Effetti del primo sogno - Sviluppo dell'ingegno e della memoria di Giovanni - Sua robustezza e forza prodigiosa - Alcuni aneddoti.
del 04 ottobre 2006
Una voce dolcissima aveva detto a Giovanni nel sogno: - Renditi umile, forte e robusto!
- Era questa una benedizione, che comprendeva tutto l’uomo. Infatti “val più un povero sano e robusto di forze, che un ricco spossato e fiaccato dalle malattie. La salute dell'anima, consistente nella santità della giustizia, val più di tutto l'oro e l'argento; e un corpo ben disposto più vale che le immense ricchezze. Non v'ha tesoro che superi il tesoro della sanità del corpo; nè piacere maggiore del gaudio del cuore”.
Giovanni adunque poteva e doveva acquistare l'umiltà, che dà la pace e la perseveranza nella virtù, coll'aiuto della grazia divina; ma non era certamente in suo potere conseguire la fortezza e robustezza della mente, ornata di ingegno e di felice memoria, ed il vigore della sanità e la forza delle membra. Eppure egli eziandio di ciò aveva bisogno, per essere capace di acquistare quelle svariatissime cognizioni che gli erano necessarie e per poter resistere, senza logorarsi troppo presto, alle fatiche che per lui la divina Provvidenza aveva preparate. Perciò a noi sembra che quella voce non desse solamente un consiglio, ma donasse un favore segnalato. E riserbandoci a trattare in altri capitoli dell'ingegno e della memoria del nostro Giovanni, notiamo qui solamente come egli, andando con grande piacere alle prediche e panegirici a S. Pietro o in altre cappelle delle sue borgate, in parrocchia, a Buttigliera, a Capriglio, ritornato a casa ripeteva letteralmente a sua madre ed ai fratelli quanto aveva detto il sacro oratore; ed i vicini eziandio intorno a lui si raccoglievano, ammirandone la grande memoria ed intelligenza.
Per quanto riguarda il corpo, che quella fosse una grazia, s'intendeva al solo rimirare Giovanni. Le sue membra erano piuttosto esili: la statura comune; le spalle strette; piccole, delicate e morbidissime le mani. Eppure la sua forza muscolare non tardò ad apparire veramente prodigiosa, e si andava sviluppando vuoi per l'esercizio della ginnastica, vuoi per quello delle varie domestiche fatiche.
Sotto i suoi denti stritolati rimanevano i noccioli di pesche e di albicocchi per quanto duri. Semplicemente con due dita, sia della mano destra che della sinistra, premendo il pollice contro l'indice, rompeva noci, nocciuole e mandorle. Eziandio quelle verghe di ferro, che comunemente servono di ringhiera ai nostri balconi, senza gran sforzo nelle sue mani andavano in tanti piccoli pezzi. Quando poneva in fila i giovanetti per insegnar loro la ginnastica, se alcuno fosse uscito di posto, ei, sorridendo, con una mano sola lo prendeva per un braccio e lo gettava di sbalzo fino al fondo della squadra.
Non paia strano, se anticipiamo la narrazione di alcuni fatti posteriori; poichè, seguendo l'ordine cronologico, ci sarebbero d'impaccio e interromperebbero il filo della storia ne’ suoi momenti più solenni. Di questa forza egli faceva uso a Chieri per togliersi d'attorno coloro, che lo volevano costringere ad un giuoco che non garbavagli. Frequentando il corso di retorica, un giorno mentre in iscuola andava al suo posto, eccoti quattro compagni un dopo l'altro saltargli sulle spalle. Giovanni li lasciò fare; ma quando li ebbe tutti e quattro accavalcati sul dosso, prese le braccia di colui che era al disopra di tutti, le serrò ben bene in modo da legare quei di sotto; poi s'alzò e li portò tutti nel cortile urlanti misericordia e pietà, alla presenza dei professori, che ne ridevano di piacere: quindi con tutta facilità li riportò nella scuola. Dopo d'allora più non osarono tentarlo. A quell'età egli non aveva difficoltà di portare venti rubbi.
Essendo già sacerdote e nei primi anni del suo domicilio in Torino, passando sotto i portici della fiera, s’imbattè in una folla di persone radunata innanzi alla porta di un fondaco. Di questa piazza egli conosceva i mercanti, i facchini, le turbe dei giovani monelli che vi si raccoglievano, sicchè poteva dirsi come in casa sua e nella famigliarità degli amici. E poi, fatta ragione dei tempi, non c’è da meravigliare di quanto stiamo per dire. D. Bosco adunque volle sapere che cosa si facesse, e vide due grossi mastini, che urlando rissavano e si mordevano furiosamente. La gente temeva di andare innanzi. D. Bosco s'inoltrò. In quel mentre uno dei cani rinculò verso la porta varcando la soglia, per prendere lo slancio sul competitore. D. Bosco disse allora ad un garzone: - Chiudete presto la porta, che quel cane non esca: dell'altro sono garante io.
- Le morderà, rispose il garzone.
- No, no; ripigliò D. Bosco; fate come vi dico. - E il garzone chiuse uno dei cani nel cortile, mentre D. Bosco, preso l'altro pel groppone e pel collo, lo sollevò da terra, e così lo tenne per buona pezza onde sbalordirlo, mentre l'animale si dimenava e abbaiava rabbiosamente. Gli spettatori, meravigliati del suo ardire, temevano che il cane, lasciato in libertà, si avventasse furioso sulla moltitudine; ma D. Bosco lo abbassò a terra, lo condusse tenendolo pel collo fino a metà della piazza Milano verso il ponte, quindi, datagli una potentissima spalmata sulle lacche, lo lasciò libero. Quel povero cane mandò un forte guaito, e schivando per timore la gente, andò pei fatti suoi zoppicando e traendo a stento il fiato. Quel colpo gli aveva tolta ogni forza. Dietro a D. Bosco stava il canonico Zappata, il quale si avvicinò a lui e gli disse: - Non vi pare questo un atto indecoroso per un sacerdote?
- Caro lei, rispose umilmente D. Bosco, la necessità richiedeva che qualcuno ponesse fine a quell'alterco; nessuno si muoveva e feci io.
Era l'anno 1846, ovvero 1847, e D. Bosco andava a Biella per dettare i santi spirituali esercizi. In questi viaggi egli aveva fatto disegno di attrarre a sè i carrozzieri e i mozzi di stalla, per dar loro qualche sommaria nozione di catechismo e ricondurli a Dio col Sacramento della Penitenza. Ma, per entrare in famigliarità con essi, credette bene farsi conoscere valente in quella forza materiale, che, per la gente rozza ed ineducata, forma il primario pregio di una persona: la meraviglia gli avrebbe accaparrata la loro stima. Vedremo in seguito con qual frutto esercitò in mezzo a costoro la sua missione salvatrice. Mentre adunque a Santhià stava aspettando che si allestisse la diligenza, appoggiato al muro dell'albergo, presso i cavalli che venivano cambiati, il cocchiere lo avvertì più volte che si ritirasse, poichè fra i cavalli ve ne era uno che mordeva chiunque senza precauzione gli fosse andato vicino. D. Bosco avea risposto: - Non temete; non mi morderà. - Quand'ecco il cavallo sopraddetto avanzarsi ed avvicinarsi a D. Bosco in modo da chiuderlo fra il muro. Il cavallo tentò di morderlo, ma non ebbe tempo ad allargar le mascelle; chè D. Bosco con una mano sola gli strinse le fauci con tale violenza, che il cavallo per quanto scuotesse la testa, non potè svincolarsene. S'inalberò, inferocì, sprangò calci, ma D. Bosco lo tenne stretto colla sua mano come fra una morsa. Tutta la gente accorsa era spaventata e maravigliata di tanta forza. D. Bosco intanto diceva tranquillamente al cocchiere e ad un altro garzone di stalla che, presa una corda, ne formassero un laccio e legassero le gambe posteriori del cavallo. Così fecero, e quando il cavallo fu ben legato, egli si ritirò pian piano e lasciò libere quelle fauci, quando si vide alla portata di non poter più essere morso. Mentre saliva in vettura tutti i presenti si domandavano: - Ma chi è questo prete che ha tanta forza?
Qualche anno dopo trovavasi in casa del Prof. D. Matteo Picco, mentre giunsero alcuni facchini, che portavano un pianoforte bene imballato in una cassa cerchiata da strette lastre di ferro. D. Picco, desiderando veder subito la sua compra, trovavasi imbrogliato, perchè invano cercava martello, tenaglie o altro strumento per aprire la cassa. D. Bosco allora, esaminate le fascie di ferro, incominciò a prenderne una colle dita ove le due estremità si congiungevano. Queste cedettero e si staccarono; così fece successivamente di tutti quei cerchi; ed allo stesso modo disgiunse pure le assi della cassa che erano congiunte con lunghi chiodi. A quello scricchiolio, a quello sfasciamento, a quella rapidità di operazione D. Picco sbalordito mirava D. Bosco senza dir parola.
Quando nel 1883 andò a Parigi, invitato a pranzo da un'illustre famiglia, furono portate in tavola delle noci dal guscio durissimo. I convitati aspettavano che loro fosse recata la macchinetta per romperle. D. Bosco, avuto innanzi il piatto, continuando tuttavia a discorrere coi vicini, prese alcune di quelle noci e con due sole dita rompendole, incominciò a distribuirne ai commensali, che gioivano di essere serviti da un uomo, pel quale aveano tanta venerazione. Sul principio si credettero che avesse fra le mani lo schiacciatoio, ma accortisi che operava colle sole dita, sbalorditi uscivano in esclamazioni di meraviglia e dicevano: - È certo colla benedizione di Maria Ausiliatrice che può frangere involucri così duri!
Nell'anno 1884, contando egli omai 69 anni, mentre era infermo e teneva il letto, logoro per le tante fatiche sopportate, il dottore curante volle fare esperienza della sua forza. Pertanto, recato con sè un manometro, prima di presentarglielo gli disse: - D. Bosco, mi stringa qui il polso con tutta quella forza maggiore che può.
- Signor dottore, rispose D. Bosco; ella non conosce la mia forza.
- No, insistette il medico, non abbia timore di farmi male. Stringa pure. - D. Bosco accondiscese, e strinse la mano che gli porgeva il medico, il quale resse per un istante, guardando colte lagrime agli occhi il suo infermo, in cui sentiva esistere una vigoria non sospettata; ma finalmente mandò un grido: la stretta di D. Bosco gli aveva fatto quasi spicciare sangue dalle punte delle dita. Allora trasse fuori il manometro, circolo metallico graduato per misurare le forze dell'uomo, e lo porse a D. Bosco.
- Senta, dottore, disse D. Bosco; se io stringo quell'istrumento fra le mani, glielo riduco in frantumi.
- Per quanto sia forte, non riuscirà certamente a spezzare a questo modo un anello d'acciaio.
- Or bene, faccia lei prima di me la prova delle sue forze. - Il medico strinse colla destra quell'istrumento con quanta maggior violenza poteva, e furono marcati 45 gradi. - Ora, disse D. Bosco, lo porga a quel prete che mi assiste. - D. G. B. prese in mano l'istrumento, lo strinse e segnò 43 gradi. - A lei! - concluse il medico. D. Bosco lo strinse e il manometro segnava 60 gradi, il massimo indicatore. D. Bosco sentiva che la sua forza superava i gradi che poteva marcare quel manometro. Il dottore assicurava di non ricordarsi d'aver mai assistito infermi che dopo lunghe malattie fossero così pieni di vigore.
Di tanta vigoria D. Bosco usò pochissime volte, talora per necessità o per fine buono, talora per compiacere gli amici in ricreazione, ma giammai per difendersi. Il mirabile si è che ciò egli faceva senza sforzi, colla solita calma, composto sempre nella persona, senza vanterie, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. E noi lo vedremo consumare a poco a poco la robustezza del suo corpo in olocausto continuo alla gloria di Dio e per il bene del suo prossimo.
 
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