Il Beato Don Bosco sospeso dalla confessione.
del 06 dicembre 2006
Il Beato non cessava di fare del suo meglio in favore ed anche in difesa di monsignor Gastaldi. Nel mese di ottobre alcuni cotali mal intenzionati, immaginandosi per certe voci udite, ch'egli osteggiasse l'Arcivescovo, vennero a fargli visita, gli presentarono un'infame biografia del prelato, lo sollecitarono a stamparla nella sua tipografia e gli esibirono per le spese una vistosa somma di denaro. Il Servo di Dio, facendo lo gnorri, chiese che gli lasciassero il manoscritto per esaminarlo: erano più di mille pagine. Naturalmente consegnò tutto alle fiamme. Questo fatto gli tirò addosso le ire di quei signori, che per parecchi anni, col fine di estorcergli denari a titolo d'indennità, gli diedero molte noie; ma egli non solo non si pentì, ma si mostrò sempre contentissimo d'aver impedito un sì grave scandalo e tutelato l'onore del suo Arcivescovo.
Non andò guari che seppe d'un giornalista, il quale teneva pronta una serie di articolacci prezzolati da stampare in un pessimo foglio cittadino contro la persona di Monsignore. Egli s'ingegnò tosto a cercar la via per avere nelle mani quegli scritti, sicchè non si facesse in tempo a cominciarne la pubblicazione. Vi riuscì, ma a caro prezzo; dovette rassegnarsi a ricoverare gratuitamente un figlio di quel miserabile ed a soccorrere lui medesimo. Ma fece ben volentieri l'una e l'altra cosa, in vista dello scopo.
Questi fatti ed altri simili, di cui si conobbe solo vagamente' l'esistenza, erano all'Ordinario notissimi; la quale circostanza rende assai più penoso l'ufficio dello storico che si accinge a narrare il tristo caso della sospensione. Fedeli alla verità, noi non diremo un ette, che non ci sia confermato da autentici documenti e da valide testimonianze.
L'Arcivescovo Gastaldi aveva firmato nel marzo del '75 le patenti di confessione per Don Bosco e per i preti dell'Oratorio. Don Cagliero passò verso giugno in Curia a ritirarle; ma si sentì rispondere che sarebbero state mandate all'Oratorio. - Come? pensò fra sè e sè. Sono io qui, sono qui le patenti firmate, me le possono consegnare direttamente, e si vogliono prendere l'incomodo di mandarle più tardi. E poi è stato sempre costume di venirle a prendere. Qui gatta ci cova!
Sul finire di ottobre il Servo di Dio se ne stava un giorno in cortile circondato da preti e da chierici, quando entra un servo della Curia con un pacco in mano e dice al Beato: Son contento d'averlo trovato subito, perchè devo consegnare a lei questo plico. - Ma Don Cagliero, che stava all'erta, s'avvide subito che vi erano le patenti dei confessori della Casa; onde fu pronto a stendere la mano e afferratele: - No, disse, questa roba tocca a me! - Il messo della Curia diede tutto a lui, che, tenuto per sè quello che gl'importava, gli disse di portare a Don Rua altre carte che gli restituiva. Pieno di curiosità, salì subito in camera, aprì l'involto ed ecco per prima la pagella di Don Bosco. Guarda e legge ad sex menses; poi osserva tutte le altre, e trova sempre ad annum. Dunque solamente per Don Bosco la facoltà di confessare era scaduta a settembre. Fremette il bollente Don Cagliero, ma si contenne e non fiatò con nessuno, tranne che con Dori. Rua, al quale confidò la cosa, esortandolo a provvedere, senza che Don Bosco ne avesse sentore. Poi egli se ne partì per l'America.
Don Rua mandò allora Don Cibrario in Curia a parlare col canonico Zappata, Vicario Generale. Questi, non appena vide la novità, scattò e: - Ma questo non va, disse, no, non va; son cose che si fanno con gli ubbriaconi. Dica, dica pure a Don Bosco che continui o confessare, gliene dò io la facoltà. - Diceva così, perchè in quei giorni l'Arcivescovo, come si accennò dove si trattava della visita dei Missionari, era andato fuori dì Torino.
Don Rua, addoloratissimo, continuò a tener celata quell'odiosità, finchè, essendo ritornato il Servo di Dio dal suo viaggio in Liguria con i Missionari, non sarebbe più stato prudente temporeggiare. Ma d'altra parte si avvicinavano le feste natalizie, nel qual tempo il Beato aveva moltissimo da confessare e si sarebbe suscitato uno scandalo enorme, se avesse dovuto improvvisamente smettere senza un visibile perchè, Quindi Don Rua tacque ancora.
Intanto però una chiamata del Vicario Generale invitava a presentarsi all'Arcivescovo. Vi si recò Don Rua, il quale vide facilmente che Monsignore non voleva sentir ragione.
 - Perchè è venuto Lei e non Don Bosco? gli chiese.
 - Perchè Don Bosco di nulla è informato, rispose Don Rua. .
 - Ho mandato espressamente un messo, riprese sdegnato l'Arcivescovo, a portare nelle mani di Don Bosco quelle patenti e con ordine che non le consegnasse a nessun altro.
 - Quel messo, osservò Don Rua, che ignorava le circostanze del fatto, non avrà avuto tempo di aspettare e, consegnate al segretario le patenti, venne a me con tutte le altre carte non credute confidenziali.
Monsignore allora non volle sottoscrivere la pagella del Beato.
Ma bisognava pur venire a una soluzione, la quale oramai non poteva aversi senza informare Don Bosco. La vigilia del santo Natale il venerato Don Rua, messa la cosa nelle mani di Dio, manifestò al Beato che le sue facoltà per le confessioni erano cessate da parecchio.
Don Bosco lasciò passare la festa: poi scrisse a Monsignore una di quelle lettere che solamente i Santi sanno scrivere e il cui autografo è venuto or ora nelle nostre mani.
 
Eccellenza Rev.ma,
 
Soltanto la vigilia del S. Natale D. Rua mi mostrò la mia patente di confessione scaduta in settembre passato. Trovandosi la sacrestia piena di giovani interni ed esterni che attendevano per confessarsi, ho giudicato di potermi servire per quella volta di una facoltà ottenuta dal S. Padre di confessare nei casi speciali che mi fossero avvenuti ovunque. Oggi però ho cessato, e dimani mi allontano da Torino per esimermi dal rispondere alle dimande che cominciano a farsi intorno alla realtà di questo fatto.
Ora Le fo umile preghiera di voler rinnovare tale facoltà per evitar chiacchiere e scandali; e siccome la presa misura suppone grave motivo, così e come povero sacerdote e come superiore di una congregazione definitivamente approvata dalla Santa Sede, nominatamente costituito superiore della medesima, La supplico rispettosamente a volermelo significare sia per mia regola e sia per fare emenda di qualche mancanza che di fatto gravitasse sul mio conto. Qualora poi questo motivo non giudicasse palesare a me, ma piuttosto a Roma, Le farei pure novella ed umile preghiera di volermelo significare per levarmi da una posizione che, se è dolor[os]a per tutti, è assai più per un superiore di congregazione che ha comunione di molte case.
Qualunque risposta si degnerà farmi, La prego dirigerla qui all'Oratorio, che mi sarà tosto trasmessa al luogo di mia dimora.
Ho l'onore di professarmi colla dovuta stima e venerazione
Di V. E. Rev.ma
Torino, 26 dicembre 1875.
dev.mo servitore
Sac. Gio. Bosco.
 
Il 27 egli partì per Borgo S. Martino. È molto probabile che abbia trascorsa ivi la seguente notte in preghiera, perchè il chierico Nai, che al mattino fu incaricato di rassettarne la camera, vide il letto perfettamente intatto. Ma nè Don Nai nè altri della Casa penetrò il doloroso segreto; anzi Don Nai, che n'ebbe notizia parecchi anni dopo, ricorda ancora benissimo che durante quel soggiorno il Beato non solo non dava a divedere il menomo turbamento, ma riceveva secondo il solito i confratelli, intrattenendosi con loro come se non avesse altro pensiero al mondo. Quanto a sè, il giovane chierico lo trovò tranquillo e scherzevole al pari di tutte le volte che aveva conferito con lui. Una diversità nel contegno di Don Bosco, se ci fosse stata, non sarebbe certamente passata senza attirare l'attenzione de' suoi figli, che ne conoscevano appuntino le abitudini.
Il direttore nondimeno era stato messo al corrente dell'affare. Noi che abbiamo avvicinato Don Bonetti anche in qualche momento critico e sappiamo l'ardore del suo spirito e la vivacità della sua indole schiettissima, non siamo rimasti punto sorpresi nel trovare i documenti, che qui sotto riferiamo. La prima delle due lettere è per il Cardinal Antonelli, Segretario di Stato; la seconda, per il Santo Padre.
 
Eminenza,
 
Le tante volte da me esperimentata Vostra bontà mi dà animo di ricorrere nuovamente alla Em.za Vostra Rev.ma per un favore.
La supplico rispettosamente che voglia degnarsi di umiliare la qui unita lettera al S. Padre, cui ho bisogno di far note le mie pene ed implorare il suo aiuto sovrano.
Nella fiducia di questo favore ne La ringrazio di cuore e pregandole dal cielo un felice termine del morente anno ed un buon principio del prossimo nascente, godo di potermi professare con alta stima e profonda venerazione
Di V. Em.za Rev.ma
Borgo S. Martino, 28 dicembre 18, 75.
 
Umil.mo ed osseq.mo servo
Sac. Gio. BONETTI
Direttore del piccolo Seminario
di Borgo S. Martino.
 
Santissimo Padre,
 
Prima di tutto Vi domando perdono, o SS. Padre, se colla presente io aggiungo amarezza al Vostro già cotanto amareggiato animo; perdono, che io spero e dal Vostro bel cuore ed anche perchè sono quel figlio che nel colmo delle sue pene viene a cercare conforto dal migliore dei Padri, dal Supremo Moderatore della Salesiana Congregazione, a cui ho il bene di appartenere.
Vi sarà pur troppo nota, o Santità, la persecuzione, a cui da parecchi anni è fatto bersaglio l'ottimo mio Superiore D. Giovanni Bosco per parte del Rev.mo Arcivescovo di Torino, Mons. Lorenzo Gastaldi Ben so, e Ve ne ringrazio dal fondo del cuore, che Voi avete già cercato di por fine a questo disordine incaricando in proposito ragguardevolissimi personaggi; ma con vivissimo dolore l'esito non corrispose alle concepite speranze. Anzi pare che l'ira del detto Prelato vada di giorno in giorno disfogandosi più tremenda, ed ultimamente giunse perfino a fargli prendere l'inqualificabile risoluzione di sospendere questo degnissimo sacerdote dall'udire le confessioni nell'Archidiocesi Torinese. Vostra Santità che conosce appieno la virtù del mio Superiore, può bene immaginare se egli sia capace di commettere un delitto, da meritare una pena quale si infligge solamente ai Sacerdoti più scandalosi.
Il povero D. Bosco soffre con pazienza e pur con calma; ma il suo fisico non può non risentirsene, e i suoi diletti figli vedono con sommo cordoglio prostrarsi ogni dì più la sua salute e consumarsi la sua esistenza cotanto preziosa.
Santissimo Padre, Voi siete il mansuetissimo, ma nel tempo opportuno anche il fortissimo dei Pontefici. Deh! poichè sinora non servì la dolcezza, vogliate nella Vostra prudenza ed equità usare rimedii più efficaci, che pongano fine ad un tanto male. Io vi domando questa grazia nelle festa dei Santi Innocenti; nel dì natalizio di S. Francesco di Sales, glorioso Patrono della mia Congregazione.
Forse con questa mia io commetto un atto d'indiscrezione verso di Voi, o SS. Padre: ma oltre che le Costituzioni Salesiane permettono ai Soci di scrivere al Romano Pontefice all'insaputa pur anche degli stessi superiori, io prego e spero che Voi condoniate cotanta confidenza al mio cuore afflittissimo, al timore che mi tormenta di vedere scandali e scoraggiamenti tra' miei confratelli, e al sentimento veementissimo di gratitudine verso il Sig. D. Bosco: imperocchè dopo Dio io debbo tutto a quest'uomo impareggiabile. Se io ho la felicissima sorte di trovarmi tra le diradate file dei Vostri combattenti, a lui lo debbo, che 20 anni sono mi sollevò dalla polvere, mi ricoverò nel suo Istituto, mi applicò allo studio, e mi formò alla carriera ecclesiastica; a Lui debbo se da io anni mi trovo alla testa di 200 giovinetti, che, la Divina Provvidenza raccoglie ogni anno in questo collegio per apprendere la scienza non disgiunta dalla Religione, per essere un giorno o zelanti Sacerdoti o per lo meno buoni cristiani; a lui insomma io debbo quanto so e quanto sono.
Santissimo Padre, tanta è la fiducia che in Voi ripongo, che nella presente grave afflizione pur mi gode l'animo pensando che Voi non tarderete ad esaudire i voti del mio cuore, e darete una novella prova di Vostra Sovrana benevolenza alla Congregazione Salesiana, la quale si gloria di avervi a Padre e Protettore.
Colgo questa propizia occasione per augurare alla Santità Vostra un buon fine e capo d'anno con tutte quelle grazie che il Vostro gran cuore desidera e sospira. Oh! venga, sì, venga presto per Voi il giorno del trionfo, che è il giorno della pace e della tranquillità della Chiesa, di cui siete Capo e Maestro infallibile.
Prostrato ai piedi di Vostra Santità mi professo con profondo ossequio
Di Voi,; SS. Padre,
Borgo S. Martino, 28 Dicembre 1875.
 
 
Umil.mo e Dev.mo figlio
Sac. Gio. BONETTI
Direttore del Piccolo Seminario
in Borgo S. Martino.
 
Il Cardinale che tante prove di sincera stima aveva già date per Don Bosco, rispose con la massima sollecitudine possibile.
 
Ill.mo Signor. D. Gio. Bonetti Direttore del Collegio Seminario di S. Carlo - Borgo S. Martino,
 
Venne da me senza indugio rassegnata nelle venerate mani di Sua Santità la lettera da Lei a tale uopo acclusami nel foglio del 28 decorso dicembre.
Nel portare ciò a sua notizia, La ringrazio degli auguri contemporaneamente indirizzatimi pel nuovo anno, assicurandola che eguali sono i voti che io formo per ogni vero suo bene.
Di V. S.
Roma, 3 gennaio 1876.
 
Servitor suo
G. C. ANTONELLI.
 
Il Beato, in sì grave distretta, non poteva non correre col pensiero a quel suo insigne Protettore che era il cardinal Berardi. Infatti, subitochè ricevette l'infausta comunicazione, gliene scrisse, pregandolo anche di fargli avere da Roma per ogni evenienza una patente generale di confessione. L'amplissima facoltà concessagli oralmente dal Papa era cosa, che serviva alla sua coscienza, ma inutile nel foro esterno. Alte parole di conforto furono la risposta immediata del Cardinale.
 “ Il gentilissimo suo foglio del 25, del cadente mese, giuntomi ieri sera ad ora ben tarda, mi riempì senza dubbio del più vivo ed inaspettato stupore, congiunto ad una forte tristezza derivante dal riflettere, che ora non si trovi modo di calmare cotesto Ordinario; sarà bene difficile di andare innanzi tranquillamente. In vista di ciò, quantunque fossi stato ieri dal Santo Padre, avrei nondimeno voluto tornarvi in questa mattina; ma mi sono astenuto pel riflesso che Sua Santità difficilmente sarebbesi indotta a prendere una determinazione senza aver prima intesi i motivi, pei quali l'Ordinario suindicato si è determinato a prendere una misura così grave. Ad onta di ciò io non mancherò di parlargliene accademicamente nella prossima udienza di sabbato, e Le ne darò poscia, ove occorra, speciale contezza. Stia intanto di buon animo, e non si avvilisca per siffatti deplorevoli incidenti, perchè si vede bene, che il Signore vuol provarla, ed è certo d'altronde, che crescit in adversis virtus ”.
Abbiamo con tutto ciò la soddisfazione di aggiungere che l'autore del provvedimento non fu insensibile all'umiltà del Beato. Accortosi senza dubbio dello sproposito che aveva commesso, gli fece scrivere così:
 
Molto Rev.do Signore,
 
S. E. Rev.ma il nostro rev.mo Arcivescovo mi incarica di scrivere a V. S. che esso ha ricevuto la sua lettera di ieri, di avvertirla che le sue facoltà di confessare continuano; e di soggiungerle, che esse non sarebbero mai state interrotte se a tempo debito fosse stato eseguito quanto in casi consimili si usa praticare.
Con tutta la riverenza mi ripeto di V. S. molto rev.da
Torino, il 27 dicembre 1875.
 
Dev.mo servitore
Can. CHIUSO Secret.
 
Due giorni dopo fece scrivere a Don Rua un altro biglietto, per dire che andasse “ al più presto da lui in Arcivescovado, recando seco le patenti di confessione del signor D. Bosco ”, certo a fine di correggerle.
Ma qui dobbiamo farci una domanda: che cosa intendeva dire Monsignore con quella frase “ se a tempo debito fosse stato eseguito quanto in casi consimili si usa praticare ”? Quali erano i “ casi consimili ”? I casi di presentazione delle patenti in Curia per la conferma o i casi di colpevolezza? Voleva dunque egli riprendere Don Bosco e attribuirgli la causa del suo male, per non aver ritirate le patenti con maggior sollecitudine o per non aver riconosciuto prima non sappiamo quale sua colpa e fattane emenda? Mistero! Vi sono pur anco stratagemmi, a cui taluno ricorre, quando voglia tentare, come si dice, una ritirata in buon ordine. A la guerre comme à la guerre.
Don Rua la sera del 29 si presentò a Sua Eccellenza, a cui l'indomani per lettera fornì schiarimenti non potuti dare nel colloquio, pigliando occasione per esprimere alcuni suoi sentimenti. “ Sommamente addolorato, diceva, per la scissura che pare dividere l'E. V. da questa Congregazione e specialmente dal suo Fondatore, son persuaso che molte ragioni, che muovono l'E. V. a formarsi sinistro concetto di noi ed a credersi disobbedito od offeso, svanirebbero, qualora l'E. V. Rev.ma potesse sentire un'esatta esposizione delle cose. Perdoni se mai nel parlare o nello scrivere mi fosse sfuggita qualche parola meno riverente. Certo che sentendo parlare poco favorevolmente del caro nostro Superiore, provo gran pena, e per quanto vale la mia pochezza, ne prendo le difese, quando scorgo o mi par di scorgere che le cose non siano abbastanza conosciute. Sono tanti anni che gli sono al fianco, ognun vede il gran bene che va facendo e come il Signore va benedicendo le sue imprese; vedo eziandio come le cose che parrebbero più strane da lui proposte e dirette riescono a buon termine, e non posso fare a meno di conchiudere meco stesso che veramente il Signore gli concede la grazia dello stato; cioè che, avendolo destinato a compiere certe opere provvidenziali, gli è largo degli aiuti per farvelo riuscire, sebbene di tratto in tratto, come avvenne a tanti altri santi fondatori, abbia a trovarsi in contrasto con personaggi per ogni lato rispettabili. Questo dico per ragione di aver osato ieri difenderlo forse un po' calorosamente; del resto, come diceva, intendo di chiedere umilmente scusa, se avessi parlato meno riverentemente, e spero che nella sua bontà non vorrà imputarmelo a colpa ”. Ecco il linguaggio di un santo che, non dissociando giustizia da carità, si leva a difesa di un altro santo in contingenze di estrema delicatezza. Ora si confronti questo onesto parlare con il giudizio fattone dall'Ordinario e da noi riportato sopra.
Oramai dunque la misura era stata revocata, e Don Bosco sentì il dovere d'informarne senza indugio il cardinal Berardi. Questi poi, mandandogli la patente limitata di confessare, poichè la facoltà dei casi riservati non si suole concedere da Roma, si affrettò a rispondergli:
 
Stimatissimo Sig. D. Giovanni,
 
Non prima di ieri sera mi giunse l'altra sua carissima dei 29 del testè decorso Decembre, la quale mi arrecò la lieta notizia della revoca della consaputa misura. Un tale annunzio mi ricolmò di immenso piacere e mi fece sospendere ogni passo in proposito. Che se Ella desiderasse altrimenti, me ne dia subito avviso, e lo farò al più presto. In tale ipotesi però avrei bisogno di una relazione più dettagliata e più precisa.
Intanto non v'ha che ad usare la massima prudenza e riservatezza, e se riavrò il piacere di rivederla qui, le aprirò allora sull'argomento tutto il mio cuore. Non mi sembra infatti troppo espediente che si affidi alla posta, la quale talvolta non è molto esatta, quel che amo di comunicarle. In tale intesa tomo a raccomandare me e i miei alle sue preghiere, e con sensi di distinta stima passo a dichiararmi
Roma, li 3 del 1876.
 
Suo Dev.mo servitore
G. C. BERARDI.
 
Per il Servo di Dio l'incidente era bell'e chiuso; tanto chiuso, che nella già citata Esposizione alla Sacra Congregazione del Concilio non ne fa più motto, riguardandolo sicuramente come semplice fatto personale.
 “ Fatto ridicolo ”, glielo definì invece nel suo stile vivace monsignor Fratejacci, che aveva saputo tutto dal cardinal Berardi. A sollevare l'animo dei lettori leggiamo il fervorino del buon canonico. Sì, prosegue egli, “ della sospensione Ella deve ridere. Fu sospeso qui in Roma dal Card. Vicario pro tempore anche l'Apostolo di Roma S. Filippo Neri! Egli accettò l'intimazione colla berretta in mano e disse: - Così va bene; adesso conoscerà il popolo che buona pelle sono io. Tutti mi stimavano, perchè non mi conoscevano; ma ora tutti conosceranno bene che buona lana è il P. Filippo. - Questi chiaro e oscuro servono mirabilmente nella vita degli uomini a chiarir meglio le virtù. Sono le ombre che danno migliore risalto alle arie e alle figure, che il valente pennello sa dipingere sulle tele più lodate ”.
La voce del caso aveva fatto qualche giro anche nel mondo ecclesiastico del Piemonte. Infatti il 30 gennaio fu dal Beato Monsignor Vescovo di Susa per informarsi e per consolarsi, diceva, di non essere solo a subire vessazioni.
A poco a poco anche nelle sfere superiori della Congregazione la notizia della nuova avvisaglia era venuta a galla; quindi i Direttori nell'adunanza annuale del '76 per la festa di San Francesco ne interpellarono Don Bosco fuor di seduta. Egli fra l'altro rispose loro: “ Che farci?... [A Roma si] teme che precipiti in qualche eccesso e che salti il fosso... Spingerlo a nuovi passi falsi Roma non vuole, non Voglio io, nessuno vuole. È assai meglio patire qualche cosa noi, chinare il capo e tacere ”.
Ebbene, anche in ciò abbiamo una prova che Don Bosco era mandato dalla Provvidenza per una straordinaria missione nel mondo. San Giovanni della Croce scrive: “ Ai capi delle famiglie religiose Dio dà le ricchezze e le grandezze della sua grazia proporzionate alle destinazioni provvidenziali della loro posterità spirituale, chiamata a ereditarne la dottrina e lo spirito ”. Ora la posterità spirituale del Beato Don Bosco doveva nel corso dei tempi guadagnare a Dio moltissime anime. Perciò il Signore lo arricchì dei tesori della sua grazia e lo fece crescere in perfezione mediante pene gravissime, che portarono lui all'apice della santità e valsero alla sua Congregazione tanta espansione accompagnata dal suo spirito.
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