Capitolo 25

La conferenza generale dei Salesiani nella festa di S. Francesco di Sales - D. Bosco assiste negli ultimi momenti il Conte Rodolfo De Maistre - D. Rua scrive in nome di Don Bosco alla Contessa Callori per la stampa di alcuni libri e per bisogno di denaro - D. Bosco a Milano - Benedizioni e guarigioni - Annunzia fatti lontani nel momento che accadono - Testimonianze del suo leggere ne' cuori e predire il futuro - D. Bosco cerca di nascondere i doni soprannaturali - La sua vita apparentemente ordinaria, affabilmente socievole, attira i cuori anche dei mondani - Suoi modi quando aveva a pranzo qualche invitato -E' ospite a Milano di un avvocato che stringe con lui un'amicizia singolare.

Capitolo 25

da Memorie Biografiche

del 04 dicembre 2006

Nella festa di San Francesco di Sales, celebratasi la domenica di sessagesima, 4 febbraio, i Direttori delle singole case si radunavano nell'anticamera di Don Bosco per la conferenza generale solita a tenersi in questa occasione. Erano presenti tutti i confratelli dell'Oratorio per udire la relazione di uso. Era assente D. Bosco per la morte del Conte De Maistre e in sua vece presiedeva Don Rua.

Primo ebbe la parola D. Pestarino il quale parlò del nuovo fabbricato per collegio che si innalza a Mornese. Disse la popolazione essere entusiasmata, il Vescovo aver dato licenza di lavorare alla domenica e in questo giorno i muratori continuare le costruzioni gratuitamente, mentre più di 200 persone del paese si affaticano a portar materiali. Il desiderio comune di veder finita l'opera aver stretto con vincoli di unione Parroco e parrocchiani, autorità e amministrati, famiglie e famiglie. I giovani, invece di andare ai balli, unirsi a passar la sera in casa sua, e in chiesa divenire molto frequentata la S. Comunione. Il Signore aver dimostrato con speciali favori di gradire quell'impresa. La ruota di un carro passò sopra il piede di un giovane senza recargli alcun danno. Un fabbro ferraio caduto da un'armatura su di un mucchio di pietre non ne riportò alcuna lesione. La quarta parte del Collegio essere quasi compiuta.

D. Giovanni Bonetti Direttore del Collegio di Mirabello parlò pel secondo. Disse nel suo piccolo seminario, come in tutte le istituzioni di questo mondo, esservi del bene e del male. Primo male la sua testa rotta; primo bene quella santa volpe del prefetto D. Provera. Bene, la lettura spirituale fatta in comune che serve molto a ravvivar lo spirito. Male, alcuni confratelli che non osservano le regole coll'esattezza prescritta. Fra i giovani fu stabilita una società perchè vi fossero comunioni per turno, oltre le ordinarie, secondo i fini desiderati da D. Bosco.

Questa parlata destò malumore in qualcuno e specialmente nei chierici di Mirabello. Nelle pubbliche assemblee o lodare o tacere.

Dopo D. Bonetti parlò D. Lemoyne, Direttore del Collegio di Lanzo. Disse ciò che si era fatto per gli alunni interni, e delle cose da farsi per gli alunni esterni, specialmente per vedere di istituire l'Oratorio festivo. In quanto ai chierici ha il piacere di ripetere ciò che l'anno scorso disse in loro elogio il compianto D. Ruffino.

D. Rua coronò la conferenza parlando sull'unità che deve regnare in ciascuna casa. - Unità di direzione; tutto resti concentrato nel Direttore; tutto dipenda da lui. Non si critichino i superiori; i giovani imparino dai chierici: se i chierici saranno obbedienti, lo saran pure i giovani. - Unità di spirito: carità; un chierico non parli mai male di un altro chierico; uno aiuti sempre l'altro: sopportarsi a vicenda, amarsi come fratelli. - Unità materiale; nessuno pretenda eccezioni, in camera, in refettorio, nell'assistenza, se non vi sono speciali motivi. - Castità; avere un gran riguardo nel trattare coi giovani. Ricordarci che questa angelica virtù è la nostra gloria e la nostra corona. Mettere in pratica i mezzi che suggeriva S. Filippo Neri per conservare la virtù della castità.

D. Bosco era andato ad assistere il Conte Rodolfo De Maistre il quale, in età di 75 anni, il 5 febbraio alle 3 pomeridiane spirava in Borgo Cornalense presso Torino nel castello dell'ecc.ma sua sorella, la Duchessa Laval di Montmorency. Era circondato dalla sua famiglia che amava teneramente e da cui veniva riamato con eguale tenerezza di affetto. Figlio del famoso Giuseppe De Maistre, aveva combattuto valorosamente dal 1787 al 1814 per la causa della giustizia: con coscienza ed onore serviva di poi i Reali di Savoia nelle più alte cariche affidategli negli Stati Sardi, e nel 1846 veniva decorato da Re Carlo Alberto dell'Ordine Supremo della SS. Annunziata. Nel 1853 pubblicava a Parigi in due volumi Le Lettere e gli Opuscoli ammirabili del Conte suo padre, premettendovi alcune pagine biografiche del venerato autore. Aveva mandato al servizio del Vicario di Gesù Cristo e alla difesa della Santa Sede due suoi figliuoli, coraggiosi e amanti del Papa; e pochi giorni prima di morire dava pel danaro di S. Pietro un'ultima offerta di mille franchi. Passava all'eterna pace del Cielo, avendo a fianco del suo letto il Servo di Dio, desideratissimo. Questi era stato suo ospite a Roma nel 1858, e nelle sue stanze aveva lavorato per cominciare presso la Santa Sede quelle pratiche che si riferivano all'approvazione della Pia Società di S. Francesco di Sales. Resi gli estremi onori all'indimenticabile amico e benefattore, consolata la sua cara famiglia, Don Bosco tornava a Torino, e riprendeva le sue occupazioni. Queste erano molte e continue, ma aveva al fianco D. Rua. Parli una lettera caratteristica del suo fido aiutante, diretta alla nobile Contessa Callori.

 

Ill.ma Signora,

 

Con piacere ricevo da D. Bosco l'onorevole incarico di scrivere invece di lui, che è continuamente assediato da molteplici occupazioni, alla S. V.

Pertanto riguardo al libro sul SS. Sacramento mi lascia a dirle che non ha alcuna difficoltà riguardo al titolo, che andrà bene come la S. V. lo propose.

Riguardo all'altra opera, con suo rincrescimento Le annunzia che già scrisse una volta a Monsignore; e questi si degnò bensì di rispondere ma non fece. Rescrisse D. Bosco pregandolo a rinviare l'originale, finora però non si ottenne l'intento; di modo che D. Bosco si raccomanda alla S. V. affinchè voglia pur Ella aver la compiacenza di scrivere e far la debita premura a Monsignore, se pur desidera che il detto lavoro possa riuscire di maggior utilità.

Per passare ad altro, credo che a Lei non sia discaro aver nuove di D. Bosco e de' suoi figli, e però mi prendo la libertà di darlene. Grazie al benignissimo Signore noi godiamo buona salute e allegria, e anche D. Bosco pare che stia meglio, il mal d'occhi non è più venuto a molestarlo; e se non fosse di quel benedetto mal di capo godrebbe quasi perfetta salute.

Ci siamo adoperati io e D. Cagliero, dietro le caritatevoli premure da Lei fatteci, per cercar modo di liberarnelo. Gli abbiamo dimandato che potremmo fare per lasciarlo riposare di più; qual lavoro gli è più gravoso per vedere di esonerarnelo; gli domandammo pure se qualche rimedio potrebbe giovargli. Egli si mise a ridere e metà scherzando e metà sul serio ci disse: - So ben io che cosa mi potrebbe far bene! - E noi insistemmo per saperlo. Allora egli: - Avrei bisogno di un elexir di 10 marenghi al giorno, ciò servirebbe tosto a mettere a posto il mio stomaco ed il mio capo. - Noi ci guardammo ridendo assieme, e non potendo noi provvedergli tale elexir, pensai di esporre la ricetta alla S. V. affinchè veda se è possibile provvedernelo.

Del resto la prego di gradire i rispettosi ossequii di D. Bosco, di D. Cagliero e di tanti altri che più da vicino esperimentarono la bontà della Signora Contessa, non che dello scrivente, con cui augurandole buona quaresima godo professarmi con tutta riconoscenza

Della S. V. Ill.ma,

Torino, 11-2-1866,

Dev.mo Obbl.mo Servo

Sac. RUA MICHELE.

 

Nel mese di febbraio di quest'anno 1866 D. Bosco fu a Milano; ed abbiamo qualche cenno di ciò che vi fece.

In data 20 febbraio scrivevagli la signora Amalia Gnecchi Decio:

Penetrata dal maggior rispetto e venerazione ardisco dirigerle queste mie righe per ringraziarla della bontà che ebbe nel venirci a visitare e nel favorirci di tanti preziosi oggetti che cari ci sono per ogni riguardo. Sabato sera noi abbiamo terminata la santa novena a Gesù Sacramentato e a Maria SS. Ausiliatrice che Ella ci aveva consigliato, ed il giorno prima io aveva ricuperata perfettamente la mia salute, ed anche il mio Carlo aveva provato notabile miglioramento dei suoi vecchi incommodi, per cui non possiamo che sentir viva nel cuore la nostra gratitudine verso il buon Dio e Maria SS. per l'insigne grazia accordataci, e ringraziare altresì Vossignoria per l'interesse che si è preso in nostro favore, e giacchè Ella tanto può sul cuore di Gesù e di Maria coroni l'opera col pregare pei nostri bisogni spirituali... Il mio Carlo la ringrazia ben di cuore del dono fattogli del di Lei bel libro La Storia d'Italia e lo conserverà per di lei memoria. Abbiamo pure ricevuto il pacchetto dei biglietti di Lotteria... e nel spedirgliene l'importo aggiungiamo altre lire 400 per Maria SS. Ausiliatrice. Nella stessa occasione le unisco lire 40 di mio padre, lire 5 di mia sorella e lire 10 di mia cognata che si raccomandano alle di lei orazioni .....

I passi di D. Bosco erano adunque contrassegnati dalle benedizioni di Maria Ausiliatrice, e la fama di santità del Servo di Dio andava crescendo.

La signora Luigia Barbò scriveva da Milano in data 26 maggio 1866, raccomandando a D. Bosco una sua figlia cieca di un occhio da due mesi, perchè rovesciatasi la carrozza in cui si trovava, i frantumi del cristallo le aveano offesa la pupilla, e soggiungeva: “ Già mi sono note delle grazie speciali ottenute anche in cotesta città, di infermi assai aggravati, che col di lei consiglio e preghiere ne rimasero illesi ”.

Nella già citata relazione della Contessa Carolina de Soresina Vidoni Soranzo, interpellata come si è detto da Don Giovanni Garino, leggiamo queste altre notizie:

“ Nel 1866 egli era a Milano in casa di una mia amica e le disse che io aveva dato alla luce una bambina, e così appunto era successo in quell'ora medesima o poco prima. Venendo alcuni giorni dopo da me, gli dissi: - Come ha fatto a sapere che io era divenuta madre di una bambina? Non avevo neppure avuto il tempo di telegrafarle. - Egli sorrise e mi rispose: - Vede che ho fatto l'indovino!

” Un'altra volta che venne a trovarmi, gli dissi: - Sa, Don Bosco, che il fratello di mio cugino Boutourlin, Filippo Migneis, sta male assai! - D. Bosco mi rispose: - Credo che sia morto! - Verificai che in quell'ora era spirato a Civitavecchia.

” Ebbi anche più altre volte prove sicure che egli leggeva nei cuori, avendomi egli detto delle cose che a nessuno io aveva palesato, e predicendomi il futuro che poi a puntino si avverò ”.

Ma nel Servo di Dio nulla appariva di straordinario e di manierato; era di un'umiltà ammirabile, resa più cara dall'aspetto gioviale. Le guarigioni, come era giusto, le attribuiva a Maria SS., e gli altri doni straordinari che poteano in qualche modo sembrar personali sapeva velarli con certe frasi o racconti, che deviavano l'ammirazione di chi non lo avesse ben conosciuto.

Un giorno vi fu chi alla sua presenza meravigliavasi delle previsioni avverate, dei segreti scoperti, delle cose che egli umanamente non avrebbe potuto conoscere, e D. Bosco esclamò: - Indovino senza saperlo! Un mattino mi trovai in una casa di religiose e una monaca, a me sconosciuta, portandomi il caffè mostravasi troppo affaccendata per la premura di servirmi. Io le dissi: “ Marta, Marta, nimis sollecita es ”. Non so se s'intendesse di latino, ma certo capì le parole: Marta, Marta; e andava dicendo poi colle consorelle: - Don Bosco è un santo davvero; è un profeta; senza conoscermi ha saputo che io mi chiamo Marta! - perchè tale per l'appunto era il suo nome.

Similmente nulla era in lui di austero; il suo fare era sempre disinvolto, anzi la sua amabilità gli guadagnava i cuori; e il prestigio della sua santità non cagionava diffidenze o ripugnanze nei mondani, ma la sua conversazione era desideratissima. Questo suo modo di fare gli apriva le porte di tutte le case, e lo rendeva accetto anche agli uomini di principii diversi. Si può dire che D. Bosco fu una di quelle anime che dal Modello Divino seppero trarre mirabile esempio della più bella e serena vita umana. Il più bell'encomio che di lui si possa fare è il medesimo espresso sul conto di S. Teresa dalla sorella di S. Francesco Borgia: “ Sia lodato Iddio che ci ha fatto conoscere una santa cui tutti noi possiamo imitare! Il tenore di sua vita non ha nulla di straordinario; ella mangia, dorme, parla, e ride come tutte le altre, senza affettazione, senza cerimonie, alla buona, eppure ben si vede che ella è piena dello spirito di Dio ”.

Un illustre signore così ce lo descrive allorchè, ed avveniva non di rado, invitava a mensa qualche amico o benefattore. “ Quando co' suoi sacerdoti recavasi nel refettorio comune, si sarebbe detto l'ultimo di loro. E qual intimo suo compiacimento, quando aveva invitato qualche amico a prendere pasto assieme! Venga con noi, quest'oggi! Venga! Veda; ci sarà appena... ma non completava la frase, e sorridendo graziosamente, faceva il gesto dell'allargar le mani, quasi a dire, che bisognava accontentarsi di quello che il convento avrebbe dato. Ma nessuno può immaginarsi quale consolazione si provasse mescendo il sale con D. Bosco. Inter pocula il suo discorso era un po' più accalorato, perchè vi prendevano parte anche gli altri commensali, ma la parola di D. Bosco era più di ogni altra faceta e interessante co' suoi racconti. Sobrio e parco, era misuratissimo: non dissentiva però dal porre in tavola un gocciolo di quel vecchio, che era lieto di offrire al suo invitato, per dimostrargli la sua soddisfazione di averlo commensale: compiacimento che poi chiosava colla solita rubrica: Ci perdoni, se per quest'oggi ha dovuto fare un po' di penitenza! Ma lei ci ha onorato e basta! Proprio così, o buono e vecchio amico! ”.

Guadagnati dalle belle maniere, tutti i giorni andava accrescendo il numero de' suoi amici: e nel 1866, e precisamente a Milano, egli fece pi√π stretta conoscenza coll'avvocato Comaschi.

Era il Comaschi di principii così detti liberali, e presidente o patrono della società de' cappellai. A nome di questa si era presentato al generale Garibaldi, mentr'era di passaggio in Milano; e l'eroe dei due mondi si era compiaciuto di quell'omaggio e gli aveva dato in dono il proprio cappello. L'avvocato lo collocò nel salotto sotto una campana di vetro e con vero orgoglio lo faceva ammirare da tutti i suoi visitatori.

Venuto a Torino nel 1859 per patrocinare una sua causa, udì parlare di D. Bosco e volle vederlo. Accompagnato da un altro avvocato, venne all'Oratorio e il Servo di Dio li accolse con la sua incantevole cortesia, intrattenendosi specialmente coll'altro avvocato che già conosceva. Il Comaschi parlò poco, ma osservò attentamente, e restò così ammirato del Venerabile, che poi disse: - Ma D. Bosco non mi sembra un prete come gli altri! - Da quel punto fu compreso per lui da un affetto e da una riverenza indescrivibile. Tornò un giorno nell'Oratorio per vedere D. Antonio Sala, presso il cui villaggio aveva la sua villeggiatura in Brianza; ed avendo visto nella porteria un ritratto di D. Bosco: - Come! disse, non avete altro posto da mettere D. Bosco? Sapete chi è Don Bosco? - e fece al portinaio sbalordito una predica in tutta forma.

Nel 1866 adunque, avendo saputo che D. Bosco si trovava a Milano, lo invitò a pranzo in casa sua. Don Bosco accettò. L'avvocato era fuori di sè dalla gioia nel sedersi a mensa; e il Servo di Dio, che sapeva adattarsi a tutti gli umori, tenne desta l'ilarità dei convitati col noto racconto di quel signore tedesco Dehuc venuto in Italia per andare a Roma. - A que' tempi non c'erano ferrovie e perciò si viaggiava in carrozza facendo varie fermate per riposare. Il Dehuc era amante della birra, ma preferiva il vino e di quel migliore; ed essendo ricchissimo si faceva precedere per qualche giornata di viaggio da una sua staffetta, che in ogni paese ove giungeva ne assaggiava il vino, e se lo trovava buono scriveva con un pennello sulle pareti esterne della locanda: est! se migliore est! est! se ottimo est! est! est! E il padrone lo seguiva facendo tappe più o meno lunghe secondo la bontà del vino: talora era una notte sola, talora erano più giorni, e non erano rare le ubbriacature. Giunse finalmente a Montefiascone ed avendo vista su d'una locanda la scritta est! est! est! saltò giù dalla vettura, affittò una stanza, e prese una sbornia così solenne e potente da crepare. E infatti se ne andò all'altro mondo. Il servo lo fece deporre in una magnifica tomba con un'iscrizione che diceva la causa della sua morte: Est! est! est!... sed propter nimium est Herus meus Joannes Dehuc mortuus est! e nel coperchio ordinò si praticasse un foro dal quale si potesse ogni anno, nell'anniversario della sua morte, intromettere alcune misure di vino per irrorarne le ossa. - La vivacità colla quale D. Bosco raccontò quest'aneddoto fu tale da non potersi più dimenticare.

Il Servo di Dio cercava di guadagnarsi le simpatie di molti per poterne trarre le anime al Signore. L'avvocato Comaschi lo invitò con vivissime insistenze a recarsi ad alloggiare presso di lui ogni qualvolta andasse a Milano, dicendo che lo faceva padrone di casa. E D. Bosco ebbe cara l'offerta ospitalità, ma quanto più l'avvocato aveva occasione di trattare

con lui, tanto più diveniva migliore, e a poco a poco mutò idee, il cappello di Garibaldi non ebbe più il posto di onore, ma l'ebbero invece due lettere autografe del Servo di Dio, inquadrate in aurea cornice. Non si può credere quanto divenisse amico ed ammiratore di D. Bosco. Non permise mai che la stanza che aveva destinata a lui fosse occupata da altri, ma la riguardò sempre come un santuario, ove conservava tutto ciò che il Venerabile aveva adoperato alla sua mensa, non permettendo che bicchieri, tovaglioli, e asciugamani fossero lavati. E finchè visse, egli li venerò come reliquie di un santo.

Così ci attestava D. Lorenzo Saluzzo, che n'udì il racconto dagli stessi parenti del Comaschi.

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