Capitolo 20

Le sei Domeniche di S. Luigi - Annunzio della prima visita di Mons. Fransoni - I preparativi - La festa di S. Liuigi e la funzione in chiesa - La Cresima - Il teatrino - Parole dell'Arcivescovo - La processione - La fine della festa - Soci d'onore - Come D. Bosco preparava i giovani a ricevere la Cresima - Sua devozione allo Spirito Santo.

Capitolo 20

da Memorie Biografiche

del 07 novembre 2006

 Intanto si approssimava la festa di S. Luigi. Al fine di ben prepararsi a questa solennità, i giovani avevano celebrato con particolare impegno le sei domeniche, in ciascuna delle quali molti di loro si accostavano ai Sacramenti per lucrare l'Indulgenza plenaria concessa dal Pontefice Clemente XII. Si rammenta che in quell'occasione D. Bosco, per facilitare a tutti la frequenza ai Sacramenti, come soleva fare di quando in quando, diede facoltà di andarlo a trovare in qualunque ora del giorno e della sera. Al sabato poi egli aveva da confessare sino a notte avanzata, e talora sin dopo le undici, e al mattino della domenica dalle quattro sino al tempo della Messa e spesso sino alle nove o dieci. Erano due cose degne di ammirazione: la pietà e pazienza dei giovani e lo zelo instancabile di D. Bosco, il quale pel bene delle anime stava come inchiodato nel tribunale di penitenza ore ed ore di seguito, se ne togli un brevissimo riposo nel cuore della notte. Anzi gli avvenne parecchie volte, come già abbiamo narrato, in non poche circostanze di proseguire le confessioni tutta la notte, cosicchè i primi penitenti del mattino trovavano ancora intorno a lui gli ultimi della sera. Per tal guisa, succedendosi gli uni agli altri, lo obbligavano a rimanere in confessionale sino a 16, 17 e 18 ore consecutive. Questa dura fatica non poteva non colpire la fervida immaginazione dei giovani; sicchè molti dei venuti all'oratorio nell'ultime ore e che erano i più trascurati, vedendo il povero prete a sacrificare in questo modo la propria vita senza verun temporale interesse, aprivano gli occhi, pensavano all'anima e si convertivano al bene più facilmente che fatto non avrebbero, se avessero udito la migliore predica del mondo.

Nè qui fu il tutto. Molti giovani che frequentavano l'oratorio, specialmente i forestieri, dovevano ancora ricevere il Sacramento della Confermazione. Perciò D. Bosco venne in pensiero di farlo amministrar loro dall'Arcivescovo nell'occasione della festa di S. Luigi e nello stesso oratorio. Recatosi pertanto da Monsignor Fransoni gliene fece rispettoso invito, che il benevolo Prelato accolse di buon grado, ed assicurò che sarebbe venuto non solo a cresimare, ma eziandio a celebrare la Messa e a distribuire la santa Comunione. Indicibile la gioia che recò a tutti la grata notizia, ed incredibile il lavoro che cadde in allora sulle spalle del Direttore. Il Catechismo della domenica essendo insufficiente, lo si fece anche alla sera di ogni giorno. Il concorso fu immenso. Tuttavia coll'aiuto di zelanti sacerdoti e signori laici della città si prepararono egregiamente i cresimandi, e pel giorno prefisso tutto fu all'ordine. Nello stesso tempo D. Bosco e chi era incaricato dell'ufficio di Prefetto, e Direttore spirituale avevano preso insieme i debiti concerti col Priore della Compagnia di S. Luigi per quanto occorreva.

Era la prima volta che Mons. Fransoni veniva, a visitare l'oratorio in Valdocco, e che si facevano tali funzioni nella Cappella; perciò, sebbene poverelli, nulla risparmiarono i giovani, per rendere la festa più splendida che si potesse. I musici si prepararono a rallegrarla con melodiosi concenti: i sacrestani ornarono con buon gusto la chiesa, e mancando di tappeti, supplirono ingegnosamente con lenzuola e coperte da letto e tele colorate disposte a festoni. Venne eziandio per opera loro preparato un modesto padiglione ed un bell'arco di trionfo davanti la porta d'ingresso coperto di frondi e fiori, portante questa iscrizione: In questa prima tua visita, o inclito Antistite, allievi e superiori di quest'oratorio festanti li accolgono e ti offrono un serto coi figliali affetti del loro cuore.

Neppure i campanari mancarono alla parte loro. Non bastando la piccola campana a mandare molto lontani i suoni festivi essi diedero di piglio ad un grosso campanello, e fin dalla vigilia girando pei dintorni lo agitarono opportune et importune, da far sapere a chi premeva e a chi no, come al domani nell'oratorio si faceva la festa di S. Luigi, onorata dalla presenza di Mons. Arcivescovo. Altri, ed ecclesiastici e laici, prepararono i biglietti per la Cresima; taluni i giovanetti per la Confessione e Comunione; parecchi per la declamazione, pei dialoghi e pel teatrino. Il teologo Giacinto Carpano scrisse e fece imparare da alcuni giovani una commediola intitolata: “Un Caporale di Napoleone”, da rappresentarsi nel giorno della festa. D. Bosco poi pensava a tutte queste e sì svariate cose, attendeva personalmente alle più importanti, dava ordini e sorvegliava che si eseguissero. Insomma in quei giorni tutto era in moto; e i pensieri e le parole e le azioni di ognuno miravano ad un fine solo: la festa di S. Luigi e il modo di ben celebrarla.

Ed ecco questa giungere finalmente. Affinchè tutti vi potessero prendere parte venne fissata al 29 Giugno, solennità dei SS. Pietro e Paolo, perchè essendo festa sovra settimana i giovani non avevano da recarsi a ricevere dai padroni la paga, nè venivano costretti al lavoro, e perciò si trovavano liberi fin dal mattino. Di buonissima ora un buon numero, di essi già assiepava D. Bosco e più altri sacerdoti per confessarsi, e verso le sette la folla era si grande, che mai, per lo innanzi. Pareva che tutta la gioventù di Torino si fosse riversata nell'oratorio; così che molti di quelli i quali, non avevano da ricevere la Cresima, dovettero rimanere fuori di chiesa, e recarsi ad udire la Messa al Santuario della Consolata. Poco dopo le sette si vide spuntare la carrozza dell'Arcivescovo. Lo accompagnavano vari ecclesiastici della città con due Canonici della Metropolitana. Venne poi anche il Nunzio Apostolico Pontificio di Torino, con parecchi distinti, personaggi. Altri sacerdoti che già erano nell'Oratorio vestiti di cotta gli andarono processionalmente incontro. Arrivato sotto il detto padiglione, D. Bosco gli si fece innanzi e lesse una bella allocuzione, colla quale esprimeva la gioia che provava egli, i Sacerdoti, i Signori suoi Cooperatori e i giovani tutti, nel vedere tra di loro l'amoroso e benemerito, Pastore; mostrava soprattutto il vivo desiderio di fargli un'accoglienza degna dell'alto suo carattere e della sua bontà incomparabile; e lo pregava a non guardare la meschinità degli apparati, ma l'affetto interno che era grandissimo. Fra le altre cose gli diceva: “ Noi vorremmo possedere preziosi arredi, per adornare le squallide mura di questa casa; vorremmo avere i più bei fiori per seminarne la strada per cui passar dovete; vorremmo esser padroni di ampie ricchezze per presentarvi doni e regali non indegni della vostra persona. Ma tutto questo non sarebbe che il simbolo del nostro cuore, pieno di stima, di riconoscenza e di amore per Voi. Or bene, poichè la nostra povertà non ci permette di offrirvi i simboli, noi vi preghiamo, o eccellentissimo Monsignore, di gradirne la realtà. Sì, gradite i nostri ossequi; gradite i nostri affetti, gradite le preghiere che in questo giorno innalziamo al Signore, perchè vi colmi di grazie e vi conservi ancora per molti anni in vita, affinchè noi possiamo godere più a lungo delle finezze della vostra beneficenza, e voi possiate vedere più copiosi i frutti della vostra insigne carità ”. Entrato in Cappella e vestito dei sacri paramenti, l'Arcivescovo celebrò la Messa, durante la quale distribuì il pane degli Angeli a parecchie centinaia di giovinetti. Al vedere coi propri occhi tanti giovani, in gran parte una volta trascurati nei loro doveri di pietà e di religione, i quali ora stavano in chiesa e si appressavano alla Comunione con un contegno che rapiva a devozione, il buon prelato provò un piacere celestiale, e confessò poscia che fu quella una delle funzioni che maggiormente lo avevano commosso e deliziato. “ Come non sentirmi innondare il cuore di gioia, andava egli dicendo, al vedermi attorniato da più centinaia di giovanetti virtuosi e pii, che forse senza di quest'opera provvidenziale sarebbero, come tanti altri, caduti nel vizio e nell'empietà? Come non sentirmi spuntare sulle ciglia una lagrima di contentezza, scorgendo in sen della Chiesa e in braccio a Gesù Cristo tanti agnelli, che senza il pascolo e i recinti dell'oratorio sarebbero forse andati a cibarsi di erbe avvelenate, incorsi nelle zanne dei lupi e divenuti lupi essi medesimi? ”.

Anche un fatterello avvenne nel mentre che egli dispensava la Comunione. Un buon ragazzo non ricordò più l'avviso dato in proposito da D. Bosco; perciò quando Monsignore prima di presentargli la sacra Particola gli porse, secondo l'uso, l'anello a baciare, egli invece di baciarlo, lo prese colla bocca.

Dopo la Messa, invocato il divino Spirito, Monsignore amministrava il Sacramento della Confermazione a circa 300 giovani, e prima di licenziarli volse loro acconce parole, suggerite dalla circostanza.

In questa occasione accadde un lepido episodio già accennato in altro volume, ma che giova qui ricordare. Secondo il consueto delle altre chiese, si era pure innalzata nella Cappella, dell'Oratorio, accanto all'altare, una specie di sedia episcopale, che altro non era fuorchè uno sgabello velato da setini, avente per base un tavolato coperto di un tappeto, sopra cui il Pontefice doveva ascendere. Salitovi per parlare colla mitra in capo, l'Arcivescovo non riflettè che le volte della Cappella non erano così alte come quelle della sua Cattedrale, e perciò non avendo chinata la testa, diede nel soffitto colla punta della mitra. In quel momento lasciò sfuggire un modesto sorriso e mormorò sotto voce dicendo: “ Bisogna usare rispetto a questi giovani, e predicar loro a capo scoperto ”; e così fece. Monsignor Fransoni non dimenticò mai, questa particolarità; si compiaceva di raccontarla sovente, ed eccitando D. Bosco a fabbricare pei suoi giovanetti una chiesa più vasta, soggiungeva graziosamente: “ Procuri per altro di farla abbastanza alta, affinchè io non abbia più da levarmi, la mitra per predicare ”.

Ai cresimati Monsignore ricordò brevemente il significato, delle sacre cerimonie che aveva compite sopra di loro; e li esortò a mostrarsi forti contro le tentazioni da buoni soldati di Gesù Cristo. “ Combattete specialmente il rispetto umano, disse loro, e non vi avvenga mai di tralasciare il bene o di commettere il male pel vano timore delle dicerie, degli scherni, degli insulti dei cattivi. Che direste voi di un soldato che si vergogna della sua divisa, ed arrossisce del suo Re? ” Aggiunti poscia alcuni avvisi opportuni, conchiuse: “ Nell'amministrare la Cresima io ho poc'anzi augurata la pace a ciascuno di voi in particolare, dicendo: Pax tecum. Or questa pace dolcissima auguro a tutti insieme, e dico: Pax vobis. Sì, abbiate sempre la pace, miei cari figliuoli; abbiate la pace con Dio, la pace con voi medesimi, la pace col vostro prossimo. Pace con tutti, eccetto col demonio, col peccato e colle massime del mondo. A questi tre nemici muovete anzi una guerra implacabile, consolandovi però sempre col pensiero che da questa guerra perseverante sino alla morte verrà la vittoria; e da questa vittoria una pace eterna ”.

Uscendo di Cappella i giovani ricevettero alla porta pane e companatico, provveduto dalla carità dello stesso Arcivescovo, che volle in questo modo pagar loro la festa, e mostrarsi pastore non solamente dell'anima, ma eziandio del corpo.

Se fu devota la funzione in chiesa, non fu meno dilettevole la festa preparata al di fuori, a cui dopo un qualche ristoro si degnò prender parte anche Mons. Arcivescovo. Era quello eziandio il suo giorno onomastico; e quindi, colta la propizia occasione, i giovani gli lessero da bel principio vari componimenti in poesia ed in prosa. Fra gli altri piacque assai un grazioso dialoghetto tenuto da alcuni fanciulli, e condotto con una mirabile disinvoltura. Dopo queste letture cominciò il teatrino, e venne fuori il celebre “Caporale di Napoleone”. Costui altro non era che un graduato in caricatura, il quale, ad esprimere la sua contentezza in quella solennità, usciva in mille facezie. Esso fu di sì amena ricreazione per l'esimio Prelato, che ebbe a dire di non aver mai riso cotanto in vita sua. Il teatrino si era preparato nel cortile, avanti alla chiesuola, dalla parte della strada.

Finito il trattenimento, l'Arcivescovo si alzò e fece una bella allocuzione. Era presente, fra gli altri da noi conosciuti, D. Francesco Oddenino. Monsignore cominciò dall'esternare la grande consolazione che provava nel vedere in quel giorno i frutti ubertosi dell'Oratorio, equiparandola a quella dei missionari, quando tra la povertà delle loro Cappelle si vedono circondati dalle famiglie dei novelli cristiani, ricchi dell'oro della carità e del fervore; tributò ampie lodi a quanti vi lavoravano intorno, ecclesiastici e laici; e facendo risaltare la nobiltà di questa parte di Ministero, con parole che soleva trarre fuori dal suo petto pieno di zelo per la Chiesa, per le anime e sopra tutto per la gioventù, tutti eccitò a preservare in quest'opera caritatevole, assicurandoli di sua speciale benevolenza.

Rivolto poscia ai giovani, li esortò a portarsi all'Oratorio con assiduità e buon volere; segnalò i grandi vantaggi che ne avrebbero ricavati: vantaggi spirituali e materiali; vantaggi per la vita presente e per la vita futura. “ Ahi! Quanti miserabili, egli esclamò con paterno accento, quanti miserabili stanno oggidì gemendo in fondo ad una oscura prigione, e sono peso a se stessi, sono l'infamia di loro famiglie, il disonore della religione e della Patria; e perchè? Perchè nell'aprile dei loro anni non ebbero un uomo amico e benefico, non ebbero un angelo visibile, che almeno nei giorni festivi li raccogliesse dalle vie e dalle piazze, lì tenesse lontani dai pericoli d'immoralità e dai mali compagni, li ammaestrasse sui loro doveri di cristiani e di cittadini, mostrando quanto sia onorabile il lavoro, e quanto vituperevole l'ozio. Di voi, o miei cari, non sarà così, io lo spero. Qui venite pertanto finchè le circostanze della vita ve lo permetteranno; fate tesoro degl'insegnamenti che vi s'impartiscono; fatene regola della vostra condotta per tutta la vita, e io vi assicuro che ancora nella vostra età più tarda voi benedirete il giorno in cui imparaste la via, che vi guidò in questo asilo della scienza e della virtù. Io non posso por fine al mio dire senza ringraziarvi della cordiale accoglienza che mi avete fatto. Sì, ringrazio delle affettuose espressioni che a nome di tutti mi hanno rivolte i poeti ed i prosatori; ringrazio i comici del giocondo divertimento che mi hanno procurato; ringrazio i musici che hanno cantato sì bene; ringrazio quelli che lavorarono eziandio ad innalzare padiglioni ed archi; ringrazio soprattutto coloro che con tanto zelo cooperarono fin qui alla vostra coltura; ringrazio tutti e di tutto. E poichè nei vostri componimenti voi mi chiamaste pastore e padre, io vi assicuro che tale vi sarò, e vi avrò sempre per miei agnelli e per miei figli carissimi ”.

Era tosto mezzogiorno, quando l'Arcivescovo si mosse per ritornare in Episcopio. Allora successe un commovente spettacolo. E qui bisogna avvertire che Monsignor Fransoni, era di sì belle maniere e così affabile, che bastava vederlo, udirlo, parlargli un istante per prendere tosto ad amarlo ed usargli la più figliale confidenza. Dunque i giovani, quando lo videro partire, gli si affollarono tanto attorno da impedirgli il passo. Chi voleva baciargli la mano, chi toccargli le vesti, chi gridava grazie e chi evviva; facevano ricordare le solenni acclamazioni colle quali il popolo cristiano dei primi secoli della Chiesa salutava un Vescovo: Deo gratias; Episcopo vita; te Patrem; te Episcopum: ed egli pareva il Salvatore in mezzo alle turbe commosse. Se fosse stato loro concesso, gli avrebbero, come gli antichi ai loro Re e come ancor essi a D. Bosco, fatto un trono delle loro braccia, e portatolo a casa in trionfo. Questo slancio fece dire al Fransoni: “ Mi convinco oggi più che mai, che la gioventù ha buon cuore e se ne può fare quello che si vuole, quando si prenda per la via della carità ”. Riuscito a salire in vettura il degnissimo Arcivescovo tra una salva di fragorosi evviva, tra gli ossequi e i ringraziamenti di D. Bosco, partiva benedicendo l'oratorio dal più profondo dell'animo.

Partito che ei fu, si stese una specie di verbale in cui si notava chi aveva amministrato quel Sacramento, nome e cognome del padrino colla data del luogo e del giorno; quindi, si raccolsero i biglietti, che ripartiti secondo le varie parrocchie, vennero portati alla Curia Ecclesiastica, perchè li trasmettesse al rispettivo parroco. I giovani allora si recarono ancor essi alle loro case pel pranzo; ma verso le due già erano ritornati. Sino alle quattro ebbero luogo nel cortile vari trastulli; quindi si cantarono i vespri e si fece il panegirico, in cui si dimostrò S. Luigi modello della gioventù, soprattutto nella virtù della modestia e nel darsi per tempo a Dio. Con un bello e nuovo stendardo seguì poscia la processione. Di questa tra le altre cose si ricorda che un grazioso fanciullo, vestito da chierichetto, camminava innanzi alla statua con un bel giglio in mano. Nell'aspetto e nel devoto contegno egli risvegliava l'idea di S. Luigi, e quindi gli occhi di tutti erano rivolti a lui, rinnovandosi a un di presso il caro spettacolo, che già avveniva al tempi del Santo, quando la gente correva in chiesa per contemplarlo a pregare, parendo ad ognuno di vedere un angioletto sotto mortali spoglie. Rientrati in chiesa, si cantò il “Tantum ergo” in musica, e si diede la benedizione con l'Augustissimo Sacramento. La festa si chiuse alla sera collo spettacolo di alcuni fuochi artificiali, e con l'ascensione di palloni aerostatici. Erano circa le ore nove, quando D. Bosco chiamati i giovani a sè d'intorno, fece loro cantare le due prime strofe dell'inno: “Luigi onor dei vergini”; poscia li esortò a recarsi a casa con ordine e quiete, ed essi lo ubbidirono gridando ancora una volta: Viva S. Luigi, viva D. Bosco! Qualche tempo dopo, D. Bosco annunziò che alcuni grandi personaggi si erano fatti ascrivere alla Compagnia di S. Luigi, come soci di onore, ed essi rimasero non poco edificati ed ammirati, quando udirono il nome del Grande Pio IX, del Cardinale Giacomo Antonelli, di Mons. Luigi Fransoni, di Monsignor M. Antonucci, allora Nunzio Apostolico alla Corte di Torino e poi Cardinale Arcivescovo di Ancona, ed altri.

Questa solennità che lasciò la più salutare impressione nei giovani, fu ripartita negli anni seguenti, assegnando quasi sempre D. Bosco giorno diverso e per onorare S. Luigi e per amministrare la santa Cresima. Ma se il primo crebbe sempre più di splendore per gli ascritti alla Compagnia, per un migliaio e più di comunioni e per la processione, il secondo non era meno importante per lo zelo del servo di Dio e per i vantaggi duraturi delle anime. Indefesso nel preparare i giovani, loro spiegava che cosa fosse la Cresima, quali, effetti produceva nell'anima e con quali disposizioni si dovesse ricevere. Dopo averli confessati nella vigilia o nel mattino stesso in cui si doveva amministrare tal Sacramento, dopo essere andato incontro al Vescovo sulla porta della chiesa, egli prendeva parte alla sacra funzione per assistere e tener raccolti i cresimandi. Passava lungo le file in cui erano disposti e diceva ancora qualche parolina all'orecchio, all'uno e all'altro dei più bisognosi, pieno del santo desiderio che il Divin Paracleto trovasse in quei teneri cuori un tempio meno indegno.

Da quel momento sovente loro ripeteva, come essendo divenuti soldati di Gesù Cristo dovessero dimostrarsi pieni di coraggio col manifestare innanzi al mondo la loro fede e nell'essere pronti a qualunque sacrificio piuttosto che offendere il Signore. Loro raccomandava più calorosamente di prima il Segno della Santa Croce, come professione di fede, arma contro il demonio, divisa, parola d'ordine, che distingue il cristiano dall'infedele, e quindi li esortava a farlo con devozione e sovente; aveva la pazienza di segnalare i vari difetti in cui per ignoranza o per negligenza taluni cadevano e per correggerli tra le varie industrie usava quella di mettere in burla coloro che si segnavano male, come se, invece di compiere un atto di religione, volessero pararsi le mosche. Egli poi colla sua viva fede ne dava l'esempio, poichè in tutte le circostanze pubbliche e private faceva il Segno della Croce così compito e posatamente, che anche in questo era un'edificazione a vederlo.

Inoltre per ricordare ai giovani i doni che infonde lo Spirito Santo, celebrava con singolare pietà la novena e festa di Pentecoste, ed eccitava i suoi a fare altrettanto. Per più anni egli stesso predicava e più tardi faceva predicare da altri sacerdoti in tutte quelle sere ed impartiva la benedizione col SS. Sacramento.

Da questo suo zelo, da questa sua fede verso lo Spirito d'amore, possiamo anche argomentare quale sia stata la sua preparazione, quando egli aveva ricevuto da Mons. Gianotti l'augusto indelebile carattere della santa Cresima.

 

 

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