Capitolo 20

Commedia latina Capitolo della Pia Società ed accettazione di socii - L'Onomastico di D. Bosco: gli omaggi più graditi: una lettera affettuosa fatta scrivere da D. Bosco ad un alunno infermiccio a casa in risposta ai suoi augurii - Parlate di D. Bosco alla sera: riprensione fruttuosa ad un bestemmiatore: uno schernitore della sorella gravemente inferma Perchè si confessa, punito con misericordia dal Signore - La festa di S. Luigi: la divozione alla Madonna che ricompensa chi tiene una lampada accesa in suo onore - Avvisi ai sacerdoti: premunire i giovani dai pericoli che li attendono ad una certa età: come regolarsi coi recidivi e cogli scandalosi: penitenze medicinali: chiedere a Dio la grazia per riuscire a salvar le anime col sacro ministero: confessioni sacrileghe - Previsioni di D. Bosco manifestato al Papa Garibaldi e Aspromonte.

Capitolo 20

da Memorie Biografiche

del 01 dicembre 2006

     In que' giorni mentre si compievano nell'Oratorio le sei domeniche in onore di S. Luigi Gonzaga, si dava principio con molta divozione alla novena che precedeva la festa dell'angelico giovane. Questa si celebrava il 29 giugno, perchè vi fosse un certo lasso di tempo da quella di S. Giovanni Battista.

Tuttavia non volendo D. Bosco che passasse inosservato il giorno 21, raccomandò ai giovani nella sera precedente la santa comunione per il domani con tanto calore, che riuscì quasi generale.

Pel dopo pranzo era preparata la recita di una commedia latina e intervennero alla rappresentazione molti esimii letterati della città.

L'invito era scritto da D. Francesia.

La domenica terzo giorno della novena di S. Luigi, succedeva un altra modesta, ma sempre cara radunanza. Si legge nei verbali del Capitolo: Li 22 Giugno 1862 il Sig. D. Bosco Rettore, radunato il Capitolo, dopo la solita preghiera allo Spirito Santo, propose all'accettazione i due giovani studenti, Cagliero Giuseppe di Castelnuovo figlio di Giacomo e Peracchio Luigi di Vignale figlio di Giovanni. Ambedue ebbero i voti favorevoli e furono ricevuti nella Società.

Il giorno dopo alla sera, vigilia della festa di S. Giovanni Battista, si celebrava il fausto onomastico di D. Bosco. Così descrisse l'Avvocato Comm. Carlo Bianchetti questo lietissimo annuale avvenimento, nel suo discorso pronunziato nella solenne commemorazione di D. Bosco, il 24 giugno 1903.

“ Oh ci pare ancora vederlo il venerato e venerando D. Giovanni! Il fabbricato interno era tutto pavesato; iscrizioni, bandiere, banderuole, nastri, lumi e lumicini multicolori attestavano la gioia comune. Qua e là si affollavano i sacerdoti, gli studenti, gli artigiani interni, poi si aggiungevano i benefattori, i cooperatori, gli amici e gran codazzo di curiosi. Era un dolce sussurro, un bisbiglio, una letizia universale. Tutto ad un tratto giù uno scroscio di musica, con trombe e tromboni, timpani e tamburi, segnanti l'apparizione del caro festeggiato, tutto umile e quasi mortificato. Allora scoppiavano battimani! erano salve di gioia, evviva, cappelli e fazzoletti agitati per l'aria già elettrizzata; seguiva un discorso, indi nuovi battimani; poi un dialogo; indi battimani, poi una poesia, indi altri battimani; poi una nuova musica e replicati battimani.... E D. Bosco era là, dimesso, , confuso, raggiante di modestia e di grazia; sorridente a tutti, quasi oppresso dalla soverchia dimostrazione. E non sapeva chè dire; tentennava il capo, guardava come trasognato a diritta e sinistra, sorrideva, salutava, ringraziava; infine metteva insieme due parole appropriate per assicurare tutti e ciascuno che quella festa gli era andata fino al cuore, e che non sapeva come dimostrare la sua riconoscenza ”.

Il giorno 24 tra i doni degli alunni e de' benefattori il pi√π gradito a D. Bosco fu l'attestato del Seminario sull'esito degli esami finali de' suoi chierici, parte salesiani, parte stati a lui confidati da varie diocesi. Ventitre erano studenti di Teologia, ventinove di Filosofia, e a lui presentarono 10 egregie, 9 peroptime, 18 optime, 4 fere optime, e 7 bene. Un solo aveva meritato un medie e questi non era salesiano. D. Cagliero Giovanni gli aveva preparato, per segno d'omaggio, quella sua famosa messa funebre, che ancora oggigiorno viene stimata un gioiello di fede e di armonia.

Non è a dire quanto rimanesse commosso D. Bosco a que' segni di riconoscenza e di affetto che gli davano i suoi cari alunni e una prova di questo è una lettera che egli faceva scrivere (28 Giugno 1862) dal Chierico Jarac Luigi al giovane Rostagno Severino. Questo buon figliuolo, già altre volte nominato, moriva a Pinerolo, il 12 marzo 1863.

Intanto procedendo la novena di S. Luigi al suo termine, Don Bosco aveva ogni sera un bel racconto da interessare i giovani. Il 25 giugno, scrive D. Bonetti, ei diceva: - Un giorno viaggiando in vettura mi trovava seduto vicino al vetturino, che sovente profanava il Nome santo di Gesù Cristo. Io lo avvisai più volte con molta grazia che non volesse in tal modo profanare questo augusto Nome. Quel disgraziato ripeteva di non essere capace di astenersi dalla bestemmia, perchè la lunga abitudine lo spingeva a ciò. Allora io gli promisi di dargli una pezza da otto soldi (una mutta) se si fosse astenuto dal proferire tali parole fino a Torino. Farà la prova; - disse il vetturino; e si mise di proposito. A quando a quando gli usciva di bocca la prima sillaba di quel Nome, ma tosto accorgendosi troncava la parola a metà; e tanto fece che giunse a Torino senza che gli fosse mai sfuggita quella bestemmia. Allora io dandogli la moneta promessagli, gli dissi: - Veda un poco; per guadagnare otto soldi ha potuto astenersi dal bestemmiare; perchè adunque non farà altrettanto per guadagnarsi il paradiso? Qual conto non dovrà rendere al Signore se non si emenda da questo vizio!

Queste parole produssero un tale effetto nel cuore di quell'uomo, che dopo qualche tempo venne nell'Oratorio a confessarsi.

Le abitudini cattive si ponno vincere da chi si mette alla prova con buona volontà.

Il giovedì 26 giugno alla sera, nota Ruffino nella cronaca D. Bosco raccontava il seguente fatto:

Sul principio di questo mese fui chiamato ad assistere un'inferma. Nel mentre che ella faceva la sua confessione, entra in casa il fratello, il quale pur troppo non aveva molta religione. Sentii che nell'altra camera si cercava di trattenerlo, finchè sua sorella si fosse confessata; ma egli non ne volle sapere. - E ci fosse anche l'Imperatore che importa a me? - e così dicendo entrò nella stanza ove giaceva la sorella; e, visto me, prese a motteggiarla, perchè si rompesse la testa colla malattia addosso. Ma la sorella lo pregava di lasciarla aggiustare le partite della sua coscienza. - L'hai fatto venir tu? - Sì, son io che l'ho cercato, mi sento vicina all'eternità, desidero terminare i miei conti. - L'altro brontolando e dicendo tutto quel che gli veniva in capo contro i preti e contro la religione, lasciò che la sorella terminasse di confessarsi. Dopo io m'alzai, e quando fui nell'altra camera, quel disgraziato mi disse: - Se vengo malato io spero che non le darà anto disturbo!

 - Fortunato te, esclamò dall'altra stanza la sorella che aveva sentito, fortunato te, se il Signore ti farà la grazia di morire con un prete accanto al letto. Pregalo che non ti avvenga di averne bisogno e di non poterlo trovare.

Questo si passava, credo, il 31 di Maggio in sabbato. La Domenica appresso quel fratello parte per un paese lontano. Là giunto, alla sera lo prende una gran febbre che lo mise in pericolo di vita.

In quel punto si pose a gridare che gli si cercasse un prete, che il male lo strozzava, che si sentiva nell'inferno. Venne il Prevosto del luogo, lo confortò, lo confessò e quando stette per andarsene, l'altro il trattenne scongiurandolo che per carità nol lasciasse in mezzo alle fiamme ed ai demoni.

Al lunedì sera egli era cadavere. Quel che lascia credere che Iddio gli abbia usata misericordia sono i sentimenti con cui spirò. - Predichi, egli diceva al Prevosto, predichi dappertutto questo fatto. L'altra sera appena, io beffava mia sorella che aveva voluto chiedere un prete per confessarsi; ella mi avvertì di non prendere a giuoco la cosa, perchè avrebbe potuto darsi che io dovessi morirmene desiderando un prete senza poter avermelo accanto. Il Signore non volle così; mi ha usata misericordia. Predichi che si burlino pure di tutto, ma per carità non si burlino di nessuna cosa che riguardi la religione.

Il Prevosto scrisse l'accaduto alla sorella ed ella quest'oggi mi fece vedere quella lettera. E anch'io: - Guardatevi di beffare o di parlar male di tutto ciò che riguarda al culto di Dio. Non criticate il contegno, la frequenza ai Sacramenti, la lontananza dai compagni dissipati che scorgerete nei vostri compagni buoni; tutte queste beffe s'attirano la maledizione di Dio.

 

Il 29 si celebrava dai giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales la Festa di S. Luigi Gonzaga. Al benemerito loro Priore il sig. Trivella Giovanni era dedicato un sonetto che si conserva ne' nostri archivi. Secondo l'usanza, che mai s'interruppe, si fece la processione e si accesero i fuochi artifiziali.

Alla sera, ripiglia D. Ruffino, D. Bosco dopo aver parlato della divozione di S. Luigi per la Madonna, delle grazie da lui ottenute senza numero da questa buona madre, e di quelle che stanno preparate anche per i giovani, se sapranno domandarle con fede, uscì in queste parole:

 

 - Ieri mi raccontarono questo fatto. Una buona madre di famiglia era travagliata da una infermità Fece pertanto promessa alla Madonna di accenderle ogni sabato una lampada e di consumarvi lui soldo di olio, se la liberasse dai suoi dolori. Infatti guarì. Il marito non vedeva molto  di buon occhio quella spesa: tant'è che sabbato scorso si pose a darle la baia, dicendo: - Beh! adesso che hai sprecato quel soldo di olio, te lo restituirà la Madonna? - E l'altra: - Ebbene si! Vedi, son dieci mesi che io accendo ogni sabato questo, lumicino e non soli mai più stata inferma, e credo che fra il medico che più non ebbe a visitarmi, le medicine che più non ebbi a comperare, il tempo che non dovetti più perdere in letto, la Madonna mi abbia ripagata beli ad usura del soldo che consumo per Lei ogni settimana. - Va là che hai ragione! - esclamò il marito. Ed egli stesso mi raccontò ieri quel suo diverbio, dicendomi: - Son contento che mia moglie mi abbia data quella risposta; me la meritava proprio; ed ora manifesto e glorifico la protezione di Maria.

Questo ci deve essere di stimolo a confidare nella Madonna e a non pensare di non essere esauditi, perchè non ci avvengono le cose, come desideriamo Altrimenti faremo come quel marito che aspettava che la Madonna rendesse il soldo alla moglie e non vedeva che la Madonna glielo restituiva a cento doppi, preservandola dal medico e dalle medicine.

Così col nome della Madonna terminava la Festa di S. Luigi, poichè D. Bosco voleva che di Lei fossero degni i suoi figliuoli; e a questo fine s'intratteneva non di rado anche co' suoi preti. La Cronaca di D. Bonetti espone qualche consiglio dato ad essi:

“ 30 giugno 1862. - Bisogna premunire i giovani per quando avranno 17, o 18 anni. Dir loro: - Guarda verrà un'età molto pericolosa per te; il demonio ti prepara lacci per farti cadere. In primo luogo ti dirà che la comunione frequente è cosa da piccoli e non da grandi, che basta andarvi di raro. E poi farà di tutto per trarti lontano dalle prediche e metterti noia della parola di Dio. Ti farà credere che certe cose non sono peccato. Infine i compagni, il rispetto umano, le letture, le passioni ecc. ecc. Sta all'erta! Non permettere che il demonio ti rubi quella pace, quel candore di anima che ora ti rende amico di Dio! - I giovani non dimenticano queste parole! Quando poi fatti grandi e usciti nel mondo noi gli incontreremo, diremo loro: - Ti ricordi quello che io ti diceva una volta?

” - Ah! è vero! - rispondono. E questa reminiscenza farà del bene ”.

“ Alcun tempo prima radunati i confessori della Casa, loro raccomandò molta cautela nell'interrogare i ragazzi sulle cose lubriche, per non insegnar loro quello che non sanno; di non privare dell'assoluzione neppure i recidivi ed abituati se mostrano qualche disposizione ad emendarsi, ma di negare l'assoluzione o la comunione qualora questo mezzo serva a scuoterli e farli ravvedere; di usare molta severità ed anche negare l'assoluzione al complice agente, e in questo di essere tutti d'accordo, per impedire ai lupi di menare strage nel gregge; di ingiungere al complice vittima o sedotto, di palesare ai superiori il lupo od i lupi, in quel modo che la prudenza suggerirà per impedire l'offesa di Dio e lo scandalo e la rovina degli altri. Suggerì due avvertenze: che loro non rincrescesse di im­piegare il tempo necessario per disporre con zelo i penitenti che non fossero disposti: che riflettessero sullo stato spaventoso di un anima che stia anche un'ora sola in peccato mortale. In fine raccomandò ai confessori di non dar penitenze leggere per peccati gravi, ma fissarne qualcuna adattata a guarire il male ed a prevenirlo. Per es. qualche meditazione che si trova nel Giovane Provveduto, per ciascun giorno della settimana; o qualche altra considerazione, come l'esercizio di buona morte; o pratica di pietà, come sarebbe la Via Crucis, la visita al SS. Sacramento, la Corona di Maria Addolorata ecc., ecc., che si trovano esposte nel medesimo libro. Si cerchi insomma di fermare il loro spirito su qualche punto o verità ivi contenuta. Così le penitenze torneranno proficue. ”

“ Nella prima settimana di luglio, intrattenendosi di bel nuovo co' suoi preti, raccomandava loro una grande carità e pazienza nel confessare i fanciulli per non perdere la loro confidenza; e nello stesso tempo assicuravali come la prudenza necessaria e l'efficacia della parola per rendersi padroni dei cuori, erano doni del Signore, e che bisognava ottenerli con molte preghiere, con perfetta purità d'intenzione ed anche con atti di penitenza e di sacrifizio, come fanno i confessori zelanti. Quindi venne a parlare delle confessioni sacrileghe dei giovani, cagionate specialmente dal tacere a bella posta cose che dovrebbero assolutamente palesarsi; e raccontava un fatto accaduto a lui stesso: Una notte sognai e vidi nel sogno un giovane che aveva il cuore rosicchiato dai vermi, che egli colla mano strappava e gettava via. Non diedi retta al sogno. Ma ecco che la notte seguente vidi il medesimo giovane, il quale aveva accanto un grosso cane che gli mordeva il cuore. Non dubitai più che il Signore avesse qualche grazia speciale per quel giovane e che il poveretto avesse qualche pasticcio sulla coscienza. Perciò lo teneva d'occhio. Un giorno lo presi alle strette e gli dissi: - Vuoi farmi un piacere?

” - Sì, sì; purch'io possa.

    ” - Se vuoi, puoi farmelo.

” - Ebbene domandi pure che io glielo farò.

” - Ma sicuramente?

” - Sicuramente!

” - Dimmi: non hai mai taciuto niente in confessione?

” Egli voleva negare, ma subito gli dissi: - Ma questa è quell'altra cosa perchè non la confessi? - Allora mi guardò in faccia e si mise a piangere e rispose: - Ha ragione: sono due anni che voglio confessarla e da una volta all'altra non ho mai osato! - Allora gli feci coraggio e gli dissi quello che doveva fare per mettersi in pace con Dio. ”

Così D. Bosco mentre porgeva saggi avvisi ai suoi coadiutori, perchè riuscissero nell'arte difficile di salvare le anime, ed era continuamente intento a formare dei suoi giovani altrettanti figliuoli di Dio, si addensava una nuova tempesta contro la nave di Pietro.

Nel marzo del 1861, narra la cronaca, D. Bosco aveva scritto a Pio IX, che sarà una grazia speciale della Madonna se non dovrà abbandonare Roma. E d ecco nel 1862, il 28 giugno, Garibaldi, partito per Caprera, sbarcava a Palermo, accolto dalla plebe con un turbine di clamori. 1 suoi discorsi erano stomachevoli per empietà quando riguardavano la religione e il Papa. Egli contando anche sulle promesse del Governo inglese, giurava che fra poco, presto presto muoverebbe al riscatto di Roma. Il Governo italiano, che pareva fargli opposizione, gli spediva di soppiatto navi cariche di armi e di munizioni.. Da Londra aveva ricevuto un sussidio di tre milioni, un milione da Torino. Da ogni parte d'Italia accorrevano lui giovani e venturieri assoldati.

Intanto i battaglioni dell'esercito regio attraversavano la Toscana appressandosi ai confini delle provincie rimaste al Pontefice, per entrare in Roma onde reprimere i preveduti eccessi dei Garibaldini, se questi fossero riusciti a penetrarvi, e rimanervi come padroni.

Ma Garibaldi accompagnato dai precipui Capi della setta mazziniana, aveva fatto conto di valersi della connivenza del Governo e del suo danaro, per soppiantare primo di tutti lui medesimo e poscia acquistare a sè e al partito repubblicano l'Italia, Roma e ogni cosa.

A Palermo gli applausi frenetici de' suoi aderenti gli fecero girare il cervello e, perduto ogni ritegno, finì con prorompere più volte in furiose contumelie contro ]'Imperatore dei francesi, perchè occupava Roma. Gravissima commozione eccitarono tali esorbitanze a Parigi e a Torino, sicchè i Ministri del Re con molta fretta riprovarono quelle fiere parole. E fu giocoforza che invitassero Garibaldi a deporre le armi, mentre Vittorio Emanuele con un suo proclama lo dichiarava ribelle.

Allora i mazziniani, che in Sicilia incominciavano ad avere un deciso sopravvento, si preparavano ad insorgere, se il governo si fosse opposto alla marcia di Garibaldi. E questi con 500 volontarii si muoveva verso l'interno dell'isola, visitando le popolazioni per commuoverle con discorsi violenti contro il Papa e col grido continuamente ripetuto: Roma è nostra! O Roma, o morte! E nelle città di terra ferma le plebi prezzolate ripetevano tumultuosamente questo grido, per far credere al mondo che tale fosse il voto di tutta la nazione. Si cercava di mettere Napoleone nella necessità morale di abbandonare Roma alla mercè dei rivoluzionarii. Intanto le truppe regolari, con l'ordine di evitare ogni scontro, fingevano di inseguire Garibaldi, il quale, accolto però con ogni sorta di onori da rappresentanti del Governo e dai Municipii, il giorno 18 agosto giungeva a Catania. Quivi egli assunse il pieno esercizio delle funzioni da Dittatore, e così rivelavasi, il pericolo di un rivolgimento repubblicano contro la monarchia. Allora il Ministero il giorno 20 decretò e pubblicò lo stato d'assedio e il blocco marittimo effettivo di tutta la Sicilia, dandone partecipazione ufficiale ai ministri delle potenze straniere.

Il 25 agosto Garibaldi potè sbarcare in Calabria con 2000 uomini, perchè la flotta, che manovrava nello stretto, col pretesto di dover impedire quello sbarco, aveva consegna di lasciarlo passare. Egli aveva pubblicato un bando col quale protestava di voler ubbidire al Re, ma non ad un ministero che tradiva la nazione; essere egli risoluto o di entrare vincitore in Roma, o a morire sotto le sue mura.

Il Generale La Marmora, avuto di ciò notizia, rinforzate le guarnigioni di molte migliaia di soldati, bandì lo stato d'assedio in tutte le provincie del Napoletano, eseguendo gli ordini ricevuti da Torino.

Si era venuto in chiaro come Napoleone, non volendo inimicarsi i cattolici francesi, del favore dei quali aveva bisogno per le nuove elezioni del 1863, assicurasse il Papa che egli non avrebbe permesso mai che si toccasse l'attuale Stato della Chiesa; avesse dato ordine al generale Montebello Comandante dei Francesi in Roma, di unire i suoi soldati ai Zuavi Pontificii per ributtare ogni assalto. Continuar dunque l'impresa era lo stesso che mandare a precipizio ogni cosa e d'altra parte si aveva la certezza che Garibaldi non avrebbe desistito dal suo proposito. Perciò si decise di abbarrare quel torrente minaccioso.

Ma Garibaldi non persuaso che il Governo facesse davvero, rassicurato da lettera in cifra scambiata col Re, come egli andava dicendo; illuso dalla speranza che i battaglioni Francesi si sarebbero dileguati da Roma; fiducioso sulla promessa del Comitato d'azione, che cioè avrebbe commosso Roma e che gli sarebbe venuto incontro col popolo, si mise co' suoi in marcia verso Reggio. Ma qui trovate le truppe pronte a respingerlo, prendeva le montagne e il 29 agosto assalito ad Aspromonte da alcuni battaglioni di linea e di bersaglieri, dopo breve fucilata, ferito gravemente al collo del piede, era condotto prigioniero alla Spezia. Trattato con ogni attenzione, guarito, messo in libertà da un'amnistia, ritornava a Caprera.

Così il sopravvento minaccioso che aveva preso il partito mazziniano e repubblicano, qualche monito di Napoleone offeso, il bisogno che aveva il Governo del Re di mostrarsi forte nel reprimere quelle esorbitanze e coprire la sua complicità, furono le cause per le quali Roma allora fu salva.

 

 

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