La stampa e la scuola - D. Bosco scrittore - Il primo revisore delle sue opere - Una reliquia del Ch. Comollo - D. Bosco perpetua la memoria del suo condiscepolo con una biografia - Scrive l'opuscolo: Corona dei sette dolori di Maria SS.
del 20 ottobre 2006
 La pubblica opinione, ispirata dalle necessità dei tempi, spinta da agenti segreti, appoggiata dalle ordinazioni delle leggi civili, dichiarava doversi diffondere, quanto più largamente potevasi, l'istruzione popolare. D. Bosco però aveva subito preveduto come la scuola e la stampa, cose eccellenti in sè volte al bene, diverrebbero inevitabilmente i mezzi più potenti, di cui si sarebbe prevalso il demonio per disseminare il male e l'errore in mezzo alle moltitudini. La Francia dava di ciò un lagrimevole esempio. - Bisogna adunque, affermava e ripeteva D. Bosco, prevenire per quanto possiamo il pericolo. Prepariamoci per opporre alla scuola e alla stampa cattiva, la scuola e la stampa buona. - Così ei risolse e fu costante impegno di tutta la sua vita di educare la gioventù ed il popolo, mediante buoni insegnamenti e buoni libri. E incominciò ad appigliarsi allo scrivere per dare alla stampa. A questo fine toglieva molte ore della notte a' suoi riposi, e nel giorno occupava tutti gli istanti che la: cura de' suoi giovanetti, il sacerdotale ministero e lo studio della teologia morale gli lasciavano liberi.
Il tavolino della sua stanzetta era ingombro di quaderni e fogli, zeppi di note, che andava diligentemente raccogliendo, su argomenti che trattavano della difesa della religione, della Chiesa Cattolica, del Papato; di fatti edificanti, di pratiche di pietà, di temi sacri e profani per l'istruzione scolastica. Con queste preparava materia per i molti libri che andava ideando e dei quali l'opportunità ed eccellenza sarebbe stata provata dalle molteplici edizioni e dai giudizi favorevoli pubblicati da personaggi di gran fama.
Tuttavia, benchè D. Bosco sentisse in sè la grazia e la potenza di tale missione, non si atteggiò mai a scrittore, nè manifestò per questo alcun sentimento di vanagloria. Egli non aveva e non ebbe mai altra mira che la gloria di Dio e la salute delle anime, e diffidente di se stesso, non stampò mai opera alcuna senza sottoporla alla revisione Ecclesiastica, obbediente in tutto alle leggi della Chiesa.
A un tempo stesso, nella sua umiltà, anzichè aspirare ad acquistarsi fama di valente e forbito scrittore, fornito come era di buoni studi, attese in modo speciale ad usare sempre grande semplicità di stile nello scrivere i suoi libri. Gli premeva anzitutto di far bene comprendere, anche al più rozzi operai e alle donnicciuole del volgo, le verità di nostra santa Religione, muovendo i loro cuori verso Dio. Per raggiungere questo fine, scritte alcune pagine, prima di darle alle stampe, usava leggerle a persone poco istruite, facendosi poi dire se le avessero intese. Se rispondevano negativamente per questa o per quell'altra frase o parola, o concetti troppo classici o difficili, egli ritoccava, correggeva, modificava, rifaceva gli intieri periodi una e più volte, fino a che fosse persuaso che capivano tutto. Così potè conoscere la via da tenersi per farsi comprendere dalle persone idiote eziandio predicando. Egli però, mentre si proponeva evitare lo stile ampolloso e troppo elegante, non trascurava nello stesso tempo di congiungere la purità e proprietà della lingua coll'unzione e colla chiarezza, per rendere le sue opere gradite e molto fruttuose ad ogni grado di persone. Erano perciò lette con grande avidità dai giovani e dal popolo. Il primo revisore de' suoi libri, narrava D. Angelo Savio, fu il portinaio del Convitto Ecclesiastico.
Ed ora cominciamo a rappresentarci D. Bosco quando prende la penna per non più deporla. Egli aveva sempre innanzi agli occhi della mente la cara figura di Luigi Comollo. Gli risuonavano ancora nell'orecchio le sue parole in una delle notti di delirio, che precedettero la sua morte, nella quale aveva gridato contro i nemici dell'anima sua: “Col vostro potente aiuto, o Maria, riportai la palma su tutti i miei nemici! ... Sì, voi siete i vinti... io sono il vincitore! Di Costei è la vittoria! ...” Parole da lui notate ne' suoi manoscritti e ripetute le tante volte nelle sue prediche.
Oltre a varie grazie che si dicevano ottenute da Dio per l'intercessione del santo giovane, un fatto singolare rimasto secreto e confidato da D. Bosco negli ultimi suoi giorni ad un suo famigliare, avevalo grandemente impressionato.
Trascorsi quattro anni circa dalla morte di Comollo, alcuni suoi compagni chierici, smaniosi di riconoscerne il cadavere, inconsci i superiori del Seminario, cospirarono con tutta segretezza di scoperchiare quella tomba. Smossa una lastra di pietra, scesero nel sotterraneo, accesero alcune faci, ed ecco apparire la cassa sopraterra dal lato sinistro sotto l'altar maggiore. La scoperchiarono, ed il corpo dei morto giovanetto apparve incorrotto e con le sembianze inalterate. Estrema fu la loro commozione e la meraviglia a quello spettacolo. La sua veste talare venne messa a brani, che furono ritenuti come reliquie; un particolare però fu inescusabile, che cioè uno gli asportò un dito. Ciò fatto, ricoperta la cassa uscirono inosservati, e rimisero al posto la pietra, rimovendo ogni traccia di quella esplorazione. Pochi giorni dopo uno di quei compagni venne a far visita a D. Bosco e gli disse con aria misteriosa: - Debbo comunicarti un affare di somma importanza. Mi prometti il segreto?
 - Lo prometto, purchè nulla importi di offesa di Dio o, danno al prossimo.
 - Sia tranquillo: solo è cosa che guai a noi se si venisse a sapere. - Quindi narrò quanto era accaduto e trasse fuori da un involto il dito che aveva strappato, e soggiunse - Questa reliquia l'ho presa per te! - D. Bosco non poteva credere a' suoi occhi, perchè quella carne era morbida e colorita come di persona viva. Stato alquanto sopra pensiero, biasimò quel fatto, perchè non autorizzato dalla necessaria approvazione dei superiori: non volle ritenere quel dono, insistette perchè di nuovo fosse sepolto in terra sacra, e fece eziandio intendere le pene che le leggi civili comminavano contro i violatori delle tombe. Lasciatosi dominare dal ribrezzo, non pensò più in là, perchè altrimenti si sarebbe potuto in tempo opportuno verificare l'esattezza di quella deposizione. Cinquanta e più anni dopo, per vari lavori, essendosi visitato quel sotterraneo, non ritrovossi che il nudo scheletro del santo chierico.
La venerazione e la stima altissima per Comollo aveva allora cagionata quell'imprudenza, e D. Bosco, eziandio per annuire ai desideri de' suoi compagni, volle perpetuarne la memoria, dando così un modello alla gioventù e specialmente a quella che nei seminari aspira al sacerdozio. La vita di Luigi Comollo fu il primo suo opuscolo, e lo scrisse dimorando, ancora in seminario; e quando l'ebbe finito, lo presentò ai suoi superiori, perchè lo esaminassero e dessero il loro giudizio.
Descrivendo il sogno spaventoso fatto da Comollo poco prima di morire, aveva, coll'intenzione di conservar memorie da non pubblicarsi, notati i nomi di varie persone che dall'amico eragli stato confidato aver lui viste cadere o trovarsi già nell'inferno. Era come un argomento della veracità di quella narrazione. Trattavasi di personaggi distinti, rispettati e in fama di virtuosi, sicchè i superiori, consci di qualche loro miseria, restarono pieni di orrore per simile rivelazione. Alcuni erano morti, alcuni ancora viventi. Naturalmente si vollero scancellati quei nomi, e poi pienamente approvato, quello scritto si consegnò ai tipi nel 1844. Questa prima edizione è anonima e porta il titolo: Cenni storici sulla vita di Luigi Comollo, morto nel Seminario di Chieri, ammirata da tutti per le sue singolari virtù, scritti da un suo Collega. Precedeva il racconto la seguente prefazione
“Ai Signori Seminaristi di Chieri.
Siccome l'esempio delle azioni virtuose vale assai più, di un qualunque elegante discorso, così non sarà fuor di ragione che a voi si presenti un cenno storico sulla vita di colui, il quale essendo vissuto nello stesso luogo e sotto la medesima disciplina ove voi vivete, vi può servire di vero modello, perchè possiate rendervi degni del fine sublime, a cui aspirate, e riuscire poi un dì ottimi leviti nella vigna dei Signore.”
“È vero che a questo scritto mancano due cose molto notevoli, quali sono uno stile forbito, un'elegante dicitura: perciò ho indugiato finora, perchè penna migliore che la mia non è, volesse assumersi un tale incarico. Ma scorgendo vana la mia dilazione, mi sono determinato di farlo io stesso nel miglior modo a me possibile, indotto dalle replicate istanze fattemi da diversi miei colleghi, e da altre persone ragguardevoli; e persuaso che la tenerezza, che verso questo degnissimo compagno vostro mostraste, e la distinta vostra pietà sapranno condonare, anzi suppliranno alla pochezza del mio ingegno.”
” Benchè però non possa allettarvi colla bellezza del dire, mi consola assai il potervi con tutta sincerità promettere che scrivo cose vere, le quali tutte ho io stesso vedute, o udite, o apprese da persone degne di fede, del che ne potrete giudicare anche voi che pur ne foste in parte testimoni oculari.”
” Che se scorrendo questo scritto vi sentirete animati a seguire qualcheduna delle accennate virtù rendetene gloria a Dio, al quale, mentre lo prego vi sia ognor propizio, questa, mia fatica unicamente consacro.”
E non meno affettuosamente conchiude la sua narrazione, che noi vorremmo fosse letta e meditata ogni anno non solo dai giovanetti, ma eziandio dai chierici.
” Una malattia e una morte accompagnata da tanti belli esempi e sentimenti di virtù e di pietà, risvegliò pure in molti Seminaristi il desiderio di volerlo imitare. Perciò non pochi s'impegnarono a seguitarne gli avvisi e i consigli loro dati mentre ancora viveva, altri a tener dietro a' suoi esempi e virtù di modo, che alcuni Seminaristi, che prima non mostravano gran fatto di vocazione allo stato cui dicevano di aspirare, dopo la morte del Comollo si videro colle più ferme risoluzioni divenire modelli di virtù.”
” Egli fu appunto alla morte del Comollo, dice un suo compagno, che mi sono risoluto di menare una vita da bravo Chierico per divenire santo Ecclesiastico, e quantunque tale determinazione sia stata finora inefficace, ciò nulla meno non mi rimango, anzi voglio raddoppiare vieppiù ogni giorno l'impegno.”
” Nè queste furono solamente determinazioni di primo movimento, ma continua ancora oggidì a farsi sentire il buon odore delle virtù dei Comollo. Onde il Rettore del Seminario, alcuni mesi or sono m'ebbe a dire, che il cangiamento di moralità avvenuto nei nostri Seminaristi alla morte del Comollo continua ad essere tuttodì permanente.”
” Qui sarebbe opportuno osservare che tutto questo avvenne principalmente dietro a due apparizioni dei Comollo seguite dopo la di lui morte; una delle quali viene testificata da un'intera camerata d'individui”.
Nella prima edizione di 3000 copie egli accennò appena a questi fatti meravigliosi, e solo in quella del 1884 si determinò a pubblicarne uno distesamente, piegandosi alle preghiere di chi scrive queste memorie. Le suesposte ragioni, spiegano lo spavento allora prodotto dalla seconda apparizione. Non solo Samuele, ma anche qualche figlio di Eli, doveva sentire la voce del Signore.
Nello stesso tempo D. Bosco offeriva le primizie de' suoi scritti alla Vergine Benedetta, come divise in due mazzolini di fiori. Il primo consisteva nel suddetto fascicolo, che dimostrava la protezione di Maria in vita ed in morte per un chierico suo divoto. Il secondo fu un librettino intitolato: Corona dei sette dolori di Maria, con sette brevi considerazioni sopra i medesimi, esposte in forma della Via Crucis. Lo scrisse prima di uscire dal Convitto Ecclesiastico, in occasione di una novena e di una festa in onore dell'Addolorata, che celebratasi tutti gli anni nella Chiesa di S. Francesco d'Assisi. A questo scopo era quivi istituita una pia società, ed ogni confratello o consorella pagava quindici soldi nelle mani di un collettore.
Il libretto, di 42 facciate, prima esponeva la corona, che poi si ristampò sola nel Giovane Provveduto collo Stabat Mater ed altre orazioni rituali, omettendo le brevissime preghiere che seguivano l'enunciazione di ogni singolo dolore. In queste si domandava a Maria SS. la grazia, di aver sempre fissa nella memoria la passione di Gesù; di essere liberato dalle persecuzioni dei nemici dell'anima visibili ed invisibili; che tutti i peccatori cercando Gesù con atti di vera contrizione lo ritrovino; di poter accompagnare Gesù al Calvario col pianto continuo delle proprie colpe; di ottenere da Dio di ricercare con assidue meditazioni il solo Gesù, crocifisso pei nostri peccati; di lavare continuamente con lagrime di vera compunzione le mortali ferite fatte a Gesù dai nostri peccati; infine che tutti i peccatori possano conoscere di quanto grave danno sia all'anima l'essere lontana da Dio.
Le sette affettuose meditazioni sopra gli stessi dolori, che non si trovano nel Giovane Provveduto, chiedono alla pietosissima Vergine la corrispondenza alle divine misericordie per ottenere l'eterna salvezza; la permanenza di Gesù e di Maria nel possesso del nostro cuore; il ritrovamento di Gesù, se fosse stato perduto per causa delle malvagie passioni e delle tentazioni del demonio; il conseguimento del perdono da Maria SS. per i disgusti che le abbiamo cagionato; il conoscimento del pregio e del valore grande dei patire; che il cuor nostro si ammollisca una volta e pianga davvero i suoi peccati, cagione a Maria di così grave martirio; che l'ultimo sospiro di vita nostra sia unito ai sospiri di Maria, emessi dal fondo della sua anima nella dolorosa passione di Gesù.
L'opuscolo recava in capo il seguente proemio: “Il primario fine di questa operetta è di facilitare la rimembranza e la meditazione degli acerbissimi dolori del tenero cuore di Maria, cosa a lei molto gradita, come più volte ha rivelato a' suoi devoti, e mezzo per noi efficacissimo per ottenere il suo patrocinio.
” Affinchè poi si renda più facile l'esercizio di una tale meditazione, si praticherà primieramente con una corona in cui sono accennati i sette dolori principali di Maria, i quali si potranno quindi meditare in sette distinte brevi considerazioni nel modo che suole farsi la Via Crucis.”
” Ci accompagni il Signore colla sua celeste grazia e benedizione perchè si ottenga il bramato intento, sicchè l'anima di ciascuno resti vivamente penetrata dalla frequente memoria dei dolori di Maria, con vantaggio spirituale dell'anima; e tutto a maggior gloria di Dio”.
Questo libro anonimo, uscito dai torchi di Speirani e Ferrero, venne distribuito in gran numero di copie tra il popolo, e se ne fecero varie edizioni. Esso fa testimonianza come D. Bosco nutrisse sempre quella tenera divozione verso la passione di Gesù e gli spasimi della Celeste Madre, che noi abbiamo conosciuto in lui sempre così viva fino all'ultimo de' suoi giorni. Oh, non a caso la divina Provvidenza dispose che sulla sua tomba l'esimio pittore Rollini dipingesse il quadro di Maria SS. Addolorata. Esso è là per ricordare ai figli di D. Bosco il grande ammonimento del padre, di non essere cioè mai cagione di dolore colla propria condotta a questa loro amorosissima Madre, sicchè di nessuno possa Essa dire: “O voi tutti che passate per questa via, ponete mente e vedete se vi ha dolore simile al mio dolore”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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