Capitolo 17

Preparativi di guerra in Piemonte contro l'Austria - Il Convitto Ecclesiastico ospedale militare - D. Cafasso avvisa i suoi alunni di non entrare in questioni politiche - Il catechismo quadragesimale disturbato dall'effervescenza guerresca dei giovani esterni - Una sassaiuola fatta cessare da D. Bosco - Tre Letture Cattoliche - L'Arcivescovo di Genova e i Vescovi di Mondovì e di Cuneo le raccomandano ai loro diocesani - Grazie ottenute da Savio Domenico - Lettera di D. Bosco ad un parroco della diocesi d'Asti - Ispezione governativa nell'Oratorio per gli alloggi militari - La guerra dichiarata e l'esercito francese in Italia - Torino minacciata dagli Austriaci: D. Bosco dice a' suoi giovani di non temere - La quarta grande lotteria di D. Bosco e due circolari - D. Bosco annunzia a' suoi allievi l'erezione nell'Oratorio di una chiesa con grande cupola - Un orto liberato dai bruchi.

Capitolo 17

da Memorie Biografiche

del 29 novembre 2006

Dalle pacifiche conferenze dell'Oratorio passiamo ai  rumori di guerra. Sul finire di marzo l'esercito regolare del Piemonte forte di 8o.ooo uomini, stava scaglionato alle frontiere tra Alessandria ed il Ticino. In varie città i volontari di Garibaldi erano continuamente esercitati nelle piazze alle manovre ed al maneggio delle armi. Ai legionarii della guardia nazionale era affidata la custodia dei bastioni nei luoghi fortificati. Le popolazioni vedevano, soffrivano, tacevano ed aspettavano con ansietà gli avvenimenti. Torino era innondata da opuscoli politici e da giornali liberali che eccitavano gli animi alla guerra. Le vie erano percorse da solite plebi frementi ed acclamanti. Il Governo però simulava amore di pace e voleva costringere l'Austria a farsi assalitrice, perchè apparisse di essere stato egli provocato e costretto alla difesa. Ed ogni cosa era pronta per entrare in campagna, perfino gli edifici destinati per gli alloggi dei militari, e per la cura dei feriti. Il Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d'Assisi era pur destinato ad ospedale dei militi, e D. Cafasso nel congedare i suoi alunni diceva loro: - Non prendetevi a cuore le cose politiche. La politica del prete è quella del Vangelo e della carità. Troverete un gran fermento nei paesi, perchè dappertutto si parla di politica e di guerra. Siate prudenti. Se per caso trovandovi in conversazione od in viaggio qualcheduno vi rivolgesse la parola: -Signor Abate, che cosa dice lei di tutte queste cose? - Io non dico nulla, rispondete, io prego. - Ma per chi prega? per i nostri soldati o per gli Austriaci? - Prego perchè le cose vadano bene. - Così si schiva ogni contestazione. - Le stesse pratiche raccomandazioni faceva D. Bosco, come fece sempre, ai suoi chierici, acciocchè non entrassero in questioni politiche.

Ma la politica intanto minacciava di spopolare i catechismi della quaresima.

“ Nel 1859, narrò Pietro Enria, nei giovani popolani di Torino, come nel 1848 e 1849, erasi acceso un vivo fermento di guerra. A centinaia si riversavano nei campi che si stendevano fuori della città, si dividevano in due partiti, e, per dar prova di valentia, l'uno assaliva l'altro con battagliole che si dicevano finte, ma che riscaldando gli animi finivano sempre con vere tempeste di pietre. Questi giuochi pericolosi si rinnovavano, si può dire, tutte le feste, ed io più volte ne fui spettatore.

”Una domenica D. Bosco andò in chiesa per fare il catechismo e con sorpresa vi trovò i soli alunni interni. - Dove sono gli altri? - ei chiese; ma nessuno seppe dirglielo. Allora uscì sulla via della giardiniera e vide una moltitudine di ragazzi, i quali, nello spazio sul quale poi si eresse la Chiesa di Maria Ausiliatrice, combattevano accanitamente. Erano più di trecento, tutti dai 15 ai 18 anni, e grossi erano i sassi che venivano lanciati. D. Bosco allora entrò in mezzo a quella mischia. Io stavo osservando in lontananza, e temeva di veder D. Bosco colpito dai sassi, i quali cadevano spessi attorno a lui. Ma non fu così. Nessuna pietra lo toccò e dovetti persuadermi che la Beata Vergine facevagli scudo col suo manto. Egli si avanzò per una cinquantina di passi, ma quando tutti lo videro, si arrestarono, invitati da lui gli si avvicinarono, e con belle maniere li indusse ad entrare in chiesa. Nessuno cercò di fuggire, e D. Bosco colla sua aria ridente, come se nulla fosse stato, die' principio al catechismo ”.

Nello stesso tempo in mezzo a tanti trambusti egli occupavasi della stampa delle sue Letture Cattoliche.

Il fascicolo che usciva pel mese d'aprile portava una: Raccolta di fatti edificanti. - Uberto, ossia lo scultore delle Alpi. - Storia di un mendicante: gran perdono. Per fare elemosina non è necessario esser ricco. - Infanzia di Alberto. - La confessione. - Efficacia di un'Ave Maria. - Il Generale Gerard divoto a Maria; egli non si azzardò mai nei combattimenti senza prima aver invocato Nostra Signora. - Tre di questi fatti riguardano la Francia.

All'opuscolo erano unite le raccomandazioni di due Vescovi per la diffusione delle Letture Cattoliche e noi ne aggiungeremo una terza.

Mons. Charvaz Arcivescovo di Genova e martello dei Valdesi, così aveva scritto, il 19 febbraio 1859, nella sua lettera pastorale per la quaresima.

 

Avvertiamo i signori Parrochi essere nostro vivo desiderio che vogliano adoperarsi per la diffusione delle Letture Cattoliche, che coll'approvazione del Sommo Pontefice si pubblicano mensilmente in Torino. Lo scopo dì cotali Letture si è di contribuire a mantenere l'integrità della fede e la santità dei costumi nel popolo contro gli sforzi degli empii, che con fogli e libercoli d'ogni maniera si studiano di pervertirlo e corromperlo.

Mons. Vescovo di Mondovì, nella stessa occasione e collo stesso intendimento, così si era espresso.

Approfittiamo di questa occasione per raccomandare specialmente al Clero di promuovere l'associazione delle Letture Cattoliche.

Anche il Vescovo di Cuneo, Mons. Clemente Manzini, annunziando ai suoi diocesani l'indulto quaresimale il 15 febbraio 1859, così aveva espresso il suo desiderio.

Raccomandiamo vivamente al nostro Clero, ed in ispecie ai signori Parrochi un'opera intrapresa e promossa con ispirito veramente cattolico e che non può a meno di tornare a grande vantaggio delle anime. Quest'opera è quella delle Letture Cattoliche, le quali vorremmo vedere maggiormente diffuse nel popolo, persuasi come siamo de' frutti preziosi, che da esse si verrebbero a cogliere, mentre dall'una parte allontanando i fedeli da quei libercoli e giornali avvelenati, con cui cercasi con ogni arte più diabolica di corrompere la fede, loro somministrerebbero dall'altro canto un pascolo salutare atto a rassodarne ed a migliorarne i costumi. Di ciò ne è garante l'approvazione che n'ebbero dal S. Padre, il quale con lettere dell'Eminentissimo Card. Vicario nel maggio u. s. e altamente le commendava e le voleva introdotte e diffuse nello Stato Pontificio.

A ricevere le associazioni alle Letture Cattoliche è per questa diocesi designato il M. R. D. Borgarino, cappellano della Confraternita di S. Sebastiano in questa città.

Pel mese di maggio era pronta l'operetta del santo prete Frasinetti Giuseppe, Priore di S. Sabina in Genova. Erano le Memorie sulla vita della pia zitella Rosa Cordone morta in Genova ai 26 novembre dell'anno 1856. Con questa biografia egli dimostra che un'anima cristiana può giungere alla maggior perfezione ed unione con Dio, ancorchè non sia arricchita di grazie e doni straordinarii e senza prolungare orazioni ed aspre penitenze.

Pel mese di giugno D. Bosco disponeva che si stampasse un fascicolo anonimo: Il Santuario della Bassa e suoi dintorni; rimembranze di una festa. Sul frontispizio portava il verso: Tot tibi sunt dotes, Virgo, quot sidera Coeli. È uno dei santuari del Piemonte Posto sui monti di Rubiana, il quale testifica quanto sia grande la bontà di Maria, nell'esaudire le suppliche di coloro che a Lei ricorrono.

Mentre D. Bosco rivedeva le sue bozze che trattavano delle più umili e tranquille virtù, quasi contrapposto delle violenti passioni che nel regno agitavano gli animi, era grandemente confortato dalle prove di cara protezione, che Savio Domenico assicurava dal cielo all'Oratorio, ai suoi antichi compagni ed agli alunni. Una sera d'aprile ei leggeva alla comunità radunata una lettera di Galleano Matteo colla quale faceva testimonianza, come egli sul principio del mese, aggravato da un atroce mal di capo e da un acuto dolore

di denti, dopo due giorni di sofferenze si fosse deciso di ricorrere al buon Domenico. Recitato in suo onore un  Pater noster, alle parole sed libera nos a malo, istantaneamente aveva sentito svanire quelle doglie e scomparire le gonfiezze.

Era presente a questa lettura Dematteis Carlo che da parecchie settimane spasimava per male ai denti, senza poter avere refrigerio dalle medicine. Animato dal felice successo del compagno chiese a D. Bosco:

- Dovrò pur io fare la prova di raccomandarmi a Savio?

- Sì, fanne prova, gli rispondeva D. Bosco; digli di questa sera medesima un Pater ed Ave e poi confida in lui. - Dematteis si recò in camera, recitò l'orazione indicatagli e si pose a letto. Mentre le notti antecedenti le aveva passate in gran parte vegliando a motivo dei patimenti, egli si addormentò subito e non si svegliò prima che la campana suonasse la levata. Era perfettamente guarito e d'allora in poi non ebbe più a soffrire mal di denti.

Anche il giovane Mazzucco Giacinto, da circa un mese, era così travagliato dal mal d'occhi che si trovava nella necessità di abbandonare la scuola. Il mercoledì santo, 20 aprile, disse a D. Bosco:

- Debbo anch'io raccomandarmi a Savio? Ha guarito tanti altri che non l'hanno neppure conosciuto; ed a me che gli ero compagno, non vorrà ottenere la grazia di poter guarire? Tanto più che io debbo lavorare nel preparare in chiesa il Santo Sepolcro!

D. Bosco gli rispose:

- Bene, recitagli un Pater ed un'Ave, e domani tutto confidando in lui, eseguisci i lavori che hai da fare; procura però di offerirli ad onore di Dio.

Alla sera Mazzucco recitò la breve preghiera, e all'indomani si sentì molto migliorato, dimodochè potè compiere i suoi lavori intorno al Santo Sepolcro senza incomodo. Al Sabato Santo egli era perfettamente guarito.

Queste grazie dovevano procurare a D. Bosco un gran sollievo nei dispiaceri da lui talvolta provati per la poca corrispondenza alle sue cure di qualche allievo: e nello stesso tempo lo rassicurava dai disturbi e dalle angustie che poteva cagionargli la guerra ormai imminente.

Di questi dispiaceri e disturbi egli fa cenno in una lettera a D. Giov. Batt. Torchio Arciprete di S. Martino Alfieri, Asti.

 

Mio Rev.do e Car.mo nel Signore,

 

Siamo a Pasqua e per farla bene debbo aggiustare le cose mie con V. S. verso cui sono debitore di alcune risposte specialmente riguardo al giovane B...

Per reciproca soddisfazione e norma Le dirò che non ho fatto quanto desiderava, perchè la condotta di questo giovanetto, cui ho sempre portato speciale affezione, fu sempre dubbiosa. Nello studio, nella scuola, nella pietà si tenne sempre in tale mediocrità, che mai non mi diede un punto sopra cui raccomandarlo presso a persone benemerite, siccome era desiderio di V. S., del padre, che è ottima persona, e siccome desiderava io medesimo. Questo è il motivo per cui non ho potuto appagare l'aspettazione di V. S.

In quanto al Saglietti Le debbo dire che per ora non mi è possibile il riceverlo. Perchè? Perchè il governo ha fatto visitare quanti soldati potrebbero dormire in questa casa in grave bisogno, il che vuol dire che da un momento all'altro posso essere al punto di dovermi fare il fagotto. Le notizie politiche di quest'oggi sono gravi e assai allarmanti.

Se verrà a Torino venga a vedermi. Ma in ogni circostanza l'assicuro, che farò sempre quel che posso a suo favore.

Preghi per me e per li miei poveri giovanetti e mi abbia sempre tra quelli che si professano

Di V. S. M.to Rev.da

Torino, 22 aprile 1859.

Aff.mo servo ed amico

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

In questa lettera D. Bosco accenna ad una visita che dall'Autorità governativa era stata ordinata nell'Oratorio di Valdocco. Infatti sul principio del mese di aprile vennero due periti a fare una ispezione, per riconoscere se il fabbricato si prestava ad alloggiare soldati o a convertirsi in ospedale pei feriti, ovvero a servire di alloggio militare per gli ufficiali. D. Bosco accolse cortesemente quei signori, e li condusse a visitare tutta la casa. In fine disse loro: - Ora li pregherei che volessero riferire a chi li ha mandati i sentimenti di D. Bosco ed una sua preghiera a questo proposito. Nei pericoli e nei bisogni della patria ogni cittadino deve porgere quell'aiuto, che le proprie forze gli permettono, e per questo motivo D. Bosco è disposto a fare quanto è in poter suo: l'ha fatto sei anni or sono in tempo di peste, e saprà farlo ora in tempo di guerra. Ma io debbo pure far osservare che questa casa serve oggidì di ricovero a quasi 300 giovanetti dei più poveri ed abbandonati, e perciò prego il Governo che voglia risparmiarmi il dolore di rimetterli sopra la strada. Io credo che in Torino non manchino dei pubblici edifizii, che possono servire o da quartiere o da ospedale meglio assai che non questo fabbricato, che, come vedono, manca di molte comodità; ed ha scale e corridoi troppo stretti. - Nel costrurre la casa D. Bosco aveva preveduta tale eventualità.

Che cosa abbiano i due periti esposto al Governo nol sappiamo; ma il fatto si fu che l'Oratorio non venne disturbato e gli alunni continuarono a rimanervi tranquillamente.

Del resto D. Bosco prestò in quel tempo un servizio ben più utile, che non tanti altri. La improvvisa chiamata di varie classi sotto le armi che si trovavano in congedo illimitato, come pure quelli che dalla seconda categoria avevano fatto passaggio alla prima in occasione della guerra di Crimea, gettò i paesi in grande costernazione. I più di costoro si erano ammogliati. Dovettero partire nel cuore della primavera, quando era giunto il momento di attendere ai lavori delle campagne. Quindi molte famiglie rimasero prive delle robuste braccia che loro procuravano il sostentamento, e molte madri cariche di figliuolanza si trovarono nella più grande miseria. Ciò fu tanto vero che si dovettero istituire nelle principali città varii Comitati, a fine di promuovere e raccogliere limosine, onde provvedere alle famiglie più bisognose. Or che fece D. Bosco? Quantunque per la circostanza della guerra e pel rincaro dei viveri, egli si trovasse ben sovente in grave penuria, tuttavia accettò ancora nel suo Ospizio parecchi figliuoli dei poveri soldati.

Finalmente risuonava il primo grido di guerra e il 23 aprile l'Austria, stanca dei maneggi del Governo Subalpino, mandava ad intimargliela se fra tre giorni non disarmasse e non licenziasse i volontari. Le fu risposto con un aperto rifiuto, e il 26 la flotta francese carica di truppe era in vista del porto di Genova. Intanto scoppiava la rivoluzione in Toscana, e costretto il Gran Duca a ritirarsi, Vittorio Emanuele vi nominava commissario il Buoncompagni con pieni poteri. Il 28 aprile il Re Sabaudo cogli ufficiali dello Stato, i membri del Senato e della Camera andavano alla Metropolitana di Torino, assistendo alle solenni supplicazioni per il buon esito della guerra. Il 30 l'esercito Austriaco forte di ben più di 200.000 uomini, comandato dal generale Francesco Conte Giulay, passava il Ticino, occupava Novara e s'innoltrava nelle fertili pianure tra il Ticino, il Po e la Sesia. Vittorio Emanuele partiva per il campo e Napoleone III il primo dì maggio scriveva a Pio IX “ ... Voglio francamente dichiarare a Vostra Santità che nel mio cuore non divido la causa della religione e del potere temporale della S. Sede, dalla causa dell'indipendenza d'Italia; devo confessare che l'una e l'altra mi sono egualmente care. ” Il Papa avevalo invitato a ritirare da Roma i suoi soldati che ivi aveano quartiere fin dal 1849, annunziandogli che quantunque debole egli affidavasi alla Provvidenza che non lo avrebbe abbandonato. Ma Napoleone per risposta aveva fatto sbarcare nuove truppe a Civitavecchia. Egli voleva fare la guardia al Papa, per renderne più facile e più sicura la spogliazione e per impedire che altri lo soccorresse.

Intanto il 2 maggio gli Austriaci occupavano Vercelli e per passare il Po assalivano i Piemontesi a Frassineto ed a Valenza, ma furono ributtati dall'artiglieria. Riuscirono però a passarlo a Cornale e il 3 maggio si spinsero fino a Tortona.

Divisi in tre corpi uno era tra Casale ed Alessandria, il secondo sulla riva destra e sulla sinistra del Po, il terzo a Vercelli dove si fortificava e accennava di muovere verso Torino. In quei giorni sbarcavano a Genova, scendevano dal Moncenisio e dal Monginevra, e venivano da Nizza 180.000 guerrieri francesi per unirsi all'esercito Sardo.

Giulay in quel mentre, essendo in possesso di Mortara e Vigevano, spingeva da Vercelli un corpo d'armati a Santhià, Livorno e Biella, e un'altra parte de' suoi, il 9 maggio occupava Trino e pareva prepararsi a marciare sulla Capitale del Piemonte, che facilmente sarebbe caduta in suo potere. In Torino si temeva che gli Austriaci da un momento all'altro occupassero la città. Eziandio nell'Oratorio i giovani parlavano di tale imminente pericolo, ma Don Bosco disse loro presente il Ch. Anfossi: - Non temete; anche quando venisse il nemico, l'Oratorio, difeso dai santi martiri Solutore, Avventore, ed Ottavio, ne rimarrà illeso.

Ei sentiva profondamente la divozione a questi santi che avevano sofferto il martirio presso l'Oratorio, e confidava talmente nella loro protezione, che occupavasi di una lotteria come se lo Stato fosse in piena pace. In mezzo alla miseria universale bisognava provvedere ai suoi giovani. Perciò nell'aprile aveva trattato coi membri della Commissione per la lotteria del 1857, della quale presidente era stato il Conte Carlo Cays di Giletta, e si concertò sul da farsi. Quindi esposta la cosa all'autorità civile, e ottenuto il permesso, D. Bosco procuravasi e numerava i premii, faceva scrivere a mano i biglietti col timbro dell'Oratorio e stampare o litografare le circolari, delle quali ordinavane spedizioni alle persone benevoli verso l'opera sua; una in aprile, l'altra sul principio di maggio. Ad ogni circolare era unito un elenco dei premi, contenuto in un foglio a pie' del quale D. Bosco faceva scrivere il seguente Nota bene: Per maggior comodità l'importo dei biglietti si può trasmettere ad alcuno dei membri della Commissione per la precedente Lotteria.

E se ne notavano i nomi a penna. Ecco il tenore della circolare:

 

Ill.mo Signore,

 

Non è più una lotteria che io raccomando alla provata carità di V. S. Ill.ma; è una liquidazione di oggetti, parte rimasti da antecedente lotteria e parte offerti testè a favore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco, di S. Luigi a Porta Nuova e del Santo Angelo Custode in Vanchiglia.

Ho scelto cinquecento di tali oggetti, ne sommai il prezzo secondo l'estimo approvato dall'Intendenza Generale, e ribassatolo di un terzo, lo divisi in cinquecento quote, quanti appunto sono gli oggetti. Il prezzo di ciascun biglietto riuscì di franchi 5, ma ogni biglietto ha un premio assicurato; però colla eventualità che il premio può essere di un valore maggiore o minore secondo il risultato dell'estrazione.

Tale estrazione avrà luogo il giorno 26 del prossimo maggio nella casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales.

Io Le mando biglietti N             con preghiera di volerli accettare.

Qualora però tra Lei e le caritatevoli persone di sua conoscenza non istimassero di ritenerli tutti, la prego rispettosamente a tollerare il disturbo e farli trasmettere a questa casa alcuni giorni prima dell'estrazione. L'oggetto vinto sarà portato a domicilio.

Tali oggetti si sarebbero potuti mettere in vendita, ma la cosa sarebbe andata a lungo, nè avrei ottenuto un pronto aiuto siccome le attuali strettezze di questa casa richieggono.

Comunque sia, io desidero che Ella non abbia altra mira se non di fare un'opera di carità: dal canto mio non mancherò di unirmi ai poveri giovani che frequentano questi Oratorii per invocare da Dio e dalla Vergine santissima grazie e benedizioni, che è il centuplo che Dio promette a chi fa opere di carità nella vita presente coll'aggiunta dell'eterna felicità nell'altra.

Con pienezza di gratitudine e con profonda stima mi professo

Di V. S. Ill.ma

Torino, 5 maggio 1859.

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

Fatta l'estrazione della lotteria, che ebbe pienamente l'esito desiderato da D. Bosco, egli davane avviso a coloro che avevano comprato i biglietti, trasmettendo gli oggetti loro assegnati dalla sorte.

Ill.mo Signore,

 

Mi reco a dovere di far trasmettere a V. S. Ill.ma gli oggetti vinti nell'estrazione del 26 cadente mese seguita in questa casa in presenza della Commissione dell'antecedente lotteria.

Al N….corrispose il N….

La prego di volerli gradire siccome sono; e spero che Ella vorrà piuttosto considerare l'opera di carità, che il pregio materiale ai medesimi unito.

Dal canto mio non mancherò d'invocare dal Cielo sopra di Lei sanità e grazia; e mentre raccomando me, gli ecclesiastici e tutti i giovani beneficati di questi Oratorii alla carità delle divote di Lei preghiere colla più sentita gratitudine mi professo

Di V. S. Ill.ma

Torino, 31 maggio 1859.

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

Con questo mezzo D. Bosco aveva eziandio assicurato per un po' di tempo, anche ai giovani del suo Ospizio il pane quotidiano, mentre faceva sorridere innanzi alle loro fantasie un avvenire caro e stupendo preparato dalla Divina Provvidenza. Narrò il Ch. Anfossi: - Mi ricordo con molta precisione, che un giorno quando non si parlava neppur ancora delle fondamenta della Chiesa di Maria Ausiliatrice, essendogli io vicino nel cortile, D. Bosco disse: Lì (accennando al luogo ove ora sorge la Chiesa) s'innalzerà un gran tempio! - E alzando gli occhi in maniera come se già esistesse la cupola, e la vedesse, continuava: - Questa chiesa avrà una gran cupola e vi si celebreranno straordinarie solennità. - In quei giorni queste parole non potevano a meno che produrre sull'animo nostro straordinaria impressione di meraviglia, principalmente che conoscevamo benissimo, in quanto gravi strettezze, finanziare si trovasse il nostro D. Bosco, mancando talora anche del denaro necessario per provvedere il pane. Ciò nondimeno quasi scherzando, cominciò più tardi ad invitare il Ch. Ghivarello, allora per nulla architetto, a tracciare il piano della futura chiesa le cui dimensioni egli poi allargò invitando il medesimo chierico a dare un secondo disegno, che fu poi presentato all'ingegnere Spezia.

In questi stessi giorni D. Bosco colla benedizione sacerdotale otteneva una singolare vittoria che fece ridere molto gli alunni, i quali dicevano: - Peccato che Don Bosco non sia generale! Ha trovato un mezzo facile per far sgombrare il nemico da un territorio da lui occupato! - Così scrisse di questo fatto a D. Bonetti, Giuseppe Reano.

“ Un giorno venne da D. Bosco una vecchia giardiniera, che teneva in affitto un orto vicino all'Oratorio dicendo tutta desolata: - Nel mio orto vi sono tanti piccoli bruchi nocivi alle piante ed agli erbaggi.

- E con questo, buona donna, cosa volete? disse Don Bosco. -Voglio che mi mandi via tutte quelle bestie, che ho nel giardino; mi distruggono tutto, mi mandano in malora; loro dia la benedizione, le faccia morire.

” E D. Bosco sorridendo: - E perchè far morire quelle povere bestie? Loro darò la benedizione e le manderò in altri luoghi ove non possano far danno ad alcuno.

” All'indomani io andai con Buzzetti in un piccolo orto incolto, che era di fianco alla chiesa di S. Francesco, cinto da un muro alto tre metri circa, che apparteneva all'Oratorio. Là vedemmo una sterminata quantità di quei bruchi immobili e attaccati al muro, i quali coprivano anche certi travi distesi per terra, mucchi di mattoni e pietre ivi riposte, e alcuni alberelli rachitici. Ogni cosa ne era coperta. E l'orto della vecchia era libero perfettamente da quell'invasione ”.

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