La quaresima - Oratorio di S. Luigi: illustri Catechisti: zelo e generosità del Teol. Murialdo; le scuole diurne; i maestri; i giovani più ignoranti condotti a confessarsi da D. Bosco; scuola e regolamento per la musica istrumentale che viene poi sciolta - Oratorio di Vanchiglia: teatrino - Oratorio di Valdocco: D. Bosco regala una croce ad un nobile catechista: virtù del maestro della scuola diurna: le passeggiate degli oratoriani più rare e più brevi: causa della diminuzione di questi giovani - Fondazione dell'Oratorio di S.Giuseppe - Il Vescovo di Nizza Marittima fa il catechismo in Valdocco - D.Bosco in cerca di giovani per esortarli a confessarsi - Un fanciullo infermo visitato da D. Bosco persuade i suoi parenti a riconciliarsi con Dio - I Cattolici insidiati continuamente dai Protestanti - Ravvedimento di un venditore di libri eretici - Letture Cattoliche: indirizzo agli associati - D. Bosco estingue il sito debito antico co' Rosminiani - Sua avversione alle liti.
del 29 novembre 2006
Quest'anno 1859 la quaresima durava dal 2 marzo al 24 aprile. L'Oratorio di S.Luigi era numerosissimo sotto la direzione del Teol. Leonardo Murialdo il quale essendo i locali angusti, disadatti e poco solidi, vi faceva molte spese del proprio e arricchiva l'altare della misera Cappella con un tabernacolo e gradini di marmo. Fra i giovani, colla frequenza dei Sacramenti, faceva fiorire i buoni costumi, e in alcuni di questi si manifestarono sode vocazioni ecclesiastiche. I suoi catechisti ed assistenti venivano dall'Oratorio di Valdocco mandati da D.Bosco e dipendevano con esemplare umiltà dal Teologo Murialdo. Fra questi, ora insieme, ora successivamente, furono i chierici Rua Michele, poi Celestino Durando, Lazzero Giuseppe, Francesco Cerruti, Francesco Dalmazzo, Albera Paolo, Savio Angelo. Fra i laici distinguevansi per zelo veramente ammirabile, oltre al già accennato Avv. Gaetano Bellingeri, il Conte Francesco di Viancino, giustamente onorato poscia come il campione del laicato cattolico piemontese, l'Avv. Ernesto Murialdo fratello di Leonardo, il Marchese Scarampi di Pruney, il Conte Pensa, e per qualche tempo l'Ing. G. Batt. Ferrante, uomini tutti dotati di un grande spirito di sacrifizio e ardente di carità sincera verso i poveri giovanetti.
Le fatiche di questi zelanti cristiani riuscivano molto pi√π efficaci, dal momento che si erano aperte le scuole diurne.
Tale scuola, che raccoglieva oltre ad un centinaio di ragazzi, per la più parte rifiuto delle altre scuole civiche e bisognosi di educazione quanto lo erano di pane e di vesti, proseguì a fare del gran bene, anche dopo che il Teol. Murialdo dovette lasciare l'Oratorio di S. Luigi e prendere la direzione dell'Opera Pia degli Artigianelli. Egli però finchè vi rimase, oltre all'adoperarsi nel mantenerla in fiore, soccorreva col danaro molte famiglie degli scolari perchè non si lasciassero guadagnare dall'eresia. E la sua carità produsse frutti meravigliosi. Il santo prete, come fece sempre D. Bosco, e con lui tutti i zelanti e generosi sacerdoti praticava una dottrina conforme a quella di S. Paolo: non prius quod spirituale est, sed quod animale: deinde quod spiritale.
Ottimi i maestri e fra questi ricordiamo un certo Signor Formica. Il bravo insegnante coadiuvava potentemente i chierici e il Direttore nei giorni festivi; assisteva i giovani, faceva loro il catechismo. Desiderando la salvezza delle anime, chiese un giorno consiglio a D. Bosco sul modo più efficace per invitare i giovani ad accostarsi al sacramento della Penitenza e nello stesso tempo renderli persuasi della facilità di confessarsi bene. D. Bosco dopo avergli date alcune norme, concluse: - I più grandi conducili da me in Valdocco. Essi diranno che non sanno confessarsi e per questo non vanno. Di' loro che è una cosa facilissima una buona confessione. Basta che mi rispondano tre sole parole: si, no, sai nen, (non so) il restante lo dirà tutto D.Bosco, ed essi non avran alcun fastidio o paura d'imbrogliarsi.
Così lo zelo dei maestri rendeva fruttuose per circa venti anni le loro scuole opponendosi direttamente alle scuole dei Valdesi aperte in via dell'Arco: ed impedì che centinaia e forse migliaia di ragazzi si lasciassero guadagnare dall'eresia.
Il Teol. Murialdo intanto volendo affezionare maggiormente i più grandicelli all'Oratorio, fondava una scuola di canto nelle sere dei giorni feriali e ne incaricò il M°. Elzario Scala; e i giovani addestrati nel canto corale eseguirono delle messe solenni nell'umile cappella di S. Luigi.
Si decise parimente d'istituire una banda, e dopo averne parlato a D. Bosco, gli presentò un regolamento, perchè pronunciasse il suo parere. Eccone il tenore:
La scuola di musica e canto stabilita nell'Oratorio di San Luigi ha per iscopo di affezionare i giovani all'Oratorio onde lo frequentino nei giorni festivi, si avvezzino a compiere i doveri religiosi, e tengano una cristiana e morale condotta.
Saranno quindi esclusi dal farne parte coloro che si rendessero negligenti alle funzioni religiose dell'Oratorio, che tenessero notoria cattiva condotta, o che fossero causa di gravi sconcerti fra i compagni e restii sovente agli ordini ed alla disciplina stabilita.
Ad invocare il divino aiuto su quest'opera si reciteranno in comune le orazioni della sera dopo le lezioni.
Durante le lezioni si farà silenzio e si potrà solo dirigere la parola al maestro. Bisognerà trovarsi esatti alla lezione e non uscire prima del tempo senza permesso. Non si potrà toccare e suonare l'istrumento di un altro senza suo permesso. L'infrazione a questa regola va soggetta a multa di un soldo fino a quattro.
Ciascuno dovrà perciò fare un fondo di soldi venti per l'eventualità della multa. Consumato che sia non potrà seguitare le lezioni se non lo rinnova.
Chi ha ricevuto un istrumento dal direttore della musica deve mese per mese compiere la quota convenuta, se no verrà ritirato l'istrumento e non gli sarà rimesso se non quando si trovi al corrente degli acconti convenuti.
Il Teologo, ottenuto il consenso di D.Bosco, poichè nella sua meravigliosa umiltà nulla faceva di proprio arbitrio, insieme coll'Avv. Bellingeri comprò gli strumenti, sostenendo spesa non lieve. Desiderando però che tutto procedesse con ordine, egli coll'Avvocato assistevano in persona alle prove, coadiuvavano il maestro ed incoraggiavano gli esordienti musicisti. Ma questa istituzione non corrispose al suo scopo, perchè dava più disturbi che edificazione e si dovette sciogliere; e D. Bosco, non permise poi mai negli Oratorii festivi di Torino la musica istrumentale, perchè la banda del suo Ospizio di Valdocco poteva render loro servizio nelle solennità. Solo negli ultimi anni, malaticcio ed oppresso dalle insistenze, cedette a malincuore e lasciò fare.
Come l'Oratorio di Porta Nuova così quel di Vanchiglia era gremito di fanciulli, e D. Bosco aveva fatto eseguire riparazioni e miglioramenti in quelle povere tettoie adattate a sale, in una delle quali un teatrino attirava le turbe giovanili alle sacre funzioni ed ai catechismi. Anche qui Direttori, catechisti, maestri, assistenti, venivano da Valdocco, e cogli altri il Ch. Cagliero.
Ma quello di S. Francesco di Sales teneva sempre il primato sugli altri per il numero e la pietà dei giovani. L'appoggio che gli prestavano nobili signori, era contraccambiato da D. Bosco con segni di vivo affetto, piccoli doni, letterine, che erano ricevute con molto gradimento. Fra l'altro il 2 marzo 1859 scriveva al Cav. Zaverio Provana di Collegno: “ Eccole la croce benedetta. Se Dio mi esaudisce essa colmerà di benedizioni e di timor di Dio chi sarà per portarla. Auguro a Lei, a papà, e a tutta la famiglia, sanità e grazia dal Signore, mentre mi professo con gratitudine ecc. ”.
Le scuole diurne elementari quotidiane erano bene avviate anche in Valdocco. Ne era affidato l'insegnamento a D. Zattini di Brescia. Questi, benchè professore di filosofia, con mirabile, pazienza ed umiltà si assoggettò per circa due anni alla pesante occupazione d'insegnare l'alfabeto e qualche elemento di grammatica italiana ad una numerosa scolaresca ineducata e talora schernitrice. Essendo egli ignaro del dialetto piemontese, succedevano equivoci.
Dico pera, esclamava, parlando coi chierici dell'Oratorio e intendono pietra; dico bara ed essi capiscono bastone! - Tale era il significato di queste parole in dialetto.
D. Bosco procurava sempre ai suoi giovani svariati divertimenti, ma le passeggiate si erano fatte molto rare specialmente quelle di un'intera giornata e ben presto cessarono.
Dopo che egli ebbe una cappella stabile, esigeva che tutti assistettero alle sacre funzioni, perchè altrimenti la regolare istruzione delle prediche e dei catechismi, la frequenza dei sacramenti ne avrebbe sofferto. È perciò che l'Oratorio di Vanchiglia e quello di Portanuova non ebbero mai le passeggiate generali di tutti insieme i loro giovani.
In Valdocco però vi era un'usanza che bisognava rispettare, cioè un premio che ogni anno D. Bosco non aveva mancato mai di concedere ai suoi giovani esterni. Questo consisteva nello svago di mezza giornata festiva, presso una chiesa non lontana dalla città. Se la camminata facevasi al mattino i giovani partivano schierati, pregando o cantando laudi sacre. Giunti al luogo stabilito si compievano le pratiche di pietà; e, distribuita da D. Bosco la colazione, che quivi avevano portata alcuni somarelli, ognuno se ne andava pei fatti suoi.
Se la passeggiata facevasi dopo il mezzo giorno, allora si andava in collina, con qualche strumento musicale, si distribuiva la merenda, e in qualche chiesa si prendeva parte alla predica ed alla benedizione. Avvicinandosi la notte, tutti schiamazzando e cantando, scendevano alla barriera di Torino e, fatto quivi silenzio, sciamavano a gruppi per le vie che conducevano alle loro case.
D. Bosco procurava questo spasso ai suoi Oratoriani due o tre volte all'anno, come ci narrava chi ci prese parte dal 1855 al 1861, e i giovani erano sempre pi√π di trecento. D. Bosco provvedeva abbondantemente il necessario, ma siccome nel numero vi erano di quelli che appartenevano a famiglia piuttosto agiata, avvertiva gli uni che si portassero pane e companatico da casa, altri invitava a quotarsi di un venti soldi a testa per concorrere almeno in parte al bisogno di tanti poveretti che nulla possedevano; e quei giovani volentieri lo secondavano, ricompensati dal pensiero dell'opera buona che facevano e dalla sincera allegria, che loro procurava quel divertimento, in compagnia di D. Bosco.
D. Bosco così studiavasi di attirare i giovanetti all'Oratorio festivo, poichè quantunque numerosi ancora, tuttavia li vedeva diminuire di anno in anno dal 1859 al 1870. E le cause di queste diserzioni non si potevano togliere. La prima erano i giovani alunni dell'Ospizio che, crescendo continuamente, occupavano a poco a poco quasi tutta la chiesa di S. Francesco; ed anche per loro riuscivano ristretti i cortili della ricreazione; e la seconda che i padroni di fabbrica senza timor di Dio costringevano i garzoni a lavorare anche alla Domenica.
Tuttavia nel complesso non era scemato il bene che i giovani ricevevano da D. Bosco, poichè nel 1859 si apriva in Torino nel borgo di S. Salvario un quarto Oratorio festivo dedicato a S. Giuseppe. Il cav. Carlo Occelletti aveva destinato una parte della sua casa a questo nobilissimo scopo, ove era un vasto cortile e, da lui preparata, una vaga e grande cappella; e i preti della parrocchia di S. Pietro e Paolo vi esercitavano il Sacro Ministero. Avendo poi chiesto a D. Bosco, suo intimo amico, chierici e preti per dirigerlo, questi acconsentì premurosamente e cominciò nel 1863 a mandarvi tutte le Domeniche D. Francesia e poi D. Tamietti Giovanni e altri preti a celebrarvi la S. Messa, a confessare e a predicare. I viceparroci di S. Pietro e Paolo alla sera venivano a prestarvi l'opera loro. Il Cavaliere non cessò mai di provvedere co' suoi danari a tutti i bisogni dell'Oratorio, del quale era instancabile catechista ed assistente; e i figli di D. Bosco continuarono sempre ad averne la direzione spirituale.
Abbiamo detto che i giovani esterni nelle Domeniche erano diminuiti, ma bisogna che osserviamo come il loro numero tornasse a crescere nel tempo dei giornalieri catechismi quadragesimali, poichè non intervenendo gli alunni interni, essi gremivano tutta la chiesa di S. Francesco. Così avviati vi si accalcavano anche alla Domenica quanti vi potevano stare ed era uno spettacolo degno di essere ammirato, come affermarono illustri prelati. Un giorno entrava all'improvviso in chiesa Mons. Sola, Vescovo di Nizza Marittima, mentre vi si faceva il catechismo, e osservando commosso quella moltitudine, si avanzò, prese il libro della Dottrina Cristiana dalle mani di un catechista ed egli stesso continuò a spiegarla ai giovanetti. Lo stesso fecero in varie circostanze altri Vescovi con grande piacere dei figli del popolo.
Di questi D. Bosco ne andava in cerca e di raro tornava a casa solo, specialmente al sabato sera. A bello studio egli passava in quei luoghi nei quali con più facilità poteva avere tali incontri. Anzi nei dintorni dell'Oratorio, come luoghi conosciuti, entrava nel cortile e nelle stesse abitazioni, domandando piacevolmente alle madri: - Avete figliuoli da vendere? - E pregandole ad un tempo che li lasciassero venire con lui. In tale modo ne raccoglieva una bella schiera or di qua, or di là e li persuadeva a venirsi a confessare. Poscia condottili all'Oratorio, faceva loro un po' di catechismo, li confessava, s'informava della loro condizione e col consiglio e coll'opera provvedeva a quanto era necessario pel bene delle anime loro. Continuò queste sue caccie spirituali fino al 1864, cioè fin quando il numero degli alunni interni della casa più non gli permise tale apostolato.
Non dimenticava però mai certi giovanetti operai, che avevano lasciato l'Oratorio festivo o vi si facevano veder solo a quando a quando. Con loro e in modo particolare con quelli che sapeva trovarsi nei pericoli ed essere un po' trascurati delle cose dell'anima, usava un tratto di maniere ammirabili e direi quasi inimitabili. Incontrato qualcuno di costoro, dopo averlo intrattenuto per qualche istante del mestiere, della sanità, della famiglia, infine con una dolcezza, che rapiva il cuore, gli diceva prima di lasciarlo: - Vieni poi a trovarmi! - Egli era subito capito ed il giovane prometteva ed attendeva. D. Bosco era sempre pronto a confessarli ogni qual volta si presentavano, eziandio in mezzo ai giovani interni che riempivano la sagrestia, facendoli passare per i primi.
Il bene intanto che D. Bosco prodigava ai giovani dell'Oratorio festivo, ridondava anche a vantaggio de' loro parenti come abbiamo già accennato altrove. Egli stesso raccontava il seguente fatto discorrendo dopo pranzo co' suoi alunni il 14 settembre 1862.
“ Circa due anni fa andai a confessare un nipotino di un caffettiere, giovane di ottime speranze che frequentava l'Oratorio. Lo zio e la zia lo amavano teneramente. Il piccolino fatta la confessione, vedendo i suo cari che stavano intorno al letto tristi e melanconici pel suo male, che andava ognor più peggiorando, rivolto ad essi il discorso, disse: - Questa vostra tenerezza non è ancor quello che mi consoli: se volete contentare il mio cuore preparatevi a fare una buona confessione; questo sì che mi piacerebbe. - Immaginatevi! Quello zio e quella zia sentendo parlare così quell'unico conforto che avevano al mondo, e che tanto amavano, furono commossi fino alle lacrime: -Ebbene, dissegli lo zio: se è questo solo che ti possa consolare, voglio darti questa consolazione. - E subito egli, la moglie, i garzoni tutti si inginocchiarono e fecero la loro confessione. Debbo notarvi che costoro, come si può supporre di gente da caffè erano poco amanti della confessione e la trascuravano. Già erano confessati gli uomini, rimaneva ancora la donna e questa era per me un imbroglio. Come fare? Dirle che venisse poi a trovarmi a casa non conveniva, perchè poteva darsi che passato quel fervore passasse pure il buon proposito. Che feci? Ho preso le tendine del letto e le aggiustai in modo che servissero di grata. Ma vedendomi quella buona donna occupato in quello, secondo lei, strano lavoro, - Che cosa vuol fare? mi disse.
- Faccio il tappezziere!
- Lasci pure, mi replicò; io mi confesserò come gli altri!
- Non si può!
- Oh! si che fa bisogno di tante cerimonie.
- Non sono cerimonie, ma così è prescritto; cioè per le donne si deve usare la grata e siccome qui non c'è dobbiamo aggiustarci in altro modo.
- Ah! se è così, faccia pure!
” Aggiustato che ebbi alla bella meglio quel confessionale, le dissi: - S'inginocchi lì, ma un po' discosta.
” Così fece e si confessò.
” Miei cari, ringraziamo il Signore. Si vede proprio che Dio alcune volte produce colla sua grazia veri prodigi. Felici coloro che corrispondono alla grazia di Dio: ma infelici quelli che sentendolo battere alla porta del loro cuore, gliela chiudono: essi corrono grave pericolo, che più non torni e così se ne muoiano nel loro peccato, che Dio stesso nella Scrittura minaccia di fare. Quaeretis me et non invenientis et in peccato vestro moriemini. Dopo quel tempo, tanto il padrone quanto i garzoni continuarono a confessarsi regolarmente. Venivano a trovarmi nell'Oratorio e, quando non avessero potuto, me lo facevano sapere, ed io andava a confessarli in casa ”.
Un altro giovane dell'Oratorio festivo fu occasione della salvezza spirituale di suo padre. La propaganda protestante continuava in Piemonte i suoi attentati contro la religione cattolica e aveva stabilito in Torino la società dei trattati religiosi per l'Italia con una libreria evangelica, ed avea poste in circolazione 31.372 copie di opere eretiche tra grandi e piccole, delle quali 27.124 in lingua italiana e 4.248 in francese. I libri erano mandati da Parigi, Dublino e Londra e da questa anche grosse somme di danaro. Tale società aveva anche aperta in Torino una tipografia per la pubblicazione del giornale La Buona novella, che in otto mesi dava alla luce non meno di due milioni e mezzo di pagine blasfeme e calunniose. Un gran numero di emissarii ne procurava la diffusione, recandosi in tutte le città e paesi o frequentando i mercati, o tenendo banco, o aprendo botteghe per dare spaccio a questa merce avvelenata.
Il figlio adunque di uno di questi emissarii e manutengoli frequentava l'Oratorio, e suo padre per avidità di guadagno vendeva in Torino giornali e libri pessimi.
I giovani esterni non tardarono a venire in cognizione di tale cosa, e siccome D. Bosco aveva detto loro più volte, che tali emissarii cooperavano direttamente ed immediatamente al male, corsero a manifestargliela. Egli allora si avvicinò a quel povero figlio ad avute maggiori informazioni e preghiera che volesse rimuovere il padre da quell'abbominevole mestiere, si recò alla sua bottega. Colle buone maniere tanto disse e tanto fece che indusse quell'uomo a cedergli tutta quella mercanzia eretica, e se la fece portare all'Oratorio; ove fatto un grosso mucchio di quei libri e giornali protestanti in mezzo al cortile alla presenza dei giovani, diede loro il fuoco e li ridusse in cenere. In contraccambio si affrettò a mandare al libraio altrettanta quantità di libri buoni, quanti ne poteva contenere un ben capace carretto. Tra quelli eravi il Giovane Provveduto, il Cattolico istruito nella sua religione, ed altri moltissimi opuscoli delle Letture cattoliche.
Di queste egli vedeva l'urgente bisogno e continuava con alacrità l'opera sua. Il fascicolo di marzo fu accolto con entusiasmo dai giovani e dagli associati. Era il racconto anonimo: La croce accanto alla strada. Si narra di un fanciullo tirolese che smanioso di viaggi fugge da' suoi monti; pentito però di aver cagionato dolore al padre e alla madre, ravveduto pel ricordo di una croce piantata vicino alla sua capanna, dopo avventure ora terribili, ora liete, visitate varie missioni Cattoliche d'America, riacquistato una ragguardevole fortuna, che gli era stata rapita, ritorna a consolare i vecchi suoi genitori. E D. Bosco con sagge osservazioni faceva notare ai lettori l'importanza dei benefizi recati al mondo dalla propagazione del Vangelo; e la differenza tra le missioni della Chiesa Cattolica in terre infedeli perchè guidate da Dio, e quelle dei protestanti perchè emissarii del demonio.
L'opuscolo incominciava con questo indirizzo:
Ai benemeriti corrispondenti ed associali delle Letture Cattoliche.
Entriamo col presente fascicolo, nel settimo anno delle nostre popolari pubblicazioni con coraggio e fiducia che i nostri signori Corrispondenti ed Associati vorranno, come negli anni scorsi, continuarci la desiderata cooperazione.
La Direzione spera di non aver mancato allo scopo che s'era prefisso, e, se non potè ottenere ancora tutto quel bene che desidera, è lieta però di conoscere che non è scarso il male impedito.
I tempi corrono difficili ora più che mai, ma la nostra confidenza essendo riposta in Colui che tutto può e nei nostri benemeriti Cooperatori ed Associati, speriamo tuttavia di superarli.
Perciò con tanto maggior impegno proseguiremo nel nostro compito, in quanto che sappiamo di far cosa ottima, avendone non solo l'approvazione, ma il più incalzante e caro incoraggiamento dal Padre dei fedeli il Sommo Pontefice Pio IX, il quale volle non solo fossero introdotte le Letture Cattoliche negli Stati Pontificii, ma che un'apposita edizione fosse pubblicata in Roma stessa, avente lo stesso titolo, formato e scopo.
Mentre ringraziamo tutti quelli che ci aiutarono e promossero in qualsiasi modo le Letture Cattoliche, ci raccomandiamo caldamente a volerci continuare i loro favori, promettendo, per quanto è in noi, di apportarvi tutti i miglioramenti che saranno possibili negli argomenti a trattarsi, onde renderle sempre più interessanti.
La Direzione.
 
Mentre così D. Bosco difendeva il regno di Dio, e molte anime riconduceva in seno ad esso, Iddio rendeva stabile sempre più il suo Oratorio per mezzo di D. Cafasso. Il Padre Pagani Superiore dell'Istituto della Carità gli aveva chiesto il rimborso delle 20.000 lire stategli imprestate dall'Abate Rosmini con una parte dei frutti scaduti e non pagati. D. Bosco si dichiarò pronto a pagare il capitale, ma di quelli interessi asseriva che l'Abate Rosmini, poco tempo prima di morire, avevagli fatto intendere non doversi più fare parola. Aggiungeva che il defunto Padre Gilardi non aveva insistito per tali pagamenti conoscendo i motivi, che avevano inclinato il Superiore a quella condonazione. Il Padre Pagani allora fece conoscere a D. Bosco i bisogni nei quali si trovava il suo Istituto, ed egli accettò un proposto accomodamento.
L'11 marzo 1859 con atto rogato dal notaio Turvano D. Bosco e D. Cafasso sborsavano lire 15.000 al Teologo Bertetti in saldo del debito che essi avevano con l'Abate Antonio Rosmini, per il prestito fatto dal suddetto nella compra degli stabili Pinardi. Questo atto nota che il debito veniva estinto da D. Bosco con danaro comune a D. Cafasso Poco tempo prima erano state pagate 5000 lire. Il campo dei sogni restava sempre proprietà de' Rosminiani.
Sorse ancora qualche contestazione di poca importanza coll'uomo d'affari dell'Istituto della Carità e ciò appare da una lettera di D. Bosco, che fa testimonianza quanto egli fosse alieno dai litigi.
 
Al Pregiatissimo Signore, il Sig. Zaiotti Giuseppe, presso il venerando Istituto di Carità. - STRESA.
 
Preg.mo Signore,
 
Il Signore ci doni la santa virtù della pazienza. La sua lettera mi ha dato non poco fastidio. Specialmente per quelle parole che minacciano di usare mezzi legali per quei cento franchi di cui Le sembrò essere incorso errore. Ho dovuto sospendere le mie occupazioni e spendere non poco tempo per questo affare. Anzi tutto Le devo premettere che da diciotto anni tratto affari coll'Istituto della Carità e non vi fu mai ombra di sospetto, nè di freddura; anzi il Sig. D. Carlo Gilardi, di compianta ricordanza, ma sempre di grata memoria, egli faceva il segretario per me e per lui, ed io mi rimetteva ai conti che egli mi dava senza nemmeno fare osservazione di sorta. Questi conti furono sistemati il 10 luglio 1857; Ella mi va a cercare una lettera mia, secondo la quale (che ha data del 10 febbraio 1855) sarebbe incorso un errore. Sarebbe un dire che io e D. Carlo avessimo ambedue la testa nel sacco; perciocchè per lo più i conti erano sempre sistemati in presenza di ambedue, e ci davamo premura di contare soldi e centesimi nel timore reciproco di dare il minimo danno ad una delle parti.
Noti anche che quando io faceva qualche pagamento lo significava per lettera a D. Carlo, ma nel totale dei conti quelle lettere servivano di semplice memoria e si faceva nota a parte di debito e credito. A me pare che il ricercare lo sbaglio avvenuto antecedentemente, a conti aggiustati in questo modo, si è un cercarsi fastidii, ove non v'è nè cagione, nè motivo di sorta. Tuttavia, anche nella ferma e piena persuasione che questi cento franchi siano stati compresi nella sistemazione dei conti 1856 - 57, La prego di dire a chi fa da Superiore in questi affari, che io non voglio per nessun motivo venire a mezzi legali, e che a semplice cenno io manderò per la posta un vaglia di cento franchi, purchè tale sia la volontà del Superiore di Lei.
In quanto poi a fr. 1,60 di cui non aveva spezzati onde saldare a casa del Cav. Notaio Turvano, era proprio persuaso che avessi saldato ogni cosa, mercè il cambio fatto di una moneta di 14,50, e sembrami averle dato tre monete da otto soldi, una da quattro, e due soldi. Tuttavia non avendomi notato nulla, ed essendomene potuto sbagliare come Ella mi dice, senza difficoltà di sorta, Le mando un vaglia corrispondente.
Per diminuire disturbi io la prego di non occuparsi nè del mio torto, nè della mia ragione, ma dirmi semplicemente se debbo mandare i cento franchi; in caso diverso occorre nemmeno che mi risponda. Il Signore Le doni sanità e grazia e augurandole benedizioni dal cielo sopra tutto l'Istituto, mi professo colla debita stima.
Di V. S. Preg.ma
Torino, 4 aprile 1859.
Dev.mo Servitore
Sac. Bosco GIOVANNI.
 
P. S. La prego di volermi inviare la scrittura di obbligazione segnata dal Teologo Murialdo, Borrel, Cafasso, Bosco. L'ho cercata presso il Notaio Turvano e non si è trovata.
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