Capitolo 13

Due consolanti fatti religiosi - La patente provvisoria di confessione - In aiuto del Parroco di Cinzano - Industria per render amene le radunanze domenicali - Le prime prove della scuola di canto - Il Teol. Nasi - Origine di certe arie popolari - Il primo trionfo dei musici di D. Bosco.

Capitolo 13

da Memorie Biografiche

del 19 ottobre 2006

 

 

Due consolanti fatti religiosi, particolare l'uno e generale l'altro, rallegravano il cuore dei Convittori al riaprirsi del nuovo anno scolastico. Gregorio XVI per animare questi sacerdoti e chierici ad invocare ed imitare i Santi Protettori dei Convitto, con Rescritto del 25 settembre 1842, concedeva indulgenza plenaria nel giorno della loro solennità ed in quella di San Alfonso, purchè confessati e comunicati visitassero la Chiesa di San Francesco d'Assisi. Inoltre, altre pubbliche preghiere in forma di giubileo aveva intimato al mondo intero lo stesso Sommo Pontefice, per ottenere che il Signore mettesse fine ai mali della Cattolica Spagna, ove la fazione di D. Carlos e quella dei liberali della Regina Isabella da tempo combattevansi ferocemente. I liberali, dispersi gli Ordini religiosi, impoverito il Clero, incarcerati ed esiliati i Vescovi, abolita la Nunziatura, avevano proposta una legge che tendeva apertamente allo scisma e sottoponeva la Chiesa allo Stato civile. Carlo Alberto proteggeva i Carlisti, dava loro soccorsi e ricovero, ne accoglieva i rappresentanti, ricusava di riconoscere ufficialmente la Regina Maria Isabella, rompeva le relazioni commerciali Colla Spagna, ricoverava in Piemonte il Vescovo di Cuba e quello di Leone, che, ritiratosi nell'eremo di Lanzo, quivi morì; e più tardi accoglieva in Genova lo stesso D. Carlos venuto a chiedergli un rifugio. Mons. Fransoni adunque comunicava alla sua diocesi la parola del Papa con lettera del 31 ottobre 1842 e fissava il giubileo dal 27 novembre all'11 dicembre di quest'anno. In tutte le parrocchie incominciavansi pertanto le divote pratiche prescritte, quando Don Bosco ricevette la seguente lettera Arcivescovile:

 

                                                                                     Torino, li 30 Novembre 1842

 

M.to Rev.do, Signore,

 

Ricevo lettera dal Parroco di Cinzano, nella quale mi chiede di permettere a V. S. M.to Rev.da di recarsi colà in suo aiuto per domenica prossima, trovandosi per nuovi sopraggiuntigli suoi incommodi in estremo bisogno. Mentre per parte mia non vi sarebbe difficoltà, osservo che sarebbe necessario avere le patenti di confessione, e quindi resterebbe a vedersi se Ella sarebbe disposta a subirne l'esame, nel qual caso faccia presente questa mia al Teol. Guala, ed io dichiaro che serve per delegazione, onde in compagnia del Sig. D. Cafasso possa darle tale esame.

Attendendo quindi un riscontro per mia norma, mi protesto con perfetta stima della  S. V. M.to Rev.da.

 

Devot.mo Obbl.mo Servo

Luigi Arcivescovo

Al Sig. D. Bosco nel Convitto di S. Francesco

 

 

Mons. Arcivescovo conosceva certamente la carità, lo zelo di D. Bosco, la sua sollecitudine nel consacrarsi al bene delle anime, specialmente della gioventù, nonchè la sua prudenza e scienza morale per fargli una simile proposta.

D. Cafasso adunque ed il Teologo Guala lo chiamarono all'esame, lo dichiararono idoneo ad ascoltare le confessioni, e gli concessero licenza provvisoria, cioè coll'obbligo di presentarsi ancora all'esame definitivo che soleva darsi solo al fine del secondo anno di studii al Convitto. E questo era un'eccezione straordinaria alla regola, come affermarono D. Giacomelli e D. Bonetti.

Con viva gioia lo accolse a Cinzano il venerando zio di Comollo, e D. Bosco si accinse tosto all'opera. Predicò per una settimana intera, sulle indulgenze e sui mezzi di acquistarle attendendo alle confessioni, e la gente affluiva anche dai paesi vicini.

Tutta particolare era la fede che D. Bosco aveva nelle sante Indulgenze, delle quali procurava di fare il maggiore acquisto possibile, ed a ciò esortava pure gli altri con grande interesse ogni volta se gliene presentava l'occasione. Per eccitare tutti a farne grande stima ed arricchirsi di questo spirituale tesoro fondato sui meriti infiniti di Gesù Cristo, della Beata Vergine e dei Santi, egli nelle sue istruzioni ne spiegava sovente l'efficacia a' suoi uditori e disapprovava i pregiudizi di coloro che esagerano le difficoltà per l'acquisto delle medesime. Esclamava: - Il Divin Salvatore colla sua grazia ha reso facile e posto alla portata delle nostre forze tutto ciò che giova alla nostra santificazione e alla salvezza delle anime. - E però più tardi ne domandava e ne otteneva moltissime dalla Santa Sede per le sue Case e per tutti i fedeli cristiani, da guadagnarsi mediante la pratica di qualche opera di carità e devozione.

Ritornato in Torino D. Bosco fu in grado di coltivare con miglior successo i suoi cari giovanetti pel bene delle anime loro, potendo pur riceverne le confessioni.

A questo proposito, sul finire del 1842 scriveva sopra di un suo libretto questi proponimenti:

“Breviario e confessione. Procurerò di recitare divotamente il Breviario e recitarlo preferibilmente in Chiesa, affinchè serva come di visita al SS. Sacramento.'

” Mi accosterò al Sacramento della Penitenza ogni otto giorni e procurerò di praticare i proponimenti che ciascuna volta farò in confessione.'

” Quando sarò richiesto ad ascoltare le confessioni dei fedeli, se vi è premura, interromperò il santo ufficio e farò anche più greve la preparazione ed il ringraziamento della Messa, a fine di prestarmi ad esercitare questo sacro ministero”.

Frattanto D. Bosco cercava ogni mezzo per rendere pi√π amene che poteva le radunanze domenicali. Egli sapeva toccare discretamente l'organo ed il pianoforte, aveva studiato per intero alcuni metodi dei pi√π rinomati per imparare il suono ed il canto, e la sua voce si prestava a qualunque parte salendo armoniosa fino al secondo do della seconda ottava. Avvicinandosi pertanto la festa del Santo Natale, volle preparare una canzoncina in lode del Divino Pargoletto. La poesia fu composta e scritta sul davanzale di un coretto della Chiesa di S. Francesco. Esso stesso la mise in musica. Ecco i versi:

 

Ah! si canti in suon di giubilo,

Ah! si canti in suon d'amor.

O fedeli, è nato il tenero

Nostro Dio Salvator.

Oh come accesa splende ogni stella

La luna mostrasi lucente e bella

E delle tenebre squarciasi il vel.

Schiere serafiche, che il ciel disserra

Gridan con giubilo: sia pace in terra!

Altre rispondono: sia gloria in ciel!

Vieni, vieni, o pace amata,

Nei cuor nostri a riposar.

O bambino in mezzo a noi

Ti vogliamo conservar.

 

La musica non era secondo le regole del contrappunto, ma riusciva così affettuosa da strappare le lagrime. D. Bosco si accinse a farla imparare a' suoi giovanetti, privi di ogni istruzione e ignari delle note. La sua perseveranza superò ogni ostacolo. Non avendo da principio luogo al Convitto per simili esercitazioni, usciva di casa, e la gente fermavasi stupita al vedere un prete in mezzo a sei od otto giovanetti che, tra la via Doragrossa e Piazza Milano, passeggiavano ripetendo a bassa voce una canzone. Quell'aria restò così loro impressa nella mente, che alcuni di quei cantori ancora la ricordavano nel 1886, sicchè dopo tanti anni si potè scrivere colle sue note a perpetua memoria. Si ritrovò eziandio e si conserva il prezioso manoscritto della poesia. Fu cantata nel 1842 la prima volta ai Domenicani e poi alla Consolata, dirigendo D. Bosco la piccola orchestra e suonando l'organo. I Torinesi, non assuefatti in allora ad udire in orchestra le voci bianche dei fanciulli ne furono entusiasmati, poichè soli i maestri, colle loro voci robuste e talvolta poco simpatiche, a quei tempi cantavano nelle funzioni di Chiesa.

Riuscita bene la prima prova, D. Bosco sullo stesso motivo musicale scrisse la seguente poesia, da cantarsi nel tempo della S. Comunione.

 

Ah! cantiamo in suon di giubilo

Ah! cantiamo in suon d'amor.

O fedeli, qui ci attende

Nostro Dio Salvator.

O come mostrasi

Bontà infinita!

Cibo a noi donasi

Chi diè la vita;

D'immense grazie

Apportator.

Schiere serafiche

Che il Ciel disserra

Scendon con giubilo

Dal cielo in terra;

Ovunque cantano

Lodi al Signor.

 

Con qualche variazione fece pure servire la stessa musica per un Tantum ergo, che sovente fu cantato nelle Chiese per circa venti anni, specialmente nelle passeggiate che di quando in quando facevansi. Con questo metodo la poca scienza musicale degli allievi, usata a tempo opportuno, loro procurava molta fama e molto affetto dalle popolazioni.

Dopo musicò il Lodato sempre sia il Nome di Gesù e di Maria, e sempre sia lodato il Nome di Gesù Verbo incarnato, che si canta ancora oggidì nella Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice, sul finire della predica al mattino. Compose eziandio un Gloria in excelsis Deo per Castelnuovo, quando vi si recò le prime volte co' suoi giovinetti ancora esterni. Fu il principio di una piccola Messa, che in quei tempi sembrò una meraviglia. Scrisse quindi un motivo per il Magnificat, alternando l'orchestra i versicoli, che il popolo cantava in canto corale, coi primo sempre ripetuto. Lo stesso fece per le Litanie della Madonna.

In questa santa gara di catechista e musico ben presto si associò a D. Bosco il Chierico Luigi Nasi, di nobile famiglia torinese, laureato in teologia nel 1842, ordinato sacerdote nel 1844, poi Direttore Spirituale del Rifugio, Canonico del Corpus Domini, e tutto consacrato, per opera di D. Cafasso, al ministero delle confessioni e delle missioni. Valente predicatore, fu collega ed amicissimo del celebre Canonico Giambattista Giordano, e salì, come lui, i principali pulpiti d'Italia. Desideroso di dedicarsi alla cura dei giovanetti negli Istituti, fra questi prediligeva quello di D. Bosco, che sorgeva appena allora, e lo frequentava coll'entusiasmo di un santo, accaparrandosi la benevolenza dei giovani cogli ameni racconti e gli esempi di virtù. Poeta ed artista non comune, componeva per loro versi e musica, e coadiuvando mirabilmente D. Bosco, per varii anni facevasi all'uopo accompagnatore d'organo e maestro d'orchestra. Amava e amò sempre D. Bosco di tale intenso affetto, che nel 1893 permise che i Salesiani stampassero i suoi sermoni, stati a lui strappati con dolce ed artificiosa violenza, coll'idea cioè di D. Bosco postagli innanzi; ed egli destinava alle Missioni della Patagonia il frutto che sarebbesi ricavato dalla vendita dell'opera.

Il Teol. Nasi adunque, suonando l'organo, accompagnava i piccoli cantori di D. Bosco, fra i quali si trovavano voci bellissime, alla Consolata, al Corpus Domini, a Moncalieri nella Chiesa delle Carmelitane. Talora salivano eziandio l'orchestra di S. Francesco d'Assisi. La sacrestia di questo tempio divenne allora l'aula magna dell'accademia musicale ove si diè principio a quella scuola che un giorno doveva cantare le Messe, i Vespri, i Tantum ergo, i mottetti delle prime celebrità musicali, come sono i Cherubini, Rossini, Haydn, Palestrina, ecc. Appassionatissimo della musica, Don Bosco faceva più tardi stampare sulla porta della sua scuola di canto queste parole scritturali: Ne impedias musicam.

A quei suoi primi giovani Don Bosco insegnò pure varie canzoni in onore della Madonna, e fra le altre notiamo quella che ora forse più non si ricorda: Maria risuona la valle e il monte e l'invito a Gesù Sacramentato, che comincia:

 

A lieta mensa e regia

Del sacro agnello accolti,

In pure vesti e candide

Dell'innocenza avvolti,

Inni cantiam di giubilo

Al Cristo, vincitor.

 

Le musiche, come le parole di questi inni, non erano sempre di D. Bosco, bensì anche di maestri non oscuri. Alcune però, che ancora oggigiorno si ripetono negli Oratorii e Collegi Salesiani ebbero un'origine piuttosto strana, che qui vogliamo far nota. Un giorno D. Bosco udì un coro di operai, che in sulla sera cantavano un loro stornello armonioso, marziale, che segnava il passo. Sapendo quanto ai giovani piacesse quel genere di canto, lo ritenne a memoria e, conoscendo Silvio Pellico, che veniva a confessarsi dal Teol. Guala, lo pregò che volesse scrivergli alcuni versi all'Angelo Custode; e ne venne fuori quella poesia e quell'aria popolarissima Angioletto del mio Dio, che tuttora si ripete ne' nostri Istituti. Altra volta, passando per Piazza Milano, s'incontrò in alcuni giovani cantori ambulanti, i quali, con accompagnamento di chitarra e violino, cantavano una loro storia profana ma onesta in mezzo a folta corona di gente. Un solo giovane cantava la strofa e gli altri in coro il ritornello. Piacque grandemente a D. Bosco quell'armonia, che era di tal natura da prendere voga per la sua popolarità; e però, tratta fuori carta e matita e appoggiandosi allo stipite del palazzo della Prefettura, in un angolo della stessa piazza, scrisse quelle note. Andò poi in cerca di una poesia sacra, che si adattasse a tal musica, e trovò acconcissima quella: Noi siam figli di Maria, che si canta con tanto slancio da tutti i giovanetti delle Case Salesiane.

Non è a dire quanto questi canti accrescessero la gioia e l'entusiasmo nei giovanetti e l'ammirazione nelle popolazioni. Un giorno D. Bosco condusse i suoi giovani alla Madonna del Pilone. Su tre barche attraversarono il Po, e quando furono in mezzo al fiume intonarono una bella lode. I popolani, che si trovavano sulle sponde, al sentire quel canto si fermarono ascoltando, quindi, innamorati dell'armonia, si misero a seguire il corso delle barche, camminando per lo stradone. Siccome tra di loro vi erano alcuni trombettieri, questi diedero fiato alle loro trombe e si misero ad accompagnare quel motivo facile, producendo un effetto magico. Tutti gli abitanti della Madonna del Pilone uscirono fuor delle case, e quando le barche approdarono, circa un migliaio di persone si erano raccolte ad attendere e attorniare i giovani cantori. Fu quello uno dei primi trionfi dei musici di D. Bosco, che preludiava ai mille e mille altri che avrebbero in seguito acquistati in ogni parte del mondo.

 

 

 

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