Bisogno di un secondo oratorio festivo - Accordo di due amici - Suggerimento di Monsignor Fransoni - Il capitano in cerca di una posizione strategica - Un colpo di fulmine - Le api e l'annunzio del nuovo oratorio - Visite - Le lavandaie inferocite e poi ammansate.
del 08 novembre 2006
 Quanto più D. Bosco e l'incomparabile suo aiutante, il Teologo Borel, e gli altri loro coadiutori davansi sollecitudine nel promuovere l'istruzione scolastica e religiosa nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, altrettanto più cresceva il numero dei giovanetti, che lo frequentavano. Nel giorno di festa erano questi in sì grande folla, che una parte appena poteva raccogliersi nella cappella; là onde in tempo delle sacre funzioni era mestieri trattenerne un duecento e più nelle scuole, o in un angolo del cortile. Questo poi, sebbene non affatto ristretto, era divenuto nondimeno insufficiente al libero divertirsi; imperocchè ei ti pareva una piazza d'arme, nella quale pei troppo fitti soldati torni pressochè impossibile fare gli esercizi militari senza pigiarsi, urtarsi l'un con l'altro, o darsi delle involontarie sciabolate. Occorreva quindi un provvedimento.
Una festa del mese di agosto, dopo le funzioni della sera, Don Bosco prese il Teol. Borel in disparte e così gli parlò: - Da qualche domenica in qua, ed oggi sopratutto, V. S. avrà osservato lo sterminato numero di giovanetti all'oratorio: non sono meno di ottocento. Come vede, in chiesa non stanno più tutti, e gli altri si premono che è una compassione. Nel cortile poi che ne diciamo? Ad ogni istante l'uno cade sopra l'altro; sembra il giuoco dei mattoni. E più andiamo innanzi e peggio sarà. Diminuirne il numero col metterne fuori una parte non conviene, perchè sarebbe come un lasciarli, anzi esporli al pericolo di perdizione. Come fare dunque, signor Teologo?
 - Ho veduto tutto, rispondeva questi, e mi sono convinto che un sito, il quale da principio pareva abbastanza spazioso, si fece ormai ristrettissimo; ma dovremo di bel nuovo levare le tende, ed emigrare altrove, come fanno tutti gli anni le gru e le rondinelle?
 - A me pare, riprese D. Bosco, che potremo rimediare in altro modo. Da varie domande fatte sono venuto a conoscere che un buon terzo di questi ragazzi vengono qui sin da Piazza Castello, da piazza S. Carlo, da Borgo Nuovo e da S. Salvario, facendo chi uno e chi due miglia di cammino. Or se noi aprissimo un secondo Oratorio da quelle parti, non le sembra che otterremmo egualmente il nostro intento pur rimanendoci qua?
A questa uscita di D. Bosco, il savio Teologo stette alquanto a pensare, e poi con un' aria di gioia: - Optima propositio! - esclamò - ottima proposta. In questo modo noi conseguiremo due vantaggi: diminuendo il numero dei giovani di quest'oratorio potremo coltivar meglio i rimanenti e intanto ne tireremo al nuovo istituto altri molti, i quali ora non si portano a questo, perchè troppo lontano. Dunque mettiamoci all'opera. - Così l'accordo dei due amici era perfetto.
Anzitutto fin dal domani D. Bosco si presentò a Monsignor Fransoni, e gli espose il bisogno ed il progetto di un secondo oratorio per le adunanze festive, domandando l'appoggio del suo illuminato consiglio. Il degnissimo Arcivescovo lodò ed approvò il saggio divisamento, e conoscendo il bisogno della popolazione che gli era affidata, suggerì che l'impianto del nuovo Istituto si facesse al mezzodì della città. Confortato dalle parole del venerato Pastore, D. Bosco andò ad esporre il suo disegno eziandio al Curato della Madonna degli Angeli, e questi non solo ne fu contento, ma promise che lo avrebbe aiutato il più largamente che gli fosse possibile. Rassicurato da questa risposta si condusse un giorno nelle parti di Porta Nuova, e visitò parecchi siti di quei dintorni. Dopo aver bilanciato i motivi di maggiore o minore opportunità dell'una e dell'altra posizione, deliberò di scegliere un sito sul così detto Viale del Re, ora Corso Vittorio Emanuele II, nelle vicinanze del Po. Quel luogo è presentemente coperto di magnifici palazzi, intersecati da spaziose vie e deliziosi giardini; ma in quel tempo non era che un vasto gerbaio, con alcune casupole sparse qua e colà in disordine e senza disegno, abitate generalmente da lavandaie. Essendo una regione libera e come fuori di città, ombreggiata inoltre ne' suoi dintorni, si prestava molto a pubblici convegni. Sopratutto nei giorni festivi si radunavano colà nugoli di giovinetti a fare i monelli, molti dei quali vi duravano nel tempo stesso del catechismo e delle funzioni parrocchiali, crescendo nell'ignoranza delle cose religiose e nella scienza di ogni malizia. Era quindi luogo molto adattato per lo scopo che si prefiggeva D. Bosco, il quale da esperto capitano lo elesse appunto quale posizione strategica per stabilire i suoi accampamenti.
Sorgeva colà presso una casetta, con una misera tettoia ed un cortile. Domandato di chi fossero, seppe che ne era proprietaria una certa signora Vaglienti. Egli pertanto andò a trovarla, ed espostole lo scopo di sua visita, la pregò che volesse affittargli quel locale. La buona signora si mostrò disposta al contratto, ma non potevasi accordare sull'annuo prezzo della pigione. Dopo un lungo disputare si correva ormai pericolo di rompere le trattative, quando un caso singolare venne a togliere ogni difficoltà. Il cielo era rannuvolato. In quell'istante si fa sentire un colpo di fulmine così gagliardo da mettere in grande turbamento la pia signora, la quale voltasi a D. Bosco gli disse: - Iddio mi salvi dal fulmine, e io le concedo la casa per la somma che lei mi esibisce.  Io la ringrazio, rispose D. Bosco, e prego il Signore che la benedica ora e per sempre. - Dopo alcuni momenti cessa il rumoreggiare del tuono, si estinguono i lampi, e il contratto viene stipulato a lire 450. In tal guisa anche il fulmine mostravasi propizio a D. Bosco, facendogli da mediatore benevolo.
Licenziati gl'inquilini, furono tosto mandati i muratori a preparare la cappella. Intanto D. Bosco una Domenica, raccolti intorno a sè i giovani, dava loro l'annunzio, che presto si sarebbe aperto un secondo oratorio. È tuttora ricordata la graziosa similitudine, che usò nel comunicare la grata novella.
 - Miei cari figliuoli egli disse, quando le api si sono moltiplicate di troppo in un alveare, una parte di loro se ne esce, costituisce un'altra famiglia, e vola ad abitare altrove. Come vedete, qui siamo tanti, da non sapere più dove rivoltarci. Nella medesima ricreazione di tratto in tratto or l'uno or l'altro è sospinto, cacciato a terra e ne porta insanguinato il naso. In cappella poi stiamo pigiati come le acciughe. Allargarla a colpi di schiena e di spalla non ci conviene, che potrebbe caderci addosso. Che faremo dunque? Noi imiteremo le api: formeremo una seconda famiglia, e andremo ad aprire un secondo Oratorio.
Queste parole furono accolte da un grido di gioia. Lasciato calmare alquanto il giovanile entusiasmo, il buon sacerdote riprese la parola e disse: - Ora voi sarete curiosi di sapere dove si aprirà il nuovo oratorio, e quali di voi lo dovranno frequentare; vorrete sapere quando si aprirà, se presto, se tardi; e qual nome gli sarà dato. Fate silenzio e risponderò in breve. - L'oratorio sarà impiantato verso Porta Nuova, a poca distanza dal ponte di ferro, sul Viale del Re, detto anche viale dei platani, da cui è fiancheggiato. Quindi dovranno frequentarlo quelli di voi, i quali abitano in quelle parti, sia perchè più vicini, sia perchè col loro esempio vi attirino altri giovani di quei dintorni. - Quando lo si aprirà? - Presentemente gli operai già stanno eseguendo i lavori per la cappella, e io spero che nel giorno otto del prossimo dicembre, festa dell'Immacolata Concezione di Maria, noi potremo benedirla. Così, come questo primo, noi apriremo il secondo Oratorio in un giorno consacrato alla gran Madre di Dio, mettendolo sotto la valida sua protezione. - E qual nome gli daremo noi? - Lo chiameremo Oratorio di S. Luigi, per due ragioni: la prima si è per dare ai giovanetti un modello d'innocenza e di ogni virtù da imitare, quale si è appunto S. Luigi Gonzaga, propostoci dalla Chiesa stessa; la seconda per riconoscenza e gratitudine al veneratissimo nostro Arcivescovo Monsignor Luigi Fransoni, il quale tanto ci ama, ci benefica, ci protegge. Vi piace? Siete contenti? - Una fragorosa salva di sì fu la risposta, seguita da ripetuti Evviva S. Luigi, Evviva l'Oratorio di Porta Nuova, Evviva D. Bosco. Non vi fu mai plebiscito più innocente, più lieto, più unanime.
Tale notizia, portata dai giovanetti in seno alle loro famiglie, scuole e laboratori, fece ben tosto il giro del quartiere. Quindi di quando in quando drappelli di fanciulli si portavano a visitare il sito del nuovo oratorio, e vedendo come fosse ben adattato ai loro graditi trastulli, ne andavano in gioia, e loro pareva ogni giorno mille che venisse aperto. Per siffatta guisa alcune settimane innanzi alla sua inaugurazione l'Istituto era già per quelle parti conosciutissimo.
Non a tutti però tornò gradita la deliberazione presa da madama Vaglienti. In quel sito alcune lavandaie avevano la loro abitazione, lo stenditoio e i mastelli per il bucato. Appena seppero che D. Bosco aveva affittato quel locale, per farne un Oratorio, divennero siccome furie, e, riscaldatesi l'una con l'altra, risolvettero di assalire in corpo il povero prete, e colle ingiurie e colle minacce costringerlo a disdire il contratto. Pertanto un giorno che D. Bosco colla signora Vaglienti si era recato a visitare le camere appigionate per vedere il da farsi secondo il bisogno, ecco a circondarlo una dozzina di quelle donne. Rosse in faccia come altrettanti gamberi, cogli occhi scintillanti per rabbia e furore, colle braccia inarcate sui fianchi, a guisa di spiritate presero ad eruttare sopra di lui una lava d'ingiurie ed imprecazioni, che non mai l'eguale. Prete senza cuore e senza carità, che male le abbiamo fatto noi, perchè ci venga a cacciare via da questa casa? - Non vi sono in Torino altri luoghi più liberi per farvi il monello coi bricconi e coi ladri? Sarebbe meglio che si rompesse il colto. - Che le venisse un accidente. - Vada alla malora lei ed il suo oratorio. Se non va, sapremo cacciarlo: abbiamo buone mani, sa, e sapremo lavarle la faccia; e in così dicendo gliele mostravano in atto minaccioso. - Don Bosco per acquietarle, ascoltate, diceva, ascoltate, buone donne. - Non vogliamo ascoltare niente affatto, gridavano quelle: - Ci lasci stare queste camere, vada via di qua, o lo faremo portare più morto che vivo. - Qualcuna difatto più inviperita alzava già la mano sopra il mal capitato D. Bosco, quando madama Vaglienti fattasi innanzi: “ Voi v'ingannate, disse, mie care inquiline: voi credete che questo sacerdote venga qui per togliervi il pane, ed invece egli viene per darvene. Piantando in questi luoghi un oratorio, e poi un collegio di giovani, egli vi darà biancheria da lavare, calze da pulire, camicie e lenzuola da rappezzare, e via dicendo. Perchè dunque ve la prendete contro di lui, mentre invece dovreste ringraziando? In quanto poi all'alloggio, io stessa ve ne cercherò un altro qui vicino. Così voi sarete egualmente presso il Po, godrete la medesima comodità di lavare ed esporre al sole i vostri bucati, e nel tempo stesso avrete più lavoro e maggior guadagno ”.
Questa savia parlata della padrona fu come una manata di sabbia sopra due sciami di api in lotta tra loro, o meglio come uno spruzzo d'acqua benedetta sopra uno stormo di spiriti folletti. Le lavandaie cominciarono a tacere, poi a udire ragioni, infine a domandare perdono delle loro insolenze, e per allora lasciarono in pace D. Bosco e il suo oratorio.
Ma ben altre battaglie si stavano preparando pi√π pericolose ed aspre; e non solamente contro D. Bosco ed il suo oratorio.
 
 
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