Capitolo 15

Descrizione della chiesa e partenza di Don Bosco da Roma.

Capitolo 15

da Memorie Biografiche

del 11 dicembre 2006

Ora noi dobbiamo ritornare a Roma, dove ci restano ancora parecchie cose da far conoscere ai nostri lettori. Chi più di tutti aveva largheggiato in denaro per l'erezione della chiesa del Sacro Cuore, era, come già si disse, il conte Colle; si disse pure  di tre epigrafi che Don Bosco stesso aveva composte in latino per le tre campane maggiori, dedicate una al Conte, l'altra alla Contessa e la terza alla memoria del figlio. Venuto il tempo della fusione, il Santo passò le sue epigrafi a Don Francesia, affinchè vi desse la forma definitiva, ordinandogli insieme di comporne altre due per la quarta e quinta campana a ricordo di due prime comunioni amministrate da lui in due delle primarie famiglie barcellonesi, che delle dette campane eransi recato ad onore di sostenere le spese .

  La torre campanaria, dalla quale questi sacri bronzi fanno udire le loro note gravi e profonde o chiare e acute, è di travertino e supera in bellezza tutte le altre di Roma. Rimasta per più di cinquant'anni priva della guglia, che la doveva coronare, ha ricevuto da ultimo il miglior compimento che si potesse desiderare nell'aurea statua gigantesca del Sacro Cuore, visibile financo dalla piazza di S. Pietro.

  La chiesa del Sacro Cuore costò troppo caro, e in ogni senso, a Don Bosco, perchè noi possiamo passarvi accanto senza soffermarci per darvi almeno uno sguardo. L'uomo dalle larghe vedute si rivelò fin da principio, quando, povero di mezzi e con tante altre opere da ultimare o da sostenere, si sobbarcò a questa per obbedire al volere di Leone XIII. Nel disegno primitivo la chiesa avrebbe misurato metri quaranta di lunghezza; egli ne aggiunse ventotto, imponendosi all'architetto che riluttava . In larghezza ne misura trenta. Ha forma di croce latina. La classica eleganza e maestà dello stile bramantesco ne fa un sacro edificio degno di figurare là dove l'architettura sacra ha creato nei secoli miracoli d'arte.

    La facciata è in puro travertino di Tivoli. La adornano quattro statue marmoree di buona fattura: S. Francesco di Sales, S.Agostino e due Angeli adoranti la Croce, che stende le braccia dall'alto e domina sovrana. In basso si aprono tre porte, pregevole lavoro degli artigianelli dell'Oratorio. Nel centro tre splendidi mosaici rappresentano il Sacro Cuore, S. Giuseppe e il Salesio. Colonne di granito nero della Balma e lavori d'intaglio finissimo ne compiono la decorazione.

  L'interno è a tre navate, divise da colonne di granito levigate e da saldi pilastri. Tutto il gran vaso si presenta in un insieme così armonico, che rapisce subito l'occhio del visitatore e ne raccoglie lo spirito, elevandone la mente a Dio.

  Omettiamo di parlare delle decorazioni minori, intagli, mensole, cornici, innestati all'architettura con correttezza e grazia; accenneremo soltanto alla decorazione pittorica. Si tratta di ben centocinquanta quadri fra grandi e piccoli, oltre la cupola. Questa è opera del delicato pennello di Virginio Monti, che dipinse pure i maestosi quadri del soffitto, i quattro Evangelisti negli archi della navata trasversale e i novanta quadri minori che decorano le due navatelle laterali. Ma il suo capolavoro è la cupola, dove rappresentò la glorificazione del Sacro Cuore. Il Salvatore, bellissima figura per finezza, per atteggiamento e per verità di movenze, mostra il suo Cuore infiammato alle due sante Vergini Margherita Alacoque e Catterina da Racconigi, le quali vi figgono gli occhi estatiche. Circondano il gruppo numerosi Angeli, recanti altri gli emblemi della Passione, altri i gigli della purezza, altri chini in atto di adorazione, e Serafini ineggianti al Sacro Cuore con musicali strumenti. Torno torno, assorti in contemplazione, si veggono S. Francesco di Sales, a cui alcuni Angeli presentano le opere da lui scritte; S. Teresa tutta fiamme nel volto; S. Bernardo, che porge l'uffizio del Sacro Cuore da cui composto; S. Bernardino da Siena, recante la tavola col nome di Gesù; S. Agostino, S. Francesco d'Assisi, S. Luigi Gonzaga. Da tutta la rappresentazione spira un'aura di paradiso, che muove a divozione.

  Data la vastità del lavoro e la ristrettezza del tempo il Monti dovette associarsi due bravi artisti, ai quali furono affidate altre parti., Il Caroselli dipinse i quattro pennacchi della cupola e parecchi quadri delle due navate principali, affrescandovi i quattro Profeti maggiori, i dodici minori, i dodici Apostoli, le Sibille Eritrea e Cumana. Un allievo del Seitz, il Zuffoli, fece il Gesù coi fanciulli, il Gesù buon Pastore e il Gesù che istituisce l'Eucarestia; è pure l'autore dei disegni per i tre mosaici della facciata.

  Il soffitto delle due navate maggiori è basilicale, cioè a cassettoni ricchi di dorature e formanti lo sfondo a vaghi dipinti. Vari e scelti marmi, connessi secondo un disegno ben ideato, formano un pavimento assai decoroso.

  Vi sono sei altari laterali. Quattro di minori proporzioni stanno nelle navatelle: in quella a sinistra di chi entra, gli altari del Crocifisso e di S. Anna; nell'altra quei di S. Michele Arcangelo e di S. Francesco di Sales. Due più grandi si fronteggiano ai capi della navata trasversale, uno in cornu evangelii dedicato a Maria Ausiliatrice  col quadro del Rollini, e l'altro in cornu epistolae dedicato a Sali Giuseppe con un dipinto pure del Rollini . Le pareti e le volte di queste sei cappelle sono adorne di quadri riferentisi ai singoli patroni. Nei quattro intercolumni che separano gli altari sono allogati altrettanti confessionali circondati da affreschi simboleggianti il sacramento della penitenza. In fondo alla chiesa i due vani fra gli ultimi pilastri e la parete della facciata contengono a sinistra di chi entra il Battistero con quattordici quadretti illustranti il mistero della rigenerazione, il tutto eseguito a spese della città di Trento, e a destra una maestosa statua di Pio IX, del quale la chiesa è monumento perenne. La scolpì il lombardo Confalonieri. Il Papa, pontificalmente vestito, leva una mano in atto di benedire, mentre con l'altra porge il decreto di approvazione della pia Società Salesiana.

  Lo sguardo di chi varca la soglia del tempio è condotto subito alla grande ancona dell'altare maggiore, che rappresenta il Sacro Cuore in una gloria di Cherubini e di Serafini; la dipinse il professore Francesco de Rodhen. Vi fa da cornice una costruzione monumentale alta sedici metri, con sei colonne di alabastro alte sei. Ricchi ornati e pietre rare abbelliscono da ogni parte la mensa del divin sacrifizio e la dimora di Gesù Sacramentato.

  Questo abbozzo di descrizione offre un'idea della chiesa quale si ammirò a lavori compiuti; giacchè nel maggio del 1887 troppe cose rimanevano da fare. Lo possiamo arguire anche' dalla lettera di commiato che Don Bosco scrisse a Leone XIII nella vigilia della sua partenza da Roma.

 

 

                                       Beatissimo Padre,

 

Io parto da Roma altamente soddisfatto per la caritatevole e veramente patema accoglienza fattami dalla Vostra Santità. La chiesa e le scuole del Sacro Cuore sono attivate, gli abitanti di questo popolatissimo quartiere possono comodamente compiere i religiosi loro doveri. Devesi ancora compiere l'ospizio pei poveri orfanelli e se Dio dà vita speriamo di ultimarlo. Abbiamo eziandio da saldare la spesa della facciata della Chiesa. Se Vostra Santità potesse in tutto o in parte venirci in aiuto pel residuo di L 51.000 le nostre finanze sarebbero regolate .

  Tutti i nostri orfanelli in numero di 250.000 pregano ogni giorno per la conservazione in buona sanità della Santità Vostra, per cui tutti lavoriamo di cuore.

  Compatisca questa mala scrittura; umilmente prostrato domando per tutti i Salesiani la benedizione della Santità Vostra.

 

                                Roma, 17 maggio 1887.

 

Obbl.mo figlio

Sac. Giov. BOSCO, Rettore.

 

Le spese per il Sacro Cuore continuarono a gravare lungamente sulla Congregazione. In giugno il Prefetto Generale, pressato con richieste di soccorsi dai Missionari, scriveva : “ Quello che ora ci opprime sono le enormi spese per la Chiesa del S. Cuore in Roma; quando tutti quei debiti saranno pagati potremo respirare ”. Don Sala, mandato a Roma per esaminare da vicino la situazione, riferì il 28 aprile in Capitolo, presente Don Bosco, che aveva sospeso tutti i lavori della chiesa, tranne quelli per l'altar maggiore e l'altare del cardinale Vicario; avervi trovato debiti sopra debiti per un ammontare di circa trecentocinquantamila lire; proporre che per tirare innanzi si contraesse un mutuo. Non sì volle mutuo, ma si decise la vendita di certi stabili ereditati dalla Congregazione. In novembre Don Bosco stesso s'indusse a supplicare così mons. Della Volpe, segretario particolare di Leone XIII:

 

                                         Eccellenza Reverendissima e Carissima,

 

L'ultima volta che ebbi il grande onore di ossequiare a Roma il Santo Padre, Esso ebbe la degnazione di dirmi che nei gravi casi avessi fatto capo a V. E. per essere pi√π speditamente sbrigata la mia pratica.

  M trovo in questa occasione a compimento delle spese che dovetti sostenere nella costruzione della facciata del Sacro Cuore di Gesù. Avvi ancora la somma di 51 mila franchi, che la carità del Santo Padre fece sperare di pagare Egli stesso. Io mi trovo in grandi strettezze, perciò se l'inesauribile carità del medesimo può venirmi in aiuto il tempo non può essere più opportuno.

  Il nostro Economo va a Roma per regolare appunto le spese di questa costruzione: egli passerà presso la E. V. per quella migliore risposta che potrà avere.

  I nostri orfanelli, oltre a trecento mila, pregano ogni giorno per Sua Santità, ma non si dimenticano della Benemerita E. V. R.ma.

  Compatisca questa mia povera brutta scrittura. Non posso più scrivere. Mi dia la sua benedizione e mi creda in G. C.

 

Torino, 6 novembre 1887.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

Di una lettera inviata dal Santo al Duca di Norfolk sullo stesso argomento due settimane prima della morte, abbiamo detto in altra occasione .

  Fra quante e quali difficoltà si navigasse per andare avanti , lo lasciava chiaramente intendere anche un foglio autografo rimesso da Don Bosco a Don Dalmazzo poco prima di partire da Roma. Diceva così: “ Manca controllore delle provviste che entrano o no. Vegliare sui prezzi. - Chi veglia sui materiali portandi altrove? - Si lavora poco.

Si ruba in casa e fuori. Si sciupano materiali, specialmente tavole. - Fare e disfare ponti sulle volte. - Si può provvedere o mettendo Leone  ad assistere e sostituirlo con un altro in cucina o mettendo un pratico ad assistere ”.

  Nel medesimo promemoria discende pure ai bisogni dei confratelli, raccomandando al Direttore di fare le necessarie “ provviste pei Salesiani in abiti e biancheria ”. Intenerisce di più questa sollecitudine paterna per i suoi figli, quando si sa che egli per conto suo era così delicato da temere di causare disturbi in casa per i doverosi riguardi che si vedeva usati negli apprestamenti di tavola e nei servizi di camera. Infatti un giorno disse a Don Dalmazzo: - Povero Don Dalmazzo! Devi spendere per Don Bosco! Ma spero che verrà qualcuno e mi farà elemosina e pagherò tutto .

Egli trovò realmente chi gli fece elemosina..

  Un giorno, per esempio, comparve un buon uomo assai umilmente vestito, che non palesò il suo nome. Voleva vedere Don Bosco. Don Rua avrebbe voluto che dicesse a lui di che si trattava; ma l'altro gli rispose che l'avrebbe detto solamente a Don Bosco. Quegli nella sua carità andò a pregare il Santo di ascoltare il poveretto. Dopo l'udienza Don Bosco disse: - Quel buon uomo mi ha portato un'offerta quale da nessun principe romano ho finora ricevuta.

  La sera del 17, venute alcune persone a visitarlo, espose con il solito suo fare grazioso le proprie necessità, mostrandosi però fiducioso nella Provvidenza che l'avrebbe aiutato. La mattina seguente due signori, senza sapere uno dell'altro e senza incontrarsi, gli portarono la somma occorrente per il viaggio. Quando poi s'incamminava per recarsi alla stazione, ecco che, via facendo, un terzo gli si accosta e gli consegna una busta dicendogli: - Sono i danari per il viaggio. - Erano cento lire, come cento gliene avevano portate gli altri due.

Gli piovve così nelle mani il bisognevole per sè e per i suoi due compagni.

  Quale sarà stato il filo delle sue idee, allorchè il fischio della locomotiva lo avvertì che il treno lo portava lungi da Roma, e soprattutto quando il ritmo accelerato della corsa gli fece intenderle che si era fuori delle mura aureliane e che si avanzava nell'immensa solitudine dell'agro, assai più solitario allora che non al presente? Venti volte egli era venuto a Roma. È quasi impossibile venir via da Roma senza ripromettersi o almeno augurarsi un ritorno; ma questa volta il pensiero del ritorno non si affacciava più alla sua mente. Nell'accomiatarsi dalle persone di sua confidenza aveva preso congedo definitivo, dando loro l'appuntamento in paradiso. Gli si rispondeva bene che c'era ancora speranza di rivederlo; ma egli badava a ripetere: - Sì, lo spero, ci rivedremo in paradiso .

  Che viaggio memorabile la prima volta nel 1858! L’Italia era ancora “ in pillole ” nè esisteva ferrovia da Genova a Roma. Gli bisognò munirsi di passaporto, dettare il suo testamento dinanzi a notaio e testimoni, prendere posto sopra un battello e navigare fino a Civitavecchia. Che tortura quel mal di mare! Balzando dalla diligenza, toccò il suolo della città santa con la commozione degli antichi romei Quella fu l'unica volta che visitò l'urbe. Scese nelle catacombe di S. Callisto recentemente esplorate; salì financo sulla cupola di S. Pietro. Il conte De Maistre, che gli dava ospitalità, lo fece conoscere a quanti potè in case patrizie e in palazzi cardinalizi. Pio IX lo ricevette due volte al Quirinale e una in Vaticano; in quelle udienze gli diede suggerimenti per gettare buone basi alla Pia Società, postillò di propria mano l'abbozzo delle regole e gli disse di scrivere i suoi sogni. Il giovane chierico che allora seguiva come, l'ombra il Servo di Dio, ora gli sedeva a fianco suo Vicario.

   Dalla prima andata alla seconda trascorsero circa nove anni. Partì da Torino nel gennaio del 1867 con Don Francesia, che dopo narrò di quel viaggio in un grosso volume. Per due mesi vi esercitò un vero apostolato dal pulpito, dal confessionale, al letto degli infermi, in visite fatte e ricevute; ma era là per comporre gravi divergenze sulla nomina dei Vescovi. Quasi tutta l'Italia era unificata sotto lo scettro di Vittorio Emanuele II; il Governo risiedeva a Firenze. Non si trovava una via d'intesa per provvedere a tante sedi vescovili vacanti nelle terre annesse al Piemonte; Don Bosco ci venne a capo con la sua politica del Pater Noster. Avviò le pratiche per l'approvazione della Società Salesiana. I nobili romani se lo disputavano per la celebrazione della Messa nei loro domestici oratorii, tanta opinione si andava diffondendo della sua santità. Con la libertà dei Santi disse dure verità all'ex - re di Napoli.

  Tornò a Roma nel 1869. Quanto dovette destreggiarsi per ottenere che si facesse buon viso alla sua nuova Società! Ma ci vollero i miracoli di Maria Ausiliatrice: un moribondo guarito, una podagra vinta, una polmonite arrestata. Il Papa non poteva mostrarglisi maggiormente padre. Quando partì, portava seco la sospirata approvazione.

  Il Concilio Vaticano lo richiamò a Roma nel 1870. Alla vigilia dell'Epifania “ la voce del cielo ” si fece udire per suo mezzo “ al pastore dei pastori ”. Non poco influì sull'animo di autorevoli Padri in favore della dogmatica definizione dell'infallibilità pontificia. Il Papa lo chiamò a sè e gli disse: Gli oppositori vostri sono anche oppositori miei.

  Dopo l'occupazione di Roma i quattro primi viaggi, voluti dal Papa e dal Governo, ebbero per iscopo di appianare le difficoltà circa la provvista di numerose diocesi vedovate di pastori. Contemporaneamente spingeva avanti le pratiche laboriose per istrappare l'approvazione delle Regole. Nel quarto di questi ultimi soggiorni l'intento pareva raggiunto; ma nella Commissione cardinalizia mancò un voto. La sera del 3 aprile 1874, venerdì santo, il Papa disse al relatore: Il voto che manca lo metto io. - Così fu steso il decreto.

  Dal 1875 al 1882 le sue peregrinazioni a Roma si ripeterono dieci volte principalmente per affari della Congregazione, che alla sua partenza da questo mondo egli voleva lasciare  stabilmente consolidata. Nel 1876 accondiscese a leggere il discorso consueto del venerdì santo dinanzi all'accademia dell'Arcadia; nel 1877 accompagnò ad limina monsignor Aneyros, arcivescovo di Buenos Aires; nel 1878 rese delicati e importanti servigi alla Chiesa durante il Conclave e predisse la tiara al cardinale Pecci; nel 1880 Leone XIII gli affidò la costruzione della chiesa del Sacro Cuore al Castro Pretorio.

  La persuasione che Don Bosco fosse un santo si era fatta strada ogni anno più in tutti gli ambienti romani.

   La penultima volta che si rimise in cammino alla volta di Roma, nel 1884, si mosse per andar a smantellare le estreme resistenze che si opponevano alla concessione dei privilegi. Li implorava già da dieci anni. Finalmente l'intervento diretto di Leone XIII gli diede causa vinta. - La vostra vita appartiene alla Chiesa, gli disse quella volta il Papa.

         Tutto questo corteo di memorie dovette passare e ripassare - dinanzi alla mente di Don Bosco, man mano che in quel 18 maggio 1887 si allontanava da Roma con la certezza di non potervi mai più fare ritorno. Affranto nel corpo, ma confortato nello spirito, cursum consummavi, avrà ripetuto a se stesso, disponendo l'animo al supremo viaggio verso i fastigi.

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