D. Bosco è aspettato a Firenze - L'Arcivescovo gli offre ospitalità nell'Episcopio - Insistenze del P. Metti Oratoriano - D. Bosco scrive i fioretti per la novena del SS. Natale - D. Bosco a Pisa: sua lettera ai giovani dell'Oratorio - D. Bosco a Firenze: onoranze a lui tributate dall'Arcivescovo e dal. Capitolo della Cattedrale - Splendida offerta accettata che ritarda il suo ritorno - Una guarigione istantanea, ma condizionalmente - Giovani accettati pel collegio di Mirabello: Ernesto Saccardi - Ritorno a Torino -Don Bosco rende servizio a chi aveva sparlato di lui - Lettere cordiali che indicano varii luoghi visitati da D. Bosco a Firenze; la stima che aveva di lui la Marchesa Uguccioni; la promessa di ritornare a Firenze nella prossima primavera. - D. Bosco risponde alla lettera di un povero servitore.
del 04 dicembre 2006
Dopo la grande solennità dell'Immacolata Concezione di Maria SS., D. Bosco si accinse a recarsi a Firenze per raccogliere elemosine, spacciare biglietti della Lotteria, procurare nuovi associati alle Letture Cattoliche e sbrigare altri importanti affari. Era la prima volta che vi andava. Cordiali e numerosi inviti che in quest'anno aveva ricevuto dai fiorentini glie ne avevano fatto fare una promessa; e molte dame, fra le quali la Marchesa Luisa Nerli Libri con lettere gliela ricordavano.
L'Arcivescovo lo aspettava, volendo trattare con lui del modo di combattere con efficacia il protestantesimo; e gli aveva offerta ospitalità nel suo palazzo.
 
Riveritissimo D. Bosco,
 
Il sig. Cav. Gautier mi recò personalmente il biglietto di V. S. in data del 20 del corrente e Le sono veramente grato dell'avermi Ella così offerta l'occasione di fare la conoscenza di un signore così onesto e religioso.
Parlammo molto di Lei e dell'opera sua, ed ebbi da invidiare a cotesta città un istituto così opportuno e così caritatevole, quale è quello da lei fondato e diretto, che è una perenne e larga sorgente di bene per la società e per la Chiesa. Godo poi moltissimo di sentire che presto Ella si recherà a Firenze. Si rammenti in tal circostanza come in questo Arcivescovado è sempre a sua disposizione una stanza ed un letto. Spero che non vorrà ricusare l’ospitalità che le offro di gran cuore. Ed in questa speranza mi segno con tutto il rispetto e la stima,
Firenze, il dì di S. Pietro, 1865,
+ GIOACHINO, Arcivescovo di Firenze.
 
Più di tutti D. Giulio Metti, prete dell'Oratorio, chiaro per virtù, autore di molte opere apprezzate, e sacerdote indefesso nell'esercizio del sacro ministero, insisteva perchè Don Bosco facesse quella visita:
 
Firenze, 19 settembre 1865.
 
Molto Rev. Don Bosco,
 
E' già un mese che il sig. Cav. Gautier venne a trovarmi e a salutarmi in nome di V. R. annunciandomi che Ella sarebbe venuta a Firenze quanto prima. Comunicai questa notizia alla Marchesa Villarios; la dissi a certi ecclesiastici invogliati di fare un poco di bene e tutti esultarono a quell'annunzio; e spesso mi domandano se D. Bosco è arrivato o quando arriva.
Di più una buona vedova mi chiese di allogare in una casa di educazione due suoi figliuoletti; e le proposi la casa di D. Bosco a Torino, oppure quella che D. Bosco aprirà a Firenze; ed essa pure vien sempre a domandarmi se questo D. Bosco c'è o non c'è. Un altro paio di ragazzetti sarebbero pure in vista. Più; questi preti delle scuole serali, che han bisogno di direzione e di appoggio, aspettano D. Bosco a braccia aperte. Più ancora. La Lotteria della quale ricevei le 100 cartelle, esige che si faccia vedere anche qua D. Bosco, se vuol fare più fortuna.
Che facciamo adunque, mio carissimo e Rev. Padre? Viene o non viene? Vuol fare qualche cosa a prò di questa misera capitale, che va a perder tutto il bene dell'anima, mentre non acquista nulla pel corpo? Mi dica qualche cosa per poter rispondere a questa buona gente.
Mille saluti al sig. Cav. S. Stefano e a tutti gli altri suoi egregi cooperatori nell'opera di Dio e a tutti i suoi bambini.
Mi raccomandi al Signore e mi creda
Suo umil.mo e dev.mo servo
GIULIO METTI dell'Oratorio.
 
D. Bosco adunque partiva, dopo aver salutato i giovani dell'Oratorio ed essersi raccomandato alle loro preghiere. A D. Rua aveva consegnato scritti i fioretti da praticarsi nei giorni della prossima novena del S. Natale. I fioretti erano i seguenti:
 
NOVENA DEL S. NATALE.
 
1° Ubbidienza pronta in ogni cosa piacevole, e non piacevole.
2° Umiltà negli abiti, capelli, nel discorrere e nell'ubbidire, nelle cose spregevoli.
3° Carità - sopportar i difetti altrui e procurar di non offendere alcuno.
4° Carità - consolar gli afflitti, prestar servizio, fare del bene a chi si può, del male a nessuno.
5° Carità - avvisar i negligenti, correggere con bontà chi dicesse o proponesse cose cattive.
6° Carità - perdonar ai nemici e dar loro de' buoni consigli se si presenta l'occasione.
7° Fuga di chi parla male.
8° Fuga dell'ozio, e diligenza nell'adempimento dei propri doveri.
9° Confessione come se fosse l'ultima della vita.
 
Giorno della festa.
 
Divota Comunione con promessa di frequentarla.
D. Bosco partì da Torino probabilmente il giorno II dicembre, lunedì, sulla linea di Genova. “ Ne' suoi viaggi, afferma Mons. Cagliero, ovunque egli arrivasse era sempre accolto con grande piacere. Gli stessi Vescovi lo ricevevano colle maggiori dimostrazioni di stima e di affetto, sino talvolta a cedergli il primo posto a tavola. ”
Giunto a Pisa, il Servo di Dio si affrettava a dar notizie all'Oratorio, mentre i suoi musici di Torino si disponevano ad andare ad Avigliana, ove per la prima volta festeggiavasi con pompa solenne il Beato Cherubino Testa, dopo l'accennata ricognizione del suo culto.
 
Carissimo D. Rua,
 
Sono a Pisa col Cardinale Corsi dove vivo veramente da signore: vettura, cocchi, cavalli, cocchieri, camerieri, buoni pranzi, laute cene sono ai miei cenni. Non mi manca altro che i giovani dell'Oratorio e poi sarei contento. Ho veduto l'Arno che divide Pisa per metà, il duomo che è una famosa basilica; la torre pendente che ha la sommità la quale si allontana sette metri dalla base; la torre della fame, dove morì il conte Ugolino di fame co' suoi figli; i frantumi di una casa appartenente a detto conte, che il popolo Pisano atterrò per vendicare i mali che aveva sofferti dal padrone della medesima; un battistero che è una meraviglia di lavoro e di scoltura in marmi; un camposanto di tale e sì svariata magnificenza, che appaga e conserva in pace tutti coloro che ivi hanno la loro dimora. Tutte cose che mi piacciono, ma non ho veduti i miei giovani. Di Firenze poi parlerò quando sarò ritornato a Torino.
Ora veniamo a noi. Ho scritto al Cavaliere; nella sua lettera eravi un bigliettino sigillato, ma che temo di averlo chiuso senza indirizzo. Questo doveva indirizzarsi a D. Francesia affinchè raccomandasse il contenuto al Cav. Vallauri per l'Unità Cattolica. Osserva quello che fu fatto.
Dirai a D. Cagliero che la partita per Avigliana sarebbe di partire al mattino e ritornare alla sera, secondochè sembra propendere Don Valfrè, sebbene vi sia posto preparato per mangiare e dormire. Esso intanto mandi una nota dei giovani notando in principio di nota quelli che avessero bisogno di riguardo e quindi inviarli in case più adattate.
Per la funzione di S. Agostino fu convenuta la somma di f 70. Ciò per norma .
Domenica non sono ancora a Torino; ti farà sapere con altra lettera in qual giorno giungerò. Ho già raccolto qualche danaro, ma non la somma che vuoi tu... Prega e fa' pregare. Dammi molte e minute notizie de' miei cari figli; e di' loro che in tutte le chiese che visito fo sempre qualche preghiera per loro: ed essi preghino eziandio pel loro D. Bosco.
Dio ci benedica e ci conservi tutti e sempre nel santo timor di Dio. Così sia.
Pisa, 13 dicembre 1865.
Aff.mo in G. G.
Sac. Bosco GIOVANNI.
 
N. B. -Il Cardinale di Pisa mi ha date alcune belle immaginette da darsi a tutti i modelli di virtù che abbiamo in nostra casa: tu mi dirai poi quanti sono, quando mi scriverai. Dimandò poi notizie del poeta Francesia: io gli dissi tutte le sue virtù e miracoli.
P. S. - Da' la mia benedizione, e quella di gran lunga pi√π preziosa del Cardinale Corsi, a tutti gli abitanti di nostra casa, compreso Michele. Col suo collegio?
Sempre scherzevole D. Bosco! Michele aveva la cura della stalla.
L'andata del Venerabile a Firenze fu un trionfo. Prese alloggio nel palazzo arcivescovile ove fu trattato con ogni riguardo. Il Capitolo della Metropolitana, il quale voleva onorarlo, desiderava che andasse a far visita al loro magnifico tempio. L'Arcivescovo ne fece motto a D. Bosco e ve lo accompagnò verso le 10 antimeridiane. Tutti i canonici lo attendevano in cappa magna nella sagrestia col Vicario generale di Prato ed il Vescovo di Fiesole. Tali onoranze il Capitolo non suole renderle se non nella circostanza della visita di un Cardinale. All'entrar di D. Bosco tutti si alzarono e gli andarono incontro facendogli mille feste. Quindi fattolo sedere in mezzo a loro, gli lessero alcuni componimenti in prosa ed in poesia, latini ed italiani; fu suonato maestrevolmente il pianoforte e dopo si lesse ancora. Finalmente invitarono D. Bosco a parlare, il quale benchè non si aspettasse simile invito, pure si alzò. Ricordò che nel luogo dove erano radunati erasi dato principio al Concilio di Firenze; che su gli stalli da essi in quel momento occupati, avevano preso posto i Padri della Chiesa; che in quell'aula risuonarono le voci dei legati del Pontefice; quindi continuò riferendo le parole d'elogio e di incoraggiamento che il Papa rivolse all'assemblea, concludendo che egli non avea altri sentimenti migliori di questi da indirizzare ai Prelati presenti e all'illustre Capitolo della Metropolitana di Firenze. Tutti restarono meravigliati a questo discorso, perchè oltre d'esser preso dalla circostanza del luogo, in quel momento riusciva inaspettato e la sua applicazione addattata e lusinghiera.
A Firenze, come dappertutto, il Servo di Dio erasi talmente guadagnato i cuori, che allorquando annunziò la sua partenza fu un'esclamazione generale:
- Partir così presto!
- Debbo andare a Torino, rispondeva D. Bosco a varii egregi signori e signore che volevano persuaderlo a prolungare la sua dimora; mi chiamano là le necessità dell'Oratorio.
Mentre egli usciva dal Duomo si incontrò colla marchesa Gerini, la quale senz'altro gli domandò:
- Perchè vuol ritornare così presto a Torino? Non potrebbe fermarsi ancora qualche giorno con noi?
- I miei giovani mi aspettano.
- Che importa? Aspettino! Quando andrà lo vedranno.
- Che importa? Bisogna che li provveda di pane. Se io non mi do d'attorno, essi non hanno da mangiare.
- Quanti sono?
- Circa mille.
- Ma se lei volesse fermarsi, non mi sembra che i giovanetti dell'Oratorio per pochi giorni potrebbero soffrirne.
- Per parte mia mi fermerei volentieri. Se essi volessero provvedere di pane i miei giovani io starò qui fino alla fine della settimana.
- E qual somma ci vorrà per i suoi giovani in questi pochi giorni?
- Dieci mila lire.
- E se si trovassero qui, si fermerebbe davvero?
- E perchè no?!
- Ebbene: io le darò 10.000 lire.
- E Don Bosco a questo patto si ferma!
- E vuole che gliele porti qui subito? Ora non le ho con me. Se si contenta, le manderò la somma stassera in arcivescovado.
- E sia così. Il Signore la benedica.
La nobile signora fu per D. Bosco la mano della Divina Provvidenza. Alla sera gli fu recato il danaro e D. Bosco si fermò.
La notizia di questo fatto si sparse per la città e fu raccolta anche dalla stampa. Così il corrispondente dell'Armonia (cfr. numero del 20 dicembre 1865) narrava a modo suo la cosa:
“ È qua da noi D. Bosco, alloggiato nel palazzo dell'Arcivescovo. Ieri appunto (il 16) diceva messa a S. Marco. Raccontano che visitando l'ospizio delle Convertite e interrogato da un crocchio di dame, fra cui la nostra sindachessa, quanto fosse per restar qua, soggiungesse come il bisogno di trovar cinquemila franchi l'obbligasse a tornare a Torino; e che ridottosi alla casa, vi trovasse una lettera con entro tante cedole pel valore di franchi diecimila. È un fatto che D. Bosco ha eccitato la curiosità delle dame fiorentine e che ne ha comunicate parecchie in qualche cappella privata, tenendo ad esse discorsi analoghi alla pia pratica.
” In difetto d'altre notizie (chè tutta l'odierna politica della tappa si restringe in adunanze di deputati e in transazioni ministeriali) v'ho dato questa; e l'Armonia se ne valga, se fa al conto suo ”.
“ Di qualche altro fatto che segnalò la dimora di D. Bosco a Firenze, scrive D. Garino Giovanni, chiesi notizia a Don Apollonio, il quale ne era stato informato dalla signora Contessa di Soresina Vidoni Soranzo. Monsignore mi rispose, mandandomi una lettera in data del 13 aprile 1888, nella quale aveva copiata una relazione di detta Contessa. Dopo la narrazione del rosario tutto fiorito nel dicembre del 1862 o 1863 in una notte d'inverno innanzi ad una finestra della stanza ove era ospitato il Servo di Dio nel Castello di Sommariva del Bosco, si legge:
” - Anche a Firenze in casa di mia nonna la Contessa Boutourlin D. Bosco fece alzare una signora che da 25 anni in circa era in letto con una spinite, ed aveva una gamba attratta. Egli le ordinò di girare per la casa, di mangiare, ecc. ed essa fece tutto ciò che egli le comandò senza alcuna fatica. Dopo D. Bosco le chiese se voleva guarire (promettendole la guarigione), oppure se preferiva riammalarsi. Essa vi pensò un momento e poi rispose che credeva essere volontà di Dio che continuasse a patire: e subito fu costretta a ritornare in letto, donde non si alzò più e morì dopo 32 anni di letto, soffrendo pene atrocissime per una carie nelle ossa. Questa santa donna fu la signora Carolina Sorelli -.
” Ricevuta da Mons. Apollonio questa relazione, interpellata da me D. Giovanni Garino il 19 aprile 1888 la contessa Soranzo intorno ad alcuni fatti relativi a D. Bosco e noti a detta signora, tra altro mi rispose in questi termini: - “ Dell'altro miracolo di Carolina Sorelli avvenuto in casa Boutourlin in Firenze la prima volta che D. Bosco vi andò, nel 1865, nessuno dei testimoni è più in vita. Io lo seppi da D. Bosco stesso che ammirava l'eroica virtù della Sorelli, e poi me ne parlò un'altra persona, che ora è morta a Firenze; e posso assicurare che quanto scrissi a Mons. Apollonio è la pura verità. - Molte altre cose potrei dire di quel santo, specialmente riguardo al suo dono di profezia ed a quello di leggere nel segreto dei cuore. - CAROLINA SORANZO ”.
D. Bosco intanto accettava quattro giovanetti toscani per collocarli nel piccolo Seminario di Mirabello. Egli stesso li avrebbe accompagnati fino a Torino, e di qui sarebbero stati condotti a Mirabello. Uno di questi, Ernesto Saccardi, fin dall'infanzia era stato formato alla pietà con un'educazione veramente cristiana. Il giorno della partenza, quando la madre l'ebbe consegnato a D. Bosco, egli asciugatesi le lagrime e stretta e baciata la mano al Servo di Dio, gli disse con volto ilare:
- Finora mia madre era tutto per me; ora mi metto nelle sue mani. Faccia di me quello che giudicherà bene per l'anima mia.
D. Bosco lo confortò, assicurandolo di tutta la sua benevolenza:
- Ti domando soltanto due cose, gli disse: confidenza nelle cose dell'anima e ubbidienza ai tuoi superiori.
- Spero, rispose il giovane, che in questo lei sarà pienamente corrisposto.
Don Bosco partiva da Firenze in compagnia dei nuovi alunni e rientrava all'Oratorio. In questo viaggio egli toccò anche Prato di Toscana, e gli occorse un bel caso.
Era in uno scompartimento insieme con alcuni signori che discorrevano tra di loro delle vicende del giorno, e il discorso cadde sull'istruzione della gioventù. Uno saltò su a dire che si dovevano sopprimere gli studii da gesuita ed i collegi tenuti dai preti, e soggiunse:
- Se io fossi al posto del Governo vorrei annientare quel covile di piccoli gesuiti che tiene D. Bosco in Torino e prendere a calci lui e tutti i suoi giovani, e al loro posto mettere un reggimento di cavalleria.
E volgendosi a D. Bosco che se ne stava appuntando qualche cosa nel taccuino in un angolo della vettura:
- Non è vero, signor Abate, aggiunse, che sarebbe bene fare così?
- A me parrebbe di no, rispose il Servo di Dio: conosce lei D. Bosco?
- Un poco: e non è vero che l'educazione che dà ai suoi giovani non è secondo le nostre idee? Alleva tanti gesuiti e noi non abbiamo più bisogno di tanti frati.
- Ma pure, ripigliò D. Bosco, io sono stato tante volte all'Oratorio, ho parlato con D. Bosco che si chiama il capo dei birichini, ed ho veduto l'istruzione che dà: e posso assicurarla che egli non ha altro di mira che fare di quei poveri giovani buoni cristiani ed onesti cittadini.
L'altro insisteva: -Ma viviamo in altri tempi; è passato il medio evo.
In quel mentre si giungeva ad una stazione, e tutti quei signori discesero.
Passarono sei o sette mesi, e a Roma si pubblicarono appalti per importanti costruzioni. Quel signore, che aveva parlato contro D. Bosco, era un ingegnere e impresario, che avrebbe voluto portarsi agli incanti, ma gli occorrevano buone raccomandazioni. Un giorno s'incontra a Torino con un marchese suo conoscente e lo richiede d'aiuto. Quegli gli dice:
- Vada da D. Bosco, lo supplichi a mio nome e son sicuro che lo raccomanderà al Cardinale Antonelli.
Pochi giorni dopo l'ingegnere si presenta a D. Bosco e lo prega di una lettera di raccomandazione.
- Gliela faccio subito, risponde D. Bosco; e come l'ebbe scritta gliela diede.
Quegli lo ringrazia e gli chiede se comanda qualche cosa per Roma. E il Servo di Dio sorridendo:
- Veda, vorrei una cosa; quando sia dal Cardinale, non gli dica che D. Bosco dovrebbe essere preso a calci, e con lui i suoi giovani, per metterli fuori dell'Oratorio, perchè non starebbe bene.
L'ingegnere fissò bene D. Bosco e riconobbe in lui quel prete innanzi al quale aveva in convoglio parlato male dell'Oratorio; e gli chiese mille scuse, assicurandolo che non avrebbe detto mai più una parola nè contro lui, nè contro il prossimo. Andò a Roma, ebbe l'impresa e guadagnò centomila lire. Divenne in seguito buon cattolico e conservò molta gratitudine al Servo di Dio.
Questo fatto lo abbiamo appreso dal Barone Bianco di Barbania.
Molte lettere, scritte da Firenze dopo la partenza del Venerabile, ci dicono la sua attività e il suo zelo, e insieme il doloroso distacco che avevano sentito i fiorentini per la sua partenza, il vivo desiderio di lui, la fiducia nelle sue preghiere, e il loro impegno per lo spaccio dei biglietti di lotteria. Ne riportiamo qualche brano, anche perchè accennano a varie visite delle quali non abbiamo altra memoria.
Il 21 dicembre il Cav. Carlo Cerboni scriveva a D. Bosco:
“ Non avendo io, per un equivoco occorso nel darmene avviso, potuto avere il bene e l'onore tanto bramato di conoscerla personalmente e baciarle la mano nel Conventino delle Suore Terziarie Francescane in Ognissanti, mi prendo la libertà di dirigerle questa mia rispettosa all'oggetto... di chiederle per me una preghiera all'Altissimo specialmente per un bisogno temporale... Accordi la santa sua benedizione a me e a tutta la mia famiglia ”.
Il 28 dicembre la nobile signora Luisa Nerli Libri si lamentava col Cav. Oreglia: “ Quantunque rassegnata, pure sento immensamente la perdita dell'angelo della mia cara Marianna... D. Bosco non l'ho veduto!... Io era in mezzo al mio dolore, nè potevo uscire; D. Bosco andò, girò in molti luoghi pubblici e case private ove fu portato; a me, disgraziata, nessuno pensò e così non lo vidi!... forse non meritavo questa consolazione, e al solito rassegnazione! rassegnazione! ripeterò. Gli faccia i miei ossequii, gli baci la mano per me e chieda la sua benedizione per la mia famigliuola, che Iddio la benedica sempre e guidi sul sentiero della virtù. Io temo che con i Cognomi Nerli vi sieno stati molti equivoci; l'Enrichetta Nerli ha molto goduto dei favori di D. Bosco; Mamma, io; non si è mai veduto!... Mille felicità per il nuovo anno, e di cuore davvero... Preghi, preghi molto Iddio per me, che con quiete mi presterò alla sua lotteria... ”.
La Contessa Virginia de Cambray Digny il 5 gennaio 1866 rispondeva al Cav. Oreglia: - “ Mi rincrebbe sommamente sentire che l'ottimo Don Bosco, fosse tuttora afflitto dal male d'occhi di cui soffriva già durante il suo soggiorno in Firenze, e temo che gli strapazzi a cui egli si assoggettò in quei giorni, e più ancora il viaggio in una giornata così rigida qual si fu quella della di lui partenza, possano aver contribuito ad aggravare od almeno a prolungare il male. Voglio sperare che in questi ultimi giorni possa essersi verificato un qualche miglioramento in una salute tanto preziosa .....
” Debbo rimaner confusa vedendo ch'Ella in nome di Don Bosco mi porge ringraziamenti per quello ch'io feci mentre Egli era in Firenze, poichè nulla mi sembra aver fatto per usargli qualche cortesia, e se fui a trovarlo e ricercai l'occasione di vederlo, debbo confessare che vi fu molto egoismo in questo mio procedere, e perciò non merito di esser ringraziata con tanta benevolenza. Il pensare che D. Bosco e tutti quelli della sua casa pregheranno per me e per la mia famiglia è motivo per me di gran consolazione, poichè spero mediante la sua intercessione ottenere dal Signore per tutti noi le grazie necessarie per condur vita tale, che possa meritarci la sorte di essere un giorno ammessi a godere (in virtù della divina misericordia) il bel Paradiso. Si degni adunque, gentilissimo sig. Cavaliere, porgere a Don Bosco i miei più sinceri ringraziamenti per si distinto favore, e per la bontà con cui mi accolse quando ebbi la fortuna di vederlo ”.
Il 9 gennaio 1866 il P. Domenico Benelli, cappellano della Collegiata di S. Lorenzo, scriveva a D. Bosco: “ Ebbi la fortuna di parlarle a Firenze alla scuola dei ragazzi nei chiostri di questa collegiata di S. Lorenzo... Ebbi pure la consolazione di sentire da D. Leone Ponzacchi, cappellano curato alla Prioria delle Filigare, che esso ebbe il contento di accompagnarla da Firenze a Prato, e che le confidò lo stato suo morale, e che per la conferenza avuta con lei si rimise in questa città soddisfatto e tranquillo ”.
E in altra lettera del 26 ottobre gli soggiungeva: “ Don Ponzacchi dalla conferenza avuta con lei da Firenze a Prato, sentissi notabilmente sollevato, prosegue a star bene e a dedicarsi alla salute delle anime, predicando nella sua ed in altre chiese, confessando ed assistendo malati. ”
La signora Teresa Pestallini nata Barbolani Montauto, il cui marito aveva spedito all'Oratorio i denari da D. Bosco raccolti a Firenze, scrive allo stesso D. Bosco mandandogli un'offerta di 80 lire pei suoi giovanetti: “ Mio marito mi parlò dell'opera santa che ella con tanto coraggio ha intrapresa; di più la signora Gerolama Uguccioni, a me strettamente legata, mi parlò delle sue virtù e mi incoraggiò a scriverle. Ed io sono ardita a farlo per pregarla a voler dire per me anche una sola Ave Maria, onde Iddio si degni rendermi la salute della quale tanto abbisogno per la mia famiglia avendo quattro piccoli figli, i quali la prego voler benedire insieme con me e mio marito... ”
La march. Isabella Gerini il 23 gennaio 1866, dopo aver ringraziato D. Bosco di una sua lettera che annunziavale essere ottima la sua sanità ed essere guarito perfettamente degli occhi; di una “ pregiatissima opera ”mandata a lei e a suo marito che terranno come prezioso ricordo; della bontà che ha di pregare per essi; concludeva: “ Colla certezza che mi ha dato di rivederla qua a primavera, potrò personalmente darle discarico del poco che avrà ricevuto per la Chiesa della Madonna ”.
E prima aveva già scritto al Cav. Oreglia: “ Finchè avemmo il bene di aver qui D. Bosco non potei scriverle prima che fossero combinate le cose e combinai coll'ottimo D. Bosco ciò che mi era possibile combinare... Spero che la salute di D. Bosco sarà ora migliore ed egli avrà potuto riposarsi un poco dopo le fatiche sostenute in Toscana. Ne aveva gran bisogno... ”.
L'11 febbraio 1866, la signorina Marianna Buonamici faceva sapere per lettera a D. Bosco: “ Sono la figlia della Buonamici che venni a trovarla insieme con mamma e colla mia piccola sorella, all'Arcivescovado, la mattina antecedente alla sua partenza Ci aveva promesso di venire a celebrare nel nostro Oratorio privato, e con nostro dispiacere non potè venire dovendo andare al Monastero di S. Maria Maddalena. Ma spero che ci farà questo favore al suo ritorno, in primavera, come ci promise... Papà che ebbe il piacere di avvicinarla un momento una sera alla stazione, mi incarica di presentarle i suoi ossequi, unitamente a mamma e alla mia sorellina ”.
Anche un povero servitore del marchese Nicolini il 15 gennaio 1866 scriveva a D. Bosco: “ Restai molto dispiacente che la S. V. sia partita: se lo avessi saputo sarei venuto prima a Firenze, mi sarei prostrato dinanzi alla S. V. e baciandole la santa mano le avrei chiesto la santa benedizione ”. E dopo aver soggiunto, come trasportando un peso siasi fatto male alle reni e che dopo molte cure appena può passeggiare, chiedeva di poter guarire. D. Bosco rispose di proprio pugno al povero servo e sulla lettera, per norma dei segretario, scrisse, come soleva, la nota: Risposto.
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