Il giovane ebreo di Amsterdam - Suo incontro con D. Bosco nell'ospedale - Sua storia - Una sua sorella si rende cattolica - Suoi dubbi religiosi - Causa della sua malattia - Conferenze con D. Bosco - Maneggi degli Ebrei per impedire la sua conversione - Battesimo e morte preziosa.
del 08 novembre 2006
 Nell'anno 1847 e 1848 la Divina Bontà adoperò D. Bosco come strumento di una meravigliosa conversione. Un giorno andando egli secondo il consueto nell'ospedale di S. Giovanni, fu avvisato dalla Superiora delle monache, suor Serafina di Buttigliera, come fosse entrato per curarsi un giovane ebreo in sui 23 anni, il quale mostrava propensione a farsi cristiano. D. Bosco diede alla suora prudenti regole per incominciarne l'istruzione, senza impegnarsi in controversie, e promise di prendersi a cuore quella povera anima. La suora intanto, per intrattenere piacevolmente il giovane ebreo, fra le altre cose prese a narrargli quanto sapeva intorno a D. Bosco, specialmente del suo amore ai giovanetti e quanto avesse operato ed operasse per essi in Torino. Il giovane ebreo ascoltava con meraviglioso e crescente diletto questi racconti, sicchè insensibilmente si accese di vivo desiderio di conoscere questo prete. Ed ecco un bel giorno entrargli in camera suor Serafina, la quale aveva prima invitato D. Bosco, e dire all'infermo: “ Vengo a darle una notizia che le farà piacere, io spero. In questo momento è giunto nei cameroni quel D. Bosco del quale abbiamo tanto parlato. Se desidera vederlo, conoscerlo, io lo introdurrò. È questa una visita che cagionerà a lei una grata distrazione ”.
Il giovane contentissimo disse alla suora: “ Sì, sì, tanto volentieri! ”. D. Bosco venne. Era quella una delle camere più nobili dell'ospedale. Il giovane che ancora aveva tanto di forze da stare fuor di letto, era seduto. All'entrare del prete si alzò e si tolse rispettosamente il berretto che colla visiera gli celava il volto. Era di aspetto gentile, che svelava un'anima sofferente. D. Bosco alle prime interrogazioni conobbe aver quegli un'indole ottima e un cuore sincero; la prima sua visita fu breve, ma aperse la strada a molte altre che furono di lunga durata e di frutto consolante. Il giovane, appena conosciuto D. Bosco, sentissi animato di una simpatia tenera e profonda pel prete cattolico; quindi gli narrò tutta la sua storia.
Si chiamava Abramo, era nativo di Amsterdam, ove abitavano i suoi parenti, ricchissimi di censo. Di grande ingegno, aveva fatti rapidi progressi nella scuola, ed essendo l'idolo della famiglia veniva largamente soddisfatto in ogni suo desiderio di divertimenti, teatri, convegni, agiatezze. Tuttavia egli si era mantenuto sempre morigerato. Aveva una sorella maggiore della quale era amantissimo, di nome Rachele: nutriva ella segreto desiderio di farsi cristiana, e avendone trovato modo, o leggendo di nascosto ottimi libri che trattavano di religione, o essendosi incontrata con qualche persona cattolica, di istruirsi nella verità, veniva a poco a poco insinuando Pel fratello massime cristiane, senza però che egli se ne avvedesse. Rachele aveva qualche anno di più di Abramo, e, decisa di farsi suora della Carità, toccati i 17 anni, palesò al padre il suo pensiero, chiedendo licenza di andare in Francia. Il padre si sdegnò altamente, e non potendo smuoverla dal suo divisamento, non volle assolutamente permettergliene l'andata finchè non fu maggiorenne. Allora acconsentì che partisse per dove meglio le talentasse, ma la diseredò, non accordandole alcun sussidio per vivere. Però una sua zia, pur essa ebrea, mossa a compassione, la provvide della somma necessaria per costituirle la dote, onde potesse entrare tra le figlie di S. Vincenzo. Rachele andò a Parigi; ma Abramo, quando seppe che la sorella voleva farsi cattolica e suora, concepì per lei una profonda avversione, in gran parte cagionata dal crederla disamorata di lui. Tuttavia nel suo cuore stavano scolpiti sufficientemente i sentimenti cristiani, bastanti a tenere vivo un principio di dubbio sulla sua religione.
La mamma sua noti tardò ad avvertire questo dubbio e per mantenerlo costante nella fede ebraica gli andava spesso raccontando le ridicole e paurose favole del Talmud, minaccianti terribili castighi agli Ebrei che mutassero religione. Abramo però si mostrava incredulo e andava ripetendo: “ Ma che cosa debbo temere da quella maga, che voi mi dite, vivesse già fin dai tempi di Adamo? Se ancora esiste, come voi mi assicurate, deve esser ben vecchia e quindi ha poca potenza di farmi del male ”. Il padre, che era superstizioso all'eccesso, vedendolo sempre più allontanarsi dalle sue opinioni, anzi talora deriderle, fece venire un dotto Rabbino che lo persuadesse colle sue ragioni. Ma Abramo, che era di sottile ingegno, questionò specialmente sul punto capitale del regno eterno promesso da Dio a David e chiedeva ove fosse questo regno nei tempi presenti. Chiedeva pur sempre e ripeteva: “ Sta scritto nei libri di Mosè che non sarà tolto lo scettro da Giuda e il Capitano dal suo fianco, finchè non venga il Messia. Ora se il Messia non è venuto, dove è il nostro regno di Giuda?  E se il regno di Giuda è stato tolto, non è egli segno che il Messia è già venuto? ”. Il Rabbino, per quanto si sforzasse, non riuscì a soddisfarlo.
Il padre, che lo amava come figlio prediletto, vedendolo sempre agitato e desideroso d'istruirsi nella religione lo mandò ai ministri protestanti, perchè vedessero essi di sciogliere le sue obbiezioni, persuaso che lo avrebbero potuto appagare senza che abbandonasse le credenze nelle quali era nato. Costoro si adoprarono a trarlo nella loro setta; al giovanetto però non sembrava religione una società senza sacrifici, senza riti solenni, senza unità, senza dottrine certe. Quegli sciagurati allora, per convertirlo, lo incamminarono nella strada del vizio, e pur troppo egli cadde in quel laccio. Conseguenza però del disordine fu una lenta malattia di petto, della quale, quando Abramo provò i primi sintomi, riconoscendone la causa nei perfidi consigli dei Protestanti, si accese di odio verso il Cristianesimo. Fece quindi amare lagnanze col padre perchè lo aveva indirizzato ai ministri. Ma il padre gli rispondeva: “ Hai voluto conoscere il Cristianesimo, e quelli ne sono i maestri ”. Ad Amsterdam infatti tutto ciò che aveva nome di Cristianesimo era protestante. Tali i tribunali, i templi, la società. I Cattolici erano pochi e sconosciuti, anzi il loro nome e quello della Religione nostra santissima non aveva mai risuonato al suo orecchio. Abramo era quindi persuaso che la sorella Rachele coll'essersi fatta cristiana appartenesse ai protestanti.
Persistendo intanto quel malore, i parenti decisero di provare modo di guarirlo sotto la cura dei più esperti medici; lo mandarono perciò a Vienna, ove si trattenne qualche tempo in quegli ospedali, trattato con ogni lautezza, perché il padre non guardava a spese. La malattia però proseguendo il suo corso, si credette conveniente tentare se gli fosse di giovamento prima l'aria di Innsbruck e poi quella di Torino. Le prove non riuscirono, e la polmonite risolvevasi in vera etisia. In sulle prime fu accolto premurosamente in una casa di ricchi Ebrei, i quali però, temendo per i loro ragazzi, lo mandarono a Chieri. Ma qui peggiorando ritornò a Torino presso quei suoi parenti, i quali dopo qualche giorno finirono col metterlo nell'ospedale di S. Giovanni, affittando una stanza.
Fu allora che ebbe la fortuna di incontrarsi con D. Bosco, il quale le prime volte che lo visitò non gli parlò punto di religione, ed entrò in argomento solo quando fu sicuro della sua affezione. Abramo conobbe allora il suo errore intorno al Cristianesimo, che aveva confuso con una setta di protestanti e restò ammirato della bellezza del Cattolicismo. Gli Ebrei però seppero delle visite prolungate di D. Bosco e si misero in guardia per impedire quella conversione. Da quel punto riuscì difficile parlare con Abramo di religione, e D. Bosco rare volte potè ancora avvicinarlo. Gli erano state messe ai fianchi due serve che lo sorvegliassero continuamente, l'una di giorno, l'altra di notte. Abramo era angustiato, desiderando sempre più d'istruirsi, quando si avvide che una di quelle serve parlava solamente il francese, l'altra il francese e il tedesco. Conoscendo egli a perfezione eziandio la lingua inglese, comunicò quella scoperta a suor Serafina, la quale sapeva pure l'inglese, e rimasero d'accordo di continuare l'istruzione religiosa in quella lingua, sicuri di non essere intesi. D. Bosco dirigeva la suora nel modo di procedere in quel catechismo, dandole a leggere le “Discussioni dirette agli Ebrei” di Paolo De Medici e “Gli Ebrei” del Teol. Vincenzo Rossi di Mondovì: due opere, nelle quali sono esposti gli argomenti per convincere gli Ebrei che il Messia cioè Gesù Cristo è venuto. Le due serve presenti a quei dialoghi, benchè non intendessero parola, sospettarono e fecero rapporto ai padroni, i quali avevano dal padre l'incarico di impedire assolutamente ad Abramo di farsi cattolico. Quindi vollero che fosse trasportato a Chieri; ma la ripugnanza che vi era nelle famiglie ebree di Chieri per quella infermità, non potè esser vinta dalla prospettiva di un grosso lucro, e consigliò a lasciarlo nell'ospedale di S. Giovanni. Intanto la malattia precipitava, gli Ebrei stavano all'erta, e il padre avvertito ordinò che a qualunque costo, o vivo, o morto, il figlio fosse mandato ad Amsterdam. Ma i medici si opposero risolutamente a ciò che essi chiamarono omicidio, dicendo non esservi più nessuna speranza di guarigione, e che per la debolezza il giovane sarebbe morto prima di tempo a causa del viaggio. Gli Ebrei di Torino sull'ultima ora vedendo che non poteva più guarire e vinti dal superstizioso terrore che hanno dell'avvicinare i morenti, lo abbandonarono, poco curandosi di guardarlo dai Cristiani. Colto il momento opportuno D. Rossi cappellano lo battezzò, lo comunicò, gli diede l'Olio santo a due ore dopo mezzanotte. Gli Ebrei nulla seppero. D. Bosco alcuni giorni dopo andava per visitarlo ma s'imbattè nella corsia in un convalescente che lo chiamò.
 - Va forse a far visita al giovane Abramo?
 - Si.
 - È morto ieri sera!
Sei mesi aveva durato infermo in quell'ospedale.
Quando D. Bosco fu a Parigi nel 1883, andato a far visita alle suore di Carità, chiese se in quella casa si trovasse ancora una suora di Amsterdam che prima era ebrea.
 - Sì, sì, c'è ancora, rispose la suora portinaia: Rachele
 - Or bene, le direte che io debbo darle ultime notizie di suo fratello.
 - Suo fratello? È morto da un pezzo.
 - Lo so, ma si può dire che è morto col capo appoggiato a questo braccio.
 - Dunque è morto cattolico? La sorella lo seppe che si era fatto cristiano; ma fu una voce vaga, nulla di certo.
 - Io posso assicurarla di certa scienza! Quando potrò vedere suor Rachele?
 - Ritorni domani a dirci la santa Messa ed io parlerò alla Superiora. Quanto sarà contenta suor Rachele!
All'indomani D. Bosco non mancò. Grande fu la gioia della buona sorella in quell'abboccamento. Aveva innanzi quel sacerdote che il Signore aveva destinato per compiere la salvezza eterna del suo caro fratello, e veniva a sapere che il seme da essa sparso tanti anni innanzi aveva dati i suoi frutti di vita eterna. D. Bosco celebrò Messa e predicò, e tutte quelle buone suore passarono con Rachele un giorno di vera festa.
 
 
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