Margherita manda Giovanni alla scuola di Castelnuovo - Lo mette in pensione presso il sarto Giovanni Roberto - Giovanni si guadagna la simpatia dei compagni - Suoi progressi negli studi - Consolazione di sua madre - Come evita i compagni pericolosi - Continua la sua missione in mezzo ai giovanetti - Come vorrebbe il prete coi fanciulli.
del 09 ottobre 2006
La morte di D. Calosso in quella stagione, mentre interrompeva in sul principio gli studi di Giovanni, rendeva per altra parte difficile l'accettazione sua alla scuola di Castelnuovo, ov'erano incominciate le lezioni fin dalle feste di Ognissanti. Margherita tuttavia, coadiuvata forse dal fratello Michele, personaggio conosciutissimo in Castelnuovo, potè superare questa difficoltà. E però, circa al Natale del 1830, Giovanni, nel decimoquinto anno dell'età sua, incominciò a frequentare le pubbliche scuole del proprio paese, le quali allora a fianco delle elementari avevano pure aperto un corso di lingua latina, mentre la buona sua madre disponevasi a maggiori fatiche e sacrifizi per assecondare la sua vocazione.
Gli studi fatti in privato, l'entrare in una pubblica scuola ed il cambiare maestro furono per Giovanni uno sconcerto, tanto che dovette quasi ricominciare la grammatica italiana per poi farsi strada alla latina. Da principio andava al mattino ed al dopo pranzo da casa a scuola, percorrendo tra due andate e due ritorni venti chilometri circa di cammino al giorno; ma, danneggiando gli studi una perdita così notevole di tempo, ben tosto mutò programma e partiva al mattino per ritornare ai Becchi solamente alla sera. Talvolta spirava un vento molesto, tal'altra una pioggia o uno sgelo copriva il suolo di fango, oppure cadeva la neve ed il freddo acuto facevalo intirizzire; ma egli tutto tollerava con maravigliosa tranquillità d'animo e serenità d'aspetto. Per non cagionare spese soverchie alla madre, quando le vie erano fangose, si toglieva le scarpe e le portava a mano, giungendo al termine del viaggio coi piedi indolenziti e talora escoriati e sanguinanti. A Castelnuovo, messi i piedi nelle calzature, lasciava la sua tasca col cibo necessario, che seco recava, presso un tal Giovanni Roberto, uomo onesto, in casa del quale ritornava a rifocillarsi tra una lezione e l'altra. Quando sul far della notte imperversava la bufera, si fermava in paese, e andava a dormire in un sottoscala, ove una buona famiglia gli permetteva di ritirarsi. Il signor Pompeo Villata ci narrava di aver udito questi fatti nella sua stessa famiglia.
Mamma Margherita, per ragion d'economia e perchè rincrescevale tenere lontano il figlio da' suoi occhi, avea permesso che dapprima facesse queste camminate, ma non tardò a vedere la necessità di trovargli un alloggio a Castelnuovo, perchè l'inverno si faceva sempre più crudo. La pensione poteva essere pagata in cereali, in vino, o in altri raccolti, secondo l'accordo. Giovanni d'altronde era molto amato da tutti quelli della sua borgata, i quali, temendo non avesse mezzi per proseguire gli studi, sembra che qualche volta facessero fra di loro una colletta, pregando Margherita di accettarla per i suoi poveri. Secondo Matta assicurava d'averle dato una volta una mezza emina di grano. Margherita pertanto mise suo figlio in pensione presso il suddetto Giovanni Roberto, di professione sarto e buon dilettante di canto gregoriano e di musica vocale. Essa stessa l'accompagnò a Castelnuovo e nel lasciarlo gli diede un avviso dei più preziosi: - Sii divoto della Madonna!
La notizia dell'arrivo di Giovanni mise in curiosità di conoscerlo non poche persone. Le sue piccole geste erano note a Castelnuovo. Alcuni fanciulletti della famiglia di Monsignor Cagliero, allora che i giovani si avviavano alla scuola, poneansi sovente sulla porta col solo scopo di veder passare Giovanni Bosco. Ancora adesso ricordano il suo contegno modesto, raccolto, umile, co' suoi libri sotto il braccio, il suo camminar da solo o con pochi compagni dei più serii. Vestiva una giubba logora, non troppo bene adattata alla sua persona e di una certa forma senza dubbio poco accetta a chi amasse far bella figura. Molti giovanetti di Castelnuovo, come appartenenti alla regione più nobile del Comune, si davano una certa aria d'importanza, reputandosi cittadini e riguardando quei delle borgate come gente più rozza e di minor conto. Quindi in sulle prime, fatti arditi dall'aspetto bonario di Giovanni, non mancarono di ridere e di scherzare sul suo vestito, e molte volte correndogli dietro in punta di piedi davangli una strappatina alle falde della giubba, ritirandosi poscia rapidamente a certa distanza. - Quella giubba, si dicevano a vicenda, è un dono che gli ha fatto certamente il parroco. È una meraviglia. Appartenne forse al nonno? - Giovanni non si scomponeva mai, ma tollerava con pazienza ogni sgarbo ed ogni molestia. Talvolta si volgeva sorridendo a quegli spensierati e loro graziosamente diceva: - Ma birichini! State un po' fermi, lasciatemi tranquillo. Vi do io forse qualche noia? - Inoltre i condiscepoli, per la sua statura alquanto straordinaria in mezzo a tanti piccolini, lo motteggiavano con un soprannome canzonatorio.
Queste burle però cessarono ben presto vuoi per la sua dolcezza, vuoi eziandio per aver egli dato mano a' suoi trattenimenti festivi. “La parola dolce moltiplica gli amici, e la lingua graziosa nell'uomo virtuoso giova assai”. Frattanto potè con maggior comodità che a Morialdo dar pascolo al suo cuore colle pratiche di pietà. In questi tempi le scuole comunali avevano un carattere eminentemente cattolico, secondo gli ordinamenti promulgati da Re Carlo Felice con le regie patenti del 23 luglio 1822. La scuola non doveva mai essere mista dei due sessi. In ognuna di esse campeggiava il Crocifisso. Nel mattino si dava principio colle orazioni e si terminava coll'Agimus tibi gratias; nel dopo pranzo si cominciava coll'Actiones nostras e si chiudeva la lezione colle preghiere della sera. La prima mezz'ora di ogni scuola si impiegava nell'insegnare il catechismo, e a questo pure era dedicata tutta intiera la lezione della sera del sabato, la quale finiva colle Litanie della Beata Vergine. I maestri dovevano intendersi col parroco, affinchè i fanciulli avessero comodità di assistere alla Messa prima della scuola e di confessarsi una volta al mese. Nei giorni di festa gli alunni erano obbligati ad assistere al catechismo ed alle funzioni nella chiesa parrocchiale. È colla pratica della pietà che si acquista la sapienza!
La scuola di lingua latina, da poco tempo istituita, era unica, e quindi in essa venivano raccolti tutti i giovani appartenenti alle varie classi di ginnasio, sotto la direzione di un solo professore, D. Emanuele Virano da Castelnuovo d'Asti, quegli stesso che aveva benedetta la veste chiericale del Cafasso. Questi aveva molta scienza, particolare abilità nel comunicarla, e grande ascendente sugli scolari: egli sapeva così bene dividere il tempo e coordinare agli uni e agli altri le sue lezioni, che chi era di buona volontà poteva ricavarne non poco profitto. I progressi di Giovanni erano tali da attirare l'ammirazione del suo maestro. Un giorno fu dato per tema di composizione italiana il fatto di Eleazaro, che preferisce morire piuttosto che dare scandalo col mangiare carne porcina. Giovanni svolse così bene la traccia, che nessuno poteva capacitarsi l'avesse lui fatto. Si fece passare da uno all'altro professore quella pagina, e tutti ne facevano le meraviglie. In ultimo fu presentata a D. Moglia, il quale, dopo averla bene esaminata, concluse che neppure le persone più vecchie ed istrutte di quelle parti sarebbero capaci di scrivere un componimento simile, e per conseguenza essere impossibile che l'avesse fatto il giovanetto Bosco. Da questo giudizio di D. Moglia conobbe Giovanni non essere più egli nelle grazie di questo suo antico maestro. Infatti, per uno di quegli inesplicabili cambiamenti che talora veggonsi succedere nei cuori umani, D. Moglia si era ficcato in capo che il giovane contadinello dei Becchi avrebbe fatto meglio rinunziare agli studi e riprendere la zappa. Il perchè sallo Iddio, il quale preparava a Giovanni una nuova contraddizione, per mettere ancora una volta alla prova la sua fiducia in lui e la sua perseveranza.
Giovanni frattanto, benchè lontano dagli occhi della madre, manteneva sempre per lei quella santa affezione, che ella avea saputo ispirargli colle sue virtù. Nulla faceva senza il permesso di lei, ed essa concedevagli qualunque cosa domandasse, pronta ognora a contentarlo, essendo i suoi desiderii assai limitati e sempre di cose strettamente necessarie.
Roberto e la sua famiglia aveano posto grande affetto a Giovanni, e specialmente il figlio, col quale frequentava le scuole, avea stretto con lui una cordiale amicizia. Mamma Margherita quasi ogni settimana veniva a portargli una provvista di pane che doveva durargli sette giorni: era un viaggio abbastanza lungo, ma ella sapeva quanto fosse importante esaminare da vicino gli andamenti del figlio. Anche quando Giovanni fu a Chieri come semplice studente e poi come chierico, continuò, benchè più raramente, a fargli le sue visite; e Giuseppe teneale sempre compagnia per vedere il fratello. Tutta la famiglia di Roberto era in festa al comparire di Margherita, perchè chi ha cuore trova corrispondenza nelle persone caritatevoli. Margherita esultava nell'udire come il figlio si mantenesse ogni giorno più fedele a' suoi precetti: sentiva con piacere ripetersi da tutti come egli fosse virtuoso, molto pio, dedito alla preghiera ed all'esatto adempimento de' suoi doveri scolastici: come si facesse notare fra i suoi compagni per la gran divozione e modestia, onde frequentava i SS. Sacramenti e come fosse oggetto di ammirazione pel suo contegno in chiesa e per l'assiduità alle sacre funzioni: motivo per cui il prevosto D. Dassano avealo messo come assistente in una classe durante il catechismo quadragesimale.
Alla virtù però non mancano insidiatori. Giovanni in quell'anno s'ebbe anch'egli i suoi pericoli per parte di alcuni compagni. Volevano condurlo a giuocare in tempo di scuola; e siccome egli per schermirsene adduceva la ragione di non aver danaro, gli suggerirono il modo di procurarsene, rubando al padrone o alla madre. Un compagno per animarlo a ciò dicevagli: - Mio caro, è tempo di svegliarsi; bisogna imparare a vivere al mondo. Chi tiene gli occhi bendati non vede dove cammina. Orsù provvediti di danaro e godrai anche tu i piaceri de' tuoi compagni. - Giovanni a così perfida suggestione rispose: - Io non posso comprendere ciò che vuoi dire, ma dalle tue parole sembra che mi voglia consigliare a giuocare e a rubare. Ma non dici tu ogni giorno nelle preghiere: Settimo non rubare? Non è questo forse un comandamento della legge di Dio? E poi chi ruba è ladro, e i ladri fanno trista fine. D'altronde mia madre mi vuole molto bene; e se le domando danaro per cose lecite, me lo dà; senza suo permesso non ho mai fatto niente; nemmeno voglio incominciare adesso a disubbidirla. Se i tuoi compagni fanno questo mestiere sono perversi. Se poi nol fanno e lo consigliano ad altri sono bricconi e scellerati. - Questo discorso passò dall'uno all'altro, e niuno più osò fargli di quelle indegne proposte. Anzi quella risposta andò all'orecchio del professore, il quale da quel momento prese a portargli maggior affezione; si seppe eziandio dai parenti dei giovanetti, anche dei benestanti, i quali perciò esortavano i loro figliuoli ad andare con lui e imitarne gli esempi, incantati specialmente pel candore che traspariva da ogni suo atto. Per tal modo potè con facilità farsi una scelta di amici che lo amavano e obbedivano come quelli di Morialdo e di Moncucco, i quali non mancavano di quando in quando di venirgli a fare qualche visita. La sua compagnia era una continua lezione di prudenza. In tutte le sue cose di molta o di poca importanza, mostrava sempre un grandissimo impegno; stava attento a quel che diceva, nè mai parlava senza aver prima ben riflettuto: presa una giusta risoluzione, nessuno più poteva smuoverlo da' suoi propositi. Senz'accorgersene, i suoi amici si venivano formando il loro carattere sul modello del compagno, che cercava ogni via per guadagnarsi il loro cuore e rendere loro accetti i suoi salutari consigli. Fra le altre industrie, tutte le volte che ritornava dalla casa materna, ove recavasi a passare qualche giorno di vacanza, soleva portare seco delle frutta per farne parte ad essi, che godevano moltissimo di quell'amabile generosità; ed egli prendeva da ciò occasione per parlare loro di religione e raccomandare calorosamente la divozione a Maria Santissima. Una speciale attrattiva aveva per lui la chiesa, detta del Castello, posta sul punto più culminante del colle: dove egli saliva ora solo, ora accompagnato dagli amici, per dare alla Vergine Benedetta il tributo della sua figliale devozione. Colà forse la Madre celeste gli fu larga di qualche favore segnalato, perchè col trascorrere degli anni non dimenticò mai quella chiesa e i soavi momenti in essa gustati. Quando Giovanni Filippello veniva a visitarlo a Torino, non lo lasciava mai partire senza regalargli un pacco d'immaginette da distribuirsi alle persone che andavano a detta chiesa per recitarvi il santo Rosario, e specialmente per allettare con esse i giovanetti ad ascendere quell'altura per onorare Maria.
Tale fu il suo costante tenor di vita, eziandio negli anni seguenti quando ritornava da Chieri nella stagione estiva, mantenendo sempre non solo, ma accrescendo la buona opinione che di lui si aveva in patria. Sacerdoti e popolo finirono sempre unanimi nel ripetere le sue lodi per la perseverante ed eccellente sua condotta, tutti asserendo com'egli fin dalla sua adolescenza fosse acceso da un vivo e costante desiderio di diventare missionario apostolico e fare gran bene alle anime. Come le madri di Morialdo e di Moncucco, così quelle di Castelnuovo dopo molti anni parlavano ai loro figliuoli delle virtù di Giovanni; e Mons. Cagliero ci narrava come, essendo egli ancor fanciulletto, la sua genitrice proponevagli Giovanni Bosco a modello, esortandolo spesse volte ad imitarlo.
Giovanni adunque, tra le opere buone, gli studi e gli amici trascorreva tranquilli i suoi giorni. Tuttavia in mezzo alla sua felicità aveva una spina nel cuore: quella di non poter contrarre alcuna famigliarità coi preti del paese. Il parroco D. Bartolomeo Dassano, uomo veramente santo, dotto, caritatevole, esatto in tutti i suoi doveri, teneva un contegno sostenuto e poco accostevole ai fanciulli. Lo stesso riserbo usavano pure gli altri sacerdoti. Giovanni però fin da quell'età conosceva il bisogno che ha la gioventù di un sostegno amorevole, e che questa si lascia piegare come si vuole, purchè siavi chi se ne prenda cura: egli provava in se stesso una tale necessità. Spesso gli avvenne d'incontrarsi col prevosto accompagnato dal viceparroco: anzi alcune volte andava espressamente ad appostarlo nell'ora che sapeva essere solito ad uscire verso sera per la passeggiata. Sentiva un vivo desiderio di avvicinarlo e di ascoltare dalla sua bocca una parola di confidenza: provava in sè un bisogno di essere da lui amato. Appena lo vedeva comparire, lo salutava da lontano e più vicino tutto peritoso gli faceva eziandio un inchino. Il parroco in modo grave e cortese restituiva il saluto e continuava il suo cammino; ma non ebbe mai un motto affabile, che a sè traesse i giovani cuori e li eccitasse a confidenza. A que' tempi si credeva che una simile gravità fosse il vero contegno delle persone di chiesa. Però un tal rispetto produceva in Giovanni timore e non amore. Egli più volte piangendo diceva fra se e con altri: - Se io fossi prete, vorrei fare diversamente: mi avvicinerei ai fanciulli, li chiamerei intorno a me, vorrei amarli, farmi amare da essi, dir loro delle buone parole, dare loro dei buoni consigli e tutto consacrarmi per la loro eterna salute. Quanto sarei felice se potessi discorrere un poco col mio prevosto! Questo conforto l'ebbi con D. Calosso: con altri nol posso più avere? - Specialmente colla madre sfogava questi suoi pensieri; e Margherita, che conosceva il cuore del figlio ed era donna capace di apprezzare simili sentimenti: - E che vuoi farci! dicevagli. Sono uomini pieni di scienza, pieni di pensieri serii e non sanno adattarsi a parlare con un ragazzo, come sei tu!
- Ma che cosa costerebbe loro dirmi una buona parola, fermarsi qualche minuto con me?
- E che cosa vorresti che ti dicessero?
- Qualche bel pensiero che faccia bene all'anima mia.
- Vedi bene che han tanto da fare nel confessionario, sul pulpito, nelle altre cure della parrocchia!
- E non siamo anche noi piccolini le loro pecorelle?
- Sì, è vero; ma non hanno tempo da perdere!
- E Gesù perdeva tempo quando s'intratteneva coi fanciulli? quando sgridava gli Apostoli che volevano tenerli lontani, e diceva che li lasciassero andare a lui vicino, perchè di essi è il regno de' cieli?
- Non ti do mica torto: anzi ti do ragione; ma che cosa vuoi farci?
- Io! oh vedrete: se potrò farmi prete, voglio consacrare tutta la mia vita per i fanciulli: non mi vedranno serio serio, ma sarò sempre io il primo a parlare con essi.
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