Come si arrivò al processo ordinario.
del 12 dicembre 2006
Da ventiquattro ore appena i resti mortali di Don Bosco riposavano nella pace della cripta di Valsalice,  quando nell'Oratorio il Capitolo Superiore, adunatosi sotto la presidenza di Don Rua, prese a occu­parsi dell'eventualità di dover presto promuovere la Causa di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio. La fama di santità che l'aveva largamente circondato in vita, dava corpo ognor più consistente alla diffusa opinione che senza dubbio e senza indugio la Chiesa l'avrebbe innalzato agli onori degli altari; anzi autorevolissimi Prelati non solo si mo­stravano del medesimo parere, ma sollecitavano i Superiori della Congregazione ad affrettare i preparativi per il giorno non lontano, in cui fossero da cominciare i processi. Mosso da queste considerazioni il Direttore spirituale D. Bonetti prospettò ai Capitolari il caso, leggendo loro per intanto due decreti emanati da Urbano VIII sulla procedura da seguire riguardo ai fedeli morti in fama di santità. Lo scopo era di prenderne esatta conoscenza a fine d'evitare tempestivamente che si facesse o si lasciasse fare alcun che contro le disposi­zioni ivi contenute. Si stabilì dunque di farne norma di condotta, sicchè qualora piacesse a Dio di glorificare su questa terra il santo fondatore, nulla sorgesse a ostacolare o a in­tralciare l'andamento della Causa. La precauzione più urgente doveva essere di escludere dovunque atti che mirassero a favorire il culto del Servo di Dio.
Il giorno dopo questa seduta Don Rua annunciò al Capitolo che il cardinale Parocchi, vicario di Sua Santità e protettore dei Salesiani, consigliava di fare senz'altro pratiche presso l'Arcivescovo di Torino, perchè si desse principio agli atti preparatorii del processo. Con la stessa data dell'8 febbraio Don Rua in una circolare ai Direttori disponeva i suffragi, che da tutte le case si dovevano fare una volta tanto od anche in ogni anniversario; il che non gl'impediva di soggiungere per gli anniversari la clausola: <<Finchè, come speriamo, la Chiesa pronuncerà il suo infallibile giudizio, dichiarandolo Venerabile>>.
Recatosi poi a Roma il 9 dello stesso mese, il cardinale Parocchi lo indirizzò a Monsignor Caprara, promotore della fede presso la Sacra Congregazione dei Riti, affinchè da lui avesse schiarimenti precisi sul modo d'impostare la causa. Il Prelato nel 1887, indicando a un suo amico Don Bosco, aveva detto: - Ecco là uno del quale si farà la causa, e a me toccherà di fare l'avvocato del diavolo. - Allora probabilmente non immaginava che il pronostico fosse così prossimo all'avveramento. Egli con vero interesse fornì a Don Rua particolari istruzioni su tutto, esibendosi per qualunque bisogno anche in seguito. Le norme ricevute giovarono grandemente a Don Rua, che in affare di tanta novità per lui non avrebbe potuto trovare direttive più sicure. Monsignore insistette molto sull'opportunità di raccogliere il maggior numero di dati intorno a miracoli e grazie ottenuti dopo la morte del Servo di Dio e di corredarli con tutti i migliori documenti possibili . Il Cardinale infine gli raccomandò caldamente di mettere presto in iscritto quanto riguardava la vita di Don Bosco. Nell'udienza di congedo le sue ultime parole furono: - Le raccomando la Causa di Don Bosco.
Ritornato che fu, Don Rua fece relazione al Capitolo di quanto aveva udito a Roma; onde su proposta di Don Durando venne affidato a Don Bonetti l'incarico di redigere con l'aiuto di Don Berto un riassunto dei fatti e delle virtù di Don Bosco, invitando a riferire tutti coloro che avessero notizie importanti da comunicare. Per agevolare la ricerca si decise di spedire alle case una circolare, con cui richiedere che ogni Salesiano dicesse tutte le cose di cui fosse stato testimonio, e di pubblicare sul Bollettino un avviso per pregare quanti avessero autografi, a inviare o gli originali o copie autenticate. Invece di scrivere una circolare apposita ai Confratelli Don Rua nella sua prima lettera di Rettor Maggiore li esortò caldamente a scrivere e a mandare tutto quello che sapessero di particolare sui fatti della vita di Don Bosco, sulle sue virtù teologali, cardinali e morali, su doni suoi soprannaturali, su guarigioni o profezie o visioni e simili. Metteva però sull'avviso i relatori, ricordando loro che potevano essere poi chiamati a confermare con giuramento le cose riferite; usassero quindi la massima fedeltà ed esattezza .
Intanto non passava quasi giorno che non pervenissero a Torino relazioni di grazie e di guarigioni straordinarie, ottenutesi dai divoti con preghiere fatte a Don Bosco o per contatto di oggetti a lui appartenuti. Era poi sorprendente il plebiscito mondiale proclamante la santità del Servo di Dio, nè poche erano le insistenze di personaggi anche molto ragguardevoli, perchè non s'indugiasse a intraprendere la causa della sua beatificazione. Dinanzi a un complesso così imponente di circostanze Don Rua stimò di dover agire.
  Le Cause di beatificazione hanno due fasi distinte, che si svolgono in due tempi successivi. La prima parte incombe alla diocesi, dove il Servo di Dio ha consumato il corso della sua vita, ed è preparazione alla seconda, che viene trattata a Roma dinanzi alla Sacra Congregazione dei Riti. In un primo periodo della prima fase si ha il processo che si dice ordinario o diocesano o informativo; in un secondo periodo ha luogo un nuovo processo, detto apostolico. La differenza sostanziale fra i due processi è che uno si apre e si svolge per mandato e autorità dell'Ordinario diocesano, l'altro per delegazione della Santa Sede. Ora, poichè il Vescovo è il giudice ordinario nella sua diocesi, a lui bisogna avanzare l'istanza d'introduzione della Causa, ed egli giudica anzitutto se la Causa voluta abbia o no buon fondamento. A tenore delle norme indirizzate agli Ordinari il 12 marzo 1631 dalla Sacra Congregazione dei Riti per ordine di Urbano VIII, il favorevole giudizio del Vescovo dipende principalmente dalla condizione, che il Servo di Dio appaia circondato dalla fama di santità, massime se confermata da miracoli.
Il primo passo dunque da fare consisteva nel presentare all'Arcivescovo di Torino una petizione, affinchè si degnasse di ordinare il cominciamento del processo diocesano. Tale petizione, a tenore del Diritto Canonico, può partire da qualunque fedele, da qualunque istituto religioso, capitolo, diocesi o comunità. Benchè l'Arcivescovo avesse facoltà di decidere indipendentemente da altri, tuttavia Don Rua credette di agevolare il cammino assicurandosi anzitutto l'appoggio degli Ordinari diocesani del Piemonte e della Liguria, come quelli che di Don Bosco avevano una più diretta conoscenza. Quindi il 16 luglio 1889 spedì loro una lettera comune, pregandoli di manifestare a lui o all'Arcivescovo il proprio avviso. Accludeva insieme copia dell'istanza  che intendeva di umiliare al cardinale Alimonda, non appena venisse il momento opportuno. Si dichiarava pronto a inserire nella supplica quelle modificazioni o aggiunte che piacesse alle Eccellenze Loro di suggerire. Egli terminava così: “ Confido che la E. V. per la grata memoria che conserva del compianto nostro Don Bosco, per il benefico influsso che le sue opere di carità e di zelo esercitarono anche in cotesta Diocesi, e specialmente pel vivo desiderio che ha di propagare la gloria di Dio e la edificazione dei fedeli, cooperando all'onore di questo suo Servo, vorrà essermi largo de' suoi consigli e del suo aiuto e fin d'ora ne la ringrazio cordialmente ”.
Nella stessa lettera Don Rua aveva accennato a guarigioni che, umanamente parlando, portavano il carattere del miracolo. Un mese dopo, cioè il 16 agosto, ne presentò a ogni Vescovo alcune più attendibili, riservandosi di produrne ancora altre ai giudici delegandi sull'eventuale processo diocesano, affinchè fossero da quelli raccolte nella forma giuridica, come elementi giovevoli alla Causa, quando fosse da introdursi a Roma.
Non di tutte le risposte conosciamo il contenuto; fra quelle che sono in nostra mano, alcune esprimono apprezzamenti degni di particolare rilievo. L'Arcivescovo di Genova, monsignor Magnasco (25 luglio): “ In questi tempi sì tristi la sua memoria è una vera gloria della Chiesa ”. Il Vescovo di Alessandria monsignor Salvay (II agosto): “Amico antico di quest'insigne mio coetaneo, dal quale fui più volte onorato di preziose visite, ed ammiratore costante della sua eminente virtù e delle sue grandiose opere di carità e di zelo, che lo facevano già da gran tempo proclamare gran Servo di Dio, anzi Santo, non posso non altamente encomiare detto proposito dei Sacerdoti Salesiani, figli fortunati di tanto Padre, e non unire di tutto cuore le mie più umili preghiere alle loro presso l'Em. V., perchè, giudicandolo opportuno, voglia, a gloria di Dio, a nuovo ornamento della Chiesa Cattolica, ed ove sia per piacere al Signore, come si spera, a glorificazione del Sac. Don Giovanni Bosco, accordare ai benemeritissimi Ricorrenti la grazia che saranno per implorare ”. Il Vescovo di Novara monsignor Riccardi (15 agosto): “ L'origine singolarmente provvidenziale delle opere create da Don Bosco; il loro rapido sviluppo, dapprima a Torino ed in Piemonte, poi in Italia ed in Europa ed anche fuori; lo spirito di carità veramente cattolica che animava Don Bosco e che egli seppe mirabilmente trasfondere in tutti i suoi cooperatori; la vita di perseverante sacrificio che egli condusse e le altre esimie doti di cui diede prove manifeste, sono argomenti validissimi per arguire il grado eminente di virtù di quell'anima privilegiata, ed ampiamente giustificano la fama di santità che lo circondava in vita, che l'accompagnò in morte e che non pure perdura ma si accrebbe dopo il suo trapasso. A me pare, che quel tal carattere di fede assoluta in Dio e d'infuocato amore del prossimo ammirato nei Santi più insigni per eroismo di carità e per apostolico zelo, siasi mostrato sempre luminoso in Don Bosco, e di Lui debba dirsi che fece un bene immenso e che lo fece nel modo in cui, siccome appare dalla loro vita, lo facevano i Santi ”. Il santo Vescovo di Susa monsignor Rosaz (22 agosto): “ Il concetto di santità in che era ed è tenuto Don Bosco, parmi d'incontestabile notorietà [ ... ]. Parmi che Don Bosco sia di quegli uomini privilegiati, che Dio suscita per opporli alle nuove forme, alle nuove manifestazioni del male, e che Egli abbia mirabilmente corrisposto alla missione commessagli da Dio verso il prossimo, ed in modo particolare verso la gioventù, traendola con zelo e sante industrie a Gesti Cristo. La sua beatificazione, che a Dio piaccia non ritardare, porrà in gloriosa luce un gran modello agli educatori, secondo l'esigenza di questi tempi, e un protettore del Clero e di tutti ”.
Incoraggiato da si autorevoli commendatizie, Don Rua, nel secondo anniversario della morte di Don Bosco, presentò all'Arcivescovo la domanda. Questa non aveva forma personale. Nella prima settimana del settembre antecedente si era tenuto a Valsalice il quinto Capitolo generale. Orbene i suoi componenti prima di separarsi approvarono e sottoscrissero una petizione redatta per ordine di Don Rua, ed era quella appunto, di cui dicevamo avere Don Rua comunicata copia ai Vescovi subalpini e liguri. Noli avendovi i Prelati trovato nulla da cambiare, il 31 gennaio 1890 fu dal medesimo Don Rua mandata all'Arcivescovo con una sua lettera di accompagnamento, nella quale si leggevano i seguenti periodi:
 
Si compie oggi l'anno secondo dalla morte del Servo di Dio Don Giovanni Bosco, ed io aderendo al consiglio di rispettabili persone giudico propizia l'occasione di presentare alla Em. V. la qui unita supplica dei principali Superiori della Congregazione di S. Francesco di Sales.
In essa si fa umile domanda alla Em. V. per la costruzione del processo diocesano sopra la vita e sopra le virt√π del prelodato Servo di Dio, e sulle guarigioni miracolose, che dopo la sua morte diconsi operate da Dio per sua intercessione.
La Em. V. tempo fa confidava come avesse intenzione di parlare di detto processo in una prossima adunanza dei Vescovi. Sarei lietissimo che le ragioni addotte in questa supplica fossero tolte ad esame in tale Consesso, perchè comunque si risolvesse poi la cosa potremmo sempre dire ai presenti e agli avvenire che la grave risoluzione fu presa a nonna della cristiana prudenza.
Alla supplica unisco per copia conforme due relazioni di guarigioni, che a fede umana sembrano miracolose, redatte da Monsignor Basilio Leto dopo aver udito personalmente i testimonii oculari, da lui stesso sottoscritte e autenticate da cotesta Curia Arcivescovile.
 
Le due guarigioni miracolose erano quelle delle torinesi signore Dellavalle e Piovano, narrate da noi nel penultimo capo del volume diciottesimo.
La supplica dei Capitolari metteva in evidenza come si verificassero nel caso le condizioni volute dalla Santa Sede, perchè si potesse procedere all'atto invocato e accennava ai motivi impellenti che spingevano ad accelerare i tempi.
 
Eminenza Reverend.ma,
 
I sottoscritti Sacerdoti della Congregazione Salesiana raccolti a Valsalice in Capitolo Generale a norma delle loro Costituzioni, colgono la propizia occasione per pregare umilmente l'Em. V. R.ma, che, usando delle facoltà dall'Apostolica Sede lasciate agli Ordinarii, voglia degnarsi di cominciare il Processo Diocesano sulla fama di santità, sulle virtù e sui miracoli del Servo di Dio Don Giovanni Bosco, morto in questa città il 31 gennaio dell'anno 1888 e qui sepolto; processo richiesto per la introduzione della causa di sua Beatificazione a Roma.
Nel domandare all'Em. V. la costruzione di questo Processo, noi ci appoggiamo specialmente alle seguenti considerazioni, delle quali l'Em. V. farà quel conto, che nella sua saviezza giudicherà nel Signore.
 
I° Il Sac. Don Giov. Bosco in tutto il corso di sua vita ha dato prove di una virtù eminente, quale Urbano VIII nella lettera circolare, fatta dalla S. Congregazione dei Riti indirizzare ai Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi in data del 12 Marzo 1631, esige, perchè gli Ordinari debbano addivenire alla composizione del Processo Diocesano (V. LAMB., De serv. Dei Beatif., lib. II, cap. 43, n. 10). Di questa virtù eminente fanno fede migliaia di persone, che lo hanno conosciuto e praticato; ne fanno fede eziandio le molte e grandi opere di religione e di carità utilissime alla Chiesa, alle quali con uno zelo veramente apostolico il Servo di Dio ha dato vita e sviluppo in tempi difficilissimi. Tali sono fra le altre la fondazione della Pia Società di S. Francesco di Sales, le Missioni Estere estese sino agli ultimi confini della terra; più di un centinaio di collegi, Ospizi ed Oratori festivi impiantati per la cristiana educazione della gioventù di ambo i sessi; migliaia di Sacerdoti dati alla Chiesa, specialmente del Piemonte, in tempi che più ne scarseggiava; tali eziandio i molti scritti da lui composti e dati alle stampe a sostegno delle verità cattoliche, nonchè le numerose cappelle e magnifiche Chiese, erette dalle fondamenta e inaugurate al divin culto; e più altre gesta private e pubbliche ben note all'Em. V. R.ma.
 
2° Il prelodato Servo di Dio era arricchito di doni soprannaturali, e lo dimostrò più volte, predicendo avvenimenti privati e pubblici, che umanamente non si potevano prevedere e che successero nel tempo e colle circostanze da lui prenunciate; lo dimostrò ancora scrutando e svelando il segreto delle coscienze, e sanando malati da vicino e da lontano col solo benedirli.
 
3° Per le sue eccellenti virtù, per le sue grandiose opere di zelo e di carità, pei suoi non ordinari carismi, godè presso il popolo gran fama di santità in vita, la quale non venne meno dopo sua morte, che anzi accrebbe vie maggiormente, come dimostrano le persone innumerevoli, che privatamente si raccomandano alla sua intercessione e le frequenti visite dei fedeli al suo sepolcro, presso il quale noi siam raccolti.
 
4° Dopo la morte del Servo di Dio molte persone afflitte per gravi disastri, oppure gravemente ammalate e dichiarate anche incurabili, essendosi raccomandate alla sua intercessione, ne ricevettero sollievo e guarigione istantaneamente o in brevissimo tempo, e domandano che le loro attestazioni siano ricevute giuridicamente.
 
5° Benedetto XIV, nell'Opera: De Servorum Dei beatificatione et Beatorum Canonizatione, nota in più luoghi l'utilità che, poste le condizioni sopra indicate, si costruisca il Processo Diocesano dum testes de visu supersunt; e segnatamente nel Decreto generale in data 23 aprile 1741, in occasione della causa del Venerabile Servo di Dio Francesco Caracciolo (ora Santo), disapprova che il Processo Ordinario per colpevole negligenza sia dilazionato sino a che  non restino più testes de visu (lib. III, cap. 30, n. 24 e 25). Ora nel caso del Sacerdote Giov. Bosco, il pericolo che i testimoni oculari vadano deperendo è evidente, perchè essendo morto nella grave età di 73 anni, i compagni e conoscenti dei primordii di sua vita ancora superstiti sono più pochi, e di qui a qualche tempo o Mancheranno affatto, oppure per vecchiaia saranno ridotti all'impossibilità di presentarsi a deporre giuridicamente.
 
6° Per le grandi e svariate opere del Servo di Dio, pei tempi difficili in cui visse, e per le questioni e contraddizioni, a cui andò anche soggetto può darsi che sorgano dubbi e incertezze nel portar giudizio sopra fatti e detti, che gli sono attribuiti. Se questi fatti e detti si prendono giuridicamente ad esame mentre sono ancora in vita i testimoni, che  vi hanno assistito o preso parte, sarà molto più facile scoprire e mettere in chiara luce la verità, facilitando in pari tempo il còmpito ai giudici futuri nel Processi apostolici.
 
7° Senza Apostolica dispensa, prima che si aprano gli atti del Processo Ordinario e si introduca la causa di Beatificazione a Roma, deve trascorrere un decennio, devono poscia intervenire lettere postulatorie dei Vescovi al Papa, deve farsi la ricerca e la revisione degli scritti attribuiti al Servo di Dio (la qual ricerca e revisione, stante i molti suoi manoscritti ancora inediti e moltissime operette già pubblicate può esigere un tempo anche lungo); quindi pare conveniente che si cominci al più presto possibile il Processo Diocesano lasciato in piena libertà dell'Ordinario, affinchè il tempo, che rimarrà dopo la sua presentazione a Roma, possa essere meglio impiegato nelle altre pratiche necessarie.
 
8° Di parecchi Servi di Dio defunti a memoria nostra con fama di santità, si cominciò poco dopo la loro morte il Processo Diocesano; così fra gli altri si praticò infatti pel Ven. Giovanni Vianney, Curato d'Ars, pel P. Bernardo Clausi e pel P. Lodovico da Casoria.
 
Noi speriamo che la Em. V. vorrà accogliere benignamente questa nostra domanda. La nostra speranza è animata dal vedere che anche i Rev.mi Vescovi del Piemonte e della Liguria, i quali furono in grado di ben conoscere le virtù eminenti e le grandi opere del Servo di Dio, sono del nostro avviso, e nutrono lo stesso desiderio, come l'Em. V. può rilevare dalle lettere che le presentiamo.
Pregando pertanto Iddio che la illumini sul da farsi, c'inchiniamo riverenti al bacio della Sacra Porpora, e siamo e saremo sempre lieti di poterci professare colla pi√π alta stima e colla pi√π profonda venerazione
Dell'Em. V. R.ma
Torino, 6 Settembre 1889.
 
Umil.mi e Obb.mi figli in G. C.
 (seguono 49 firme).
 
Il Cardinale rispose l'8 febbraio, dicendo d'aver preso in esame la supplica, facendosi dovere d'assicurare che ne avrebbe tenuto il debito conto e riservandosi di dare le disposizioni che sarebbero del caso. Egli, pur potendo fare tutto da sè, non credette di accingervisi da solo. La sua umiltà gli dettava così. D'altro canto i Superiori non si nascondevano il pericolo che qualche Vescovo, ritenendo prematura la pratica, desse parere contrario, e questo creasse difficoltà e rinvii. Il momento propizio per la consultazione si presentò tre mesi dopo. Ai primi di maggio i Vescovi delle due province ecclesiastiche di Torino e di Vercelli convennero presso il Cardinale per affari di grande rilievo. Erano in venti e tene-vano le adunanze nel palazzo arcivescovile. Il giorno 8, interpellati in piena assemblea, risposero ad unanimità essere opportuno dar principio al processo diocesano; anzi parecchi, fra i quali i monsignori Manacorda e Richelmy, fecero i piú alti elogi del Servo di Dio. Da quel punto per il Cardinale fu cosa decisa di accogliere la domanda dei Salesiani e di darle immediatamente corso.
Mentre questo accadeva a Torino, i due che all'inizio della pratica dovevano sostenere la parte principale, erano assenti da più d'un mese. Don Rua, visitate le case della Francia e quella di Londra, si trovava allora nel Belgio per porre la pietra fondamentale della casa di Liegi, accettata da Don Bosco due mesi circa prima di morire; e Don Bonetti, compiuta la visita in Sicilia, si aggirava per l'Italia centrale. Entrambi non furono di ritorno se non nell'imminenza della festa di Maria Ausiliatrice, che nel 1890 si celebrò ai 3 di giugno; ma non si perdette tempo. Alla vigilia e nel giorno della solennità, mentre dentro e fuori del santuario i fedeli a migliaia innalzavano preci e voti alla Madonna di Don Bosco, dall'Oratorio e dalla Curia si espletarono rapidamente gli atti preliminari.
Il primo atto preliminare consistette nella nomina del Postulatore, il cui ufficio è di promuovere gli atti della Causa, provvedere a tutte le spese necessarie, presentare i nomi dei testimoni da escutere e tutti i documenti riferentisi alla Causa, curare la stesura degli Articoli, sui quali i testimoni debbono essere interrogati e consegnarli al Promotore della fede. La funzione di Postulatore spettava di diritto a Don Rua, come ad attore della Causa; ma l'attore che non possa disimpegnare personalmente quella parte, ha facoltà di scegliersi uno che lo sostituisca. Egli dunque emanò mandato di procura a Don Bonetti, autorizzandolo pure a designarsi per ogni evenienza un vicepostulatore presso qualsiasi altra Curia .
Don Bonetti, in possesso della procura, procedette tosto, il giorno 3, al secondo atto preliminare, presentando all'Arcivescovo domanda formale per l'iniziamento del processo informativo . Sua Eminenza accettò l'istanza e con rescritto dello stesso giorno costituì il tribunale, intimando la prima sessione per il dì appresso. E questo fu il terzo atto preliminare.
Il tribunale risultò così formato:
 
Can. BARTOIOMEO ROETTI, Vic. gen., giudice delegato.
Can. STANISLAO GAZZELLI, giudice aggiunto.
Can. LUIGI NASI, giudice aggiunto.
Can. MICHELE, SORASIO, promotore della fede.
Teol. MAURO ROCCHETTI, attuario.
Sig. PIETRO AGHEMO, cursore.
 
Richiedendosi pure due testes instrumentarii, che con la loro firma testificassero sulla validità degli atti, furono designati monsignor Forcheri e Don Diverio.
Tutto compreso dell'importanza e gravità del negozio, Don Rua tre giorni dopo ne informava ufficialmente la Congregazione, ordinando speciali preghiere quotidiane per implorare gli aiuti del Cielo; raccomandava poi di rendere efficaci le comuni implorazioni mediante una condotta costantemente virtuosa. “ Facciamo tutti vedere, scriveva, che non siamo alunni indegni di un Maestro, del quale la Chiesa giudicò di cominciare così presto la Causa di beatificazione ”.
Alla prima sessione presiedette il Cardinale. Invocato lo Spirito Santo con la recita del Veni Creator e letta la istanza del Postulatore e il decreto dell'Ordinario che la accettava e nominava i giudici, si passò al giuramento prescritto. Giurò, per primo il Cardinale tacto pectore; quindi il delegato, gli aggiunti, il fiscale o promotore della fede, l'attuario e il cursore.
Essi giurarono non solo di compiere l'ufficio loro con fedeltà e diligenza, ma anche di osservare il segreto sia sulle domande che si sarebbero fatte ai testimoni che sulle deposizioni dei medesimi. I violatori avrebbero incorso ipso facto la scomunica riservata specialissimo modo al Papa. L'obbligo del segreto doveva durare fino alla pubblicazione del processo, che sarebbe avvenuto dopo l'esame di tutti i testimoni.
Ciascuno sottoscrisse il giuramento prestato. Poi, datasi lettura del verbale, il cancelliere consegnò gli atti all'attuario che gliene rilasciò ricevuta. Prima di sciogliere l'adunanza, il Cardinale disse alcune parole. Rilevata l'importanza dell'affare, a cui sì era posto mano, e accennato al giuramento di attendervi col dovuto impegno, esortò a pregare, affinchè per intercessione della Santissima Vergine tutto si compiesse a maggior gloria di Dio e a decoro della santa Chiesa.
La seconda sessione, presieduta ancora dal Cardinale, si tenne ai 27 di giugno. Don Bonetti presentò al tribunale gli Articoli. Si indica con questo titolo un breve e chiaro prospetto della vita, delle virtù, delle opere e dei miracoli del Servo di Dio, il tutto in forma di piccoli paragrafi numerati ed espressi non in modo definitivo, ma come elementi da sottoporsi a esame. Costituiscono la base fondamentale della Causa e debbono essere provati veri per mezzo delle testimonianze. Vi si segue un ordine prestabilito: vita e opere, virtù teologali, virtù cardinali, virtù morali (povertà, umiltà, castità), eroismo delle virtù in genere, doni soprannaturali, fama di santità in vita, morte preziosa, funerali e sepoltura, fama di santità dopo morte, miracoli dopo morte. Gli Articoli presentati per Don Bosco erano in numero di 807. Il Postulatore presentò inoltre una prima nota di testimoni da escutere, riservandosi la facoltà di presentarne altri all'occorrenza. Prestò infine il così detto iuramentum calumniae, giurò cioè non solo di dire la verità, ma di non usare inganno nè frode e di non corrompere i giudici .
Con questa sessione il processo ordinario era definitivamente impostato.
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