Fatti di Pio IX raccontati ai giovani - Festa di S. Giovanni Battista e agape imbandita ne' tre Oratori festivi, per la generosità del Papa - La festa di S. Luigi e l'articolo sull'Armonia del Conte di Camburzano - I segreti di una coscienza svelati - Letture Cattoliche: PORTA TECO CRISTIANO - Don Bosco medita di fare ritorno a Roma: Lettera del Conte De Maistre.
del 30 novembre 2006
 Don Bosco nel tempo di sua dimora in Roma aveva preso nota di quanto veniva a conoscere degli atti del sommo Pontefice, specialmente di quelli che manifestavano il suo carattere, ilare, benevolo e caritatevole. A quando a quando ne raccontava alcuno a' suoi giovani che lo ascoltavano con grande piacere. Due di queste narrazioni ci furono conservate da Don Michele Rua.
D. Bosco pertanto così parlò una sera:
Un piacevole episodio accadde al Santo Padre, mentre io ero a Roma. Un romano, il Conte Spalla, andò a fare una visita al Pontefice, e, dopo aver parlato di varii affari d'importanza, gli disse accomiatandosi: - Io vorrei, o Santità, qualche cosa per vostra memoria. E Santo Padre premuroso a rispondergli: - Domandate quel che volete e mi studierò di favorirvi. - Qualche cosa di straordinario.
 - Dimandate.
 - Vorrei la vostra tabacchiera.
 - Ma essa è piena di tabacco d'ultima qualità.
 - Non importa, l'avrò molto cara.
 - Prendetela, ve ne faccio un dono con gran piacere del mio cuore.
Il Conte Spada parti più contento di quella tabacchiera che di un gran tesoro. Essa è semplice, di corno di bufalo, unita con due anelli di ottone che pel valore non ci darei quattro soldi, ma preziosissima per la provenienza. Il Conte Spada la fa vedere ai suoi amici come cosa degna di grande venerazione. Il tabacco era infatti di infima qualità.
Altra non men curiosa vicenda accadde al venerando Pontefice. L'anno scorso viaggiando Egli per i suoi Stati passava nelle vicinanze di Viterbo. Una povera ragazzina, che aveva fatto un fascio di legna, vedendo là ferma la vettura pontificia, giudicò che quei Signori volessero comperare la sua fascina. Corse verso di loro: - Signore, disse al Santo Padre, comperatela, il legno è molto secco. - Il Santo Padre: - Non ne abbiamo bisogno. - Comperatela, ve la dò per tre baiocchi. - Prendi i tre baiocchi ed abbili colla tua fascina. - Il Santo Padre le diede tre scudi, quindi rimontava in vettura. La buona ragazzina voleva a qualunque costo che il Santo Padre mettesse la sua fascina nella vettura dicendogli: - Prendetela, sarete contenti, nella vostra vettura c'è posto sufficiente. - Mentre il Santo Padre colla sua corte ridevano di una tale insistenza, la madre della ragazza, che lavorava in un campo vicino, corse colà gridando: - Santo Padre, Santo Padre, perdonate; questa povera ragazza è mia figlia. Essa non vi conosce. Abbiate pietà di noi che siamo in grande miseria. Il Santo Padre ci aggiunse ancora sei scudi e poi continuò il suo cammino. Saputasi tal cosa nella città, ognuno andava a gara per magnificare la Divina Provvidenza, che loro aveva dato un così pio e caritatevole Sovrano.
D. Bosco intanto aveva stabilito che il 24 giugno venisse celebrata una festa ad onore di Pio IX nei tre Oratorii di S. Francesco di Sales, di S. Luigi e dell'Angelo Custode.
In quel giorno, essendo nell'Archidiocesi di Torino festa di precetto, volle che i giovani i quali intervenivano a tali Oratorii godessero dei favori loro concessi dal Santo Padre. Abbiamo già scritto come due grazie avesse benignamente elargite il Vicario di Gesù Cristo, nella visita che D. Bosco gli aveva fatta a Roma. Compartendo ai giovani l'apostolica benedizione, aveva loro concessa un'indulgenza plenaria in quel giorno in cui essi avessero fatta la loro confessione e comunione; e questo per l'anima. Indi aveva aggiunto una graziosa somma di danaro, affinchè fosse a tutti servita una colazione. Tale somma era stata notevolmente accresciuta dalla generosità di alcuni signori di Torino, i quali avevano chiesto di acquistare uno degli scudi donati dal Papa, sborsando un prezzo proporzionato al loro vivo desiderio di conservare una memoria dell'affetto di Pio IX ai giovani Piemontesi. Don Bosco poteva disporre di 500 lire.
La domenica innanzi alla festa i giovanetti furono avvertiti dai proprii Direttori. D. Bosco li animò narrando come Pio IX avesse parlato di essi con grande bontà e come loro avesse procurati i doni già annunziati, affine di vie maggiormente incoraggiarli a correre con perseveranza la via de' comandamenti di Dio. E nella festa di S. Giovanni Battista i giovani accorsero numerosissimi ai rispettivi Oratorii, per accostarsi ai Santi Sacramenti, onde arricchirsi degli spirituali favori e per gustare nello stesso tempo della colazione, o meglio dire, della merenda loro provveduta dall'amorevole Pontefice. La festa non poteva riuscire nè più bella nè più giuliva.
Però nell'Oratorio di Valdocco questa solennità ebbe un carattere tutto speciale. D. Bosco aveva fatto incidere su pietra Gesù Crocifisso, ordinandone la stampa di 550 immagini al litografo Cattaneo, per farne dono ai suoi benefattori. Il cortile poi oltre i soliti svolazzi era tutto adorno di rami verdeggianti. La sera del 23 i giovani alunni celebravano l'onomastico di D. Bosco, con accademia di poesie e di prose scritte e declamate dagli stessi giovani. L'inno era stato messo in musica per la prima volta dal Ch. Cagliero Giovanni e la banda era diretta dal maestro Massa. D. Bosco ringraziò, parlò del Papa e all'indomani volle eclissato il suo nome innanzi a quello di Pio IX.
I giovani interni ed esterni compiuti i doveri religiosi, in numero di circa mille si schierarono fuori della chiesa. Erano pronti i musici e primieramente eseguirono una cantata composta dal chierico Francesia Giovanni, alternata da recitativi per esprimere la gioia da tutti sentita per i segni d'amore, le benedizioni e i doni compartiti alla giovent√π dal Romano Pontefice. Nella prima strofa dicevasi:
Dal labbro, dagli atti, dal volto giulivo
Traspaia, o compagni, la gioia del cuor;
Chè un giorno più bello, solenne, festivo,
Dal balzo d'oriente non sorse finor.
Quindi due giovanetti con un dialogo spigliato in versi quinarii narrarono il motivo di una festa così bella; e concludevano:
 
Viva il Pontefice!
Viva Pio Nono
A chi fia grato
Se a Voi non sono?
Io indelebile In mezzo al cuore
Scrivo il magnanimo
Vostro favore.
Ad essi rispondeva il coro:
Noi pien di giubilo,
Pieni di fede,
Stampiamo un bacio
Sul vostro piede;
Ed alziam fervida,
Mattina e sera,
Per voi, Santissimo,
Una preghiera.
 
Ed ecco un soprano accompagnato dai cori innalzava a Dio una prece, acciocchè tutti gli uomini venerassero il suo Vicario e gli obbedissero; che si vedesse sulla terra un solo ovile con un solo pastore e che tutti i giovani dell'Oratorio potessero un giorno far corona a Pio IX in Paradiso.
Cessati i canti ad un invito di D. Bosco i giovani presero posto per la copiosa refezione. Tutti in quell'ora esprimevano in mille modi la loro riconoscenza verso il Papa. I brindisi, le grida di evviva ed i battimano succedevansi allegramente.
Terminata l'agape i cori sciolsero un inno a Pio IX. Così cantarono:
 
Negli affanni della vita
Negli assalti del dolore,
Di quest'agape gradita,
Come balsamo sul cuore,
Tornerà la dolce immagine
Dei fanciulli al pensiero.
Tornerà al pensier nostro,
Che, deserti e poveretti,
Ci raccolse in umil
chiostro
Un pietoso; e benedetti
Dal buon Pio, di speme florida
Avvionne sul sentier.
Benedetti dal buon Pio,
Noi leviam lo sguardo ai cieli:
Nostro è il ciel, lo disse Iddio;
È dei poveri e fedeli,
Degli uniti in santo vincolo
Di fraterna carità.....
 
Uno scrittore del giornale l'Armonia si trovava presente, e pubblicandone apposita relazione così concludeva:
È difficile di esprimere a parole i dolci sensi, che destava in cuore quella vista di tanti giovani, che con canti e suoni, in chiesa e fuori di chiesa, in prosa ed in poesia, manifestavano quella viva e tranquilla letizia, che solo può venire dalla coscienza, che può dire a se stessa: Non son rea.
Ovunque poi risuonavano gli applausi di Evviva il Papa! Viva la sua grande bontà! Ma la sorpresa fu verso sera, quando queste radunanze erano per isciogliersi e recarsi ciascuno al proprio domicilio. Guidati da una specie di entusiasmo, si radunarono intorno al loro Direttore, ed unanimi esclamarono: Grazie, o Santo Padre, grazie; Dio ve ne ricompensi. Chi mai potrà andare per noi a ringraziarlo degnamente? Signor Direttore, fate sapere al Santo Padre che noi siamo pieni di riconoscenza per lui che lo amiamo con tutta l'effusione del nostro cuore, che noi in Lui veneriamo il Vicario di Gesù Cristo, e che noi tutti desideriamo, e vogliamo vivere e morire in quella religione, che ha Dio per Capo invisibile, e che ha un si tenero e sì buon Padre, un Pio IX per suo Vicario sopra la terra.
Così compievasi quella giornata, che lascierà nel cuore dei buoni giovani indelebile memoria della paterna bontà del Santo Padre. Quei poveretti, i quali non sono guari avvezzi a ricevere carezze dagli uomini, menando una vita piena di stenti e di privazioni, sentono vivissima la riconoscenza verso il Capo della Chiesa, che dall'altissimo suo grado, lungi dal dimenticare i figli del popolo, come fanno gli adulatori del popolo stesso, si esibisce e si fa vedere loro padre, come è padre dei grandi della terra e dei principi. Così l'Armonia del 29 giugno 1858.
Alla festa di S. Giovanni succedeva nell'Oratorio quella di S. Luigi solita a celebrarsi nella solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo. L'affetto di D. Bosco a questo angelico giovane lo rendeva zelante a propagarne la divozione, e ad erigere Compagnie in suo onore, anche fuori dell'Oratorio, nei varii paesi ove andava a predicare. Fra questi vi fu Poirino. Invitato dal Teol. D. Giorda Stefano, parroco in Santa Maria Maggiore, D. Bosco si era recato nell'ottobre 1855 e con una funzione commovente, aveva ascritti alla Compagnia di S. Luigi i giovanetti di quella parrocchia. In più luoghi ancora oggigiorno sono fiorenti tali pii sodalizii da lui fondati e quel di Poirino celebrò nel 1905 l'anno cinquantesimo di sua esistenza.
Da ciò si argomenti l'impegno che D. Bosco metteva nel tenere acceso questo sacro fuoco nell'Oratorio, specialmente colla sopraddetta solennità.
In varii anni antecedenti noi appena ne abbiamo fatto cenno, quando non era accaduto alcun fatto straordinario, benchè a dire il vero, se ben si considera, lo straordinario fosse cosa usuale. Nel 1858 però non possiamo omettere la descrizione di questa festa e le riflessioni che scaturirono dalla valente penna di un esimio patrizio che il 4 luglio ne stampava un articolo sull'Armonia. È veramente pregio dell'opera riferirlo qui per intiero.
 
 
Il 29 giugno all'Oratorio di Valdocco.
 
Sorgono talvolta nella vita certi giorni placidi e sereni, che di molte amarezze consolano, ed all'animo faticato danno compenso di gioie più che terrene e d'inenarrabili speranze. Quelle ore, è vero, balenano e fuggono come un lampo, ma lasciano dietro a sè lunga memoria nel pensiero, il quale poi dilettasi ad evocarle, e di esse si pasce, e ne fa quasi il suo nettare, quando più non sono.
Correva l'anniversario del dì sacro ai due grandi Apostoli Pietro e Paolo, e festeggiavasi in pari tempo l'angelico S. Luigi nell'Oratorio di Valdocco. In Torino, come in ogni altra popolosa città dove più fitta, più compatta si agglomera l'umana famiglia, stanno di conserva e procedono insieme, ed urtandosi per ogni dove, secondo gli arcani e sempre adorabili disegni di Dio, dolori e godimenti, povertà e ricchezze, vizio e virtù. La vera carità, non verbosa nè ammodernata, ma semplice e sincera come la fede, consiste precipuamente nel sacrificare se stesso a pro di chi soffre, e nel congiungere in un solo vincolo lo spirituale ed il corporale sollievo. Ed a ciò certamente non bastano le provvide leggi e le più studiate misure dell'umana sapienza, se non le avviva quel fuoco che solo divampa nel cuore di coloro, i quali ai piè della croce compresero l'ineffabile precetto d'amore. Onde io non so darmi pace veggendo ai dì nostri, per non so qual perversità di giudizi o malnato studio di parti, fatto segno alle ire ed ai ludibrii altrui, quel clero cattolico che in ogni epoca, su d'ogni terra tanti operò e così inauditi prodigi di carità. Ed ecco per tacere d'ogni altro, nella nostra Torino un umile prete, il quale, alla sola Provvidenza affidato, volse in animo la pietosa idea di raccogliere intorno a se quanti giovanetti gli venga fatto d'incontrare per le vie vagolanti, abbandonati all'ozio, sprovveduti di mezzi di fortuna, ignari della loro celeste origine e del prezioso retaggio per cui furono creati. Egli non si disanima dalle difficoltà che sovrabbondano ad ogni passo, sacrifica ogni privato avere, e con sollecitudini non mai stancate operando, giunge a vedere consolato in parte il suo santo desiderio, premiata la sua costanza. A quella voce d'Apostolo, a quella affettuosa eloquenza che gli prorompe dal cuore, piegasi obbediente l'irrequieta gioventù e gli si assiepa d'attorno e ne ascolta riverente i consigli.
Quello, in prima rustico caseggiato, che male ai venti ed ai cocenti soli faceva riparo, va grandeggiando, come il grano di senape del Vangelo, e si compone a più comoda abitazione. La piccola famigliuola cresce fino a dugento e più giovani, ai quali, come agli augelletti delle foreste provvede Iddio il necessario sostentamento. Attigua all'Ospizio si innalza una chiesuola, ove l'orfanello viene a deporre ai piè di Maria le sue lagrime, e la sua preghiera, le quali più gradite dei timiami e degli incensi, ricadono in pioggia di grazie celesti sui benefattori della derelitta infanzia.
Annovi scuole di belle arti e letteraria palestra e classici studi, ed ogni fonte del bello e del buono onde la patria avrà a lodarsene, e ne trarranno le povere famiglie vantaggio ed onoranza; e lo scorgere i frutti così copiosi, quando appena se ne concepivano le speranze, sarà per il solerte Direttore premio anticipato alle sue virtù. Forse a taluno di que' giovanetti triste ed affannosa scorreva la vita fra le domestiche pareti; non letizia di genitori, non tenerezza di madre, non sorriso di congiunti, ma le strida, la miseria e i dolori ne intorbidavano il sereno. Videlo l'apostolo, se lo strinse amorosamente al seno e lo accolse giubilando all'Oratorio, ove con quale tenerezza si educhino le tenerelle menti e come si pieghino di buon'ora al soave giogo del Signore, con quanta, sollecitudine si avviino nel retto cammino, ne fanno testimonianza i molti, che già uscirono, pii e zelanti ecclesiasti, religiosi e missionarii in lontane regioni, militari intemerati fra la licenza dei campi, probi ed industriosi operai, padri di famiglia, esempio ai figli d'ogni pubblica e privata virtù.
Ora fra tutti i giorni dell'anno uno ve n'ha lungamente sospirato, salutato ed acclamato con trasporti di giubilo dagli scolaretti di Valdocco. È il dì della festa di S. Luigi Gonzaga, Patrono della gioventù.
Per esso molto tempo innanzi mettonsi in moto i musicali strumenti e liuti e cembali e violoncelli, armonizzano dolcissime sinfonie, ed ispirasi il genio dei poeti inneggiando al Santo tutelare. Poi sui primi vespri della vigilia si addobba la chiesa con arazzi, frangie dorate corrono lungo la cornice, lustri e girandole pendono dalle pareti, l'altare si veste d'ogni sua, pompa, tutto insomma è pieno di luci e fiori e d'armonia.
Alla dimane cominciò fin dall'albeggiare l'incruento sacrifizio; succedevansi i leviti all'altare e distribuivasi a quella numerosa adunanza il Pane degli Angioli, mentre alle tarde ed allungate note dell'organo rispondendo le voci argentee del giovinetto coro, rapivano l'anima e l'inebbriavano di sovrumano diletto. Così avvicendavi le ore della preghiera e quelle della ricreazione, quindi messa solenne, vespri in musica e panegirico del santo. Una divota processione chiuse quei religiosi esercizi e ne fu quasi il complemento, ove di sè facevano commovente spettacolo tutti quei giovanetti popolani, spiegati in due ale, procedenti con aria modesta e raccolta, mentre alcuni di loro davano fiato alle trombe, altri cantavano inni, altri infine sobbarcavansi alla statua del Santo Patrono. Compartivasi infine all'affollata turba la benedizione del Santissimo.
Così offerte a Dio, non che le primizie, la massima parte della giornata, era giunta l'ora dei solazzevoli ricreamenti. Tutti convenivano nell'ampio cortile, ove dall'alto di un verone estraevansi, tra mille grida festose, e proclamavansi i numeri del lotto, per cui distribuivansi poco prima i biglietti gratuitamente. Era libera al vincitore, fra mille oggetti diversi, la scelta del premio; ai circostanti non per anco favoriti dalla sorte, per celata ansia batteva il cuore e trepidava lo sguardo.
Ma già in altra sala vanno accalcandosi gli spettatori, accendonsi le fiaccole, l'orchestra è in moto, si alza il sipario. Ed ecco gli allievi di D. Bosco, trasformati in personaggi da scena, rappresentare con brio e disinvoltura indicibile: v'ha il comico con tutti i suoi lazzi, con quei suoi visacci così al vivo, così al naturale da disgradarne un maestro nell'arte; v'ha il padre nobile, il vecchio servitore, v'ha perfino il figaro, che canta e cinguetta a maraviglia. Il pubblico applaude con frenesia e vorrebbe fermare il giorno nel suo rapido corso. Ma lo spettacolo teatrale volge al suo termine, e, come ogni cosa mortale, passa e non dura.
Già la notte cominciava a dispiegare il suo manto e raddoppiavansi le ombre, quando odesi un subito rumore, un sibilare di razzi, che d'improvvisa luce rompevano le tenebre. Ignee striscie descrivevano le loro splendide curve sotto la volta de' cieli, e schioppettavano spandendo mazzi di scintillanti monachelle. Rotto il filo che ritenevalo cattivo, lanciasi in alto l'areostato e fende gli spazi aerei e perdesi fra le nubi, mentre la soggetta turba intende lo sguardo e batte le mani palma a palma. Opera malagevole sarebbe il voler esprimere con parole la gioia che traluceva su d'ogni volto, la contentezza dei parenti e congiunti accorsi in frotte, l'ordine che presiedeva in ogni parte le provvide cure di D. Bosco e dei suoi cooperatori onde rendere più splendida e più cara quella festa di famiglia.
Oh! certamente a quei piaceri semplici ed innocenti può con ragione invidiare l'età matura travolta nel turbine del mondo, ove si ride a fior di labbra quando il cuore è lacerato, ove ai vani godimenti seguita non di rado con celere piede la noia e il non fuggevole rimorso.
All'Oratorio di Valdocco, come a magnifica scuola di virtù, io avrei desiderato presenti quanti con vanissime parole, smentite dai fatti le più delle volte, vanno ergendo cattedra di pretesa democrazia, della popolare credulità facendosi sgabello alle loro cupidigie. Ivi apprenderebbero come e con quanto vantaggio dei privati e del comune, informati dalla religione, si nobilitino gli animi, come s'innalzino, per così dire, sopra il loro costume, e diventino possenti a grandi cose. All'Oratorio di Valdocco vi risiede la santa e operosa fraternità, che tutti stringe in dolcissimo amplesso, perchè figli tutti di un medesimo riscatto, e tutti egualmente protegge, conforta ed ammaestra.
All'Apostolo della gioventù torinese, all'umil prete, che moltiplicò fra noi i grandi esempi dei Filippi Neri e dei Vincenzi de' Paoli, come ad insigne benefattore dell'umanità, eterna dobbiamo la gratitudine, e la sua gloria è nostro retaggio e cittadino dovere il mantenerla e propagarla.
 
Conte Vittorio Di Camburzano
Deputato al Parlamento.
 
Il Conte di Camburzano, soprannominato il Montalembert d'Italia, amico devoto e largo benefattore dell'Oratorio in questo anno era stato testimonio, come anche da lontano D. Bosco manifestasse i segreti dei cuori. Trovandosi in villeggiatura a Nizza Marittima un giorno ebbe occasione di parlare di lui in una conversazione, ove erano persone della prima nobiltà, la cui religione era assai posticcia o sbiadita. Le maraviglie che raccontava il Conte fecero spuntare più di un sogghigno sulle labbra di quei signori, e una dama lo interruppe con queste parole: - Vorrei un po' vedere se questo reverendo sa dirmi come mi trovo di coscienza; e, se indovina, allora vi prometto che crederò tutto quello che vorrete. - Tutti i presenti applaudirono; venne quindi deciso di provare, e la signora quivi stesso scrisse a D. Bosco. Il Conte chiuse quella lettera sigillata, dentro un suo foglio nel quale lo pregava a dire qualche parola di conforto a quella povera Dama. Ella infatti si vedeva abitualmente in preda a profonda afflizione. D. Bosco colla solita sua puntualità rispose al Conte: - Dica a quella signora che per aver la pace deve riunirsi a suo marito da cui si è staccata. E in un biglietto alla Dama aggiunse: - Potrà V. S. starsene tranquilla quando avrà rimediato alle sue confessioni, rifacendole da venti anni addietro fino al presente; e avrà messo riparo ai difetti commessi nel passato. - La notizia che quella signora fosse separata dal marito, tornò affatto strana e nuova al Conte di Camburzano, perchè egli e molti altri di sua conoscenza la tenevano per vedova. Ma fatto la commissione ebbe a constatare come D. Bosco fosse veramente illuminato da Dio, perchè dalla medesima signora fu accertato come ella fosse separata da suo marito; e altamente sorpresa pel biglietto ricevuto, non fece alcuna difficoltà a riconoscere, che il servo di Dio le aveva scritto cose affatto vere.
Il Conte assicurava qualche anno dopo il Cav. Federico Oreglia di Santo Stefano, che D. Bosco non aveva mai conosciuto tale persona.
Ma una delle meraviglie di D. Bosco si era anche la costanza nella diffusione delle Letture Cattoliche. Il fascicolo del mese di luglio portava il titolo: Porta teco Cristiano, ovvero avvisi importanti intorno ai doveri del Cristiano acciocchè ciascuno possa conseguire la propria salvezza nello stato in cui si trova. Torino, Paravia 1858.
 
 
AL LETTORE.
 
Questo libretto è intitolato Porta teco Cristiano, perchè esso può servire di fedele compagno a chiunque desidera salvarsi nello stato in cui si trova. La materia in esso contenuta non è una ragionata istruzione, ma soltanto una raccolta di avvisi adattati alla varia condizione degli uomini. Questi avvisi sono stati raccolti dalla Sacra Scrittura, dai Santi Padri, e specialmente dalle opere di S. Carlo Borromeo, di S. Vincenzo de' Paoli, di S. Francesco di Sales, di S. Filippo Neri, e del Beato Sebastiano Valfrè. Se questi detti procurarono tanto vantaggio spirituale alle anime, che ebbero la fortuna di riceverli dalla bocca di questi santi gloriosi, giova sperare che non saranno senza frutto per quelli che li leggeranno stampati. Io raccomando ai padri, alle madri, ai parroci e a tutti quelli, cui sta a cuore la salute delle anime, non solo di leggerli, ma di farli leggere ai loro dipendenti. Se questi avvisi verrano introdotti nelle famiglie cristiane sarà per certo non mediocre il vantaggio tanto nelle cose spirituali, quanto nelle temporali; chè anzi giudico si potranno chiamare fortunate quelle famiglie, da cui questi ricordi saranno letti e praticati. Secondi Iddio questi miei voti, e spanda abbondanti benedizioni sopra tutti quelli che li vorranno leggere, affinchè sia copioso il frutto che, mediante la grazia del Signore, spero ne sia per derivare.
Aff.mo in Ges√π Cristo
Sac. Bosco Giovanni
 
 
Questi avvisi intorno ai doveri del cristiano, alcuni erano generali per tutti i fedeli e altri particolari pei capi di famiglia e per le madri, per i giovani, per le ragazze e per le persone di servizio.
Dove integra è la moralità, non è possibile che illanguidisca la fede e trionfi l'eresia.
D. Bosco intanto aveva pensato in questo mese di fare ritorno in Roma, ma poi ne smetteva il pensiero. Non ci consta quale fosse la causa di questo progetto: se il servizio della Sede Apostolica, se l'interesse delle Letture Cattoliche. Forse commise ad altri le pratiche importanti, che doveva trattare. Apparisce il suo disegno da lettera scritta ad un Canonico di Roma.
 
Veneratissimo Sig. Canonico, D. Giovanni Bosco ch'Ella ha conosciuto in casa nostra, si dispone ad una nuova gita a Roma, per certe sue faccende rimaste imperfette a motivo della sollecita sua partenza. Mi è venuto in mente, che non sarebbe indiscrezione per parte mia, ricorrere alla sperimentata gentilezza di V. S. Ill.ma a nostro riguardo, chiedendole se fosse a caso tutt'ora disponibile la stanza in casa del suo Sig. fratello, nella quale ebbe la bontà di ricevere il Sig. Barone di Morgan: in caso contrario le sarei molto riconoscente, se volesse prendersi l'incarico di cercare un'altra decente stanza, in cui D. Giov. Bosco potesse fare la sua dimora per due o tre settimane e, pagando lo scotto, trovare anche i suoi pasti. Ella, Sig. Canonico Veneratissimo, che conosce D. Bosco, sa ch'è un ospite facile a contentare, di amena e pia convivenza e nostro degnissimo amico: essendo anch'Ella, come credo e spero, nostro buon amico, non Le sarà discaro accogliere la mia preghiera, e renderci questo buon ufficio.
Parto per la Francia, onde, se Ella mi favorirà di un grato riscontro, piacciale dirigerlo a Franceschina, oppure a mia moglie (in Chieri, provincia di Torino). Spero che la sua Signora madre goda tutt'ora buona salute e non avrà sofferto degli eccessivi caldi; le presenti, La prego, i miei doverosi ossequi e gradisca Ella stessa, Veneratissimo Signore, gli atti del mio affettuoso rispetto.
Torino, li 2 luglio 1858.
Umil.mo e Devot.mo Servo
Il Conte De Maistre.
 
 
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