D. Bosco chiede oblazioni ai benefattori per la costruzione della nuova chiesa - Risposta dell'abate Rosmini Don Bosco a Biella e suo incontro col Padre Goggia - Ad Oropa - Lettere incoraggianti dei Vescovi La festa in Valdocco di S. Giovanni e di S. Luigi - D. Bosco a S. Ignazio e a Lanzo: sue previsioni.
del 24 novembre 2006
Don Bosco non aveva messo tempo in mezzo nel cercare oblazioni dai fedeli per dar principio alla chiesa progettata, e fra gli altri ricorreva all'Abate Rosmini.
 
Ill.mo e Rev.mo Signore,
 
Il poco tempo che V. S. Ill.ma e Rev.ma potè  fermarsi qui in Torino, non ci permise di farle vedere il modo con cui si desiderava di erigere la nostra chiesa, e di ristorare la nostra casa; motivo per cui fatto il disegno ho pensato di radunare una decina di persone perite in tali materie, a fine di far esaminare il lavoro da farsi.
Fu pertanto ponderato il piano e il modo di eseguirlo: e in seguito ad alcune osservazioni igieniche ed economiche fu deciso d'incominciare la costruzione della chiesa. Ma siccome i mezzi per effettuare una tale opera sono unicamente appoggiati sulle oblazioni dei privati, secondo che nel modo e nella quantità ciascuno desidera liberamente concorrere, mi faccio lecito col massimo rispetto d'invitare V. S. a volerci prestare la mano benefica. La spesa per la chiesa fu calcolata dall'architetto di franchi trentamila; dalle oblazioni fatte in materiali, danari e lavori di opera, abbiamo già quindicimila franchi. Ce ne mancherebbero ancora altrettanti. Noti però che qualunque somma anche tenuissima, sarà ricevuta colla massima gratitudine, e mi sarà sempre un piacere grandissimo il poterla annoverare fra i benefattori che concorsero per la costruzione di una chiesa sotto il titolo di S. Francesco di Sales, la prima che in Piemonte siasi innalzata a favore della gioventù abbandonata.
In quanto poi al restauramento della casa fu deciso di alzarla tutta d'un piano, la qual cosa duplica lo spazio della presente abitazione; i mezzi poi per questo secondo lavoro, sono fondati sopra la pezza di sito posta in vendita, il cui esito (è  già in parte venduta) ci pare buono.
Persuaso che nella sua bontà ci voglia continuare la sua mano benefica, la ringrazio di tutto cuore di quanto ha fatto a nostro riguardo, pregando il Signore onde La voglia nei santi suoi desiderii favorire e prosperare nel modo che tornerà alla maggior gloria di Dio.
Mentre poi di cuore raccomando me stesso alle divote sue orazioni, coi sentimenti della pi√π viva gratitudine mi dichiaro con tutta venerazione
Di V. S. Ill.ma e Rev.ma
Torino, 28 maggio 1851.
Riconoscent.mo Servitore
Sac. BOSCO GIO.
 
 
 
Il P. Gilardi così rispondevagli da Stresa il 1 giugno 1851:
 
Molto Rev.do e car.mo D. Giovanni,
 
Fu di grande consolazione al Molto Rev.do P. D. Antonio Rosmini il leggere nella riverita sua del 28 p. p. come Iddio benedice le di Lei zelanti premure, apprestandole i mezzi da edificare la chiesa e da ampliare la casa destinata alla pia opera che Le ispirò di promuovere: e bramerebbe egli pure di potervi concorrere con qualche larga oblazione; ma le attuali sue circostanze e le molte spese che ha dovuto subire in questi ultimi anni, e che gli toccano ancora, non gli permettono dì secondare tutto il desiderio suo. Tuttavolta, qualora ciò piacesse alla S. V., egli Le offrirebbe un certo numero di libri delle Opere sue, cui Ella facendo vendere ne convertirebbe il prezzo a sussidio di cotesta sua fabbrica. Se il partito Le conviene, me ne faccia un cenno, acciò si possa mandare ad effetto…….
P. GILARDI.
D. Bosco riconoscente spediva la sua risposta.
 
Torino, 4 giugno 1851.
 
Car.mo e Molto Rev. Sig. D. Carlo,
 
Nella persona di V. S. Car.ma ringrazio il Rev.mo Signor Abate Rosmini della parte che vuol prendere a questo nostro or ora incominciato edifizio destinato per la casa del Signore.
Essendo un'oblazione di carità, perciò qualsiasi somma si accetta; ed anche i libri spero si potranno facilmente ridurre in danari. Abbia solo la compiacenza di significarmi il modo con cui Ella desidera di mandarmeli, ed io sarò pronto a riceverli; mi sarebbe anche cosa vantaggiosa per mia norma, se m'indicasse approssimativamente il prezzo con cui tali libri sono posti altrove in vendita.
Mi rincresce molto della notizia di D. Carlo Rusca; spero però in Domino che l'infermità non sarà ad mortem. Ad ogni modo ho già pregato e continuo a pregare onde si faccia la santissima divina volontà.
La saluto di cuore e La ringrazio dicendomi Di V. S. Car.ma
Obbl.mo servitore
Sac. BOSCO GIO.
 
D. Bosco intanto, secondo il suo costume, quando doveva mettere mano ad una impresa più importante, aveva stabilito di recarsi al santuario della Madonna di Oropa per invocare con tutta l'espansione dell'animo il suo materno aiuto. “Avendolo io pregato, ci scrisse D. Giacomo Bellia, venne a fare la chiusa del mese di Maria a Pettinengo. Era la prima volta che in questo paese si celebrava una così commovente funzione. D. Bosco predicando, da un mazzolino di gigli, rose, violette e altri fiori trasse argomento a parlare delle virtù, colla pratica delle quali si può riuscir gradevoli a Maria SS. Abitò una settimana presso di noi, dando molta edificazione, e parecchi si confessarono in casa nostra.
”Passando poi a Biella nella chiesa di S. Filippo ei fu richiesto del celebret, ma non l'aveva con sè . Interrogato se conoscesse qualcuno che facesse per lui testimonianza, rispose: - Sì; p. es. Padre Goggia. - Lo conosceva però solamente di fama. Ed ecco il Padre Goggia entrare in sagrestia. I due sacerdoti appena si videro, si abbracciarono, cosa che rare volte in sua vita fece D. Bosco, chiamandosi l'un l'altro per nome, senza essersi mai veduti. Io restai preso da meraviglia, poichè il nome di D. Bosco non era stato pronunciato, e dovetti osservare con altri che un santo abbracciava l'altro, senza essersi prima d'allora mai ravvisati.
”In questo viaggio andò ad Oropa, vi celebrò la S. Messa e fu invitato dal Rettore a ritornare per fermarvisi fino a tre mesi, lavorando ne' suoi manoscritti e celebrando in compenso per il Santuario. D. Bosco accettò e ringraziò, pensando che qualche settimana di quiete e di preghiera innanzi alla santa immagine, se pure gli fosse possibile, gli avrebbe recato un grande sollievo. Infatti qualche tempo dopo vi ritornò; ma era cambiata l'amministrazione e non gli fu concesso di rimanere ”. Fin qui D. Bellia.
Don Bosco ritornato dal Santuario d'Oropa si affrettò a far preparare i disegni della chiesa da costruirsi, e, con una sua domanda per ottenere l'approvazione, li presentò al Municipio. Subito dopo incominciò a scrivere lettere ad un gran numero di persone che sapeva propense a beneficare, esponendo loro la necessità nella quale si trovava la regione Valdocco di un edifizio consecrato al divin culto, chiedendo che venissero in suo aiuto, e loro trasmettendo una scheda di sottoscrizione da lui formulata.
Per varii mesi continui egli non desistette dal suo scrivere e ne ebbe le risposte anche dei Vescovi del Piemonte, ai quali aveva indirizzato la sua calorosa domanda, pregandoli a volersi far promotori nelle loro diocesi della sottoscrizione. I Prelati si dichiaravano prontissimi ad aiutarlo; ma lamentavano la difficoltà di ottenere le oblazioni richieste, avendo essi molte spese alle quali non potevano sopperire per mancanza di fondi, che la raffreddata carità lasciava desiderare. Chi aveva chiese da erigere o riparare, chi si trovava ristrettissimo di finanze, chi era aggravato da istituzioni da sostenersi in città e diocesi molto povera, e assediato da molteplici richieste per opere pie e altre non pie. Ciò non pertanto promettendo che col tempo non fallirebbero alla sua aspettazione, uno manda il suo obolo, altro accetta messe che celebrerà lasciando l'elemosina a disposizione di Don Bosco. Ma sovratutto è da notarsi la deferenza che spira dalle loro risposte. Scrive il Vescovo di Fossano: “Io La conforto nel Signore a proseguire con alacrità l'opera sua, e Dio non Le mancherà nella sua Provvidenza. Mi continui la sua amicizia”. Il Vescovo d'Alba: “Dio non verrà meno a V. S., che fa un'opera così buona. Io non manco di pregare S. D. M. a benedirla”. - Il Vescovo di Susa: “Il Teol. Gey mi ha rimesso la preg.ma lettera di V. S. M. Rev., nella quale mi informa del progetto di aggiungere una chiesa alle grandi opere che il Signore Le inspira di fare in favore della gioventù abbandonata”. - Il Vescovo di Saluzzo: “Non si può fare tutto quello che si vorrebbe. Ad ogni modo Le mando un attestato del caso che io faccio della santa opera intrapresa dal di Lei zelo”. - Il Vescovo di Vigevano: “Sempre intenta V. S. Ill.ma e Rev. ad opere buone, acquisterà un nuovo titolo di benemerenza ed alle benedizioni del Cielo colla pubblica chiesa che si è proposto di erigere a vantaggio speciale degli abitanti tra Borgo Dora e il Martinetto”.
Ma tutte queste lettere sembra riassumerle quella del Vescovo di Mondovì.
 
 
M. Rev. Signore,
 
Io non ho mai sentito parlare della S. V. M. R. e Pre.ma e delle sante opere in cui si sta occupando a beneficio della gioventù, senza che ringraziassi veramente con tutto l'animo il Signore di avere in questi tempi così perversi suscitato in Lei un Sacerdote pieno del suo spirito e di santo zelo per la salute delle anime. Ella può quindi immaginarsi di leggieri quanto io sarei disposto a coadiuvarlo pel buon esito dell'impresa dì cui mi scrisse. Ma sono tanti gli impegni che ho assunti, tante le spese a cui debbo soggiacere, che mi è giocoforza limitarmi per ora al mio buon volere. Per non dire che delle sole chiese, quattro, e fra queste due parrocchiali, se ne stanno presentemente costruendo in questa mia Diocesi. Io non posso assolutamente dispensarmi dal contribuire, per quanto me lo permettono le mie forze, a queste costruzioni, che s'intrapresero per mio eccitamento e dietro la promessa del mio aiuto. Non parlo dello sterminato numero di poveri, cui debbo talvolta provvedere vitto, alloggio e vestito, nè  della difficoltà generalmente e da me in ispecie sentita in questi giorni, di aver danaro, per cui non di rado non posso supplire ad ingenti bisogni. Per questi motivi non mi è possibile prestare presentemente alla S. V. M. R. e Pre.ma il soccorso che da me si aspetta per la creazione della nuova chiesa a cui pose mano. Non fia però che io dimentichi la sua domanda. Io l'avrò sempre presente per secondarla, se non ora, nella prima favorevole circostanza. Procurerò pure di raccomandare la generosa sua intrapresa a quelle pie e caritatevoli persone dalle quali posso sperare qualche oblazione. Intanto quello da cui non debbo attualmente dispensarmi si è di porgerle le mie più cordiali congratulazioni pel grande bene che va facendo, e di pregare il buon Dio a benedire sempre più e prosperare le sante opere da Lei cominciate. Si ricordi anch'Ella di me nelle fervide sue preghiere, e gradisca l'attestato della distinta affettuosa considerazione con cui ho il piacere di professarmi...
Mondovì, 12 agosto 1851.
Fr. GIO. TOMMASO Vescovo.
 
In mezzo a questi scambi di lettere, il giorno 24 di giugno, mentre i giovani in Valdocco festeggiavano l'onomastico di D. Bosco, radunatosi il Consiglio edilizio nel Palazzo di città, approvava i disegni per la nuova chiesa di S. Francesco e dava licenza per la costruzione. Il 30 il V. Sindaco Bursarelli comunicava a D. Bosco copia dell'aspettata e presa deliberazione.
Alla festa di S. Giovanni Battista succedeva quella di S. Luigi. Con assi erano stati coperti tutti gli scavi delle fondamenta della nuova chiesa, e di fronte alla porta dell'antica, s'innalzava un gran palco per gli invitati. Questo e il cortile erano ornati di tappeti e di tappezzerie; e due file di antenne alte, vestite di tele a vario colore, dalle quali pendevano orifiamma, dalla porta della chiesuola al cancello esterno, segnavano la via che doveva tenere la processione.
A questa solennità era stato invitato il Vescovo di Fossano; ma egli impedito, ne mandava le scuse a D. Bosco e in sua vece si prestava il Vescovo di Pinerolo. L'Armonia del 4 luglio 1851 così riferisce di questa festa: “Domenica scorsa (29 giugno) nell'Oratorio di San Francesco di Sales in Torino si celebrò la festa di S. Luigi Gonzaga nel modo il più devoto e più solenne. Lungo il mattino gran frequenza de' Santi Sacramenti; Mons. Renaldi, previa calda esortazione, amministrò il Sacro Crisma a pressochè quattrocento individui tra ragazzi e adulti. Non mancò per una solennità celebrata da gioventù sodamente cristiana, musica di voci giovanili rispondenti, recite di dialoghi e cose analoghe; apparato modesto e con maestria eseguito; un globo areostatico, parecchi razzi e fuochi artifiziali chiudevano l'amena giornata. L'allegria, la gioia, la serenità era scolpita sul volto di quella numerosa gioventù, che con rincrescimento lasciava quel festevole soggiorno. Fu la festa di una famiglia di oltre 1500 giovani, che, fra i più cordiali e religiosi evviva di un cuor solo e di un'anima sola, dalle labbra dell'amante loro padre pendevano. A rendere magnifica questa solennità ci mancava una chiesa conveniente, giacchè due terzi degli intervenuti dovettero rimanersene fuori per la bassezza e ristrettezza del presente edifizio, ma ci gode l'animo nella divina Provvidenza, la quale sembra preparare i mezzi per una chiesa novella più decente pel divin culto, più adattata ai presenti bisogni”.
Noi ricorderemo ancora che il Ch. Reviglio, per suggerimento di D. Bosco, aveva posti sul balcone tre barili pieni d'acqua, in ciascuno dei quali aveva infusa una diversa materia colorante. Da questi partivano tre canaletti, che, scendendo in cortile e passando sotterra, facevano capo ad una vasca. Quivi alla sera zampillarono all'improvviso tre getti a tre colori, con stupore e gioia immensa dei giovani. Ci voleva poco a contentarli.
Poco dopo questa festa D. Bosco si recava a S. Ignazio sopra Lanzo per gli Esercizii ove predicavano il Teol. Gastaldi le istruzioni e il Padre Molina di Calvarista le meditazioni. Di questa sua gita ci dà relazione Giuseppe Brosio in questi termini: - “La benevolenza anzi l'affetto di D. Bosco verso di noi, non si può descrivere. Aveva sempre paura che i suoi figli patissero di qualche privazione, o non fossero contenti di lui. Per lo spazio di circa quarantasei anni ho sempre conosciuto che D. Bosco non fu mai avaro nel favorire i giovani, che desiderava fossero sempre tutti allegri, cercando continuamente i mezzi più atti per soddisfare alle loro aspirazioni o voglie, quando erano possibili e giuste. Potrei raccontare più d'un fatto a questo proposito.
”D. Bosco ci consigliava anche noi esterni di ritirarci, se potevamo, a fare ogni anno gli esercizii spirituali; e qualora le nostre occupazioni nol permettessero, a spendere almeno un giorno per aggiustare gli affari della nostra coscienza nel modo che avremmo desiderato trovarci in punto di morte. Ora io aveva molto piacere di andare a S. Ignazio presso Lanzo a fare gli esercizii spirituali, e D. Bosco mi condusse con lui e mi volle compagno di tavola, di ricreazione e di passeggio. Eravamo quasi sempre insieme. A pranzo e a cena manifestava il timore che mangiassi e che bevessi troppo poco, e procurava che la mia porzione di pietanza fosse abbondante. Talora mi diceva alla sera: - Anche quest'oggi hai mangiato poco. Sei giovane. Guarda che il tuo stomaco non abbia a patirne.
”Dopo gli esercizii, discesi a Lanzo, siamo andati a visitare il paese e i suoi dintorni. Giunti che fummo sopra una bella vetta, ci siamo fermati a considerare il luogo. D. Bosco rimase pensieroso per un po' di tempo, ed io lo guardava, e non sapeva che cosa dirmi di tale improvviso cangiamento. Dopo un lungo silenzio mi prese per mano ed esclamò: Come andrebbe bene qui un Oratorio e che bella posizione per un collegio E là 14 anni dopo il suo Collegio era impiantato!
”Giungendo a Torino mi disse: - Ascolta, caro Brosio; se tu studierai, prenderai la patente di maestro e così diverrai insegnante... Pensa che io ti amo e molto come figlio, e ti prometto che finchè D. Bosco avrà un tozzo di pane lo dividerà sempre con te. - Spesse volte mi ripetè  queste parole. Scorgevo che l'idea della sua mente era fissa in scuole elementari e in un collegio, e finalmente un giorno gli risposi: - Ebbene, sì, D. Bosco; studierò da maestro. - Infatti ho studiato; senonchè , stancatomi presto, continuai nella mia professione di negoziante; ma nulla perdetti della famigliare confidenza di D. Bosco.
”Aveva anche piacere di andare al Santuario d'Oropa, e non potendo D. Bosco accompagnarmi, mi consegnò un biglietto per quel Rettore, che mi ricevette come se io fossi un personaggio distinto. Fui alloggiato nelle camere dei sacerdoti e mi fu assegnato un domestico perchè mi servisse... E con me furono moltissimi che in diverse occasioni provarono gli effetti di tratti consimili della bontà di D. Bosco”.
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