Capitolo 21

La Generala - D. Bosco e gli esercizii spirituali ai giovani prigionieri - Ottiene da Rattazzi di condurli a libera passeggiata - Lieto annunzio - A Stupinigi - Zelo affettuoso per i giovani detenuti - Società reale pel patrocinio dei giovani liberati dalla casa di educazione correzionale - Catture prevenute.

Capitolo 21

da Memorie Biografiche

del 28 novembre 2006

Le prigioni continuavano ad essere uno dei campi ove D. Bosco esercitava il suo ministero sacerdotale. Ma fra questi luoghi di pena uno ve n'era pel quale egli nutriva speciale affezione. Si aveva e si ha tuttora in Torino una casa correzionale pei giovani minori, o consegnátivi dai parenti per indocilità, od anche condannati dai consigli di polizia, o dai Tribunali per qualche delitto più o meno grave. Lo stabilimento chiamasi La Generala.

  Fu aperto dal Governo Piemontese nel marzo del 1845, a mezzodì della città; è capace di 300 giovani e dipende dal Ministero degli interni. Sul principio era stata affidata la direzione di quel penitenziario alla Società di S. Pietro in Vincoli, fondata nel 1839 dal Can. Abate Fissiaux sotto gli auspizii di Mons. de Mazenod Vescovo di Marsiglia. Ma cambiati i tempi, questa società venne congedata.

   Nella Generala, molti dei detenuti spettano a genitori che poco o nulla si curarono della loro educazione; altri appartengono a famiglie o cattive, o di sospetta condotta; taluni hanno od ambidue i genitori od uno di essi od,altri parenti già incarcerati; non pochi sono orfani e lasciati in tale abbandono, per cui si macchiarono di colpe che interessarono la polizia. I giovani generalmente, varcati i venti anni, sono incorporati nell'esercito, e quelli che non hanno ancora terminato la loro pena, sono traslocati nelle carceri degli adulti. I detenuti, di notte sono rinchiusi in celle separate, e di giorno vengono applicati,o all'agricoltura, o a qualche arte o mestiere, sorvegliati sempre dalle guardie.

   Quando la Religione vi ebbe il suo posto d'onore e venne fatta conoscere, amare e praticare, la disciplina si rese più facile, migliorarono i costumi e a poco a poco i giovani si trovarono come rigenerati a vita novella. Ma quando poca o niuna influenza vi potè esercitare la Religione, successero in quel luogo deplorevoli disordini. Bisognò punire rivolte giornaliere, litigi, risse, ferite, attentati contro i costumi, ed altre azioni abbominevoli. I sovrastanti dovevano talora sorvegliare colle baionette in canna.

   D. Bosco adunque, finchè i Capi si mostrarono benevoli al prete e finchè i regolamenti carcerarii e le sue, occupazioni glielo permisero, ottenne di potersi recare a quando a quando in mezzo a quei poveri giovani, degni della più alta compassione. Egli col permesso del Direttore delle carceri li istruiva nel catechismo, faceva loro prediche, li confessava, e molte volte s'intratteneva con essi amichevolmente, come praticava co' suoi figliuoli dell'Oratorio. Non occorre dire che i giovani prigionieri, vedendosi trattati con sì bel garbo, riguardavano D. Bosco come un padre, e gli davano ogni volta le più sincere prove di stima e di affetto, e per non disgustarlo si sforzavano di menare una vita, per quanto sapevano, irreprensibile. Una volta operarono, per così dire, un miracolo, e dimostrarono luminosamente quale potere abbia il sistema preventivo per ammansare gli animi, anche i più ostinati e ribelli. Il fatto venne già pubblicato da varii scrittori. Fra gli altri ne parlarono l'abate Luigi Mendre, il dottor Carlo d'Espiney, e il Conte Carlo Conestabile.

   Poco dopo la Pasqua del 1855 D. Bosco aveva dato a que' giovani gli esercizii spirituali, che furono fecondi di benedizioni per le loro anime. La dolcezza e la carità del suo cuore avea guadagnati anche i più discoli ed era riuscito a farli accostare tutti a' santi Sacramenti, un solo eccettuato. Ne' suoi uditori, ne' suoi penitenti aveva riconosciuto una sincera conversione al bene, e nel tempo stesso una affezione profonda ed una riconoscente simpatia per la sua persona. Il santo Prete ne fu commosso, e risolvette di ottenere per essi un qualche allievamento alla loro prigionia. Il primo pensiero che gli venne fu di una bella passeggiata, persuaso che la privazione di moto e di libertà era la più dura e insopportabile punizione. .Si recò pertanto dal Direttore delle carceri della città, e, - Vengo, gli disse, a farle una proposta; vi è probabilità che sia accettata?

     - Faremo tutto quello che potremo, signor Abate, per compiacerla, rispose l'Ufficiale, perchè la sua influenza sui nostri carcerati ci è stata di grande aiuto.

- Ebbene! la mi permetta, Signor Direttore, che io implori una grazia per questi poveri giovani, la cui esemplare condotta da parecchio tempo non dà motivo ad alcuna lagnanza; la mi permetta di farli uscir tutti per un giorno: li condurrò a fare una gita a piedi a Stupinigi; si parte di buon'ora e si torna a notte: questa passeggiata farà loro del bene per l'anima e pel corpo.

   Il Direttore sbalordito aveva fatto un salto sulla seggiola. -Ma lei non parla sul serio, signor Abate, esclamò!

     - Parlo colla maggior serietà del mondo, ripigliò il prete, e la supplico di prendere in considerazione la mia domanda.

     - E non sa ella che io son responsabile di ogni fuga?

     - Stia sicuro che di fughe non ve ne sarà nessuna; io se vuole affidarmeli questi giovani, mi impegno di ricondurglieli tutti, fino ad uno.

   Lunga fu la discussione: D. Bosco insisteva: il Direttore trinceravasi dietro la inflessibilità del regolamento; finalmente non potendo prendere nulla sopra di sè, acconsentì di parlarne al Ministro.

   D. Bosco intanto recavasi a visitare il Cav. Carlo Farcito di Vinea, che era in quel tempo intendente generale, ossia Prefetto della Provincia, al quale spettava dare il permesso. Ma l'Intendente ascoltata la domanda fu inesorabile nella negativa.

   Il Direttore delle Carceri però manteneva la data parola.

   Era sempre al Ministero Urbano Rattazzi, uomo che, se difettava di qualità morali, aveva però molto ingegno. Riflettè un istante sulla proposta, che il Direttore delle prigioni gli presentò a nome di D. Bosco; poi fece sapere a questi che desiderava di vederlo. Erano per trovarsi faccia a faccia l'avversario e il difensore degli Ordini religiosi. Rattazzi doveva avere, almeno confusamente, notizia delle lettere scritte da D. Bosco al Re, ma non sembra che ne abbia fatta parola.

  D. Bosco si presentò al Ministro con quell'aria semplice ed aperta, che gli era naturale, e che conservava sempre anche alla presenza dei più alti personaggi. Il Ministro lo ricevette con isquisita gentilezza. - Voglio, signor Abate, acconsentire, diss'egli, alla proposta, che in nome della S. V. mi è stata fatta uno di questi giorni. Lei potrà mettere in esecuzione il suo disegno di passeggiata, la quale farà molto bene a questi giovani prigionieri sì dal lato morale come dal lato fisico: darò gli ordini necessarii: da lontano la seguiranno carabinieri travestiti per aiutarla in caso di bisogno a mantener l'ordine, e per far uso della forza, se alcuni recalcitranti rifiutassero la sera di rientrare in prigione.

  Il Ministro aveva pronunciato queste parole con accento fermo, e credeva di aver soddisfatto a tutti i desiderii di D. Bosco. Ma questi aveva sorriso udendo parlare di carabinieri.

     - Eccellenza, rispose egli, io Le sono riconoscentissimo della sua cortesia, ma non metterò in atto il mio disegno che ad una sola condizione, che Ella mi permetta cioè di essere tutto solo coi miei giovani, che mi dia la sua parola di onore di non mandare la forza pubblica sulle mie tracce. Prendo la cosa tutta a mio rischio; e Vostra Eccellenza mi farà mettere in prigione se avverrà qualche disordine.

Il Ministro fu stupefatto.

      - Ma, esclamò egli, Lei alla sera non ne ricondurrà nemmeno più uno di quei tristi arnesi.

     - La si fidi di me, rispose D. Bosco; e il suo contegno mostrava chiaramente che non avrebbe ceduto.

  Dunque o prendere o lasciare. D'altra parte Rattazzi era curioso di fare la prova; oltre a ciò, quel prete gli ispirava piena fiducia; e perciò permise a D. Bosco di fare quel che voleva.

  Per altro lato egli avrà pur detto a se stesso: Qualora taluno avesse l'ardimento di prendere la fuga, non sarà difficile ai gendarmi di rinvenirlo tra pochi giorni e ricondurlo in gabbia.

  D. Bosco non tardò a ritornare alla Generala per disporre i trecento prigionieri a godere degnamente del singolarissimo favore loro accordato. La sera innanzi a quel giorno memorando, egli li raccolse tutti insieme e tenne loro un discorso, concepito presso a poco in questi termini:

     - Giovani cari, ei disse, vi ho da dare una notizia, la quale vi farà molto piacere. In premio della benevolenza che mi avete finora dimostrata; in premio della buona condotta che da qualche tempo menate; in premio sopratutto della vostra corrispondenza alle povere mie fatiche nel corso degli Esercizi spirituali, mi sono recato dal signor Intendente generale, indi dal signor Ministro, ed ho ottenuto la licenza di condurvi domani a fare una passeggiata sino a Stupinigi. - Udite queste parole, quei poveri giovani alzarono un grido colossale di maraviglia e di gioia, impossibile a descriversi. Ricondotto dopo alcuni momenti il silenzio e la calma, D. Bosco continuò: - Voi vedete quanto sia grande questo favore; è questa una grazia più unica che rara; e fino ad oggi non fu concessa ancora. - Viva il Ministro! Viva D. Bosco, esclamarono con gran voce i giovani pieni di entusiasmo. - Sì, viva il Ministro, proseguì D. Bosco; ma ora ascoltate, o miei cari, il più necessario: Io ho impegnata la mia parola che voi dal primo all'ultimo vi sareste regolati sì bene,, da non aver bisogno nè di guardie, nè di gendarmi presso, di noi; ho impegnata la mia parola che domani sera dal primo all'ultimo voi sareste rientrati in questa dimora, Potrà io vivere tranquillo sulla vostra condotta? Potrò io stare sicuro che niuno di voi cercherà di fuggire? - Sì, sì, stia sicuro; saremo buoni, saremo buoni; - fu questo il grido unanime. Anzi uno dei più adulti prese a dire: - Pel corpo di mille bombe, se mai qualcuno cercasse di fuggire gli correrò dietro e lo squarterò come un pollo; - ed io, soggiunse un altro non meno violento, con una, pietra spaccherò la testa a chiunque le desse un dispiacere; - non verrà di certo più a casa vivo, gridò alla, sua volta un ercolaccio sui 18 anni, quel furfante che disonorasse la nostra partita. - Basta, basta, disse Don Bosco; questo parlare non istà bene e mi fa pena. Io mi fido di voi tutti; so che mi volete bene, e non mi darete disgusti. Intanto, così per dire, vi noto solo che la città di Torino domani avrà gli occhi sopra di noi. Se mai qualcuno si regolasse male, ne scapiteremmo tutti e ne scapiterei io pel primo, che ho domandato e vi ho ottenuto questo favore, e il pubblico avrà ragione di dire che io, fui imprudente e che mi sono lasciato gabbare; ne scapitereste voi pure, e passereste per giovani, di cui niuno abbia più a fidarsi. E poi che cosa varrebbe il fuggire? A meno che uno mettesse le ali, del resto dopo poche ore, o tutto al più dopo un giorno o due, sarebbe nuovamente arrestato, messo in più dura prigione. Invece se tutti vi diportate bene, e che alla sera rientriate in Casa senza alcuna difficoltà, chi sa che non vi sia in appresso riconceduto questo favore medesimo, e così di quando in quando possiate godere di consimili passeggiate? - Ma tutte queste sono considerazioni umane; una ve ne ha ancora, miei cari giovani, molto più importante. Voi avete ultimamente fatto le più belle promesse a Dio, di essere buoni e di non più offenderlo. Orbene egli vi guarda dal Cielo, pronto a benedirvi adesso e in avvenire, se gli sarete fedeli. Date adunque domani una prova luminosa della sincerità e fermezza delle vostre risoluzioni. Tutti all'ordine; bando alle disobbedienze, agli alterchi, alle risse. Lo promettete? -Sì, sì, lo promettiamo; parola d'onore; vedrà, vedrà. - Ed uno di loro aggiunse - Lei sarà nostro generale in capo, e a nome di tutti i miei compagni l'assicuro, che non mai generale alcuno avrà avuto soldati più docili e più disciplinati.

   D. Bosco così assicurato passò indi ad annunziare l'ora dell'uscita, l'ordine dell'andata, della fermata e del ritorno, e in fine licenziandosi per ritornare in Valdocco disse: A rivederci domattina. - Quei poveri giovani non capivano più in sè per la gioia, e fin da quella sera si mostrarono coi loro custodi così quieti ed ubbidienti quali non erano stati mai.

   Al domani per tempo guidati da D. Bosco prendevano la strada di Stupinigi. È  questo un villaggio di circa mille anime, situato presso il Sangone, a quattro miglia ed a sud - ovest di Torino, dove vi ha un regio parco. Quivi li aspettava il parroco il M. Rev. D. Emanuele Amaretti amico cordiale di D. Bosco e di D. Alasonatti.

         Usciti dalla loro prigione, godevano con riconoscente gioia una giornata di sole e di libertà, preceduti da un somiere carico di provvigioni. L'affettuosa loro tenerezza verso D. Bosco fu commovente. Quando lo videro un po' affaticato pel cammino, in un batter d'occhio tolsero sulle loro spalle le provvigioni di cui era caricato il giumento e, lo costrinsero a salire a cavallo di quell'animale. Due di loro tenevano la briglia. A Stupinigi D. Bosco li condusse in chiesa, celebrò la santa Messa, li trattò allegramente a pranzo e a merenda e durante tutta la giornata li occupò in svariati divertimenti. Descrivere la contentezza che rifioriva su tutti quei volti è cosa impossibile. Godettero un mondo di delizie, nei viali del castello reale, all'ombra delle piante, sulle sponde delle acque, in quei prati vestiti di erbe e smaltati di fiori.

   La loro condotta fu inappuntabile; nessuna contesa venne a turbare la pace di quel giorno, e D. Bosco non ebbe bisogno nè di avvertimenti nè di rimproveri per mantenere la disciplina. La sera rientrarono tutti nella loro triste dimora più rassegnati alla loro sorte e più docili di prima.

   Il Ministro aspettava con impazienza il risultato della spedizione; non ostante la fiducia che gli ispirava Don Bosco, egli non si sentiva del tutto tranquillo. Ma Don Bosco, senza perdere tempo, andò in persona dal Ministro, il quale fu attonito al racconto del prete.

     - Le sono riconoscente, signor Abate, diss'egli, di quanto ha fatto pei nostri giovani prigionieri, ma vorrei sapere dalla S. V. motivo, per cui lo Stato non ha sopra quei giovani l'influenza, che Lei ha esercitato?

       - Eccellenza, rispose il prete, la forza che noi abbiamo è una forza morale; a differenza dello Stato, il quale non sa che comandare e punire; noi parliamo principalmente al cuore della gioventù, e la nostra parola è la parola di Dio.

   Ed il Ministro dovette comprendere che la Chiesa possiede una forza misteriosa che non attinge quaggiù, e che le persecuzioni degli uomini non fiaccheranno giammai. E disse a D. Bosco: - Voi potete regnare sopra il cuore della gioventù: noi non lo possiamo punto; questo è dominio a voi riservato. - Egli così potè toccare, diremmo con mano la efficacia del sistema preventivo, nella educazione dei giovani, anche i più discoli, come D. Bosco gli aveva dimostrato nell'anno antecedente.

   E se ne ricordò quando più non seppe ove collocare un suo giovane nipote assai dissipato per fargli prendere una buona piega. Per un istante aveva risoluto di metterlo in una casa di corrigendi, ma poi riflettè: - C'è ancora D. Bosco che può insinuarsi nel cuore di questo, povero figliuolo. - E glielo condusse affinchè lo riducesse a buoni sentimenti e a sani consigli. “ E D. Bosco lo accettò, attesta D. Rua, ne formò un buon operaio ed un buon Cristiano, quale io conobbi intimamente. Il fatto è noto a tutto l'Oratorio ”.

   Di questa gita memorabile fa testimonianza Piano Gio. Batt., ora curato della Gran Madre di Dio in Torino, che udiva parlarne da molti de' suoi compagni, dei quali un bel numero è ancor tra i viventi. La stessa cosa confermò, avendone ricevuto certa notizia, Don Savio Ascanio, che da qualche anno era uscito dalla casa di Valdocco.

   Il commendatore Giuseppe Boschi, senatore e Capo, Sezione al Ministero degli Interni, da cui dipendeva la Generala, zio paterno del Can. Anfossi, narrava a suo nipote quanto abbiamo esposto sopra della passeggiata alla Villa di Stupinigi. E questo signore favoriva quanto poteva l'opera di D. Bosco giudicandola meravigliosa, e parecchie volte gli fece avere sussidii dal Governo.

Tale fatto è pure ricordato dal Bollettino Ufficiale della Direzione generale delle Carceri, anno XVIII, 1888, fascicolo 1 - 2, pag. 85.

  In ultimo, quasi a suggello di queste testimonianze diremo che quella predicazione di D. Bosco ebbe frutti grandi e duraturi. Quando egli non potè più andare alla Generala, continuò a mandarvi qualche suo prete come confessore ordinario; e poi, per inviti delle Autorità e per esortazioni di lui, i Salesiani da quell'anno continuarono sempre, come tuttora continuano, a prestarsi a pro di quei giovani infelici, colla predicazione degli esercizi spirituali, i quali però non devono impedire il solito orario del lavoro: disposizione disturbatrice, e imprescindibile!

  Ma quali dovettero essere i sentimenti di D. Bosco quando, ritornato da Stupinigi, udì tante voci commosse che lo ringraziavano, e vide chiudersi le porte della prigione dietro le spalle de' suoi disgraziati amici? Oh, la sua soddisfazione fu amareggiata certamente da grande tristezza. Non tutti que' giovani si potevano chiamar colpevoli. Là, nella Generala, vi erano fanciulli dei quali, per sbarazzarsene, genitori senza cuore, avevano accusata come insubordinazione la leggerezza dell'età e la vivacità di carattere. Altri erano stati imprigionati per un primo furto di pochi soldi, o di qualche frutto o pane sul mercato, talora spinti dalla fame. Ora più d'uno di questi miserelli, entrando in carcere, ancor non sapevano che cosa fosse vizio; ma tra non pochi compagni rotti al mal fare, con un regolamento che solo riconosceva la forza come sistema di educazione, correvano rischio di venir depravati quasi irreparabilmente.

  Perciò D. Bosco, sovente e da più anni, allorchè un giovanetto non era stato colpito da sentenza di tribunale, faceva le pratiche necessarie per poterlo restituire in libertà, e quando non aveva alcuno che si interessasse di lui, talvolta lo accoglieva nel suo Ospizio, oppure si occupava di collocarlo presso buoni padroni. In questo caso non lo dimenticava, ma andava a visitarlo per incoraggiarlo al bene, e intanto l'animava e frequentare l'Oratorio, o la parrocchia nei giorni festivi.

   Ma di ciò non ancora soddisfatta la carità di Don Bosco, egli prestava l'opera sua ad una Società stabilitasi in Torino, con regia approvazione, come protettrice dei giovanetti che venivano liberati dal Carcere. Dai documenti, che qui esponiamo, s'intenderà l'importanza e lo scopo di quella.

   D. Bosco riceveva adunque il seguente foglio.

 

Torino, 8 Agosto 1855.

 

Preg.mo e Rev.mo Signore,

 

  La commissione di Collocamento in Adunanza delli 23 Luglio p. p. ha nominato il Sig. Sacerdote D. Giovanni Bosco socio operante a Patrono del giovane Luigi Pesciallo di Vacarezza d'anni 16, il quale sarà rilasciato dalla casa di Educazione correzionale sotto li 15 corrente mese.

  Egli attendeva nella stessa casa alla professione di sarto e desidererebbe continuare nella medesima.

  E sottoscritto nel comunicare al prefato Sig. Sacerdote Don Bosco la di lui nomina lo prega di voler dedicare le sue cure a pro del giovane liberando a seconda delle istruzioni annesse al presente foglio.

 

 

         A mente degli Statuti approvati con R. Brevetto 21 novembre 1846 tutti i Soci contraggono l'obbligo di ricevere, alla loro uscita dalla Casa

 

 

Lo prega inoltre di volersi previamente concertare in proposito col signor Intendente Generale Costa segretario della Società e

 

di educazione correzionale, di collocare, invigilare e soccorrere, coi mezzi che loro somministra la Società, i giovani liberati ad essi affidati, e di rendere conto alla Società dei risultati delle loro cure.

  In conseguenza di questa disposizione, il Socio che viene nominato Patrono di un liberando da detta Casa, deve: 

  I° Cercare anticipatamente un maestro d'arte, fabbricante o artista, il quale voglia ricevere nella sua bottega, fabbrica o negozio il liberando, a seconda del desiderio che avrà manifestato di voler apprendere più l'una che l'altra professione o mestiere, come sarà indicato nella lettera d'avviso della di lui nomina, ovvero giusta l'inclinazione che il Patrono avrà meglio potuto conoscere nel giovane stesso, in una visita, che sarebbe a desiderare, gli potesse fare nella Casa di educazione, prima della di lui uscita (a termine dell'art. 132 del Regolamento disciplinare della medesima, approvato con Decreto Reale del 5 giugno 1853, i membri della Società di Patrocinio hanno libero l'ingresso nella stessa Casa);

  2° Regolare colla persona, che si disporrà accettare il giovane, le condizioni ed il tempo dell'apprendisaggio, avvertendo che la durata del patrocinio è stabilita per soli tre anni;

  3° Procurare che la persona medesima gli somministri pure vitto ed alloggio, ed in caso contrario cercargli altra casa o famiglia a quest'oggetto, ritenendo che la Società non può pagare un corrispettivo maggiore di 80 centesimi al giorno per la pensione e l'alloggio di cadun giovane;

  4° Riferire al signor Segretario generale della Società le intelligenze, e patti come sopra concordati, onde si proceda il più presto possibile, e non più tardi d'un mese, da computarsi dal giorno della liberazione (durante il quale si possono fare gli esperimenti occorrenti sulla capacità e disposizioni del liberato) alla stipulazione di apposita capitolazione tra la Società, rappresentata dal detto Segretario generale, ed il maestro d'arte che riceverà il giovane, coll'intervento di questo, assistito dal Patrono;

  5° Visitare successivamente di quando in quando il proprio patrocinato nella bottega o laboratorio in cui sarà accettato, ed informarsi della di lui condotta sia sotto il rapporto religioso e civile, che sotto quello del lavoro;

  6° Ragguagliare periodicamente, cioè la prima domenica d'ogni mese, la Commissione di collocamento, e per essa il signor Segretario generale della Società, del contegno del proprio patrocinato, dell'assiduità al la-

 

col Sig. Teologo Tasca Rettore del Collegio degli Artigianelli dove il liberando sarà accompagnato, mentre gode dichiararsi con perfetta osservanza

                             Del Signor Socio

                        

 

        Dev.mo obb.mo Servitore

                             Il Vice - Presidente anziano della Società

               Presidente della Commissione di Collocamento

Cagnone.

 

voro, come del compimento dei doveri di religione, per le osservazion ed ammonizioni che occorressero farsi al giovane su tali argomenti;

  7° In caso di mancanze gravi, o di fuga del patrocinato, informare immediatamente lo stesso Segretario generale, ed il Presidente della Commissione di collocamento per li provvedimenti necessari;

8° Alla scadenza d'ogni mese fare l'opportuna richiesta (sugli stampati che gli saranno dalla Società somministrati) pel pagamento della pensione del mese antecedente portata dalla suddetta capitolazione, in favore del maestro d'arte, od avente diritto;

  9° La Società somministra ai suoi patrocinati il vestiario nei limiti dello stretto indispensabile.

  Il Patrono riconoscendone il bisogno dovrà quindi farne la richiesta, sugli appositi stampati, e procurare che la spesa non ecceda mai le lire 60 per ogni anno, e per ogni liberato, e per tutto ciò che deve costituire il corredo o vestiario compiuto da un giovane apprendista, ripartendo la stessa somma fra le due stagioni di estate e di inverno;

  10° Le richieste, di cui nei due precedenti numeri, devono essere presentate al signor Segretario generale per l'emissione dell'occorrente mandato di pagamento, a seconda delle regole di contabilità, il quale verrà soddisfatto dal Tesoriere della Società, signori banchieri fratelli Ceriana (via dei Conciatori, n. 14, al piano terreno, casa propria;

  11° E finalmente deve il Patrono suggerire alla Commissione di collocamento, e per essa al suo Presidente, tutto ciò che crederà utile nell'interesse del di lui patrocinato, sia per la migliore sua istruzione ed educazione, sia per la compiuta sua moralizzazione, proponendo all'uopo premi di incoraggiamento, ammonizioni ed eziandio l'espulsione dal Patrocinio.

 

Torino, li 15 aprile 1854.

 

Per la Commissione di collocamento

Il Vice - Presidente anziano della Società

Cagnone.

 

 

A nome di D. Bosco così rispondevagli il Prefetto dell'Oratorio:

 

In osservanza degli ordini del mio sig. principale D. Bosco, al quale V. S. Ill.ma destinava il patrocinio del giovane Luigi Pesciallo, datandolo dall'imminente giorno 15, mi reco a premuroso dovere di comunicarle come il prefato sacerdote di buon grado vi acconsente. Disposto anzi a riceverlo e tenerlo nella casa annessa all'Oratorio sovrindicato, mira di proposito a liberare cotesta benemerita Commissione da ogni responsabilità sull'avvenire del giovane, comechè nondimeno le faccia certezza di farlo continuare nella professione di sarto, e non intenda rinunziare alla consueta pensione ed ai relativi benefizii.

  Non è altrimenti che per l'assenza di lui d'alquanti dì e per l'impossibilità mia di recarmi nuovamente presso la S. V. Illustrissima, che debbo per lettera recarle ragione dell'indugio a venire presso di Lei, onde prendere le intelligenze volute, e che induce necessità di esprimerle in iscritto l'accettazione del patronato sotto le preaccennate condizioni, che ebbi l'onore di rassegnare alla nota di Lei saviezza.

  Nel supplicarla di voler gradire gli attestati della più alta considerazione e del massimo rispetto pel prefato Sig. Sacerdote e pel dovere mio passo a costituirmi con lui

 

Di V. S. Ill.ma

Torino (Valdocco) il 14 agosto 1855.

Umil.mo osseq.mo servitore

Sac. Don Alasonatti Prefetto.

 

Col giovane Pesciallo D. Bosco accolse eziandio il suo compagno Morgando alle stesse condizioni. M tardi ne trasse alcuni altri da quelle prigioni; ma l'esperienza provò che quasi sempre la profonda corruzione li rendeva incorreggibili.

   Quindi D. Bosco, pel desiderio di salvare quei che poteva da tanto disastro, studiavasi di impedire che fossero imprigionati certi vagabondi privi di chi li sorvegliasse, ed altri dei quali erano state presentate lagnanze alle autorità. Perciò allorchè veniva eletto un nuovo sindaco, tosto scrivevagli, dichiarandosi pronto ad accettare nell'Oratorio que' giovanetti che non si sapesse ove ricoverarli. E la questura molti ne raccomandava. Don Bosco però prima di accoglierli, fissava sempre le condizioni, non volendo correre pericolo di aver talora in casi fanciulli pericolosi.

  E se esistevano parenti responsabili, imponeva loro che riconoscessero dall'Oratorio tale benefizio, e che non mettessero in alcun modo ostacolo alla riforma morale del giovane.

  La sua accondiscendenza all'Autorità era corrisposta dalla benevolenza dei delegati della questura, necessaria in molte circostanze e in specie quando si accendevano nel popolo le passioni politiche.

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