Ciò che vide una suora del buon Pastore, e pronostico di D. Bosco - 'Il Gesuita Moderno' di Vincenzo Gioberti - Pio IX concede ai suoi popoli varie riforme politiche e arti dei settari per ottenerle - Gli applausi a Pio IX giudicati da Mons. Fransoni e da D. Bosco - Gridate, Viva il Papa e non Viva Pio IX. - Cartelli nell'oratorio che ricordano la dignità del Vicario di Gesù Cristo - Applausi insidiosi al clero secolare - Accuse ingiuste contro il Vescovo di Asti.
del 07 novembre 2006
 Giuseppe Buzzetti ci narrava un avvenimento dì quest'anno che affermò essere stato allora noto a tutti quelli dell'Oratorio.
Mentre D. Bosco celebrava Messa al Buon Pastore una suora mandò un grido acutissimo in tempo dell'elevazione, sicchè turbò tutta la comunità. D. Bosco a stento potè continuare il santo Sacrificio, e non conobbe la cagione di quel grido, ma la suora venne poi all'Oratorio a chiedergli scusa del disturbo che gli aveva arrecato nell'atto della celebrazione.
 - Che cosa avete visto? - chiese D. Bosco.
 - Gesù nell'Ostia sotto forma di bambino tutto grondante sangue.
 - E ciò che cosa vorrebbe dire?
 - Non lo so!
 - Sappiate che ciò indica una gran persecuzione che sì prepara contro la Chiesa! - E il doloroso pronostico poche settimane dopo incominciava ad avverarsi. Infatti, stampato in Svizzera, in moltissime copie era introdotto nel Piemonte il “Gesuita Moderno”, opera in sette grossi volumi di Vincenzo Gioberti. Versando egli torrenti di odio e di plateali ingiurie contro la Compagnia di Gesù, aveva ricopiato quanto nel corso di due secoli scrissero di calunnioso e di maligno, per farla apparire esecranda, ogni genia di eretici e di increduli; ma però, coll'orpello di buon zelo e di sana dottrina frammischiando alle violenti invettive, lunghe pagine di magnifici elogi al Papato. Così si ottemperava alle istruzioni segrete date da Giuseppe Mazzini nell'ottobre 1846. “ Si strilli e si gridi contro i Gesuiti che personificano il clero…..La potenza clericale è personificata nei Gesuiti. L'odioso di questo nome è una potenza pei socialisti; ricordatelo! ”. Perciò Gioberti coinvolgeva in quelle sue diffamazioni personaggi esimi del clero e del laicato, le Istituzioni di S. Raffaele e di S. Dorotea; dipingeva coi più neri colori Ordini e Congregazioni religiose, specialmente gli ignorantelli; e non risparmiava le Dame del Sacro Cuore, accumulando contro di esse tante malvagie menzogne da disgradarne i romanzieri più scellerati. Stendeva pure due pagine nel combattere il Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d'Assisi, affermando che il Teol. Guala era un Gesuita e gesuitica la sua istituzione; che nel Convitto si insegnava una morale troppo lassa; che era una fabbrica di bugie, un seminario di errori, un'officina di giaculatorie, un ritrovo politico, ecc.
Immenso fu in Italia e fuori il rimbombo dell'opera Giobertiana; le sette la strombazzarono in tutti i toni come gloriosa, benemerita, imperitura. Il nome di Gioberti fu dato alle strade e ai caffè, e festeggiato ed elevato alle stelle da un volgo ignorante, sobillato dai mestatori. Dappertutto si vedevano i suoi busti e i suoi ritratti. Tutto si faceva perchè divenissero popolari le idee del “Gesuita Moderno”, il cui fine primario era di fuorviare l'opinione pubblica a danno degli Ordini religiosi, togliere a questi l'educazione della gioventù, aizzare contro di loro le ire della plebaglia e costringere le autorità a bandirli e così impedire che facessero il bene tra il popolo. Tenevansi sicuri della vittoria, ed ecco quasi scherzo della Divina Provvidenza, proprio in quel tempo era fondato l'Ospizio di S. Francesco di Sales in Valdocco!
Eziandio in Roma i capi delle congiure seguivano fedelmente le istruzioni di Mazzini sul modo di circonvenire il Papa e gli altri sovrani. “ Il Papa, aveva scritto, si avanzerà nelle riforme per principio e per necessità... Profittate della menoma concessione per riunire le masse, non fosse altro per attestare la riconoscenza: feste, canti, assemblee... dare al popolo il sentimento della sua forza e renderlo esigente... uno scalino per volta….Ottenuta una legge liberale, applaudite e domandate quella olio deve seguire ”.
Il Papa infatti, animato da santi pensieri, disposto a far tutto pel bene del suo popolo gli accordava certe libertà che più parevano desiderate; e subito si organizzarono imponenti dimostrazioni popolari per ringraziarlo e per chiedere ad alta voce nuove riforme. E Pio IX il 15 marzo aveva concessa la legge sulla stampa con una libertà dentro giusti limiti, la quale però non impedì che in agosto nella sola Roma si pubblicassero cinquanta giornali, la maggior parte detestabili, corruttori dello spirito dei cittadini. Il 14 giugno egli nominava un consiglio di Ministri, composto però di ecclesiastici, e i settari, aspettando il momento opportuno per imporre al Papa un Ministero di laici, fecero udire unito al grido di Viva Pio IX, quello di Viva Gioberti, Viva l'Italia, e misto ad inni quasi repubblicani. Il 5 luglio avendo poche truppe ai suoi ordini permetteva che fosse istituita la guardia civica per la tutela dell'ordine pubblico, e così i rivoluzionari ebbero le armi. Alcun tempo dopo, ordinato e nominato, il Consiglio comunale di Roma, inaugurava la Consulta di Stato; ma fra i consultori che rappresentavano le singole città del regno erano stati eletti non pochi cospiratori fra i più pericolosi. E intanto non vi era lode e gloria che non si tributasse a Pio IX.
A Torino giungevano le notizie di Roma ed anche qui continuavano ad ogni occasione le grida frenetiche, ostinate di Viva Pio IX. Mons. Fransoni però aveva compreso tra i primi che sotto quelle esagerate espressioni di entusiasmo si celava l'artificio delle sette, e sollecitato dal Papa a muovere i fedeli in aiuto degli Irlandesi che lottavano contro la fame, il 7 giugno 1847 scriveva in una sua lettera pastorale: “ Quella essere un mezzo assai acconcio di mostrare ossequio al Pontefice, e perciò averglisi a dar plauso. Non come quei tali che applaudono a Pio IX, non per quello che è, ma per quello che vorrebbero egli fosse. Doversi ancora riflettere, che non il battere fragoroso di palma a palma, nè l'incomposto acclamar tumultuoso, sono gli applausi che possono a Lui tornar graditi, bensì l'ascoltarne docilmente gli avvisi, e il pronto eseguirne, non che i comandi, gli inviti ”. D.Bosco non la pensava diversamente dal suo Arcivescovo. Naturalmente anche all'Oratorio era un gridare a tutta gola di viva e di osanna al gran Pontefice; tanto più che D. Bosco parlava sempre del Papa colla massima stima; ripeteva frequentemente essere necessario di stare uniti al Papa perchè egli era quell'anello che unisce i fedeli a Dio, e preconizzava fatali cadute e castighi a quelli che presumevano osteggiare o censurare anche menomamente la S. Sede; e tanto era l'amore che sapeva infondere verso di questa nei suoi giovani, che si sentivano disposti ad esserle sempre obbedienti e fedeli e a difenderla anche a costo della vita. I giovani dunque ripetevano: Evviva Pio IX; ma con meraviglia intesero D. Bosco che cercava di cambiar loro le parole in bocca: - Non gridate Viva Pio IX, ma Viva il Papa!
 - Ma perchè, gli domandarono, ella vuole che gridiamo Viva il Papa? Pio IX non è appunto il Papa? - Avete ragione - replicava D. Bosco - ma voi non vedete più in là del senso naturale; vi è certa gente che vuol separare il Sovrano di Roma dal Pontefice, l'uomo dalla sua divina dignità. Si loda la persona, ma non veggo che si voglia prestar riverenza alla dignità di cui è rivestita. Dunque se vogliamo metterci al sicuro, gridiamo Viva il Papa! - E tutti i giovani ripetevano: Viva il Papa!...
 - Ed ora, continuava D. Bosco, se volete cantare un inno in lode del glorioso Pontefice, s'intoni pure quello che ha testè composto il Maestro Verdi: “Salutiamo la santa bandiera che il Vicario di Cristo innalzò”. E tutti prorompevano in un coro fragoroso cantando quell'inno che secondo l'interpretazione di D. Bosco, era un omaggio al vessillo della Santa Croce.
Più di una volta vennero alla domenica, nei giorni di maggior fermento, alcuni signori in voce di buoni cristiani, ma liberali. Entusiasmati al vedere tante centinaia di baldi giovani, dopo brevi parole d'incoraggiamento li invitarono a gridare Viva Pio IX; ma riuscì loro non grata sorpresa sentire un tuono di cinquecento e più voci che rispondeva: Viva il Papa! - Non era stata dimenticata la lezione di D. Bosco, e perchè questa rimanesse sempre più impressa, egli collocò in ogni parte del piccolo Oratorio cartelli stampati per invitare i giovani ad obbedire al Papa, a riverirne gli ordini, a rispettarne l'autorità. Su uno si leggeva: - Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa - Su un altro: - Dove è Pietro ivi è Dio - Un terzo: - Io sono con voi sino alla consumazione dei secoli - Dove è Pietro ivi è la Chiesa - Pasci le mie pecorelle.
Narrava D. Bosco al Card. Bernabò nel 1873: “ Nel 1847 lessi alcuni fogli di arrabbiati rivoluzionari; eravi scritto: “ S'incominci a gridare Viva Pio IX ma giammai Viva il Papa; si dia opera a screditare i Gesuiti, ma non toccate il Pontefice. I preti buoni lodateli, incoraggiateli e tentate lusingarne l'amor proprio colla lode, i preti cattivi se potete tirarli dalla vostra parte farete un gran guadagno ”. E questo programma fu messo in pratica alla lettera, e fin d'allora, chi non fosse stato cieco, si poteva vedere, come ogni mossa dei liberali fosse diretta a tribolare e spodestare il Papa, togliendogli tutti i mezzi e gli appoggi umani. Essi vanno tuttora ripetendo: Quando non abbia più nessuna speranza di riacquistare ciò che gli fu tolto, bisognerà pure che ceda e si pieghi ai nostri voleri ”.
A questo fine dunque nel 1847 mentre Gioberti assaliva il clero regolare, si incominciò astutamente dai congiurati a blandire il clero secolare. Mazzini aveva scritto: “ Conviene conciliarsi il clero, e guadagnarne ad ogni modo l'influenza... Il clero non è nemico delle Istituzioni liberali…. Se voi poteste in ogni capitale creare dei Savonarola, faremmo passi da gigante….. Non attaccate il clero nella sua fortuna e nella sua ortodossia, promettetegli la libertà e lo vedrete nelle vostre file... L'essenziale è che il termine della grande rivoluzione sia sconosciuto. Non lasciamo mai vedere che il primo passo da fare…… ”.
E la parola d'ordine delle logge in Torino fu dunque: Lodate i preti. Chi non era iniziato alle segrete cose nulla capiva dell'inusitata riverenza e cordialità colla quale il clero era trattato anche da quelli che poco usavano alla Chiesa. Ogni ricorrenza patriottica non tardò ad avere il suo epilogo nella visita di un santuario, nell'assistenza ad una Messa, o ad un “Te Deum” colla benedizione del SS. Sacramento. Il prete era invitato ai congressi, ai circoli, alle dimostrazioni e trattato con tutti i riguardi che poteva desiderare. Nell'Università di Torino, ove erano trincerati i giansenisti come in una cittadella, gli studenti delle varie facoltà si affratellavano coi chierici e coi preti, che frequentavano le scuole teologiche. Questi talora non potevano sottrarsi alle ovazioni più entusiastiche dei compagni e dei professori. Fuori di là anche di lontano potevasi sapere il passaggio di qualche insigne Ecclesiastico, o di una camerata degli alunni del Seminario alla frenesia colla quale la folla gridava: Viva i Preti! Viva i Seminaristi! - Non è quindi a far meraviglia se in quei primi giorni non pochi tra il clero minore pigliarono parte al movimento liberale. Gli uni si erano riscaldato il cervello colla lettura degli scritti Giobertiani; gli altri poi, in maggior numero, erano di quegli illusi o ingenui, che non sapevano vedere ove tendessero tante acclamazioni smaccate. E nemmeno cadevano in sospetto, che le riforme politiche che da tutti sembravano desiderarsi, potessero avere qualche lato pericoloso, mentre vedevano che Pio IX medesimo ne aveva largite alcune al suo popolo. Tutti costoro potevano facilmente abboccare l'esca delle acclamazioni, ma non tutti i preti si lasciarono abbindolare dai popolari entusiasmi e fra costoro va collocato in prima linea D. Bosco, il quale era persuaso che agli osanna sarebbero seguiti i crucifige. Anzi interrogato in questo stesso anno dai suoi amici sugli avvenimenti presenti e futuri della Chiesa, aveva risposto: che la rivoluzione sarebbe andata a poco a poco fino, alle ultime conseguenze dei suoi propositi! Ed incominciava ad esserne prova il modo col quale si trattava coi Vescovi, mentre si dimostrava tanta tenerezza pel clero inferiore. Contro Mons. Filippo Artico, Vescovo di Asti vigilante custode della disciplina ecclesiastica, nel 1847, si era, inventata un’infame calunnia. La potestà civile prima spalleggiò i detrattori, e il Senato di Piemonte, non curando il concordato del 1841 che stabiliva il Papa solo essere giudice dei Vescovi, mandò con grande apparato i suoi delegati nella stessa città di Asti. Questi istruirono contro Monsignore un processo criminale; ma dovettero proclamarne l'innocenza, tanto luminose ne furono le prove. Il Re, per temperare il dolore di quell'esimio prelato e dargli segni di stima, lo volle seco a Racconigi. Ma ciò non valse a por termine alle manifestazioni ostili e agli sfregi della cricca Astigiana contro il buon Vescovo, il quale sul finir dell'anno, non potendo vivere sicuro in città, si ritirò nella villa episcopale sulla vetta di un solitario colle. Ma qui neppure gli fu concessa un po' di quiete, essendo fatto bersaglio di inverecondi motteggi. Gli tornarono però di gran conforto in tante amarezze le difese che di lui aveva pigliate tutto l'Episcopato Subalpino e la costante amicizia di D. Bosco.
 
 
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