Capitolo 16

Il Cardinale Gerolamo d'Andrea, non ostante il divieto del Papa si allontana da Ronza e dalla sua diocesi di Sabina e si ritira a Napoli - È accolto a festa dalle autorità italiane - Sue lettere in difesa della propria condotta, ai suoi diocesani, al Cardinale Mario Mattei, e a tutti i Cardinali e Vescovi con grandi elogi al Governo Italiano - Interviene alle feste della Corte reale e del Prefetto Gualterio - Indulgenza del Papa nel compatirlo - Lettere del Cardinale contro l'Unità Cattolica, che gli rimproverava le frasi ingiuriose scritte all'indirizzo del Papa e di vari Prelati - Il Cardinale rifiuta replicatamente di obbedire al Papa, e gli vien tolta la diocesi di Sabina e l'abbazia di Subiaco - Suo appello: dal Papa male informato al Papa meglio informato - Dolore di Don Bosco per questo scandalo - Don Bonetti invita due giornalisti a confutare le indegne accuse di quell'appello - Lo stesso scrive due lettere al Cardinale supplicandolo ad obbedire al Papa e a consolarlo - Ultima intimazione del Papa al Cardinale, il quale va a Roma e si sottomette Don Bonetti gl'invia una lettera di lode e d'incoraggiamento. Morte improvvisa del Card. d'Andrea.

Capitolo 16

da Memorie Biografiche

del 07 dicembre 2006

 Sul finire del 1867 cessava un gravissimo scandalo che affliggeva da tre anni i cattolici. Il Cardinale Gerolamo d'Andrea, uomo di vasta cultura, di straordinario orgoglio e in stretta attinenza col Pantaleone e col Passaglia, da lungo tempo sentiva avversione non tanto verso Pio IX, del quale irrideva spesse volte l'alta misticità, quanto verso il Cardinale Antonelli, di cui non approvava la politica e invidiava la carica. Stordito dalle adulazioni, nel giugno del 1864 erasi recato a Napoli contro la volontà del Santo Padre, sotto pretesto di ristabilire la scossa salute. Al confine fu ricevuto con grandi onori ed i giornali liberali propalarono che il d'Andrea, quale patriota e fautore del progresso, la rompeva coll'Antonelli e coi Gesuiti.

Questo Cardinale, il 28 dicembre 1864, sotto la data di Napoli, scriveva una lettera in sua difesa al Direttore del Conciliatore, che l'Unità Cattolica ristampò nel suo numero del 6 gennaio 1865. La lettera finiva così: D'ora in poi mi appiglierò al silenzio. Perchè è verità che non tutti adoperano con dirittura e mente e lingua. Era un'accusa di perfidia e menzogna, mentre il Cardinale Antonelli era il migliore de' suoi amici e il più caldo de' suoi difensori.

Il d'Andrea era Vescovo della Diocesi di Sabina e Abate Commendatario di Subiaco, ed essendo la Sabina annessa al regno d'Italia, il Governo di Firenze toglieva in suo favore il sequestro già posto sulla sua mensa, mentre lo lasciava su quelle di altri Cardinali. E Sua Eminenza nella Lettera pastorale per la quaresima, in data 15 febbraio 1865, annunziava ai suoi Diocesani che la sua malferma salute lo costringeva a prolungare il suo soggiorno a Napoli; e ricordava come per la difesa e lo splendore del Pontificato Romano e della Religione Cattolica avesse sofferto angustie e pericoli nella sua Legazione Elvetica e nei tumulti repubblicani in Roma nel 1848, quando, salvatosi appena il Pontefice, la vide abbandonata da colali che avevano gravissimo l'obbligo di farle scudo coi petti.

Vedendo che il Cardinale s'incaponiva, il Papa con Breve dello stesso mese, cominciò a negargli il piatto cardinalizio, poichè non risiedeva in diocesi ed egli nel maggio fece stampate in Napoli una lettera all'indirizzo del Card. Mario Mattei, Decano del Sacro Collegio, protestando contro quel decreto.

I giornali la riprodussero e i pi√π libertini vi fecero sopra i pi√π pepati commenti contro il Cardinale che l'aveva scritta e contro gli altri Cardinali assaliti nella sua lettera. Questa riportava in fine gli attestati dei medici che dichiaravano che il d'Andrea era veramente ammalato.

E doveva esserlo davvero!

L'8 giugno, offeso da due articoli del Teol. Margotti (del 23 aprile e del 20 maggio) l'Eminentissimo intimava con insulti all'Unità Cattolica, a termini di legge, di pubblicare la sua lettera al Cardinale Decano e la sua intimazione, notando che l'Em.mo Antonelli abusava di tutto il potere imprestatogli dalla benignità del Santo Padre, che tanto in buonafede gli si abbandona.

Il Papa lo aveva invitato a ritornare a Roma, ed egli, invece di sottomettersi, in data Napoli 10 settembre 1865, scriveva una lettera Ai suoi rispettabili fratelli Cardinali e Vescovi, nella quale in primo luogo diceva:

 

Oramai ci troviamo di fronte ad una serie di fatti compiuti, ai quali non è mica prudente opporre il disprezzo. Io veggo il novello regno d'Italia riconosciuto da tutte le potenze: veggo un gran sovrano, la cui superiorità come uomo di Stato non è a contestare, offrirci in nome della gran nazione francese, come tavola di salvezza nel naufragio delle antiche illusioni, la convenzione del 15 settembre lealmente eseguita; veggo il Re Vittorio Emanuele in recenti circostanze prestarsi a trattative, per disavventura rimaste vuote d'effetto, che fanno alto testimonio dei suoi sentimenti religiosi; ed in presenza di tutte tali circostanze e delle riflessioni che esse fari nascere, come deve procedere il Papato in tal nuova direzione? quali concessioni può fare alle necessità del tempo? su quali basi è possibile la sua riconciliazione coll'Italia? Ecco precisamente i punti intorno a cui non debbo dire il mio pensiero. Il tempo di parlare su ciò forse verrà per me, ma non lo credo venuto ancora.

Quindi veniva a parlare di sé e conchiudeva:

Io rientrerò in Roma tostochè la mia salute, già in via di miglioramento, mel permetterà; non in modo da far credere che io mi sommetta ad ammenda onorevole che niuno né ragionevolmente, né

canonicamente è in diritto di chiedermi, ma di mia piena volontà, quando crederò d'aver riacquistato le forze necessarie per riprendere le mie funzioni. Non è che un desiderio che tal giorno sia domani. Tale nella sua intera verità é, Monsignore, la questione agitata tra la Segreteria di Stato e me: questione che non avrebbe avuto luogo se stavano agli affari Cardinali come Consalvi o Pacca: la mia causa si difende da se stessa, ne sono convinto e la confido al cuore di tutti gli onesti. Ho speranza che il S. Padre arriverà ad aprire gli occhi sugli intrighi formati contro di me e che la sua giustizia veda la necessità di mettervi termine. Gradite, o Monsignore, la espressione della mia alta considerazione.

 

Il Cardinale d'Andrea aveva condito questa lettera con eccessiva vivacità contro il Cardinale Antonelli e ritornava a parlare del piatto cardinalizio.

Chi ricevette la sua lettera o non gli rispose, o fece eco alla risposta del Cardinale Arcivescovo di Chambéry:

“ Faccio voti che vi sottomettiate con umiltà e docilità alla volontà del nostro Santo Padre Pio IX, altrimenti vi aprirete la strada, che altre volte hanno battuta Lamennais, Gioberti e Passaglia ”.

Intanto egli ottenne un'udienza dal Principe Ereditario che si prolungò quasi un'ora, ricevette le visite del suddetto e del Duca d'Aosta; e in porpora cardinalizia andava alle feste di Corte e ai balli dati in casa del Prefetto Gualterio, nemico dichiarato del Governo Pontificio.

Il Papa gli era stato sempre non solo molto indulgente, ma ne aveva prese le difese e nel 1865, sentendo sul conto di lui nuove lagnanze, ebbe a dire: - Voi attingete a torbide fonti. Questo Cardinale mi diede molti dispiaceri, colla sua debolezza, ma non credo che in fondo, in intimo corde, sia cattivo. Non posso supporre che colui, il quale ha mangiato con me nel medesimo piatto, voglia ora tradirmi. Dategli tempo di pensarci su e di fare la penitenza; non fategli insistenze; i peggiori sono gli ipocriti.

” ... Non prestate fede a tutto quello che scrivono i giornali perversi. Credete però che quanto più alto sta l'uomo, tanto più basso cade se la grazia di Dio lo abbandona. Preghiamo pel Cardinale d'Andrea e confidiamo, ma non me ne parlate, finchè non ne saprete qualche cosa di consolante ”.

Invano il Pontefice attendeva tale consolazione.

Il 23 marzo 1866 Lo Stivale di Napoli pubblicava una seconda lettera del Card. d'Andrea al Card. Mattei, Decano del Sacro Collegio, che diceva cose di fuoco contro i Cardinali Antonelli e Caterini, ed i prelati Giannelli, Berardi, Svegliati, e Quaglia, gettando il biasimo a piene mani sulla Curia Romana.

Il Marchese Francesco Saverio d'Andrea, fratello del Cardinale, faceva stampare due nobilissime sue lettere, scritte l'una al Papa, l'altra al Preposito Generale dei Padri Gesuiti in data 23 e 24 aprile, chiedendo egli perdono in luogo del fratello “ di cui (riprovando la condotta) debbo credere né libero il volere, né sereno l'animo a scrivere ”.

L'Unità Cattolica riprodusse queste lettere, e il 7 maggio ne ricevé vivi ringraziamenti dal Marchese che lo stesso giornale pubblicava il giorno 13. Il Cardinale allora intimò al Teol. Margotti, a termini di legge, la stampa di una sua lunga risposta alle lettere stampate dal fratello. Egli diceva il Marchese un misantropo - che uno o due furfanti s'impossessarono della sua coscienza e gli fecero scrivere le note lettere - che i Gesuiti erano riusciti ad accendere la discordia fraterna - che il Papa giaceva sotto il grave giogo gesuitico, ecc.

Di ciò non contento, aveva stampato sul Giornale di Napoli un'altra lettera in data 9 maggio, nella quale dichiarava che le lettere del fratello pubblicate dall'Unità Cattolica e chiedenti scusa in suo nome al Papa e al Preposito generale dei Gesuiti, erano state scritte senza il suo consenso, e perciò intendeva di chiamarlo a rispondere innanzi alla legge.

In fine il Santo Padre domandò al Sacro Collegio il suo parere intorno ai provvedimenti da prendersi nel caso doloroso: e il Sacro Collegio giudicava che il Cardinale doveva essere privato del suo Vescovado, se non rientrava quanto, prima in diocesi, nella quale da due anni non aveva più messo piede.

Quindi, con Breve del 12 giugno 1866, il Papa toglieva al De Andrea il Vescovato di Sabina e l'Abazia di Subiaco, nominando Amministratore Apostolico di Sabina il Vescovo. Mons. Pettinari: rimproverava il Cardinale dei suoi comportamenti; dell'ostinata disobbedienza, delle sue ingiurie contro Eminentissimi Colleghi e contro Vescovi degni d'ogni rispetto; si doleva che non avesse tenuto conto delle lettere paterne scrittegli di proprio pugno per indurlo a rientrare in sé e pentirsi dello scandalo dato la Chiesa; e infine gli ordinava di non ardire, sia in segreto, sia pubblicamente, d'esercitare la minima parte del suo ministero e della sua amministrazione nella diocesi di Sabina e nell'Abbazia di Subiaco.

Il 28 giugno il Cardinale protestava contro il Breve Pontificio con lettere sediziose ai suoi diocesani, dichiarando di considerare quel Breve come nullo totalmente, irrito ed invalido per ogni canonico effetto e di appellarsi “ dal Papa male informato, al Papa meglio informato ”; mentre il Governo decideva di non accordare, per quanto a lui spettava, l'Exequatur al suddetto Breve.

E il De Andrea cadeva in eccessi peggiori.

Il 22 luglio l'Unità Cattolica annunziava una sua lettera di appello al Papa, in data 6 luglio, stampata senza il nome della stamperia e del tipografo. Era una lettera lunghissima, piena zeppa di grandi elogi che il D'Andrea faceva di se stesso e della sua amministrazione: di insulti villani all'Episcopato e specialmente al Sacro Collegio, e di ingiurie gravissime al Papa, mescolate a proteste di rispetto. Il Teologo Margotti ne dava un breve cenno con salati commenti, e il Cardinale il 24 luglio gli intimava di stampare per intero il suo Appello al Papa a nome della legge, sicchè il Margotti dovette obbedire, mentre l'Autorità Civile lo faceva affiggere a Magliano e il Ministero rifiutava l'Exequatur all'Amministratore Apostolico della Sabina.

Le notizie della ribellione d'un membro del Sacro Collegio, l'unico che fosse causa di scandalo, erano venute a cognizione di Don Bosco, non solo dall'Unità Cattolica, ma da lettele private da Roma. Il suo cuore sanguinava per le offese che riceveva l'angelico Pio da chi avrebbe dovuto dargli consolazioni in tante angustie religiose e politiche; e studiava il modo di far cessare così grave disordine.

Il suo nome troppo noto e la sua prudenza non gli consigliavano d'intromettersi in ciò personalmente, anche pel pericolo di entrare in polemiche; ma trovò la persona cui affidare il delicato incarico e che lo compisse in nome proprio. E questi fu Don Giovanni Bonetti. Noi abbiamo trovato nelle sue carte alcuni documenti riguardanti il disgustoso affare. Sono le minute di due lettere a giornalisti, di tre lettere allo stesso d'Andrea. Non è possibile che a que' tempi Don Bonetti, di sua iniziativa, si azzardasse a dar moniti ad un Cardinale. Neppure la sostanza e lo stile delle tre lettere dirette all'Eminentissimo ci paiono di lui. Esse palesano chi fu l'ispiratore di quegli scritti, e rispecchiano il carattere predominante di Don Bosco: franco, conciliativo, rispettoso, ponderato, che cercava le vie del cuore. Senza dubbio egli diede a Don Bonetti ampie istruzioni a questo riguardo e non ci pare affermazione gratuita il dire che abbia anche esaminate e corrette le lettere inviate al Cardinale. Secondo noi Don Bonetti non fece altro che eseguire fedelmente un mandato.

Don Bonetti scrisse a Monsignor Nardi.

 

Rev.mo Monsignore,

 

Pieno di afflizione il cuore per le ingiurie contro il Nostro Santo Padre scagliate da un ingrato suo figlio, il Cardinale d'Andrea, io in ispirito genuflesso ai vostri piedi vi supplico, Rev.mo Monsignore, che ispirandovi alla vostra prudenza e zelo ardente, impugnate la penna, sventiate i sofismi, sveliate al mondo scandalizzato le insidie, che entro a quel malaugurato scritto si nascondono. Rendete a nome di tutti i cattolici un contraccambio all'ottimo nostro Padre Pio IX sì villanamente trattato da chi meno lo dovrebbe; togliete tanti incauti dal pericolo di essere allucinati. Dimostrate che l'infelice preme le vestigia dei nemici della Chiesa e dell'autorità papale; fate vedere che quella superba Eminenza, qual novello Lucifero, dalle stelle precipitò nel fango. Tanto sfregio recato alla Chiesa ed al Pontefice non deve rimanere invendicato presso i fedeli. S. Pietro non ebbe riguardo al traditore e disse pure in piena adunanza che suspensus crepuit medius ed altro.

Monsignore, la vostra penna è da ciò; l'ispiri Iddio oltraggiato nel suo Vicario, vi doni grazia e tempo a compiere quest'opera, alla Chiesa sì onorevole, ai fedeli così vantaggiosa.

Intanto io non potendo, colla penna né coll'ingegno, difendere il nostro amatissimo Padre Pio IX, mi contento di difenderlo per ora pregando e lagrimando.

Le umilio i miei ossequi e colla pi√π profonda venerazione godo rassegnarmi, ecc., ecc.

 

Sac. GIOVANNI BONETTI.

 

Il nostro carissimo confratello scrisse pure un'altra lettera ad altro giornalista, che noi crediamo sia stato il Teol. Margotti; nella minuta non si legge alcun nome.

Sarò breve per non rubarle il tempo. Vostra Signoria faccia di questa mia il conto che le parrà nel Signore. A mio avviso V. S. farebbe un'opera santa se raccogliendo in un articolo apposito le colpe tutte e i delitti del sig. Card. Gerolamo d'Andrea, li mettesse in confronto colle

difese che egli tentò cavillosamente di fare nella sua insidiosa ed ingiuriosissima Lettera d'appello, testé stampata nel suo, accreditato giornale. In tal modo il lettore potrebbe di leggeri e quasi in un batter d'occhio rilevare i torti di quella disgraziata Eminenza, che qual novello Lucifero precipitò dalle stelle e in sì scandaloso modo, disonorò se stesso e la Chiesa in questi giorni già per lei sì calamitosi.

Se ancora vivesse S. Giovanni, non esiterebbe a chiamarlo primogenito di Satana. È vero che si può ricorrere al Breve del 12 giugno, ma non tutti il possono fare: vi è quindi timore che nella mente di qualche incauto restino alcune cattive impressioni prodotte dalla lettura di quelle scandalose lettere.

Oh! quanto dovrà essere amareggiato il Santo Padre. Gli mancava ancor questo per renderlo l'uomo dei dolori! Perciò quanto tornerebbe caro ad ogni cuore ben fatto che gli si desse in questi giorni un degno contraccambio da que' cari suoi figli i quali detestano l'empia ingratitudine di quello sleale. Una tenerissima lettera, in forma di indirizzo, sottoscritta dal Clero italiano non sarebbe ella cosa da ciò? Vi pensi la S. V. e si ispiri a quella prudenza e a quello zelo coraggioso che nelle difese della Chiesa e del Santo Padre cotanto la distingue in questi giorni. Del resto io sarò contento di avere in questa mia espresso un pio desiderio e sfogato alquanto il vivo dolore che provai nel leggere le ingiurie scagliate contro il Santo Padre che tanto io amo. Non potendo come V. S. prendere le sue difese colla penna, lo difendo come posso colle preghiere. Mi scusi di questo disturbo.

 

Una terza lettera fu da lui indirizzata allo stesso Cardinale d'Andrea nel mese di settembre 1866.

 

Eminenza,

 

Alzate gli occhi al Cielo, sollevate il Vostro cuore. Oh sì! le delizie, le gioie purissime di quel regno beato, vi facciano mettere sotto i piedi la gloria fugace di questo mondo.

Eminenza, io vi amo e questo mio cuore mi fa temere che abbiate offeso Iddio, mi fa temere che abbiate da esulare dalla patria dei beati. Mettetevi una mano sulla coscienza e nel silenzio della notte, nel segreto delle vostre camere, interrogate il vostro cuore che vi risponderà se vano sia il mio timore. Voi forse erraste, Eminenza. E se così fosse, non vi lusingate di riparare al male negli ultimi giorni della vostra vita. Non va scordato che mors non tardat. Ritrattatevi di presente: al punto di morte vi troverete contento.

(Credetelo: la Vostra ritrattazione anche quaggiù vi procurerà gloria maggiore di quella che vi possono dare coloro che in questi giorni paiono vostri ammiratori. Il vostro esempio sarà forse in questo secolo, qual lampo che illuminerà tanti ciechi, i quali in questi giorni vanno brancolando sulle vie dell'errore, scuoterà potentemente molti infelici, che, o per debolezza o per inganno allontanati dalla Cattolica Chiesa, dormono un sonno di morte in seno all'errore).

La vostra ritrattazione farà un bene immenso alle anime, la Santa Chiesa ve ne saprà grado, i cattolici vi ammireranno, faranno plauso al vostro coraggio. Gesù stesso ve ne rimunererà largamente. Mettete in pace il vostro cuore, consolate Pio IX, edificate la Chiesa, rallegrate gli Angeli. Ricordatevi in fine che se voi tardate, forse non più tarda la morte e potrebbe, forse, darsi che non fosse lungi dalla vostra porta. Sì, io vi ripeto, alzate gli occhi al cielo, al cielo sollevate il vostro cuore, vada ogni cosa, ma non si perda il paradiso.

Baciando la sacra porpora con profonda venerazione mi raffermo,

Dell'Eminenza Vostra,

   Mirabello Monferrato (settembre 1866)

 

Um.mo ed ossequentissiino Servo

GIOVANNI BONETTI.

 

Per risposta Don Bonetti ricevette copia di un'autodifesa del Cardinale, pubblicata a stampa, forse l'Appello al Papa; e a sua volta replicava:

 

Eminenza,

 

Ho ricevuto testé un vostro scritto. Se siete Voi che me lo mandate, Vi ringrazio del disturbo che vi siete preso; io non merito tanto. E poichè mi si presenta propizia occasione, permettetemi alcune osservazioni che mi sembrano suggerite dal grande affetto che io porto .alla Santa Sede, al Vicario di Cristo, nonchè all'E. V.

Voi vi dite innocente, e colpevole il Santo Padre. Altri però dicono il contrario. Adunque per lo meno, la cosa è dubbia. Siate pure innocente, Eminenza, ve lo voglio concedere; ma in tal caso Voi ne' vostri scritti, mi avete l'aria di un figlio, che per liberare se stesso dall'infamia, vi getta il proprio Padre. E se così fosse, Eminenza, che dire si dovrebbe del vostro cuore? Voi, a mio avviso, vi sareste portato assai più lodevolmente, e con maggior bene della Chiesa se, come un San Francesco di Sales, contento di esporre con evangelica semplicità le vostre ragioni, vi foste guardato dal mandare alle quattro parti del inondo certi scritti entro cui trovansi espressioni, che mentre danno maggior ansa ai nemici della Chiesa, non vi fanno per nulla conseguire quel fine che vi siete proposto. Imperocchè voleste giustificarvi presso i buoni o presso i cattivi? Se in faccia ai buoni, credetelo vi sarà impossibile, poichè costoro nell'agitata questione crederanno sempre piuttosto al Papa che non ad un Cardinale. Alcuni di essi sanno pure che anche grandi teste poterono pel passato errare, e credono ancor possibile che altri, sebbene di nobile ingegno come il vostro, possano al presente andar errati; tanto più che ne' vostri scritti trovansi alcune parole poco rispettose riguardo al grande Personaggio cui sono dirette.

Se poi voleste giustificarvi presso i cattivi, io nol credo, poichè io non posso supporre che l'Eminenza Vostra possa paventare i giudizi di costoro. Che cosa vi deve importare dei loro giudizi? Voi avreste potuto ripetere: Quid mihi de iis qui foris sunt? Nulla poi otterreste pel vostro scopo. Costoro nella loro indifferenza si burlano del Papa e del Cardinale, si pongono sotto i piedi le proteste dell'uno e degli altri e nessun bene al certo da que' scritti ricavano. Anzi Voi produceste un gran male, Voi aiutaste i nemici della Chiesa; e più d'uno di questi fu udito a ripetere: - Se così fa un Cardinale verso il Papa, non potremo far noi altrettanto?

Ah! Eminenza, lo dico schiettamente, che mi sarebbe stato mille volte più caro vivere oppresso da una persecuzione giusta o ingiusta, quale si fosse, piuttostochè porgere occasione di scandalo ai nostri nemici, e maggiormente al ceto ecclesiastico. Forse, a vostro malgrado, faceste agli avversari della Chiesa un segnalato servizio. Essi infatti se ne vantano e ne vanno orgogliosi. Ah! se presso di Voi possono valere qualche cosa le mie preghiere, deh! cessi Vostra Eminenza dal più spargere certi scritti che altro non fanno che cooperare alla rovina delle anime, quelle anime per le quali Gesù non solo si umiliò cotanto, ma versò tutto il suo preziosissimo Sangue. A Voi questo Gesù domanderà conto un giorno, se avrete cooperato alla salute di coteste anime e se mai l'Eminenza Vostra ne avesse scandalizzata qualcuna, pensi che le sovrasta un tremendo giudizio. Io temo pel suo stato. V. E. abbia mente e cuore per impedire in parte quel male che va tuttavia propagandosi per causa di que' scritti.

Mi raccomando alle sue preghiere, aspettando nell'afflizione che Dio mi consoli .....

 

29 settembre 1866.

 

GIOVANNI BONETTI.

 

Dopo le lettere di Don Bonetti parve che il Cardinale si calmasse alquanto. Cessò dal pubblicare le sue invettive; ma si ostinò a rimanere a Napoli. Le ammonizioni e i castighi non ottennero per allora altro effetto, e il Papa fu costretto a sospenderlo, conforme alla Costituzione d'Innocenzo X (Cum juxta del 19 febbraio 1646) da tutti gli onori, insegne e diritti cardinalizi, compresa la privazione della voce attiva e passiva nell'elezione del Papa. In pari tempo gli assegnò il termine perentorio di tre mesi per presentarsi a Lui e riceverne umilmente gli ordini: trascorso inutilmente questo termine il d'Andrea sarebbe privato del Cardinalato e degli altri benefizi. La Lettera Apostolica aveva la data del 29 settembre 1867 (un anno dopo l'ultima delle riferite lettere di Don Bonetti) e fu presentata al Cardinale il 12 ottobre.

Il d'Andrea, dopo aver alquanto temporeggiato, giungeva a Roma in convoglio speciale il 16 dicembre, ma non fu ricevuto in Vaticano finchè non ebbe Sottoscritto il 26 dicembre una dichiarazione, in cui si leggeva:

1° che domandava al Santo Padre perdono della disubbidienza commessa;

2° che era dolente dello scandalo dato co' suoi scritti per la relazione avuta con l'Esaminatore di Firenze, e che condannava le massime di questo giornale;

3° che si associava completamente all'indirizzo dei Vescovi del 1867;

4° che dichiarava invalide le sue proteste contro il Breve Pontificio del 12 giugno 1866;

5° che implorava umilmente scusa al Papa, ai suoi colleghi e a tutti coloro che poteva aver offeso.

 

 

Due giorni prima che egli sottoscrivesse questa dichiarazione, Don Bonetti gli mandava il seguente foglio.

 

W. Ges√π Bambino!

 

Eminenza Rev.ma,

 

È poco più di un anno che io angustiato da una disgrazia accadutavi Vi scriveva parole di dolore, facendovi nella mia pochezza umile preghiera che voleste far ritorno al Santo Padre, e consolarlo, e riedificare il mondo. Voi allora mi rispondeste coll'invio di una lettera poco prima stampata, cui io lessi piangendo. Ma viva Dio; è passato il tempo maligno, è spuntato il sospirato giorno. Torno pertanto a scrivervi, Eminenza, ripieno il cuore della più pura gioia. Vi ringrazio del coraggio dimostrato nel calpestare i rispetti del mondo, e sottomettervi all'amabilissimo nostro Santo Padre. Oh! Voi agli occhi miei ora mi apparite veramente grande. Oh! no, Satana non ha da gloriarsi di avervi vinto e abbattuto, poichè dal vostro risorgere ha più perduto che non guadagnato dalla vostra caduta. Proseguite, adunque, Eminenza, con quella fortezza d'animo colla quale avete incominciato. Dio, la Vergine, i Santi vi guardano con occhio di compiacenza. Non dubitate; Gesù Cristo farà sì che il mondo cattolico dimentichi il doloroso fallo per non ricordare che il glorioso pentimento, l'illustre esempio. Non lasciatevi abbattere se nella via intrapresa troverete pungenti spine; se dovrete provare qualche amarezza, Gesù Cristo vi ha preceduto sulla via dei dolori, e sulla Croce. Vi rammenti il fallo, e dolce vi riuscirà la pena. Ogni benedizione Vi piova dal cielo il caro Bambino Gesù, e la sua dolcissima madre Maria.

Gradite infine, Eminenza Rev.ma, gli umili ossequi di chi colla pi√π alta stima e profonda venerazione gode di baciarvi la sacra porpora e dichiararsi,

Della V. E. Rev.ma,

 

Mirabello Monf. 24 dicembre 1867.

 

Osseq. e Obbl.mo

BONETTI GIOVANNI.

 

E il Papa con Breve del 14 gennaio 1868 restituiva al pentito tutte le dignità e cariche, ad eccezione del Vescovado di Sabina e dell'Abbazia di Subiaco. Difatti il 18 gennaio l'Eminentissimo prese subito parte alla Cappella Papale in S. Pietro. In seguito aveva stabilito di recarsi sui Pirenei per una cura di acque, ma colto da paralisi moriva improvvisamente la notte del 14 maggio 1868, in età di 57 anni.

 

 

 

 

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