, era una ripetizione vespertina, in uso all'Oratorio. Si avrà occasione di parlarne nel volume seguente.

 

Caro Direttore,

 

Vi comunico le impressioni avute nella mia visita al vostro collegio. Vi assicuro che sono partito assai soddisfatto, sia degli esami, sia del contegno de' chierici, sia de' diportamenti dei giovani. Voglia il Signore continuare a benedirvi e farvi crescere di bene in meglio. Tuttavia qualche cosa ho osservato che ha bisogno di modificazioni.

1° Ho trovato tovaglie su qualche altare non troppo decenti.

2° Seppi che non si dice ne' giorni feriali la messa per gli allievi esterni, e sarebbe pur tanto conveniente che si dicesse, come si fa qui, a Varazze, ad Alassio ecc.

3° Non si fa quasi mai scuola di ceremonie nè ai chierici, nè al piccolo clero, nè ai giovani. Converrà insistere presso chi di ragione perchè si faccia regolarmente; e se chi ne ha incarico non può far tutto, gli si dia qualche aiutante.

4° Anche il catechismo nelle classi Ginnasiali è poco insegnato; eppure è il ramo di scienza più importante.

5° Non s'insegna il canto gregoriano, che pure è tanto desiderato ed inculcato dal nostro buon padre D. Bosco.

6° La scuola serale non è più sul gusto di quelle che desidera D. Bosco, il quale ama che tutti vi prendano parte. Se si vuol fare prima di cena, come si combinò nelle conferenze autunnali, conviene differire la cena di una mezz'ora o tre quarti d'ora, portandola alle otto od otto e un quarto. Questa scuola serale fatta per tutti presenterebbe pure comodità per insegnare le orazioni a chi non le sa, per insegnare a servir messa, di che non tutti costì sono capaci per preparare alla la comunione ecc.

7° Vi scorsi bisogno di regolar bene e con gradazione le varie compagnie di S. Luigi, del SS. Sacramento, del Clero ecc.

8° I coadiutori avrebbero bisogno di essere sovente visitati dopo le orazioni per sentirsi indirizzare qualche parola direttamente a loro.

8 bis Sarà pur conveniente fare più spesso la scuola ai chierici, specialmente quella di filosofia, se è possibile.

9° Sarà forse molto utile che i chierici, come abbiam detto nella conferenza, si radunino almeno una volta al giorno, gli uni per la meditazione, gli altri per la lettura spirituale sotto la guida di un sacerdote.

10° Sarà necessario di ridurre tutte le celle dei chierici alla misura di soli m. 0, 60 oltre il letto, mediante le spranghe per le cortine sulla foggia di parecchie, le quali già sono costì.

11° O La lettura a tavola è troppo trascurata; conviene che insegniamo il modo di usufruire del tempo, utilizzando anche quello che si impiega nel cibarci.

12° Nelle scuole trovai il vuoto delle prove mensili, ed in alcune mancavano perfino le decurie. Ogni mese devonsi registrare i voti parziali di ogni scuola nella decuria generale, che deve tenersi dal Direttore o dal Prefetto.

13° Sarebbe a desiderarsi nei giovani maggior impegno pel loro profitto scolastico.

14° Mancano varii registri, di cui vedrò di provvedervi. Caro Direttore, molte di queste cose dipendono dai tuoi subalterni; tuttavia converrà che tu ti tenga al corrente di tutte, e che pur tu dia il moto a tutti. Tu sei la testa, il Prefetto è il braccio; tutti due siete occhi ed orecchi per tutto vedere e tutto udire.

Il Signore vi benedica largamente insieme col

10 - 3 - '75

 

Vostro Aff.mo D. RUA

Pref. della Congreg. di S. F. S

 

Sentiamo ora Don Bosco a parlare del collegio di Lanzo. Ciò fu in una sua ' buona notte” del 22 dicembre ai giovani dell'Oratorio.

Vengo, o miei cari figliuoli, da visitare il caro mio collegio di Lanzo. Là vi sono anche molti giovani, i quali unitamente al loro Direttore D. Lemoyne ed a tutti i superiori m'incaricarono di augurarvi, le buone feste natalizie, unitamente a mille altre felicità e favori; ed io ho fatto la parte vostra contraccambiando in pubblico i saluti e gli auguri dei nostri Lanzesi con quelli dei Torinesi. E si stabilì che essi, quando la ferrovia da Cirié a Lanzo sarà ultimata,

il che si spera fra breve, verranno a farvi una visita dal mattino alla sera in un convoglio speciale. E noi pure restituiremo loro una tal visita; ci metteremo in via di buon mattino e ce ne staremo là tutto il giorno, ritornandocene però alla sera al nostro caro soggiorno dell'Oratorio. Là a Lanzo non fa tanto freddo, come alcuni pensano. È vero che vi sono giornate, in cui questo signorino vi domina assai bene; ma vi è il vantaggio che, se il giorno è sereno, si gode il sole per tutta la giornata, mentr'egli qui non si degna di lasciarsi vedere, passeggiando sempre sulla nebbia.

A Lanzo io m'intrattenni a parlare coi giovani che sono buoni, per due giorni, ed ora eccomi qui, tutto a voi consacrato, dispostissimo ai comandi vostri circa i bisogni spirituali in questi due ultimi giorni della novena, per poter poi fare nell'augusta sera del santo Natale una bella e generale comunione.

Come credo vi avranno già detto, ricevemmo lettere dei nostri Missionarii dal Capo Verde ed essendo esse assai lunghe per leggerle in pubblico, nè potendo farle passare a ciascuno di voi, nè essendo cosa facile decifrarle, così si decise di farle stampare. In tal modo ciascuno potrà leggerle a suo bell'agio e mandarle a casa sua se così gli aggrada.

Io finisco col pregarvi di preparare bene l'anima vostra alla venuta del Signore, a scoprirne i pi√π segreti nascondigli e purificarla col santo lavacro della Confessione al tribunale di Penitenza. Pensate ora solamente a questo, per poter fare quindi una buona e santa Comunione. Buona notte.

Se in ogni collegio, sull'esempio delle altre Congregazioni religiose, si fosse avuto cura di redigere la cronaca domestica, quante cose belle ed utili che si dileguarono dalla memoria, sarebbero lette con piacere in questo capo, riuscito necessariamente troppo breve alla nostra legittima curiosità ed anche un po' sconnesso a motivo delle lacune nelle fonti!

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