Capitolo 23

Sempre Progetti per la tipografia - Letture Cattoliche CONVERSAZIONI TRA UN AVVOCATO ED UN CURATO DI CAMPAGNA SUL SACRAMENTO DELLA CONFESSIONE -L'Ospizio di Carità a Pinerolo e i catecumeni - L'onomastico di D. Bosco e una generosa Promessa - La festa di S. Luigi e bontà del Priore - Nuovi decreti per gli insegnanti religiosi.

Capitolo 23

da Memorie Biografiche

del 28 novembre 2006

Don Bosco, per nulla scosso da queste lotte e da questi impicci, continuava la sua corrispondenza col Sig. D. Carlo Gilardi; e gli aveva scritto il 6 maggio, saldando nello stesso tempo i debiti,dei frutti dovuti alla Congregazione dei Preti della Carità, per la somma che riteneva ancora in imprestito dall'Abate Rosmini.

 

Carissimo Sig. D. Carlo,

 

Il tempo pasquale corre galoppando e perciò è necessario mettersi in buona coscienza... Finora non ho scritto al Padre Generale perchè so essere assai incomodato di salute... È  deciso che lo scalo della ferrovia si fa provvisoriamente qui in Valdocco, perciò il valore dei siti qua vicini è notevolmente aumentato: ciò per sua norma.

Il Coriasco che è proprietario di quella casetta vicino al sito comperato e veduto da V. S., si trova in caso di dover vendere la detta fabbrica; e mi lascia di significarle che la cederebbe a fr. 7000. L'anno scorso noi gli avevamo già fatta l'offerta di 10.000.

  Voglia la Beata Vergine benedire e conservare la sanità al Padre Generale, a bene della nostra santa Religione, come di cuore prego e pregano anche i miei figli per ottenere questo favore.

  Mi raccomando alle sue preghiere; mi ami nel Signore; mia madre La saluta unitamente ai nostri chierici e mi creda quale odi cuore mi dico

 

Aff.mo amico

Sac. Bosco Giov.

 

Nello stesso tempo D. Bosco curava nella tipografia Ribotta, situata sulla piazza della Consolata, la stampa dei due fascicoli di maggio: Le consolazioni del Vangelo al cristiano che vive nel mondo, per T. K. Sono riflessioni concise, vibrate, su tutto il Vangelo di San Matteo. Si dimostra la facilità dell'obbedienza ai precetti di G. Cristo, la santità ed i vantaggi de' suoi consigli, la perpetuità della sua Chiesa, i doveri che a Lei stringono gli uomini, la facoltà che ha ricevuta da Dio di assolvere i peccati, l'efficacia della preghiera specialmente fatta in comune, l'importanza di meditare i novissimi dell'uomo, la misericordia e giustizia di Dio ecc.

   Pel mese di giugno D. Bosco stesso aveva composto un bellissimo libro in due fascicoli: Conversazioni Ira un avvocato ed un curalo di campagna sul Sacramento della Confessione. Il tipografo Paravia ebbe l'incarico di stamparlo.

  D. Bosco così esponeva lo scopo di queste conversazioni:

Non c'e alcun dubbio che nei calamitosi tempi in cui viviamo la fede sia accanitamente combattuta. Riescono tuttavia vani gli sforzi dei nemici di essa se prima non allontanano i cattolici dal Sacramento della Confessione. Ecco il motivo per cui volgono tutte le loro armi contro questa pratica salutare. Il Cattolico allontanato dalla Confessione e abbandonato a se medesimo cammina da abisso in abisso, e qual debole pianta senza riparo, esposta alla gagliardia dei venti, va ai più deplorabili eccessi. Per distruggere dalle fondamenta l'idea della confessione i protestanti stampano e gettano di continuo in faccia ai cattolici, che la Confessione non è stata istituita da Dio, perciò doversi riprovare.

  Noi perciò, non colla calunnia, non colle ciancie, o colla mala fede, che sono le armi ordinarie dei nostri nemici, ma col Vangelo e colla storia alla mano proveremo sino all'evidenza che il bisogno della confessione fu riconosciuto dagli stessi gentili; per ordine di Dio fu praticato dal popolo Ebreo; e che tale pratica venne dal Salvatore elevata alla dignità di Sacramento, e stabilita qual mezzo utile ad ogni cristiano e assolutamente necessario a tutti quelli che hanno peccato mortalmente dopo il Battesimo.

  I Protestanti vanno ripetendo che nei primi tempi della Chiesa non si è mai parlato di Confessione, perciò noi sempre colla storia alla mano faremo loro vedere che la Confessione fu costantemente praticata nella Chiesa Cattolica da Gesù Cristo fino ai nostri giorni.

  Per quanto fu possibile mi sono astenuto dal nominare gli autori e le empietà contenute negli scritti dei nemici della Confessione. Ciò feci per due motivi: per non cagionare troppo grave afflizione ai buoni cattolici, che non possono a meno di essere profondamente addolorati nel vedere profanate le cose più venerande di nostra Religione; ed anche per non eccitare per avventura la curiosità di leggere i libri perversi, che contengono tali errori e tali sconcezze.

   Mi sono limitato a rendere chiara la dottrina della Chiesa Cattolica intorno all'istituzione della Confessione, mostrando la verità, e combattendo l'errore senza quasi nemmen nominarlo. Mi pare per altro di aver con certezza risposto a quanto si dice e si scrive contro alla Confessione.

Intanto profondamente afflitto pei mali che si vanno ogni giorno moltiplicando contro alla religione Cattolica, io raccomando ai cattolici coraggio e fermezza.

   Sì, Cattolici, coraggio: teniamoci strettamente uniti a quella religione, che fu stabilita da Gesù Cristo, che ha per capo visibile il Romano Pontefice suo Vicario in terra; che in mezzo alle vicende dei secoli fu sempre combattuta, ma che ha sempre trionfato.

   Questa religione di Gesù Cristo trovasi solamente nella Chiesa Cattolica: niuno è cattolico senza il Papa; guai a chi separasi da questo capo supremo! egli è fuori di quella religione, che unica può condurre a salvamento: chi non ha la Chiesa per madre non può avere Iddio per padre.

   Sia adunque tra noi la medesima fede, la medesima legge, i medesimi Sacramenti, la medesima carità in vita e in morte. Ma sopratutto sappiamo approfittare del Sacramento della Penitenza come di un gran mezzo istituito da Gesù Cristo per comunicare alle anime nostre i meriti della sua passione e morte; per rompere le catene con cui lo spirito maligno tiene incatenate le anime nostre; per chiuderci l'inferno ed aprirci le porte del Cielo. Così sia.

In questa conversazione D. Bosco fa narrare al Curato un fatto sul tema del sigillo sacramentale, accaduto a lui stesso in una delle dispute sostenute contro i protestanti.

   “ Non è gran tempo in cui si presentò da me un saputello, assicurandomi che egli aveva molti fatti a rimproverare al clero per la violazione del sigillo. Io gli feci osservare che quand'anche accadesse che qualche sacerdote tradisse il suo sacro ministero, non sarebbe punto diminuita la santità di questo Sacramento. Forsechè si possono chiamare profanatori gli Apostoli perchè ci fu un Giuda traditore? Ma egli insistendo sui fatti che diceva di sapere, io venni a questa proposta: - Se voi; gli dissi, o qualche vostro amico, mi potrete addurre un solo fatto di questo genere, ma che sia certo, io propongo di darvi cinquecento franchi. - Apparecchiatemeli, soggiunse l'altro, sabato sarò da voi. - Aspettate, ripigliai; ho già detto la medesima cosa ad altri e non vorrei che lo stesso accadesse a voi, cioè di non venirmi più a vedere. - Verrò immancabilmente, conchiuse l'altro vi dò parola d'onore.

Credete forse che egli sia ritornato?

  Lo attendo da un pezzo; fino ad ora non è ritornato, ed io credo che non verrà più, perchè si trova nell'impossibilità di trovare un fatto siccome aveva promesso. Veramente quelli che ho udito tante volte a schiamazzare contro alla confessione, mi adducevano sempre fatti vaghi, senza indicare il luogo, senza dire il nome del confessore e del penitente, e cominciavano sempre i loro racconti con queste parole: Ho udito a dire ”.

  D. Bosco, finito questo lavoro, il 25 maggio si trovava in Ivrea, donde, predicate le lodi di Maria Immacolata, e dopo aver preso alcune disposizioni con quel Vescovo sul buon ordinamento delle Letture Cattoliche, ritornava in Torino per disporre con Paravia la stampa, dei due altri fascicoli per luglio. Il libro aveva per tema: Conversione di una nobile e ricca signora inglese alla Chiesa Cattolica, al tempo che le leggi penali contro i Cattolici erano ancora in vigore in Inghilterra. - Racconto storico tradotto dall'inglese. Eccone un transunto.

  Nel 1772 i sacerdoti cattolici erano costretti a stare nascosti. Chi avesse celebrata la S. Messa incorreva la pena di morte. Chiunque fosse convinto d'averla lasciata celebrare in casa sua era condannato alla confisca dei suoi beni e ai lavori forzati nelle colonie per tutta la vita. Basti questo per dare un piccolo saggio della famosa tolleranza che predicano continuamente i protestanti. E tanta oppressione dei cattolici durava continua da duecento e più anni. In questo libro adunque si legge quanto dovette soffrire quella signora per convertirsi e conservarsi fedele alla vera Chiesa, vivendo in seno alla sua famiglia anglicana; e come il Signore benedisse le sue eroiche virtù.

  Fascicoli di tal natura valevano una sconfitta per i Valdesi, causa l'avversione che destavano nei lettori contro quella setta. Ma se D. Bosco non si stancava di premunire i fedeli, voleva anche per sè la conquista di anime erranti, e specie quelle dei fanciulli. Oltre agli orfani, nati da parenti protestanti che egli aveva ritirati, più tardi altri giovani accettava dall'Ospizio dei catecumeni in Torino, ed ora a lui si rivolgeva l'Ospizio di Carità a Pinerolo. Lo stesso sindaco Sig. Giosserano, ricordando l'esibizione fattagli da D. Bosco nell'anno antecedente, allogò pressodi lui il giovane Plancia, appartenente all'Ospizio, pagando pensione in ragione di 16 lire mensili, pel tempo che starebbe nello stabilimento, solo però sino alla concorrente di lire 400.

  Fra i giovani sopraddetti una parte nutriva vivo desiderio di abbracciare il Cattolicismo, e il compito del catechista era facile; ma l'istruzione religiosa di altri, raccolti, dalle piazze, esigeva sovente una grande pazienza, sia pel tardo ingegno, come per la nessuna educazione, la bizzarria del carattere, e anche l'abituale indisciplinatezza. D. Bosco sapeva a quante nuove cure e nuovi fastidi doveva assoggettarsi per essi, e li accoglieva volentieri come interni, studiandosi di farli entrare in grembo alla vera Chiesa.

   Una lettera rende testimonianza al suo zelo.

 

 

Pinerolo, 22 giugno 1855.

 

Molto Illustre e M. Rev. Signore,

 

  Ringrazio la S. V. R. d'avermi, pel canale del degnissimo di lei collaboratore D. Alasonatti, date notizie del Danielino Brunerotto di cui mi lusingo saranno ognora più contenti, avendosi nello stabilimento da Lei diretto mezzi da cavarne buon costrutto pel temporale e per lo spirituale, quali mancano a quest'Ospizio per una persona zotica, come questi. Quando sia eseguita la sua cattolicizzazione voglia, ne La prego, rendermene avvertito, acciò possa farne l'opportuna annotazione nel registro dell'Ospizio.

  In ordine poi al Pietro Plancia, Dio voglia che sia l'ultima sua melensaggine, ma ne temo assai e potei conoscerlo. Del resto se stette tanto tempo nell'Ospizio vi stette mio malgrado e se ritornare vi volesse, ora che io posso non riceverlo, non lo riceverò più certamente. Quindi è che anche senza osservazione io non avrei riferito all'Amministrazione di Carità la sua fuga. Ne parlai però e di questa e del ritorno col Canonico Badariotti Rettore del Seminario, ma non in qualità di Coamministratore, bensì in quella di amico, e col medesimo dovendo recarmi a Torino il 4 del venturo luglio per quindi andare agli Esercizi Spirituali di S. Ignazio, porteremo con noi il mandato colle lire 200, per rimettergliele in questo stesso giorno se avremo il tempo; in difetto il 13 al nostro ritorno. Sarebbe però cosa più spiccia e più sicura, ove non fosse d'incomodo alla S. V. il ritrovarsi alla stazione della ferrovia il mattino del detto giorno 4 luglio, alle ore 8 e mezzo in cui giungeremo infallantemente.

  Gradisca gli attestati della più alta considerazione e profonda stima coi quali ho il pregio rinnovarmi

Della V. S.

 

Dev.mo ed obb.mo Servitore

Giov. Batta. Fortoul Can. Pen.

 

Coll'avvicendarsi di tante opere sante compiute da Dio per mezzo di D. Bosco, giungeva il 24 giugno, nel qual giorno il buon padre volle dare un segno di speciale affetto ai giovani della Casa. Fece pertanto loro facoltà di chiedere con un biglietto, oppure col parlargli in segreto all'orecchio, qualunque regalo fosse a lui possibile, promettendo che l'avrebbe concesso. Forse egli ciò faceva eziandio per conoscerli a fondo dalle loro richieste. Ognuno può facilmente immaginare, non solo le serie, ma anche le ridicole e stravaganti domande degli uni e degli altri. Ma D. Bosco accondiscese a tutte le richieste ragionevoli, quantunque costose, come provviste di libri, di abiti, condono di pensione, e via via.

   “ Io, narra D. T., ebbi una nuova prova della straordinaria bontà del suo cuore, ed occorrendomi una veste talare nuova (era chierico), fattomi coraggio gliela domandai; ed egli volentieri mi fece comperare la stoffa, pagando anche la fattura ”. Savio Domenico però preso un pezzetto di carta vi scriveva solo queste parole: Domando che mi salvi l'anima e mi faccia santo!

   Un giorno segnalato dalla carità fu anche la festa solenne in onore di S. Luigi, per la quale D. Bosco aveva fatto litografare 4000 immagini dell'angelico giovane. Essendo stato eletto Priore il Marchese Fassati, il nobile signore volle procacciare ai giovani una non comune allegria. La sera di quel dì, che fu la prima domenica di luglio, dopo le sacre funzioni, egli provvide pane e salame a tutti i convenuti all'Oratorio, i quali, compreso il gran numero di esterni, superavano gli ottocento. Siccome era molto generoso, così ei volle che il companatico fosse piuttosto abbondante; onde era un divertimento il vedere i giovani che, ricevuta la propria porzione, se la mettevano dinanzi agli occhi, e mirandola gridavano in tono di giubilo: Non si vede Soperga, non si vede Soperga. È  questa una frase famigliare per dinotare la grossezza di una fetta di salame o di cacio: in quanto che se lascia vedere Soperga, collina al nord - est di Torino, è segno che è sottile e trasparente; se no, è prova che è spessa ed opaca, e vi ha molto a godere. E tale appunto era quella che fu regalata dall'amorevole

   Questi ed altrettali atti di carità, esercitati ora da questo, ora da quell'altro dei signori di Torino, erano di efficace stimolo ai giovanetti esterni ad intervenire al catechismo e alle religiose funzioni dell'Oratorio. Essi vi scorgevano come un avveramento di quella sentenza del santo Vangelo: Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato per giunta. Ricevendo a quando a quando questa giunta in modo loro adattato, attendevano più spesso e volentieri alle cose di Dio e dell'anima, a poco a poco si fondavano nella religione, si fortificavano nella virtù, e così rendevansi buoni cristiani, savii ed onorati cittadini.

   Ma alla gioia di queste feste succedeva una nuova prova. Il 29 giugno Giovanni Lanza, Ministro della Pubblica Istruzione, intimava al Provveditore agli studi l'esecuzione della legge sulle patenti, per la quale veniva proibito d'insegnare a chiunque (uomo o donna) non si sottomettesse ad un esame e non ne uscisse coll'approvazione del governo; e più non si ammettessero eccezioni per le monache, le cui scuole dovevano sottostare alla vigilanza dell'Autorità civile. Era questa una nuova pastoia e non lieve che doveva impacciare e rendere ognor più difficile la direzione e la conservazione degli istituti religiosi. Anzi alle monache si interdiceva l'insegnamento, poichè loro si imponevano tali condizioni, alle quali esse non avrebbero potuto adagiarsi.

La Santa Sede però rendeva meno funeste tali conseguenze. Interrogata, rispondeva al Vescovo di Novara: “L'autorità laica non poter derogare ai diritti della Chiesa sull'insegnamento; perciò i decreti del Governo che tendono a menomarli, non poter essere nè riconosciuti nè approvati. Ma per non venire agli estremi, precipitando la chiusura delle case religiose insegnanti, doversi almeno di fatto esercitare la sorveglianza che compete al Vescovo sull'istruzione religiosa e morale. Quando gli effetti di tale sorveglianza non siano per essere attraversati, si possono tollerare gli esami e l'ispezione del Governo ”.

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