All'Ospedale di S. Giovanni. - Una peccatrice ostinata e sua conversione per opera di D. Bosco - Un peccato taciuto, in gioventù e confessato in punto di morte - D. Bosco predice ad una dama in confessione un pericolo imminente, avvertendola di scongiurarlo coll'invocazione dell'Angelo Custode.
del 20 ottobre 2006
 
 
 
 
 
 
Nell’esercizio del sacro ministero accaddero a D. Bosco vari fatti veramente sorprendenti, che meritano di essere almeno accennati. Li esporremo man mano che ci avanziamo nella storia della sua vita. Frattanto però non possiamo fare a meno di raccontarne alcuni.
Nel 1844 si trovava ricoverata nell'Ospedale di S. Giovanni una povera donna tisica, all'ultimo stadio della sua malattia. La sua vita era stata deplorevole, e si temeva finisse con una morte disperata. Invischiata in mille tresche, rea di colpe enormi, imbrogliata per danni recati al prossimo nelle sostanze, da molti anni non si era pi√π accostata ai SS. Sacramenti. Resisteva infuriata al Rettore dell'Ospedale, ai cappellani, alle monache e a quanti cercavano di persuaderla a confessarsi. Lo stesso D. Cafasso era stato respinto da quella forsennata, che aveagli lanciato contro un vaso.
Il santo sacerdote però avendo saputo dai medici come all'infelice restassero più pochi giorni da vivere, e rincrescendogli che andasse all'eternità in quello stato, ritornato al Convitto disse a D. Bosco: - Andate voi! - D. Bosco andò. Entrato nella corsia, si avanzò lentamente, fermandosi prima a parlare colle inferme da una parte attigue al letto di quella che era lo scopo della sua visita. A costei non rivolse uno sguardo, non disse una parola. Quindi passò oltre senza fermarsi, e si intrattenne con un'inferma coricata dall'altro lato. La povera tisica seguiva cogli occhi il prete, e vedendo che non si fermava presso di lei, che non le indirizzava parola, anzi che neppure la guardava: - E da me non viene? - disse.
 - Oh sì, volentieri! - rispose D. Bosco; e prese una sedia, si assise vicino a quel letto e poi: - Ebbene?
 - Mi dica qualche bella parola.
 - Vi è una parola che voglio dirvi.
 - E quale?
 - Confessione!
 - Confessione! È già molto tempo che non mi sono confessata.
 - Dunque confessatevi adesso.
 - Stamane, veda, è venuto un altro prete che voleva confessarmi, ma l'ho trattato male e l'ho fatto andar via.
 -  Non parliamo di questo. Adesso pensate ad aggiustare le cose della vostra coscienza. - E incominciò: Deus sit in corde tuo.
 - Ma ora io non sono preparata a confessarmi.
 - Apposta perchè non siete preparata, io vi ho data la benedizione, affinchè vi prepariate.
 - Ma adesso, io non mi sento: quando sarò guarita andrò a confessarmi in qualche chiesa di Torino: ovvero appena io possa, mi recherò a fare le mie devozioni qui nella cappella dell'Ospedale.
 - E voi credete di poter ancora guarire?
 - Ma ora mi sento meglio.
 - Vi sembra, ma non è.
 - Come?
 - Volete che io vi dica una parola a nome dei medici o a nome di Dio?
 - No a nome dei medici; piuttosto a nome di Dio.
 - A nome di Dio vi dico, che Egli nella sua misericordia vi concede ancora poche ore, perchè possiate pensare all'anima vostra. Ora sono le quattro pomeridiane e avete ancora tempo a confessarvi, a comunicarvi, a ricevere l'Olio santo e la benedizione papale. Non c'è più da lusingarsi. Domani voi sarete all'eternità.
 - Davvero? Ma non è possibile!
 - Vi ho detto che non vi parlo a nome degli uomini, ma a nome di Dio.
 - Eternità!... eternità!... Oh che parola!... mi fa paura!
 - Dunque incominciamo ed io vi aiuterò.
 - Ma quel prete che ho insultato! mi cagiona dispiacere pensare alle mie furiose maniere.
 - Non dubitate, state tranquilla: io lo conosco quel prete, e basta. Lasciate a me ogni fastidio di ciò.
Così la poveretta si confessò e in quella stessa notte moriva.
Un giorno D. Bosco giungeva in una città, dove avendo saputo essere infermo un suo amico di età molto avanzata, si affrettò a fargli visita, guidato da un presentimento che rendevalo inquieto. Quel signore aveva consumati i suoi ottant'anni in servizio di Dio ed in opere di carità, sicchè tutti lo tenevano in concetto di santo. Costui amava molta D. Bosco, che aveva conosciuto studente. Giunto pertanto D. Bosco a casa di costui, seppe con vivo dispiacere da quelli della famiglia, trovarsi agli estremi, e aver già ricevuto tutti i Sacramenti e la benedizione papale. Chiese di poterlo vedere, ma gli risposero che il medico aveva proibito l'ingresso a qualunque visitatore. Insistette, ma ebbe per risposta trovarsi l'ammalato fuori dei sensi e quindi essere cosa inutile visitarlo. Tuttavia D. Bosco non sapeva darsi pace, e ricordando l'antica famigliarità, seppe dir così bene le sue ragioni, che alla fine fu introdotto e lasciato solo. D. Bosco si avvicinò al letto e chiamò per nome il morente. La sua voce produsse un effetto magico. L'infermo si scosse, aperse gli occhi, lo fissò e rinvenne in sè. - Oh sei tu! Bosco!
 - Seppi della vostra malattia, e trovandomi qui di passaggio, non ho potuto trattenermi dal farvi una visita
 - Grazie, grazie!
 - E come state?
 - Male, molto male.
 - Mi hanno detto che avete già ricevuti i Sacramenti!
 - Sì, li ho ricevuti! Ma dicendo queste parole tremavagli la voce e la sua faccia svelava un turbamento profondo.
 - Ringraziamo adunque il Signore, proseguì D. Bosco, e state tranquillo, poichè sono aggiustate le cose della vostra anima. Dopo una vita impiegata tutta nella gloria di Dio e per il bene degli altri potete essere contento.
Il povero vecchio mandò un profondo respiro che pareva un gemito, girò lo sguardo attorno e disse: - Bosco!
 - Ebbene?
 - C'è nessuno nella camera?
 - Nessuno. Siamo soli. - Così credeva D. Bosco, ma così non era. Dietro una tendina stava una persona, che non aveva fatto, a tempo a ritirarsi, e non volendo farsi scorgere, non si mosse; e quarant'anni dopo raccontava il fatto senza indicare nomi nè di persone nè di luoghi.
Il vecchio ripigliò: - Dimmi, hai già preso l'esame di confessione?
 - L'ho già preso, ma in questi momenti qualunque prete può assolvere, eziandio se non avesse ancora la confessione.
 - Ah Bosco! ho da farti una confidenza; compatiscimi; perdona alla mia debolezza, non rimproverarmi... debbo svelarti un segreto.
 - Parlate pure; sapete quanto io vi ami.
 - Or bene: da giovanetto ebbi la disgrazia di cadere in un peccato mortale e da quel momento ne ebbi tanto rossore, che non osai mai confessarlo. Tutte le mie comunioni, anche la prima, furon sacrileghe. Temeva che il confessore mi perdesse la stima.
 - E adesso nell'ultima confessione avete palesato tutto?
 - Ho taciuto! Aiutami tu.
 - Sì, volentieri, e abbiate confidenza piena nel Signore, che è tanto buono ed è morto per voi.
Il vecchio si confessò, coi sensi del più profondo dolore. D. Bosco lo assolse. Appena ricevuta l'assoluzione, alzò gli occhi al cielo, e sollevò le braccia esclamando: - Sia benedetta in eterno l'infinita misericordia di Dio! - Ciò detto, le sue braccia ricaddero sul letto. Era spirato.
Il giorno 31 agosto 1844 una ricca signora, moglie dell'Ambasciatore del Portogallo, doveva da Torino recarsi nella città di Chieri per assestare alcuni affari. Essendo fervente cattolica, desiderava prima aggiustare le cose dell'anima sua. Al mattino entrò pertanto nella chiesa di S. Francesco d'Assisi. Essa non conosceva Don Bosco, e neppure D. Bosco non erasi mai incontrato con lei, nè poteva conoscerla per quella che ella era, tanto più che vestiva molto dimessamente. La signora, non essendo ivi il suo confessore ordinario, visto presso un confessionale un giovane prete inginocchiato che pregava con aria molto raccolta e devota, si sentì spinta a confessarsi da lui. D. Bosco l'udì, quindi assegnolle la penitenza consistente, pare, in una piccola elemosina da farsi in determinate circostanze di quello stesso giorno.
 - Padre, non posso farla, rispose la signora.
 - Come? Lei non può farla, mentre possiede tante ricchezze?
La signora rimase sbalordita nel capire come D. Bosco avesse conosciuta la sua posizione sociale, mentre era certa di non esserglisi mai data in nessun modo e in nessun'altra circostanza a conoscere. Intanto rispondeva: - Padre, non posso farla questa penitenza, perchè oggi debbo andar via da Torino.
 - Ebbene, allora faccia quest'altra: preghi con tre Angele Dei il suo Angelo Custode che l'assista, la preservi da ogni male, sicchè non abbia a spaventarsi nel fatto che oggi le accadrà.
La signora restò ancor più colpita da questa parola, accettò il suggerimento molto volentieri, e ritornata a casa, recitò quella preghiera unitamente alla sua gente di servizio, riponendo nelle mani del suo Angelo tutelare l'esito felice del viaggio. Salita in vettura con sua figlia e con una cameriera, dopo lungo tratto di strada, percorso a gran carriera, all'improvviso i cavalli si adombrano, e quindi si slanciano ad una corsa disordinata. Invano il cocchiere stringe a sè le briglie, ma essi non sentono più il morso. Mentre le signore mandavano alte grida ed erasi aperto uno sportello della vettura, le ruote urtano in un mucchio di ghiaia, la vettura ribalta, riversa quanti vi sono dentro, e si frantuma lo sportello già aperto. Il cocchiere è sbalzato di cassetta, le viaggiatrici sono nel più grave pericolo di rimanere schiacciate, la signora striscia col capo e colle mani per terra, ed i cavalli continuano a correre precipitosamente. Tutto ciò accadde in men che si dica. La signora, non isperando più altro soccorso che quello dell'Angelo Custode, gridò con quanto aveva di voce l'invocazione: Angele Dei, qui custos es mei ecc. Bastò questo per salvarle. Di botto gli smaniosi cavalli divengono calmi e si arrestano. Il cocchiere rialzatosi incolume li raggiunge, e gente accorre a sollevare i caduti. La signora uscita, senza saper come, dalla vettura insieme colla figlia, rimane tranquilla e senza ombra di spavento. Ambedue si rassettano nella persona il meglio che possono. L'una mira l'altra e vedono con istupore che nessuna ha sofferto il menomo male. Unanimi erompono allora in queste voci: - Viva Iddio e l'Angelo Custode che ci ha salvati! La signora coi suo seguito continua il cammino, mentre il cocchiere rialzava la carrozza, ed aveva ancora forza di fare più ore di strada a piedi e ridursi felicemente alla sua casa di Chieri.
Non è a dirsi quale concetto siasi formato allora la buona signora di quel giovane prete, che così opportunamente aveala consigliata a raccomandarsi all'Angelo Custode. Ardeva pel desiderio di ritornare presto a Torino e sapere chi egli fosse. Venuta a S. Francesco d'Assisi, domandò in sagrestia chi in quel tempo ascoltasse le confessioni nel confessionale che essa indicava. Saputo che era D. Giovanni Bosco, andò a lui ringraziandolo del salutare avviso. Da quel punto divenne sua ammiratrice, e con tutti ne ripeteva i meriti e gli elogi. E D. Bosco di lei si valse, quando si, trattò di soccorrere D. Carlo Palazzolo, che si trovava in grandi strettezze e desiderava una vita tutta data al sacro ministero e più confacente alla sua età già matura. Ella divenne una zelante benefattrice dell'Oratorio. Suo dono è la piccola urna di cristallo posta ancora oggi giorno sullo scrigno, nella camera di D. Bosco, contenente la statuetta in cera di S. Filippo Neri vestita degli abiti sacri, similitudine del corpo di questo Santo venerato in Roma, a Santa Maria in Vallicella.
Tutte le circostanze del fatto suesposto ci vennero raccontate da uno scritto di questa stessa buona signora, dalla signora Teresa Martano di Chieri sua cameriera e da Don Michele Rua.
 
 
 
 
  
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