l Duca di Norfolk.
del 11 dicembre 2006
Allorché  Don Bosco, di ritorno dal suo ultimo viag­gio in Francia, smontò di vettura nel cortile dell'Oratorio, gli si fece incontro il cappellano del Duca di    Norfolk, che confabulò alcuni minuti con lui, parlando in               italiano. Il Santo gli chiese notizie della Duchessa, che era giunta di fresco a Torino, ma non istava guari bene e si sentiva stanca del treno, come pure il figlio. Poi do­mandò del Duca, venuto pure a Torino, e pregò il suo cortese interlocutore di ossequiarlo tanto da sua parte. Il sacerdote doveva prendere gli accordi per un'udienza de' suoi Signori; ma Don               Bosco si spicciò in fretta dicendo  che era tutto per essi in qualunque momento. A questo punto si congedarono a vicenda.
Mentre faceva per andarsene, Don Bosco vide due stranieri che si avviavano dietro al prete e li salutò, credendo che appartenessero al seguito del Duca; ma il cappellano, scorto quell'atto e indicando uno dei due, gli disse: - Badi, Padre, che questi è il Duca di Norfolk. Egli parla benissimo il francese. - Don Bosco rimase stupito nell'osservare un tanto personaggio vestito molto alla buona e con un largo cappellone in testa. In verità il Duca non aveva nulla dell'aristocratica severità propria dei nobili inglesi, ma indossava un abito da modesto borghese. Parevano meglio vestiti i suoi domestici.
Si strinsero tosto cordialmente la mano, scambiandosi parole di saluto. Il Santo chiese scusa dell'equivoco. Conversarono quindi alcuni minuti insieme con grande consolazione del gentiluomo, venuto là in incognito per formarsi subito un concetto di Don Bosco.
Prima di procedere oltre, premettiamo qualche notizia che serva di compimento alle altre già date nel volume quindicesimo . Sua Altezza il Duca Enrico Fitzalan-Howard, quindicesimo Duca di Norfolk, conte di Arundel, Surrey e Norfolk, conte maresciallo d'Inghilterra, cavaliere della Giarrettiera, primo duca e conte del regno e però membro della Camera dei Pari, era tino dei capi più influenti della comunità cattolica nella Gran Brettagna. Con mirabile coscienziosità aveva conservato il deposito della fede cattolica ereditato dagli avi fin da tempo di Enrico VIII. Contava allora trentotto anni. Nel 1877 aveva sposato lady Flora Abney-Hasting dei baroni di Donnington. Entrambi si mostravano ferventi servitori della Chiesa Romana. Possessori d'immensa fortuna, impiegavano gran parte delle loro entrate in opere buone, a sostener monasteri e a favorire la propaganda cattolica.
   La loro unione però non fu felice riguardo alla prole; poichè ebbero solamente un figlio cieco dalla nascita e tocco da un’infermità       giudicata dai medici incurabile. É indicibile la desolazione dei due piissimi coniugi dinanzi a quella misera creatura, che toccava allora il quinto anno di età. Ma il suo stato fisico non era tutto. Se la morte l'avesse rapito, le ricchezze del Duca sarebbero passate, secondo la legge inglese, ad un ramo protestante, Attratti dalla fama dì santità che circondava il nome di Don Bosco, avevano deciso di visitarlo, conducendo seco il fanciullo, nella fiduciosa speranza che la sua benedizione fosse per donargli la vista e la salute. Di questa loro intenzione gli aveva già scritto in aprile la madre .
 
Mio caro D. Bosco,
 
Abbiamo finalmente deciso di venirla a vedere a Torino e rimandare così la nostra gita a Lourdes fino al prossimo autunno.
Come tempo più propizio, perchè il caldo non sarà ancora incominciato, abbiamo scelto il mese di Maggio, epperciò saremo a Torino il giorno 5 di detto mese. Favorisca adunque, sig. D. Bosco, dirci  se avremo la fortuna di trovarla in quell'epoca, chè se Ella fosse assente, inutile sarebbe il nostro viaggio. Dobbiamo poi ringraziarla tanto tanto della cortesissima lettera ch'Ella si degnò scriverci, e della promessa di tener per noi un piccolo posticino nel suo cuore. Oh quante disgrazie, quanti dolori saranno già stati depositati in questo cuore così caritatevole, a petto dei quali i nostri sono un nulla! Ed ora, Padre, le vo' dire una cosa in tutta confidenza ed è questa: lo sono di famiglia protestante (ma ora convertita) e molti dei miei antenati hanno fatto male, e male molto. Ora quando divenni madre, e madre di un fanciullo, ho supplicato il Buon Dio facendogli una quasi promessa, a mandargli qualunque male anche la morte, piuttosto che permettergli di fare un peccato. Questo voto io l'ho fatto quando stava male, e ancora senza renderne consapevole il mio marito, ed è in causa di questo ch'io alcuna volta mi trovo angustiata e tormentata da dubbi. Ad ogni modo, come Ella vede, io non debbo lamentarmi se il Buon Dio ha voluto mandare una tanta disgrazia al mio povero figlio, ma questo non toglie ch'io non ne senta tutto il peso, e che di quando in quando non trovi difficoltà a rassegnarmi al suo divin volere.
Mi rincresce di doverle scrivere in inglese, dalla sua lettera pare ch'Ella mi scambi con la madre del mio marito, la quale conosce molto bene l'italiano mentre io non -ne so parola.
Nella speranza di poterla riverire presto ed a Torino, mi creda, caro sig. D. Bosco,
 
Arundel, li 15 aprile 1885.
Serva Obbl.ma
FLORA Duchessa di NORFOLK.
 
Don Bosco ricevette questa lettera il 24 aprile, quand'era a Nizza Mare, dove gli in rinviata da Don Rua; quindi anticipò di alcuni giorni la sua partenza per Torino . Nel leggere espressioni di tanta umiltà e così lusinghiere per lui era rimasto sommamente confuso .
Ma la Duchessa, non sapendo a che attribuire il ritardo della risposta, che si aspettava più pronta, ricorse alla mediazione del signor Alberto Du Boys, il secondo biografo francese di Don Bosco. Fece pertanto scrivere in tal senso al signor Du Boys dalla badessa delle Clarisse di Londra, convento che stava sotto la protezione del Duca. Il suggerimento di rivolgersi al Du Boys le venne dalla maestra delle novizie che lo conosceva, perchè, convertita al cattolicismo da monsignor Dupanloup, aveva fatto l'abiura nella cappella dello scrittore. Questi dunque il 28 aprile scriveva a Don Bosco: “Non si tratta di soddisfare i voti e la tenerezza di un inglese, buon cristiano e di stirpe illustre. È una causa, mio Reverendissimo Padre, che Ella deve patrocinare totis viribus davanti a Maria Ausiliatrice e che la Reverenza vostra guadagnerà, come io voglio credere. Vi sarebbe, è vero, come dicono, una conclusion subsidiaire da sussumersi con la Divina Madre, cioè che, non avvenendo la guarigione del figlio primogenito, la Madonna si degnasse di accordare alla Duchessa di Norfolk la nascita di un secondo figliuolo. Riguardo agl'interessi cattolici questo secondo figlio salverebbe tutto; ma la tenerezza materna sarebbe con ciò molto mal soddisfatta”.
Abbiamo veduto come da una parte e dall'altra si fosse puntuali all'appuntamento. La visita fu fissata per la mattina del 7 maggio alle ore undici. Mancavan pochi minuti, quando quattro carrozze entravano nell'Oratorio portanti il Duca e la Duchessa con il loro figlio, il cappellano e camerieri e servi: in tutto, diciotto persone. Il piccolo cieco fu recato subito in chiesa ai piedi dell'altare maggiore; indi si salì da Don Bosco. All'affacciarsi dei Duchi sul ballatoio, la banda intonò l'inno inglese: Dio salvi la Regina. Si fermarono un tantino, facendo atto di compiacenza. Il Duca aveva detto a Don Bosco il dì innanzi: - Io starò qui, finchè Ella non  mi abbia guarito il figlio. - A cui Don Bosco con tutta semplicità: - Bene, bene! Vuol dire che io lo farò Priore della festa di Maria Ausiliatrice. - E il fanciullo, udito che era con Don Bosco, gli cercò e baciò le mani, stringendogliele e ridendo con vivacità,
mentre la madre commossa esclamava: - In vita sua non l'ho mai visto fare così. Neppure quando va in braccio a suo padre, fa tante feste.
La mattina dell'8 assistettero tutti alla Messa di Don Bosco nella sua cappellina; quindi i Signori presero con lui il caffè. Essi guardavano ammirati tanta moltitudine di giovani; ma più d'ogni altra cosa li attraeva Don Bosco col suo fare e con la sua parola. Mattina e sera venivano al santuario, edificando con la loro pietà gli astanti. Partirono il 10 per Firenze e per Roma . - Venire in Italia e non andare a Roma, diceva il Duca, è come per un italiano andare a Roma e non vedere il Papa.
Partirono per ritornare. Don Bosco li avrebbe voluti a Valdocco per il 2 giugno, festa di Maria Ausiliatrice; ma essi, non potendo restare fino a quel giorno in Italia, vennero di nuovo a fare le loro divozioni il 24 maggio. Dicemmo già come quella mattina Don Bosco celebrasse all'altare di San Pietro; orbene i Duchi ne ascoltarono la Messa prendendo posto entro la balaustra e si comunicarono con gran fervore. Assolti in preghiera durante il ringraziamento, non s'avvidero di un prodigio operatosi dinanzi a loro. Vive tuttora il chierichetto che serviva alla Messa e che ne fu testimonio oculare e oculato; poichè frequentava già la quarta ginnasiale. Egli è il sacerdote Giuseppe Grossani, parroco a Moncucco di Vernate nell'archidiocesi milanese. Tal ricordo lo riempie ogni volta di santo entusiasmo.
Come si suol fare quando alcune persone si debbono comunicare infra Missam a un altare, dove il tabernacolo non alberga l'Ospite divino, fu posta là sulla mensa una piccola pisside con appena tante particole che bastassero a comunicare i Duchi e il seguito; non erano più di una ventina. Il Santo le consacrò. Venuto il momento della comunione, i divoti che numerosi riempivano lo spazio fuori della balaustra e i banchi vicini, appena videro che il celebrante, quel celebrante, comunicati i Signori, dava la comunione anche alla loro gente che via via saliva e s'inginocchiava sulla predella, fecero ressa per riceverla essi pure. Il chierico e il prefetto di sacrestia cercarono bene di persuadere gli accorrenti che le particole scarseggiavano e che bisognava lasciare per gl'Inglesi quelle che c'erano; ma fu un parlare al vento, perchè nessuno voleva dar retta. Sembrava troppo gran ventura poter essere comunicati da Don Bosco. E Don Bosco, notando quell'affannarsi per rimuovere gli estranei, disse all'inserviente: - Lascia fare.
- Ma le particole sono contate! Vuole che ne faccia portare dall'altar maggiore? domandò il giovane.
- Lascia, lascia! ripetè egli.
Il chierico non osò più insistere, ma intanto contemplava con crescente stupore un vero miracolo di moltiplicazione; poichè Don Bosco senza spezzare nemmeno un'ostia comunicava a decine i fedeli. Oggi Don Grossani afferma con asseveranza che i comunicati superarono i duecento. Gl'Inglesi non se n'avvidero, non se n'avvidero gl'Italiani, e il nostro parroco non sa spiegarsi come al suo tante volte ripetuto racconto nessuno finora abbia mostrato di dar peso. É questa infatti la prima narrazione stampata dell'avvenimento.
I pellegrini britannici lasciarono Torino il 25. Don Bosco il 26 scriveva al suo conte Colle: “ Sono stati tutti assai lieti del loro soggiorno fra noi e del miglioramento riscontrato nel fanciullo infermo ”. Invero, oltre al già detto intorno alla prima visita, Don Bosco la sera del 23 aveva ottenuto che il bambino facesse alcuni passi, la qual cosa per l'addietro non era stata mai possibile. Anche Don Viglietti riferisce nel diario del 28: “ Don Bosco mi dice che il Duca di Norfolk gli scrive contento, perchè trovano il fanciullo migliorato. Ma egli dichiara che lascia le cose nelle mani di Dio. Si tratta non di guarire in lui, ma di creare la mente e la vista che non ha ”. Il medesimo Don Bosco disse poi ai Superiori avergli il Duca lasciato di che far stare allegri i giovani a nome suo. Il segretario scrive di diecimila lire date da lui in elemosina prima di partire.
Alcuni giornali, specialmente la Nazione di Firenze, parlarono della sua gita in quella città e poi dell'andata a Roma; nessuno però disse il vero della sua venuta e fermata a Torino. Ciò fece l'Unità Cattolica dei 27 maggio. Spiccheremo dal suo articolo alcuni particolari: “ Con nostra ammirazione ed altrui, leggiamo ivi, il Duca e la Duchessa con tutto il seguito di diciotto persone s'accostarono più volte ai santi Sacramenti nel santuario di Maria Ausiliatrice, prendendo parte a tutte le varie altre funzioni pel mese di Maria, che colà avevano luogo sia al mattino sia alla sera. Il primo dì poi della novena (24) si può dire che il Duca lo passò tutto in quella chiesa e nella casa annessa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, ove abita il venerando Don Bosco. Dire della sua venerazione verso l'uomo di Dio è impossibile: pareva non potesse allontanarsene; come anche dell'affetto che egli ed i suoi sentirono per le svariate opere di beneficenza, a cui pose mano il nostro carissimo Don Bosco. Generoso e uomo pratico sopra tutto, il Duca, quando visitò l'Oratorio, non dimenticò nulla: volle recarsi nel refettorio, cucina, laboratori, panatteria, ecc. Gradì tutto ciò che Don Bosco ed i suoi figli cercarono di fare per rendere lieta la sua visita. Commosse il suo cuore di suddito fedele dell'Inghilterra quando sentì da quei giovanetti suonare con la banda l'inno nazionale. Visibilmente commosso, plaudì e ringraziò Don Bosco pel gentile pensiero, e disse che mai aveva in sua vita sentito quell'inno con maggior soddisfazione ”.
Anche il settimanale cattolico di Prato nel numero del 30 maggio scriveva tra l'altro: “ Era poi ammirabile la Duchessa che veramente di lacrime atteggiata e di dolore pareva far violenza alla Regina dei mesti perchè avesse compassione del suo misero stato. Seppi che non era solo apparenza ma realtà, la loro religione. Più volte in quel tempio si accostarono con tutta la famiglia ai santi sacramenti; e tranne la rapida corsa fatta a Roma, nei quindici giorni che furono a Torino, i loro passi erano sempre diretti alla chiesa di Maria Ausiliatrice. Oh se la Vergine ascoltasse la loro supplica, che scossa all'eresia in Inghilterra! ”.
Dopo, fino al 1887, nulla più è a nostra conoscenza di relazioni corse fra Don Bosco e il Duca di Norfolk. Il 23 maggio di quell'anno il Duca, recandosi a Roma, fece a Torino una fermata per vedere Don Bosco. Lo visitò nell'Oratorio, ebbe con lui un lungo colloquio e rimase a pranzo con i Superiori.
É del medesimo anno la notizia d'un fatto che ha del portento riguardante la famiglia del Duca. L'ha comunicata il gesuita Cirillo Martindale nell'anno della canonizzazione a Don Enea Tozzi, ispettore salesiano d'Inghilterra. Si sapeva che il venerando Padre era molto affezionato a Don Bosco; infatti Don Tozzi pensò a lui per avere un inno da eseguirsi nelle feste in onore del nuovo Santo, ed egli lo compose; indi gli chiese che volesse dire come mai la stia famiglia nutrisse per Don Bosco tanta simpatia. La cosa destava tanto maggior meraviglia a motivo della circostanza, che Lord Martindale è ancora protestante e il padre Cirillo, suo figlio, è un convertito. Ed ecco il racconto che questi fece.
La Duchessa di Newcastle, lontana parente del suo genitore e amica dei Norfolk, erasi recata a Lourdes per implorare la tanto sospirata guarigione del loro bambino. Donna punto facile alle emozioni nè dotata di fervida fantasia, le accadde là un fenomeno, per cui temette di essere allucinata. Mentre pregava alla grotta, le parve di sentire una voce che a lei dicesse: - Prega per la madre, non pregare per il figlio. - Si volse in giro a fine di accertarsi se mai vi fossero persone là da presso che conversassero insieme; ma non c'era anima viva. Di lì a pochi istanti le si ripeterono dentro quelle stesse parole; onde rimase un po' impressionata, e l'impressione la accompagnò fino a Torino, ove andò con il medesimo intendimento per visitare Don Bosco. Qui giunta, ottenne udienza dal Santo. Al suo entrare in camera egli scriveva e continuò a scrivere senza badare alla visitatrice, che non si sapeva dar ragione d'una simile attitudine in un sacerdote da lei tanto stimato. Alla fine Don Bosco, deposta con tutta calma la penna e rivolto alla Duchessa, le disse ex abrupto e in tono pacato: - Preghi per la madre, non preghi per il figlio. Proprio come a Lourdes! Impensierita, la Signora pregò nella chiesa di Maria Ausiliatrice come le era stato raccomandato, e ritornata che fu a Londra, la sua amica Duchessa di Norfolk entro quattro giorni moriva. Di qui ebbe origine presso gli anglicani Martindale l'affezione per Don Bosco e l'attaccamento alla sua memoria.
Nell'anno stesso di questa morte Don Bosco aperse la casa di Battersea a Londra, corre si vedrà a suo luogo, e in novembre mandò ivi due salesiani inglesi, ai quali diede una lettera di presentazione e di raccomandazione per il Duca di Norfolk.
 
Altezza,
 
Allorchè Vostra Altezza onorava l'umile nostro ospizio colla sua presenza, la pia e compianta Signora Contessa di Lei moglie vedeva con piacere i giovani di questa casa a praticare la cristiana religione, ed espresse il piacere che avrebbe provato se un ospizio al nostro di Torino somigliante avesse potuto vedere nella città di Londra, dove sono tanti giovanetti poveri, abbandonati e pericolanti, specialmente nella loro educazione religiosa. A quell'epoca non avevamo qui il personale sufficiente; presentemente ci sarebbe, anzi sarei disposto a tentare questa fondazione, ed è già incominciata con una chiesa in Battersea.
Per ora comincerebbero a recarsi colà non meno di cinque Salesiani ed altri seguiranno da poi se sarà mestieri. Certamente un'opera di questo genere dimanda coraggio, specialmente nella grande città di Londra. Ma Dio che ci aiutò in altre fondazioni ci verrà anche in aiuto in questa che spera l'appoggio di Vostra Altezza. Questa chiesa è già stata provveduta di alcune suppellettili da alcuni caritatevoli cittadini; ma pei sacerdoti maestri, di loro abitazione c'è ancora niente. Ed è per questi primi bisogni che io domando a vostra Altezza aiuto e consiglio. Il nostro Sacerdote Macey e D, Edoardo Patrizio Mac-Kiernan si prendono la libertà di portare personalmente i miei omaggi e intendere personalmente i suoi saggi suggerimenti. Noi qui ricordiamo con piacere la sua venuta tra noi ed ogni giorno facciamo speciali preghiere affinchè Iddio spanda copiose le sue benedizioni sopra di lei, e tutta la sua famiglia e specialmente sopra quel prezioso rampollo che forma tuttora l'oggetto delle nostre preghiere e delle comuni sollecitudini.
Col massimo rispetto e colla massima venerazione ho l'alto onore di potermi con gratitudine professare D. V. Altezza
 
Torino, 13 Novembre 1887.
 
Umilissimo Servitore
Sac. GIO. BOSCO.
 
Di un'altra lettera esiste copia nei nostri archivi, scritta in francese, due settimane prima che il Santo passasse all'eternità. Erano i giorni, in cui i cuori concepivano belle speranze, perchè la sua malattia non solo aveva una sosta, ma dava luogo a uno straordinario miglioramento. Il 7 gennaio Don Viglietti notava che egli era “ quasi capace di alzarsi, scrivere, lavorare ”. Non è guari verosimile che Don Bosco l'abbia scritta di suo pugno, sebbene la frase tra parentesi ricorra esclusivamente nelle lettere sue. Diceva dunque al Duca il 13 gennaio 1888: “Eccomi a darle mie notizie. Sono sempre a letto, le mie condizioni di salute sono sempre incostanti e non so quando mi potrò alzare. Sia fatta la volontà di Dio! Una cosa mi turba molto in questo momento: le passività della chiesa del Sacro Cuore a Roma. Da dieci anni indirizziamo lì i nostri sforzi, eppure rimangono ancora da pagare 250 mila franchi e io sono in questi giorni medesimi sollecitato al pagamento. Ecco uno de' miei più grandi fastidi. Se Vostra Altezza mi può venire in aiuto nella misura che la sua carità e le circostanze le possono suggerire, sarebbe per me un gran sollievo ed Ella farebbe un'opera vantaggiosissima alla nostra povera Società Salesiana e a tutta la Chiesa universale e quindi graditissima a Dio e al suo Vicario in terra il Santissimo Padre, che ci ha affidato direttamente questa opera del Sacro Cuore a Roma. I nostri poveri orfanelli (più di 250 mila) pregheranno sempre con me per la di Lei felicità spirituale, temporale ed eterna. Dio La benedica e la consoli Signor Duca, e La ricompensi degnamente di tutto il bene che vorrà fare per le Opere Salesiane ” . Fino agli estremi giorni della vita lo travagliò il tormentoso pensiero della chiesa del Sacro Cuore!
La lettera porta l'indirizzo di Roma. Là infatti si trovava il Duca. L'anno 1888 si aperse con mondiali dimostrazioni a Leone XIII, che celebrava il suo giubileo d'oro episcopale. Solenni ambascerie da Sovrani e Capi di Stato erano inviate al Vaticano per rendere omaggio e presentare ricchi e svariati donativi al Papa. Anche la Regina Vittoria d'Inghilterra vi deputò una brillante missione composta di nobili personaggi e con alla testa il Duca di Norfolk. Sua Altezza, passando per Torino, sostò all'Oratorio, visitò il Santo sul letto del suo dolore e stette per circa una mezz'ora inginocchiato sul pavimento accanto al suo capezzale. La lettera surriferita richiamava al Duca tale visita. Il grande infermo gli affidò alcune commissioni per il Santo Padre e gli chiese notizie della nuova casa di Londra. Un desiderio gli espresse calorosamente il Duca, che quella casa si modellasse sull'Oratorio. Si parlò pure della sua patria e delle Missioni cinesi. Don Bosco aggiunse qualche cosa sull'Irlanda. Finalmente l'umile Signore volle la sua benedizione, pensando senza dubbio che era l'ultima benedizione di un Santo morente.
Il figliuolino, oggetto di tante sollecitudini, non guarì. Nel 1904 il padre contrasse un secondo matrimonio con la baronessa di Herries, che nel 1908 gli diè l'attuale erede Bernardo di Norfolk. Egli si spegneva serenamente a settant'anni nel 1917. In una sua lettera al salesiano Don Eugenio Rabagliati, che trascorse la massima parte della vita in Inghilterra, il cristianissimo Signore diceva che, se Don Bosco non gli aveva guarito il figlio, avevagli però detto cose di tale conforto da valere più ancora di quella guarigione .
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